De Plus, signori: l’asso nella manica della Ineos

09.05.2023
5 min
Salva

Nel backstage di queste primissime tappe del Giro d’Italia, il nome di Laurens De Plus ricorre spesso. Dicono sia l’arma in più della Ineos Grenadiers. Il luogotenente che dovrà supportare i capitani del team Thomas e Geoghegan Hart appena la strada si rizzerà sotto le ruote e magari, insieme a Dennis, permettere loro di mettere in crisi Evenepoel e Roglic. La curiosità sta nel fatto che questo, se da una parte gratifica il belga da molti ritenuto il migliore in questo ruolo, dall’altro non è ciò per cui era passato professionista.

Le sue ambizioni erano ben altre, ma quando si passa una stagione dopo l’altra a fare i conti più con gli infortuni che con le corse, quando il tuo curriculum di vittorie inizia a languire, devi saperti adattare. De Plus lo ha fatto, pagando anche un prezzo.

Al Tour of the Alps sono state fatte le vere prove generali per il Giro. De Plus ha lavorato tantissimo
Al Tour of the Alps sono state fatte le vere prove generali per il Giro. De Plus ha lavorato tantissimo

La discesa del Sormano

Era il 2017 quando al Lombardia, nella discesa dal Sormano, De Plus volò oltre il guardrail fratturandosi un ginocchio. Neanche il tempo di riprendersi che nel ritiro prestagionale della Quick Step in Sud Africa un camion andò addosso al loro gruppo. Vakoc ci rimise la spina dorsale e un anno intero di dolori e fisioterapia, lui “se la cavò” con la frattura di bacino e osso sacro, ripartendo solo a maggio.

Può bastare? Macché. Nel 2019, passato nel frattempo alla Jumbo-Visma che voleva investire su di lui come uomo di punta, aveva vissuto un’ottima stagione vincendo il Benelux Tour e dando un grande supporto a Kruijswijk nella conquista del podio al Tour, ma ecco che nel 2020 un’infezione lo mette completamente a terra. Com’era avvenuto con la Quick Step, anche il team olandese non ha la pazienza di aspettare.

De Plus spesso ci ha ripensato e facendo appello al suo ottimismo, quando ne parla cerca di guardare il bicchiere mezzo pieno: «Era una stagione assurda, con tutto concentrato in tre mesi, io sono riuscito a tornare in gara proprio alla fine e perlomeno ho avuto la soddisfazione di condividere la vittoria di Roglic alla Liegi. E’ stato un bel modo per andarmene».

La terribile caduta nella discesa del Sormano. L’inizio di un calvario segnato dalla sfortuna
La terribile caduta nella discesa del Sormano. L’inizio di un calvario segnato dalla sfortuna

Il giusto peso alle cose

Tante traversie che non potevano non avere qualche influsso sul corridore belga. Lui stesso ammette che è una persona profondamente diversa da quella che nel 2016 si affacciò nel mondo dei professionisti.

«Ho imparato a dare il giusto peso alle cose – ha raccontato a Cyclingnews – a mettere le priorità al loro posto. Ad esempio non so neanche esprimere il piacere che provavo, quando mi sono ripreso dalle fratture, nello stare con la mia famiglia senza avere l’incombenza della visita del dottore… Ho capito che ci sono valori che prevalgono. Amo questo mestiere, non avrei continuato altrimenti, ma lo guardo in maniera disincantata, pensando a fare il mio dovere per favorire gli altri».

Due anni per il belga in casa Jumbo-Visma. Approdato con ben altre ambizioni, non ebbe possibilità
Due anni per il belga in casa Jumbo-Visma. Approdato con ben altre ambizioni, non ebbe possibilità

Il periodo dell’isolamento

Paradossalmente, più che gli incidenti e le fratture, è stato il virus del 2020 a metterlo in crisi. Era diventato un altro: isolato da tutti, non rispondeva neanche ai messaggi. Comunicazioni laconiche quanto necessarie con il team, pochi che avevano notizie delle sue condizioni.

«Non avevo niente da dire – ricorda – questa è la verità. Forse sono sembrato supponente ed egoista, non è da me, ma quello era un periodo particolare. Dopo tante sofferenze, dopo tanta sfortuna avevo bisogno di isolarmi e stringermi alla mia famiglia, tanto è vero che sono tornato a casa dei miei genitori. Sentivo che il corpo mi richiedeva tempo, riposo, stasi. Psicologicamente allora era molto difficile vedere che gli altri viaggiavano, correvano, vincevano e io ero fermo, ma non poteva essere altrimenti, dovevo dare tempo al mio fisico di riprendersi».

Quel periodo però gli ha dato una nuova dimensione di sé che gli è servita nell’approdo alla Ineos, della quale è diventato una colonna portante e vuole dimostrarlo al Giro, la prima grande corsa a tappe affrontata da quattro anni a questa parte. Nelle ore di vigilia De Plus ha rivelato un particolare importante, che si poteva anche desumere dalle starting list delle varie gare primaverili, ma nelle sue parole si va molto oltre.

De Plus ha rivelato che il team al Giro è stato costruito con molto anticipo. Qui è con Sivakov e Thomas
De Plus ha rivelato che il team al Giro è stato costruito con molto anticipo. Qui è con Thomas

Un team cementato da mesi

«La squadra del Giro è stata costruita nel tempo – ha raccontato De Plus – abbiamo fatto il ritiro insieme a Sierra Nevada ed eravamo insieme al Tour of the Alps. E’ servito per cementare il gruppo, abbiamo un team equilibrato fatto di gente che si conosce nel profondo e che ha passato tanto tempo insieme, non solo in corsa. Io posso e voglio dare una mano quando servirà, sulle Alpi ho acquisito fiducia, sono stato molto soddisfatto delle mie prestazioni.

«Alla Ineos ho trovato la mia dimensione – prosegue il ventisettenne di Aalst – d’altronde qui aveva già lavorato mio fratello e c’è un amico che opera come meccanico. Tante piccole cose che mi hanno convinto della mia scelta. E comunque, sarò anche luogotenente, ma ho licenza di colpire quando si può. Mi piacerebbe farlo in una gara di casa, in Belgio, ma se capita al Giro perché no?».