Cerchi hookless? Iniziamo a fare chiarezza sulla tecnologia

05.03.2024
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TAICHUNG (Taiwan) – Il tema hookless era caldo da tempo. Ha preso vigore dopo la foratura e stallonamento dello pneumatico di Olivia Baril del Movistar Team al Trofeo Palma Feminina e con l’incidente di Thomas De Gendt al UAE Tour è diventato bollente. Ad oggi non esiste un divieto da parte dell’UCI nell’utilizzo di prodotti dotati di questa tecnologia, anche se è stato aperto un fascicolo in merito.

Abbiamo incontrato Jeff Schneider, responsabile della produzione Cadex, persona estremamente autorevole in materia: non è solo un operatore del settore, ma è anche appassionato ciclista ed utilizzatore. Già in passato è stato coinvolto nella ricerca e sviluppo delle ruote in carbonio Easton: con lui abbiamo affrontato di petto l’argomento e analizzato alcuni dettagli.

Jeff Schneider head of product di Cadex
Jeff Schneider head of product di Cadex
Ti sei fatto un’idea di quello che è successo a De Gendt?

Da quello che è emerso, la gomma e la ruota hanno preso un colpo fortissimo, che ha danneggiato lo pneumatico con una conseguente perdita di pressione repentina che ha espulso l’inserto e compromesso la struttura del cerchio. Se è confermata questa tesi, credo che qualsiasi ruota, tubeless e tubolare, avrebbe ceduto.

La tecnologia hookless è sicura nel mondo del ciclismo?

La tecnologia hookless è una tecnologia molto sicura. Lo è nel mondo dell’automotive e in molti altri settori che da sempre vi fanno ricorso, ma è necessario rispettare tutte le regole. Mi riferisco a chi produce cerchi e ruote in genere, ma anche a chi produce pneumatici. In Cadex ad esempio ci siamo posti l’obiettivo di lavorare con un margine più ristretto di quello imposto da ETRTO (European Tyre and Rim Technical Organisation, un’organizzazione formata dai produttori di pneumatici, cerchi e valvole per veicoli di ogni genere, ndr). Se lo standard internazionale dice 0,5, non andiamo oltre lo 0,3, perché il tema sicurezza non è un dettaglio. Ma questo non basta.

Non basta?

No. L’esempio più semplice da comprendere è quello della pressione di gonfiaggio dello pneumatico. Se il limite è 5 bar e la gomma viene gonfiata ad 8, allora il problema non è del prodotto o della combinazione ruota/pneumatico, ma di un fattore esterno.

E’ possibile comunque limitare le variabili esterne agendo sul prodotto?

Rimanendo in ambito Cadex, visto che abbiamo le ruote combinate con gli pneumatici, la loro carcassa è il risultato di un blend di fibre di Kevlar e fili di carbonio. Significa che lo stesso pneumatico tubeless può resistere di più a pressioni elevate, rispetto ad uno pneumatico standard. Inoltre la struttura così composta aiuta a mantenere il design originale della gomma, senza che questa si dilati verso l’esterno, spanciando oltre i bordi del cerchio.

La parete hookless non prevede l’uncino di ingaggio
La parete hookless non prevede l’uncino di ingaggio
Eseguite dei test sul cerchio con pressioni maggiori rispetto a quelle richieste?

E’ una soluzione che adottiamo normalmente. ETRTO chiede 5 bar, i test che facciamo in Cadex prevedono pressioni maggiori.

Sono importanti anche le collaborazioni con aziende esterne?

Fondamentali. Tutte le ruote o per lo meno i cerchi dovrebbe andare in aziende che producono pneumatici, in modo da creare un sistema ed eseguire i test. Tutte le gomme sviluppate e prodotte, di tutte le sezioni, dovrebbero essere mandate ai produttori di ruote, per fare la stessa cosa. Un procedimento costoso, ma a mio parere necessario per la sicurezza prima di tutto e per aggiornare costantemente gli standard internazionali.

La confezione di uno pneumatico può essere un pozzo di informazioni molto utili
La confezione di uno pneumatico può essere un pozzo di informazioni molto utili
E’ vero che la tecnologia hookless è a basso costo?

Decisamente no. Non puoi permetterti di risparmiare sulla ricerca e sulla tecnologia, se vuoi produrre ruote ben fatte, performanti e con tutti i canoni, che permettono ai professionisti di sfruttarne appieno le potenzialità, che poi a cascata si rivolgono agli utilizzatori finali.

Un cerchio hookless è più facile da produrre, rispetto ad uno hook?

Sotto alcuni punti di vista sì, ma per quanto concerne il design, non in termini di tecnologia del carbonio. La ricerca che è stata fatta sulle pareti del cerchio, per rendere quest’ultimo resistente è sicuro, è enorme. Le ruote di ultima generazione usano dei blend di fibre e resine specifiche.

Importante è l’evoluzione del carbonio e delle resine per i cerchi
Importante è l’evoluzione del carbonio e delle resine per i cerchi
Rimaniamo in ambito hookless. Ritieni necessario l’utilizzo di liquido sigillante e degli inserti?

Non per noi di Cadex. O meglio, il sistema deve essere perfetto così come è e deve garantire il massimo della sicurezza così come è. Ovviamente l’utilizzo di un liquido e di un inserto interno possono dare un vantaggio quando si perde pressione velocemente o in caso di foratura. Ma attenzione al montaggio di un inserto, che deve essere eseguito nel modo corretto. Al contrario si possono danneggiare il cerchio e il bordo della gomma tubeless.

Perché?

Perché montare un inserto non è semplice, o comunque è necessario utilizzare una forza maggiore per far tallonare lo pneumatico. Il rischio di danneggiare le pareti è più che reale e non solo perché quando si usano le leve in modo inappropriato si può danneggiare il cerchietto dello pneumatico.

Ma anche gli inserti non sono tutti uguali
Ma anche gli inserti non sono tutti uguali
Quindi?

Le variabili da considerare sono tantissime. Non sono contrario all’utilizzo degli inserti in ambito road, però è essenziale capire bene cosa fare per evitare inconvenienti.

Quanti test avete eseguito sulle ultime ruote hookless?

Non posso dire il numero di prove eseguite sulle ultime Max 40, sarebbe necessario considerare i test in laboratorio e quelli effettivi su strada. Lo sviluppo delle ultime ruote hookless è un progetto che ha richiesto oltre due anni e mezzo di sviluppo.

Ciccone e la Trek, sul Blockhaus fra tattiche e sogni

14.05.2022
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Ciccone è sudato e chiede di andarsi a cambiare. Napoli tutto intorno ha accolto il Giro con una festa calcistica, che già dal mattino in Piazza Plebiscito ha fatto sentire il calore di una città esplosiva e colorita.

L’abruzzese è alla vigilia della tappa delle tappe sulle salite del suo Abruzzo, mentre sul palco si applaude ancora De Gendt. Sull’ultima salita, Lennard Kamna ha attaccato frontalmente la maglia rosa di Lopez, che però si è difeso con sicurezza. Ciccone sorride, marpione e finalmente sereno.

«Sicuramente la tappa sarà bellissima – dice Ciccone – il percorso è durissimo e spettacolare. Visti i ritmi che stiamo portando, voglio essere protagonista. Arriviamo con la maglia rosa in pugno, quindi avremo gli occhi puntati. Sicuramente saremo protagonisti perché per noi è una tappa importante. Vogliamo in primis tenere la maglia e provare l’azione per vincere».

De Gendt Napoli 2022
Thomas De Gendt rivince al Giro dopo 10 anni: al suo attivo anche tappe al Tour e alla Vuelta, sempre in fuga
De Gendt Napoli 2022
Thomas De Gendt rivince al Giro dopo 10 anni: al suo attivo anche tappe al Tour e alla Vuelta, sempre in fuga

La calma necessaria

Stamattina, durante due chiacchiere per caso davanti al pullman della Trek-Segafredo con Luca Guercilena e il dottor Daniele, si ragionava sul fatto che Giulio sia finalmente calmo e in controllo. E del fatto che per trovare la necessaria consapevolezza a Ciccone manchi ormai soltanto un bel risultato, perché quanto a valori e mezzi non ha nulla da invidiare. Ma ora c’è da difendere la rosa e sfruttare semmai qualche occasione.

«Di Lopez – dice l’abruzzese – continuo a parlare da tempo. Ho fatto un mese con lui in montagna, ho corso con lui tante gare l’anno scorso. In salita fa paura, va veramente forte e lo ha dimostrato anche oggi, che provavano ad attaccarlo. Ha le gambe, secondo me si può difendere bene. Non è scontato che perda la maglia. E io per ora sono a sua disposizione. Sta dimostrando che non solo ha preso la maglia, ma va fortissimo. La sta tenendo bene – prosegue Ciccone – noi lo supportiamo e non ci fasciamo troppo la testa. In squadra c’è un bel clima, la viviamo alla giornata. Continuiamo con questo spirito che alla fine ci porterà buoni risultati»

Festival fiammingo

In quella che Lello Illiano ha definito una piccola Liegi, non poteva che vincere un belga. E se a fare fuoco e fiamme sono stati i vincitori della Gand, del Fiandre e di una vecchia Liegi – Girmay, Van der Poel e Wouter Poels – alla fine a vincere è stato il vecchio Thomas De Gendt.

«Di solito quando sono in una fuga di 22 – racconta De Gendt – sono abituato ad avere 21 corridori alla mia ruota. Questa volta ho visto che c’era Van der Poel e ho pensato che toccava a lui. Dopo due anni sfortunati, ho dimostrato che so ancora vincere. Ho trovato questa tappa molto bella. Un circuito come un mondiale, interessante da vedere in un grande Giro, con la gente che ha avuto la possibilità di vederci più volte».

Gabburo mezzo e mezzo

De Gendt ha battuto Gabburo, l’italiano che finora è andato più vicino alla vittoria in questo Giro nato dall’Ungheria. Ieri infatti Formolo si è fermato al terzo posto. Piantato in mezzo al rettilineo, il veronese ha bevuto avidamente mezza borraccia che gli ha bagnato la barba ispida, poi si è messo a raccontare.

«Non ci aspettavamo una partenza così – racconta il corridore della Bardiani-CSF – vista la tappa di domani e quella che c’è stata ieri. Eravamo 22 davanti, io sono riuscito a inserirmi e a portare a casa un bel secondo posto. Sicuramente è un risultato guadagnato, ma anche una vittoria mancata. Avere la possibilità di giocarsi la vittoria non è di tutti i giorni. Io l’ho avuta oggi e un po’ di rammarico c’è.

«Negli ultimi 200 metri – alza lo sguardo al cielo – ho provato a tenere in scia il compagno di De Gendt e mi sono giocato la mia carta. Ma lui è stato più forte. Mi ha fatto un bell’effetto essere davanti con tre corridori WorldTour, sono veramente contento. Duemila e passa metri di dislivelli con questi strappetti, non è stato facile».

Lopez Napoli 2022
Juan Pedro Lopez ha difeso la maglia: chissà che non faccia lo stesso domani sul Blockhaus…
Lopez Napoli 2022
Juan Pedro Lopez ha difeso la maglia: chissà che non faccia lo stesso domani sul Blockhaus…

Strategia Martin, 10 e lode

Ma in mezzo a tanto parlare di classiche, poco si è parlato del fatto che è andata in scena la tensione fra gli uomini di classifica. E se dalla testa del gruppo, Kamna ha provato a scattare per guadagnare su Lopez, nella fuga si è infilato Guillaume Martin, che al Giro c’è venuto per puntare alla classifica. E lui racconta con lo sguardo vispo, essendosi reso conto che stamattina occupava il 28° posto della classifica a 4’06” mentre stasera andrà a cena al 4° posto con un passivo di appena 1’06”.

«Non era una fuga prevista – dice – non volevo stare in gruppo, per non correre rischi e stare lontano dalla bolgia. E’ stata una buona giornata, senza stress e senza sbattermi per la posizione. E’ stata una buona operazione, spero di recuperare bene per essere forte domani. Domani comincia il Giro d’Italia…».

De Gendt, la vita è un colossale cubo di Rubik

05.11.2021
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Vincere una tappa con una fuga è un po’ come risolvere il cubo di Rubik: difficile, ogni tassello deve essere al suo posto, servono applicazione, scaltrezza, studio, capacità. Il perché di questo paragone ce lo suggerisce l’estro di Thomas De Gendt, belga (pardon, fiammingo) che domani compirà 34 anni. Corridore amatissimo dal pubblico proprio per la sua filosofia di corsa (attaccare, attaccare sempre, che poi si è scoperto essere una necessità quasi fisiologica), ha parlato della sua carriera al Bikefellas Cafè di Bergamo dove ha presentato la versione italiana del suo libro: “Solo” (AlVento edizioni, originale scritto da Jonas Heyerick).

Un titolo emblematico, scelto da una casa editrice che ha così inaugurato una collana di libri in cui celebrerà gli eroi non sempre vincenti al traguardo, ma primi nel cuore del pubblico, oltre che i campioni (prossima uscita: la bio di Julian Alaphilippe).

Il cubo di Rubik

Dunque, il cubo di Rubik come una fuga per la vittoria, due delle quattro passioni di Thomas che ama anche la birra e la PlayStation. Del suo feeling con le fughe, sapevamo, della sua abilità col cubo, meno, ma proprio al Bikefellas ne ha dato prova risolvendo l’enigma con una progressione delle sue: non si capiva cosa stesse facendo, ma all’improvviso, ecco la vittoria. «Il mio record è di 29 secondi – dice – ma su c’è gente che ce ne mette 3-4».

La presentazione del libro si è svolta ieri al Bikefellas Cafè di Bergamo
La presentazione del libro si è svolta ieri al Bikefellas Cafè di Bergamo

Pro’ a 18 anni

Il cubo però può avere più di quattro facce e diventare quasi irrisolvibile. Quasi irrisolvibile, come la lettura di questa sua annata, dove ha fatto registrare i migliori livelli nonostante l’età, eppure si staccava da 70 corridori.

«Il motivo? Ormai i giovani diventano professionisti a 18 anni – spiega – non più a 22-23. Vengono seguiti con app che controllano come e quando si allenano, i valori che esprimono, che gli dicono quando e cosa mangiare. Sono tenuti sotto pressione e questa richiesta assillante di prestazioni, insieme alla loro esuberanza, rende le corse durissime. Ecco perché ho deciso di evolvermi e dedicarmi a Caleb Ewan per fargli da gregario e non pensare più alle fughe».

Con Froome nelle retrovie all’ultimo Tour, facendo i conti con il nuovo che avanza
Con Froome nelle retrovie all’ultimo Tour, facendo i conti con il nuovo che avanza

Cacciatore di fughe

Il re delle fughe che le fughe dovrà riassorbirle, giunto al crepuscolo della sua carriera si rassegna al fatto che ad un certo punto fermarsi è questione di sopravvivenza. Lui, che uno stop mentale ha già dovuto affrontarlo vivendo un periodo di depressione, che è ripartito e ha vinto ancora: cosa che altri colleghi non sono riusciti a fare. Fanno riflettere le sue parole.

«E’ facile che la carriera dei corridori di oggi e di domani si accorci – ha detto – perché se iniziano con questo spirito, non possono reggere a lungo. Penso ad Aru, a Pinot, a Dumoulin, ognuno per un motivo proprio ha dovuto alzare bandiera bianca, ritirarsi o accettare di non poter più essere protagonista».

Da sinistra, l’interprete, l’editor del libro Filippo Cauz, De Gendt e a seguire l’editore Davide Marta
Da sinistra, l’editor del libro Filippo Cauz, De Gendt e a seguire l’editore Davide Marta

Piede a terra sul Koppenberg

I valori entusiasmanti di Pogacar, Roglic, Van der Poel, Van Aert impressionano tutti e danno vita ad un ciclismo esaltante, spettacolare, dove le fughe sono anche per vincere un Tour, non solo per far vedere lo sponsor in mondovisione. Ma il prezzo da pagare potrebbe essere alto.

Dire che bisognerebbe darsi una calmata rischierebbe di essere il solito discorso nostalgico, ma il messaggio per direttori sportivi, team manager, sponsor, procuratori è forte e chiaro. E poi pensare che un corridore come De Gendt riesca ad ammettere che «la mia salita test è il Koppenberg, ma mi capita di dover mettere il piede a terra» non accende quella scintilla nel cuore degli appassionati di ciclismo, che vivono più di sofferenze e di sconfitte che di trionfi e palmarès?

Il saluto a Bergamo lo fa ricordando un compagno bergamasco alla Vacansoleil, Matteo Carrara, che al Giro del 2012 lo pilotò nell’ultimo tappone fino ai piedi dello Stelvio, sede d’arrivo dopo aver scalato l’inedito Mortirolo da Tovo di Sant’Agata. L’impresa riuscì a metà: De Gendt vinse la tappa, ma dovette accontentarsi del terzo posto finale, dietro a Hesjedal e Rodriguez.

De Gendt, in fuga da tutto. Anche dalla depressione…

20.01.2021
5 min
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Una vita in fuga. Eppure, anche Thomas De Gendt ha dovuto fermarsi a un certo punto della carriera e chiedere aiuto per sconfiggere un avversario troppo forte anche per lui: la depressione. Dal ritiro spagnolo di Javea con i suoi compagni, il trentaquattrenne belga della Lotto Soudal ci ha raccontato come l’ha sconfitta e quali fughe sta preparando in un 2021 che lo vedrà ai nastri di partenza di tutti e tre i grandi Giri.

Al Giro del 2012, De Gendt conquista lo Stelvio: forse l’impresa più celebre
Al Giro del 2012, De Gendt conquista lo Stelvio
Thomas, come procede il raduno?

Qui in Spagna il tempo è fantastico, per cui possiamo fare tantissime ore di allenamento. Di sicuro è meglio rispetto al meteo in Belgio, dove in questo periodo nevica e fa freddo. 

Qualche giorno fa su Twitter hai postato la foto di una roccia in mezzo all’oceano, corredata da un pensiero sulla depressione. Ci spieghi questa scelta così profonda?

Due mesi fa è uscito il mio libro, “Solo”, in cui ho raccontato anche della depressione che ho avuto tra il 2017 e il 2018. Sapendo che avrei ricevuto tante domande sul tema in questo periodo, ho pensato di esprimere il mio punto di vista. Non sono una celebrità, ma il fatto di essere ben conosciuto nel mondo del ciclismo mi dà la possibilità di essere utile e aiutare le persone che ci stanno lottando in questo momento. Parlarne fa bene per capire che è un problema comune e che può colpire anche persone che si credono felici o di successo, come è capitato a me. Sono contento di aver avuto tante risposte sul tema dai miei followers.

Un uomo (spesso) da solo al comando, ma la solitudine non riguarda soltanto la bicicletta
Un uomo (spesso) da solo al comando
Come è riuscito l’uomo delle fughe a non seguire la sua indole e affrontare di petto il problema?

La depressione è cresciuta dentro di me senza che me ne accorgessi. Uno dei problemi della mia personalità è di rimuginare troppo su certe cose e di lasciarmi andare a pensieri negativi. La situazione è peggiorata finché ho avuto problemi coniugali. A quel punto, l’unico modo che avevo per evitare di fare cose stupide era di allenarmi più del normale, soltanto per sentire un po’ di dolore aggiuntivo nelle gambe. Se le mie gambe soffrivano, magari la mia mente sarebbe stata più tranquilla. Era il 2017, durante il ritiro di tre settimane in Spagna.

Poi, cos’è successo?

Ho vinto alla prima occasione possibile, la prima tappa del Delfinato. Sembravo felice, ma dentro di me soffrivo per quello che stavo passando. Poco a poco, la situazione è migliorata perché ho cominciato a parlarne con mia moglie e dopo quattro o cinque mesi ho cominciato a stare meglio e a uscirne. Nella primavera del 2018 ero di nuovo felice e ho ricominciato a godermi tutte le piccole cose che mi ero perso per un anno.

E sei tornato a essere il re delle fughe: cosa si prova quando si è soli contro tutti?

E’ l’unico modo che conosco per vincere. Devo andare in fuga con 9 o 10 corridori e poi giocarmela con loro anziché con tutto il gruppo. Una volta centrata quella giusta, comincio a studiare i compagni di fuga. A volte capita che ci sia qualcuno che non conosco, per cui devo farlo uscire allo scoperto, per capire come sfiancarlo. Bisogna provarci più volte possibile per imparare come vincere e, una volta che accade, è tutta esperienza per le fughe successive.

Che obiettivo hai per il 2021?

Voglio vincere una corsa, visto che nel 2020 non ci sono riuscito. Mi auguro che il calendario non subisca modifiche, ma l’anno scorso abbiamo dimostrato che si possono fare le corse senza grossi problemi. Le perplessità che ho espresso al Giro erano dovute al fatto che in quel momento non mi sentivo tranquillo. Poi però, rispetto agli altri grandi Giri, siamo stati testati il doppio del Tour e abbiamo avuto pochissime positività. Hanno detto che alla Vuelta non c’è stato nessun contagio, ma alla fine della corsa un sacco di corridori e membri degli staff delle squadre si sono ammalati, anche se i media non ne hanno parlato. A ripensarci ora, il Giro era l’ambiente più sicuro.

Non sempre la fuga va a buon fine. A Camigliatello De Gendt si arrenderà a Ganna
Non sempre la fuga va a buon fine. A Camigliatello si arrenderà a Ganna
Hai già deciso su che corse punterai?

Il Giro è sicuramente nei miei programmi e sono curioso di scoprire il percorso. Mi piacerebbe vincere un’altra tappa, come feci nel 2012. Poi, vorrei vestire la maglia di miglior scalatore, perché così riuscirei ad eguagliare il mio compagno Tim Wellens, l’unico belga capace di vestire il simbolo del primato in tutti i tre grandi Giri. Correrò anche Tour e Vuelta e credo che la mia stagione finirà a Madrid, salvo cambiamenti.

Ti manca lottare per la generale?

No, perché c’è troppa pressione. Sei ossessionato dal peso forma, non puoi permetterti nemmeno una giornata storta e devi lottare in qualunque tappa: è snervante.

Che cosa ti piace fare nei pochi giorni in cui non pedali?

Giocare online alla playstation e chattare con i miei amici che conosco da 15 anni, di solito a Grand Thief Auto V, così mi tocca fuggire anche lì. Ecco la mia giornata tipo quando non pedalo: mi sveglio alle 8, faccio colazione, gioco fino a pranzo, poi gioco di nuovo, poi cena, poi tiro avanti ancora fino alle 3 di notte. Mia moglie non è molto felice, ma mi servono giornate così per disconnettermi totalmente dal ciclismo e ricaricarmi».