EDITORIALE / La sicurezza è un obiettivo, ma si agisca sulle cause

08.07.2024
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Ieri mattina il Tour de France si è fermato per rendere omaggio ad André Drege, scomparso in seguito a una caduta al Tour of Austria (in apertura la squadre del norvegese – Team Coop-Repsol – schierata al via dell’ultima tappa annullata). La statistica dei corridori morti in gara è un elenco impietoso di lapidi che fortunatamente negli ultimi anni si è andato assottigliando. Infatti, sebbene le immagini, i social e l’emotività che scatenano facciano sembrare che ci troviamo al centro di una strage, la situazione della sicurezza oggi è molto migliore rispetto a un tempo.

Scossi dall’emotività della giovane morte norvegese, negli ultimi giorni siamo tutti a chiederci che cosa si possa fare per cambiare il corso di questo destino. Si ipotizza di dotare i corridori di airbag o altre soluzioni tecniche. Se arriveranno, quando arriveranno e non stravolgeranno la pratica sportiva, saranno ben accette.

Non ci sono notizie sulla dinamica della caduta di Drege, ma si parla di problemi alla ruota posteriore. Aveva 25 anni
Non ci sono notizie sulla dinamica della caduta di Drege, ma si parla di problemi alla ruota posteriore. Aveva 25 anni

La chiarezza di Bettiol

Intervistato ieri su Rai 2 da Silvano Ploner alla partenza della nona tappa del Tour, Alberto Bettiol ha usato parole amare, ma di grandissimo buon senso.

«Purtroppo questo è uno sport pericoloso – ha detto il campione italiano – e dispiace tantissimo. Sono delle disgrazie, c’è poco da dire. Sul discorso sicurezza, lo dico sempre che fra gli sport non estremi, il ciclismo è il più estremo. Alla fine rischiamo la vita tutti i giorni, rischiamo la vita in allenamento e in gara. Io paradossalmente mi sento molto più sicuro al Tour de France che in allenamento, sinceramente, per la quantità di dottori, di ambulanze sempre al seguito, telecamere ovunque. Quindi in teoria in gara siamo abbastanza sicuri.

«Penso che in Austria sia stata una fatalità. Da quello che si è sentito, è andato dritto in una curva ed è accaduto rovinosamente. Cioè, cosa vuoi fare? Alla fine il ciclismo è questo, è duro da accettare, però non vedo quali siano gli accorgimenti che possiamo prendere. Non è che possiamo togliere le discese nel ciclismo, bisogna stare attenti. Non era in un gruppo, era da solo nella discesa del Grossglockner. Sono fatalità».

Serse Coppi, a sinistra, fratello di Fausto: morì al Giro del Piemonte del 1951 (foto CapoVelo)
Serse Coppi, a sinistra, fratello di Fausto: morì al Giro del Piemonte del 1951 (foto CapoVelo)

25 dal 1948 ad oggi

Nel solo 1904, quando si correva più in pista che su strada, morirono sette corridori in velodromo. Su strada persero un fratello i due grandissimi del ciclismo italiano. Giulio Bartali morì nella Targa Chiari del 1936, gara regionale toscana. Serse Coppi morì al Giro del Piemonte del 1951. Dal dopoguerra ad oggi, sono 60 i corridori che ci hanno lasciato per cadute, investimenti, arresti cardiaci o malori di ogni genere avuti in corsa. E’ una statistica che raggruppa anche dilettanti e corridori della mountain bike, altri rimasti vittime di cadute e altri di malori per ogni genere di motivo.

Restando in ambito professionistico, dal 1948 ad oggi, gli atleti scomparsi in gara per caduta o incidente sono 25. Nomi come Coppi, Fantini, Santisteban, Ravasio, Casartelli, Sanroma, Kivilev, Weylandt, Demoitie, Lambrecht, Mader e il recentissimo Drege suscitano ricordi in ognuno di noi. Ebbene, i numeri dicono che la mortalità dei professionisti in gara è di un corridore ogni tre anni. In proporzione muoiono molti più ciclisti in allenamento o nella vita quotidiana (197 nel 2023). Quello sì sarebbe un fronte cui dedicarsi con grande ardore, ma ciò non toglie la necessità di operarsi per la sicurezza di chi corre.

La morte di Senna diede forte impulso alla revisione di aspetti tecnici in F1 sul tema sicurezza (foto Getty Images)
La morte di Senna diede forte impulso alla revisione di aspetti tecnici in F1 sul tema sicurezza (foto Getty Images)

La sicurezza della Formula Uno

Una riflessione va fatta, affinché non sembri che si voglia guardare dall’altra parte. La Formula Uno negli anni è intervenuta in modo drastico sulle normative tecniche. I fattori di rischio sono stati ridotti, con una netta accelerazione dopo la morte di Senna quanto a dispositivi di protezione e sicurezza. Ma già prima erano state eliminate le minigonne. Eliminato l’effetto suolo. Fatti interventi sulla misura delle gomme, sui propulsori e sulla misura delle ali. Chiaramente, essendo uno sport che si svolge in circuito, è stato possibile intervenire anche sui percorsi. In più i piloti sono stati dotati di dispositivi di sicurezza personali che non devono certo trasportare con la forza delle loro gambe. Sarebbe curioso uno studio che metta in relazione la velocità e l’esposizione fisica al rischio di un pilota così protetto rispetto a un ciclista.

Nel ciclismo servì la morte di Kivilev nel 2003 per imporre l’uso del casco, ma poco si può fare sui percorsi. E’ impossibile eliminare discese e curve, anche se la nascita di SafeR dovrebbe servire proprio per valutare le scelte troppo incaute. Si possono scegliere le strade con più attenzione. Si possono evitare i passaggi inutilmente pericolosi. Ma come immaginare di eliminare la discesa del Galibier in cui Pogacar e Pidcock nel 2022 dipinsero quelle traiettorie al limite? Non si può snaturare lo sport. E non si può neppure pretendere di correre in autostrada, se le statali sono strette per le velocità attuali. E forse il tema è proprio questo: le velocità attuali, le strade di sempre e il loro rapporto con la sicurezza degli atleti.

Questa la discesa capolavoro di Pidcock dal Galibier nel 2022
Questa la discesa capolavoro di Pidcock dal Galibier nel 2022

Intervenire sui materiali

Le case produttrici spingono verso performance pazzesche, ma come recita lo slogan: la potenza senza il controllo è nulla. Allora, non potendo arrestare la fisiologia degli atleti, si può forse intervenire sulle biciclette? Tutti i corridori di ieri che abbiano usato una bici da gara attuale concordano col fatto che sia estremamente più facile guadagnare velocità, da chiedersi come facessero ai loro tempi ad andare ugualmente forte. Avevano telai in acciaio e geometrie meno estreme, ma per questo più stabili (guarda caso, come Pidcock!). I cerchi bassi e gomme più strette. Oggi che abbiamo conoscenze e materiali che potrebbero rendere più sicura la guida estrema, forse dovremmo renderci conto che trasformare le biciclette in missili da gara in alcuni frangenti compromette la sicurezza del corridore.

Le strade negli anni sono rimaste le stesse, le velocità sono aumentate a dismisura: è chiaro che le criticità aumentino. E allora perché ad esempio nei tapponi alpini non vietare l’uso di ruote ad alto profilo, mantenendo però le gomme più larghe e i freni a disco? Oppure, mantenendo le ruote alte, perché non rendere obbligatorio il passaggio a gomme da 32 con cui aumenta la superficie di contatto con l’asfalto? Se è stato possibile costringere le case automobilistiche a ridisegnare le Formula Uno, quali argomenti potrebbero opporre le aziende che producono “semplici” bici?

Alla partenza della tappa di ieri, tutto lo sgomento sul volto del norvegese Kristoff
Alla partenza della tappa di ieri, tutto lo sgomento sul volto del norvegese Kristoff

Non è a nostro avviso mettendo uno zaino con l’airbag che si risolve il problema della sicurezza, ma sia benvenuto se non peserà due chili e sarà compatibile con il semplice pedalare. E visto che non è possibile intervenire sul buon senso dei corridori e la loro capacità di rallentare, allora forse può avere un senso ridurre i dispositivi grazie ai quali la velocità si moltiplica. Tutto ciò detto, scordiamoci che uno sport che si disputa su due ruote possa diventare stabile o esente da pericoli. Battersi perché lo diventi significa cambiare la sua natura.

P.S. La causa della caduta di Drege potrebbe essere in una foratura e l’impiego di un sistema di ruote su cui ci sono più dubbi che certezze. Se così fosse, sarebbe confermato il fatto che il progresso non può avvenire a spese dei corridori. E l’incidente in questo caso sarebbe colposo e non fatale.

I numeri sul Grappa e il futuro di Pellizzari: gli appunti di Piepoli

04.07.2024
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Dal Tour of the Alps al Giro d’Italia. Poi il Giro di Slovenia, i campionati italiani e proprio in questi giorni Giulio Pellizzari è impegnato al Tour of Austria. Non sarà troppo? E’ una curiosità che proveremo a toglierci con il supporto di Leonardo Piepoli, chiamato al suo fianco da Massimiliano Gentili, il vero mentore di Giulio. Come lo ha visto al Giro? E cosa pensa del programma successivo?

«Credo che al Giro fosse difficile – spiega il pugliese – fare meglio di così. Immaginavo che potesse essere già a quel livello, perché al Tour of the Alps aveva dimostrato di essere cresciuto. Giulio ha sempre continuato a migliorare e arrivando al Giro ha fatto un ulteriore salto di qualità. Non mi ha stupito. Se si guarda la prima tappa in Piemonte, quella di Torino, era già andato davvero forte».

Dopo il Giro, al Criterium Cycling Stars un altro bagno di pubblico per Pellizzari (photors.it)
Dopo il Giro, al Criterium Cycling Stars un altro bagno di pubblico per Pellizzari (photors.it)
Diciamo che il suo avvicinamento al Giro è stato singolare, con il Belvedere e il Palio del Recioto prima di andare al Tour of the Alps.

Secondo me il progetto che stanno facendo i Reverberi funziona. Magari subito può sembrare strano, perché fare quelle corse potrebbe sembrare un passo indietro per uno che ha già fatto bene tra i professionisti. Invece, secondo me, è utile anche portarlo in corse più piccole e mi piace che lui lo abbia preso bene, secondo me è stato propedeutico. Non si è tirato indietro, ha detto che sono corse belle e che gli piacciono e proprio con questi atteggiamenti lui fa la differenza. Quanto a testa è migliore di tanti altri e questa ne è la dimostrazione.

Perché dici che è stato propedeutico?

Li mandi sotto e fanno risultato, poi li mandi sopra e faticano. Come adesso con Pinarello. Negli under 23 cresce forte, mentre fra i pro’ non ci riesce ancora. Perciò lo rimandano sotto, fa risultato, prende fiato e poi torna tra i grandi. E’ una cosa che ti aiuta a crescere.

Dove vedi i margini più ampi di Pellizzari?

Credo che ne abbia in tutti i campi, perché è molto acerbo in tutto. Sicuramente il primo fronte da attaccare potrebbe essere la cronometro, per un fatto fisico e di attitudine. Ci ha lavorato davvero poco finora, anche perché facevamo un certo tipo di attività per cui la cronometro era relativa. Ora dovrà cominciare a lavorarci, a conoscere i materiali. C’è di buono che è giovanissimo, quindi ha l’elasticità che serve per adattarsi alla bici. E quando si tratta di spingere, non ha problemi.

La crono è il prossimo… osso da attaccare: i margini sono enormi
La crono è il prossimo… osso da attaccare: i margini sono enormi
Non averci lavorato prima è un limite o davvero non serviva?

Io credo che Max Gentili meglio di così non potesse gestirlo. Un giorno mi disse una cosa, quella che mi è rimasta più impressa. Mi disse che da junior, se avesse voluto, con Giulio avrebbe potuto vincere dieci corse. Invece per tutto il tempo che l’ha avuto, ha cercato quelle meno adatte a lui e lo mandava all’attacco perché provasse ugualmente a vincere. E questo ha fatto sì che adesso abbiamo quel ragazzo che prende e attacca. Sfrontato, senza la paura di crollare. E se rimbalza, il giorno dopo è nuovamente lì. Max era molto convinto che sarebbe diventato un corridore e ha fatto tutto il necessario per farlo crescere e non per portare a casa vittorie. Cosa che non è troppo comune e secondo me è una mossa giustissima.

Come vedi la scelta di andare al Tour of Austria?

Un giorno Giulio mi ha chiamato e mi ha chiesto che cosa ne pensassi, dato che gli avevano proposto di andare. Anziché rispondergli, ho chiesto la sua opinione. E lui ha detto che negli stessi giorni la sua ragazza era al Giro Donne, mentre i genitori sarebbero andati in vacanza. Allora ha detto che quasi quasi avrebbe fatto meglio a correre, così magari avrebbe provato a vincere una corsa, dato che finora tanti attacchi, ma zero vittorie. E questo è un altro dei casi in cui dico che Giulio Pellizzari ha la testa due spanne sugli altri.

Per cosa?

Altri avrebbero tirato fuori delle menate. Sulla squadra che li spreme, sul fatto che erano stanchi, sul fatto che si sarebbero finiti. Giulio sa che potrebbe essere stanco, è ovvio. E quando si renderà conto che non ce la dovesse fare, prenderà le sue decisioni. Ma secondo me, dato che di qui a fine anno non parteciperà più a corse a tappe, l’Austria ci può stare. Il suo calendario, dall’estate in avanti, prevede solo corse di un giorno, che gli vanno bene anche a livello di crescita. Lavorerà sul cambio di ritmo, farà a tutta salite di due o tre minuti, dovrà limare per arrivare a prenderle davanti. Perciò l’Austria adesso non gli farà male. Gli under 23 olandesi o belgi fanno 8 corse a tappe per anno. Va bene che Giulio ha fatto il Giro d’Italia, ma la sua non è stata un’attività eccessiva rispetto a quella dei coetanei europei.

Il podio del Tour de l’Avenir 2023: dietro Del Toro, Piganzoli e Pellizzari (foto Tour de l’Avenir)
Il podio del Tour de l’Avenir 2023: dietro Del Toro, Piganzoli e Pellizzari (foto Tour de l’Avenir)
Visto che fare dei passaggi fra gli U23 è propedeutico, perché escludere di partecipare al Tour de l’Avenir? L’anno scorso è stato sul podio, lavorare per vincere non sarebbe utile?

Non so in realtà se abbiano scelto qualcosa, però io personalmente sono sempre stato contrario, per il fatto che hai solo da perdere. Non riesci a crescere. Nel suo caso, preferisco che faccia il Giro d’Austria. Qualunque sia il risultato, chiunque ci lavorerà il prossimo anno, vedrà che è andato forte al Tour of the Alps, al Giro d’Italia, allo Slovenia e magari anche in Austria. Vuol dire qualcosa. Per andare al Tour de l’Avenir devi fare una preparazione su misura, mentre adesso conviene che Giulio finisca l’Austria, poi stacchi e inizi a preparare le corse italiane.

Avrai sicuramente visto i suoi dati del Giro: ci colpì nel giorno del Grappa, quando provò a stare dietro a Pogacar che saliva a 600 watt. Quel giorno Giulio ha fatto qualche record personale?

Ha tirato fuori anche quello che non aveva. Il Grappa è un’ora di salita e lui alla prima scalata ha fatto la sua ora migliore di sempre. E nella seconda passata, circa mezz’ora dopo, ha migliorato la sua migliore ora di sempre. Ha fatto il suo “best all time” in entrambi i casi, più di così non poteva andare. Ma anche lì dimostra la consistenza del ragazzo di fare una salita così forte e poi di farla ancora poco dopo. Vuol dire che ha tanta testa, ma anche tanto motore. Fare certi numeri a fine Giro vuol dire avere qualcosa di più rispetto alla media.

Passo per passo fino a Parigi: i giorni di Ganna spiegati da Cioni

27.06.2024
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Dal 2 luglio in Austria inizierà l’ultima corsa di preparazione di Filippo Ganna, che si concluderà cinque giorni dopo: venti esatti prima della cronometro olimpica di Parigi del 27 luglio. Dopo il campionato italiano su strada, chiuso al quarto posto su un percorso molto duro per le sue caratteristiche, il piemontese è tornato a lavorare in pista. E noi abbiamo approfittato dei pochi giorni prima del Tour of Austria per fare il punto della situazione con il suo allenatore Dario Cioni. Curiosamente, parlando di crono olimpica, nella Ineos Grenadiers correranno l’Austria anche Tobias Foss e Magnus Sheffield: due che con le loro nazionali saranno in lizza per le stesse medaglie.

«L’Austria è l’unica corsa a tappe per quelli che non fanno il Tour – spiega Cioni – e che hanno ancora del lavoro da fare. Non è neanche per il prologo, che forse si farà con la bici da strada, ma per quegli 800 chilometri di gara in cui si potrà lavorare cercando anche il risultato. Filippo ha appena concluso due giorni di lavoro in pista e poi uno di volume su strada. Se facesse tre giorni in velodromo, ne uscirebbe troppo stanco e senza portare a casa qualcosa di utile».

Il rendimento di Ganna in salita al tricolore è la somma dei lavori del Giro, dell’altura e della pista
Il rendimento di Ganna in salita al tricolore è la somma dei lavori del Giro, dell’altura e della pista
Ti aspettavi che andasse così forte nella gara tricolore su strada?

Dopo il Giro ha lavorato un po’. Ha assorbito il lavoro, poi è stato in altura e ha fatto un po’ di specifico. La settimana prima, sceso dall’altura era stato anche in pista. La vittoria del tricolore crono e quel quarto posto sono stati il risultato di tutto messo insieme.

Come mai in pista fa blocchi di due giorni e non più di tre?

Nei primi tempi si era iniziato con blocchi più lunghi, però proprio da Tokyo in avanti non si sono più ripetuti. In pista fai tanta qualità e secondo noi il terzo giorno si inizia a pagare. Ogni tanto ha rifatto anche tre giorni, non c’è una preclusione, ma volendo lavorare bene è meglio farne due per dedicarsi poi a un lavoro di volume. Quindi di fatto sono triplette, ma col terzo giorno su strada.

Il Tour of Austria ha le sue belle salite: può essere gestito oppure la corsa è corsa?

La corsa è corsa, non puoi prevedere più di tanto, a meno di non decidere che in qualche giorno particolare tiri a salvarti. Magari decidi che su cinque giorni, due li fai a tutta, due stai in gruppo e uno salvi la gamba o comunque cerchi di arrivare al traguardo avendo ancora energie nel serbatoio. Però non puoi gestirti come quando sei in allenamento e stabilisci quando lavorare in soglia e quando al medio. In gara dipende anche dagli altri, con la fortuna che non dovendo fare classifica, hai la possibilità di non andare ogni giorno fuori giri.

Il leit motiv di tutto l’anno ha visto Ganna e gli azzurri alternarsi fra strada e pista
Il leit motiv di tutto l’anno ha visto Ganna e gli azzurri alternarsi fra strada e pista
Dopo i campionati italiani, Ganna ha detto che a casa avrebbe usato la bici da crono simulando situazioni di gara.

Ha iniziato a farlo a Livigno, dove aveva quella nuova e l’ha usata un po’ di volte. Con lui grosse necessità non ci sono, perché passa molto bene da una bici all’altra. In pista ad esempio ha le stesse misure della bici da crono e poi comunque, essendo uno specialista, si adatta facilmente alla posizione. E comunque, se dovesse esserci da fare una sessione sui rulli perché fuori piove, molto probabilmente la farebbe con la bici da crono invece che con quella da strada.

Capita mai di fare dietro moto con Ganna sulla bici da crono?

E’ un po’ difficile, bisognerebbe andare a 70-80 all’ora e sulle strade statali sarebbe rischioso, in caso del minimo imprevisto. Servirebbe una superstrada, ma sono più problemi che altro. Tendenzialmente lui sulla bicicletta da crono, specialmente se è un allenamento assistito, cioè con qualcuno dietro, tende a fare il lavoro specifico e recupera fra un intervallo e l’altro. O al massimo capita di fare una salita, se vuole farla in posizione.

Avete già tutti i riferimenti che servono per il percorso di Parigi oppure è qualcosa che toccherà a Velo quando saranno là?

Il pacing, il ritmo di pedalata, l’ho sempre gestito io, anche nel mondiale e gli altri eventi con la nazionale, con la collaborazione che c’è sempre stata. Marco (Velo, ndr) fa soprattutto la parte esecutiva e gestisce l’avvicinamento nei giorni immediatamente prima, essendo il responsabile del settore crono. Abbiamo sempre fatto così, perché sarebbe assurdo cambiare il metodo di lavorare proprio in prossimità dell’evento, dopo che per tutto l’anno si è fatto in un certo modo e si è visto che funziona. Per cui va organizzata l’attività di supporto affinché Filippo senta il meno possibile la differenza.

La posizione in sella è praticamente perfetta, le alette del casco portano vantaggio, la bici nuova farà il resto
La posizione in sella è praticamente perfetta, le alette del casco portano vantaggio, la bici nuova farà il resto
Questa di Parigi è una crono che ha qualcosa di particolare dal punto di vista del pacing e della gestione dello sforzo oppure è abbastanza lineare?

Secondo me nessuno lo sa, finché non arriviamo lì e vediamo come metteranno le transenne. Può essere l’unica vera incognita, cioè vedere quanto rendono tecnico il percorso, soprattutto nelle curve. Quello influenza i rilanci. E poi c’è il meteo, se fa caldo o meno o se magari piove. Invece altimetricamente parliamo di poco o nulla. Quelli che sono andati a vederla riferiscono di un percorso molto veloce, perché comunque le poche curve che ci sono si fanno su strade grandi, per cui dipende da come metteranno le barriere restringendo la sede stradale.

Il vento?

Su un percorso cittadino così, difficilmente sarà un fattore. Per cui ci troviamo di fronte un percorso molto molto diverso da quello di Tokyo. L’ultimo setup da tutti i punti di vista si fa una volta che sei lì e hai visto come hanno tracciato le curve, per capire il pacing e capire in che modo distribuire le potenze. Però più è veloce e meno c’è da fare differenze di strategia.

L’anno scorso, dopo i mondiali, si parlava dei 12 secondi fra Evenepoel e Ganna, dici che sono stati colmati?

Avevamo parlato dei 12 secondi e del peso forma, ricordo. Per come poi abbiamo visto il percorso, qui il peso non è determinante: l’incidenza di un chilo è poco o nulla. Abbiamo lavorato molto, siamo stati in galleria per un totale di tre giornate, fra quelle con la squadra e quelle che ha fatto con la nazionale. Abbiamo affinato vari elementi. C’è una bici nuova, c’è un body nuovo. Credo ci sia tutto quello che serve, siamo convinti di arrivare a quel giorno pronti al punto giusto.

Ganna a Tokyo realizzò il quinto tempo nella crono su un percorso da scalatori: vinse Roglic su Dumoulin e Dennis
Ganna a Tokyo realizzò il quinto tempo nella crono su un percorso da scalatori: vinse Roglic su Dumoulin e Dennis

La nuova bici da crono

La nuova Pinarello da crono di Ganna e del Team Ineos Grenadiers debutterà al Tour de France e il piemontese non potrà usarla in gara prima delle Olimpiadi. Pare fosse da escludere l’anticipazione del lancio ai campionati nazionali. Da quello che si sa, dovrebbe essere la sintesi di quella in lega usata per il record dell’Ora e la Bolide da crono. Fra i dettagli, ma solo per sentito dire, sembra che la parte bassa del manubrio abbia corna rivolte verso l’alto, anziché verso il basso.

Debutto in gara, dunque, il 5 luglio nella Nuit Saint Georges-Gevrey-Chambertin, crono di 25,3 chilometri: 7ª tappa del Tour. Quel giorno invece Ganna correrà una bella tappa di montagna al Tour of Austria, con arrivo a St Johan/Alpendorf.

Ravasi riparte dall’Austria e vuole indietro il suo posto

07.02.2024
5 min
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Edward Ravasi ha ritrovato l’equilibrio. Lo raggiungiamo in una sera di febbraio dopo una giornata dedicata alla palestra e ad una delle ultime sedute di corsa piedi: con l’avvicinamento del debutto, si tornerà alla bicicletta.

Dallo scorso anno il varesino di Besnate corre con la Hrinkow Advarics, continental austriaca con sede a Steyr, 170 chilometri a est di Vienna. C’è arrivato alla fine di quello che poteva sembrare un lento declino, invece vi ha ritrovato l’entusiasmo per il ciclismo. Si capisce dal timbro della voce e sarà più chiaro mano a mano che le risposte seguiranno le domande, anche le più scomode.

Ravasi è nato il 5 giugno del 1994 ed è professionista dal 2017, passato insieme ad altri tre talenti della Colpack: Ganna, Consonni e Troia. Ha corso per quattro stagioni con la prima UAE Emirates, poi due anni alla Eolo-Kometa. Quello che inizia è il secondo anche con il team austriaco.

Ganna e Ravasi, assieme a Consonni e Troia passarono nel 2017 in maglia UAE
Ganna e Ravasi, assieme a Consonni e Troia passarono nel 2017 in maglia UAE
Quando ricominci?

La squadra inizia con il Tour of Taiwan, io invece partirò a metà marzo con le gare di un giorno in Croazia e Slovenia. L’idea è di andare forte da maggio ad agosto, con un occhio di riguardo per il Tour of Austria, che sarà il centro della stagione. Vengo da un buon inverno, mi sono allenato senza problemi, mi sento già bene.

Come è stato ritrovarsi in una squadra continental a fare un’attività di secondo piano?

L’anno scorso venivo da un periodo difficile. Dentro di me facevo fatica a metabolizzare il cambiamento, poi mi sono accorto che quando partivo per le corse, i pensieri se ne andavano via. Magari preferisco correre il Giro d’Austria, perché è una 2.1 e mi ci trovo più a mio agio, usando le altre corse per fare la gamba. Però intanto l’anno scorso c’è scappata pure la vittoria, che mi ha dato morale e mi ha fatto ritrovare lo spirito dei bei tempi.

Edward Ravasi è nato il 5 giugno del 1994 ed è pro’ dal 2017. E’ alto 1.81 e pesa 61 chili (immagine Instagram)
Edward Ravasi è nato il 5 giugno del 1994 ed è pro’ dal 2017. E’ alto 1.81 e pesa 61 chili (immagine Instagram)
Sembri sorpreso…

All’inizio è stato difficile, ma ho trovato un buon mondo che non credevo. Leggevo nei giorni scorsi dell’idea di fare la Superlega, ma qui in Austria una Champions League se la sono già inventata. C’è un circuito di gare in cui l’anno scorso mi sono divertito, ritrovando la voglia di correre.

Come mai le cose con la Eolo-Kometa non sono andate?

Non ci siamo trovati su alcuni punti. Nel 2022 ho avuto una ciste e sono dovuto stare fermo per un mese. Non l’abbiamo operata, è passata con gli antibiotici. Poi ho avuto qualche acciacco al Giro di Sicilia, ma soprattutto a giugno è venuto a mancare mio padre. Era un punto di riferimento, mi sono ritrovato fra continui alti e bassi. E così sono arrivato a fine anno e onestamente credevo che mi sarei sistemato, ma senza risultati è stato impossibile. Invece, a dispetto di tutto, qui ho ritrovato la tranquillità personale e sono circondato dalle persone di cui ho davvero bisogno.

Nel 2023, Ravasi ha vinto la Osterreichische Meisterschaften Berg (immagine Instagram)
Nel 2023, Ravasi ha vinto la Osterreichische Meisterschaften Berg (immagine Instagram)
L’obiettivo è tornare in una squadra più grande?

Lo era anche l’anno scorso. Ad agosto mi hanno offerto un buon rinnovo del contratto con la clausola per potermi svincolare se trovassi una professional o una WorldTour. La mia idea è tornare di là e fare una o due stagioni buone. Già dall’anno scorso ho visto che i miei valori in salita sono tornati al livello dei migliori, per cui credo che potrei dire ancora la mia.

La tua carriera finora è andata per come te l’eri immaginata?

E’ stata più complicata del previsto e certo al di sotto delle aspettative. Al terzo anno con la UAE stavo anche andando bene, invece alla Vuelta Burgos ho avuto la frattura al collo del femore che mi ha bloccato. L’anno dopo c’è stato il Covid e poi gli anni alla Eolo sono passati via in fretta. Non credevo di fare tanta fatica, credevo di poter battagliare con quelli che sfidavo fra gli under 23.

Giro d’Italia 2021, arrivo di Sega di Ala: i due anni con la Eolo-Kometa non hanno dato i frutti sperati
Giro d’Italia 2021, arrivo di Sega di Ala: i due anni con la Eolo-Kometa non hanno dato i frutti sperati
Sei un nuovo Ravasi?

Ho ritrovato la passione per la bici e condivido il bello di fare sport con la mia ragazza, che fa corsa a piedi. Anche con il mio preparatore Luca Filipas dell’Endurance Academy c’è un rapporto ormai di famiglia e questo mi dà più energia e mi fa quasi sentire più giovane dei mei 28 anni. Credo di aver avuto una crescita atletica e anche psicologica. Diciamo che le bastonate servono a farti capire cosa bisogna fare.

Sei sempre parso eccessivamente magro, hai avuto un rapporto sereno col cibo?

Non ho mai avuto beghe, ma è vero che negli ultimi anni le dinamiche sono cambiate. Sono passato nel pieno del mito della magrezza, ora credo di aver trovato la quadra, avendo rimesso su la forza che mi serviva. Sono cose significative e non sempre quando sei giovane segui o ricevi i consigli giusti. Dopo che ci sbatti la testa invece, impari. Mangiavo il giusto, ma forse non era abbastanza. Ora mi sono irrobustito e mi sento più forte.

Dopo aver corso con la Eolo, nel 2023 Ravasi è passato nell’austriaco Team Hrinkow Advarics (foto Andrea D’Ambrosio)
Dopo aver corso con la Eolo, nel 2023 Ravasi è passato nell’austriaco Team Hrinkow Advarics (foto Andrea D’Ambrosio)
Resti un corridore per le salite?

Certamente, i numeri sono quelli. Ora sto lavorando sull’aerodinamica e la forza in pianura, affinché possa arrivare alle salite avendo ancora energie da spendere. L’obiettivo è il Tour of Austria, perché ne ho tutte le caratteristiche.

Tu vorresti tornare in una squadra più grande, sai che la tua Colpack dal prossimo anno sarà professional?

Lo so, lo so, ma è meglio non dire nulla. Concentriamoci sulle corse, al 2025 penseremo poi.