Certe vittorie hanno un sapore più dolce di altre e non dipende neanche tanto dalla loro importanza. Per Sara Fiorin il trionfo della scorsa settimana all’Umag Trophy Ladies è stata come una pioggia di miele, necessaria per proseguire la stagione e per dimostrare che le cose, dopo il primo anno al devo team della Uae, stanno cambiando.
E’ ormai già da un po’ che la sua vita somiglia a quella di una pallina da tennis, rimbalzando da una parte all’altra del Vecchio Continente. La vittoria in terra croata è già messa alle spalle, ora c’è da pensare anche alla pista e infatti quando la rintracciamo la Fiorin è in un momento di riposo durante i canonici due giorni di lavoro con il gruppo azzurro a Montichiari.
«Settimana prossima si parte e si va dall’altra parte del mondo, a Hong Kong per la tappa di Nations Cup. Per la seconda volta sarò chiamata a gareggiare anche nel quartetto, la prima è stata agli europei quando abbiamo ottenuto il bronzo U23 e sinceramente non vedo l’ora. Poi ci sarà la mia specialità preferita, l’eliminazione che mi dà scariche di adrenalina. E’ davvero la più divertente e adatta alle mie caratteristiche».
Quanto ritieni che sia utile la pista per la strada e quanto viceversa l’attività su strada per quella nei velodromi?
Io credo che siano complementari, soprattutto per una ciclista con le mie caratteristiche. La pista non può assolutamente mancare, ci sono lavori che non servono solo per l’attività specifica, ma danno un enorme aiuto anche per le gare su strada. Non è un caso se nel nostro team siamo in tante a fare la doppia attività: io, Venturelli, Pellegrini ma anche la tedesca Kunz e l’irlandese Gillespie. Il team vede molto di buon occhio questo nostro impegno e non ci sentiamo forzate. Poi saranno le nostre carriere a indirizzarci verso la miglior scelta, se unica o continuando sul doppio binario.
Veniamo allora alla vittoria di fine febbraio, quanto è stata importante per te?
Moltissimo, anche perché tutta la squadra ha lavorato al meglio e io ho dovuto solo finalizzare. Era una corsa anche un po’ frastagliata, collinare, ma si sapeva che si sarebbe arrivati alla volata. Perlomeno era quello il nostro obiettivo e le compagne hanno lavorato sodo per tenere unita la corsa. Io sono arrivata alla volata nelle condizioni migliori e il risultato è finalmente stato portato a casa.
Lo scorso anno, salvo la vittoria di tappa al Giro Rosa Mediterraneo, ti si era vista poco nei quartieri alti delle classifiche. Hai sofferto il tuo primo anno in un team così importante?
Non è stato un anno semplice, questo è sicuro. Era tutto nuovo e ci ho messo un po’ ad adattarmi, mi accorgevo soprattutto nelle gare estere, quelle in Belgio in particolare, che il livello era molto alto e io facevo fatica. E’ stato un anno di adattamento, che però alla fine ha portato frutti perché mi sento molto migliorata e più a mio agio. Ora quel livello è anche il mio.
Eri arrivata alla Uae senza una precisa identità tecnica, ora con un po’ di esperienza in più ti ritieni una sprinter pura?
Sì, è quella la mia specializzazione, non si discute. Sto però lavorando molto anche per migliorare in salita. Non sarò mai una specialista, ma tenere su alcuni strappi mi consentirebbe di allargare il numero di gare con possibile conclusione allo sprint dove essere competitiva. Ormai non basta più essere veloci, bisogna anche saper tenere in certi percorsi.
Chi ha iniziato prima fra te e Matteo?
Lui e la cosa strana è che è anche più piccolo di due anni. Solo che a 3 anni andava già in giro senza rotelle e io ero gelosa, così l’ho seguito e ci siamo ritrovati entrambi a fare quest’attività. Devo però dire che condividere la nostra passione ci ha legati ancora di più.
Considerando però le vostre attività, soprattutto ora che fai parte di un team straniero, avrete poche occasioni per vedervi…
E’ vero, lui poi ha ancora la scuola, quest’anno avrà la maturità, ma anche lui viaggia molto fra gare e ritiri con la nazionale. Ci sentiamo telefonicamente e ci supportiamo sempre. Matteo è sempre molto prodigo di consigli. Ad esempio nell’affrontare l’eliminazione mi ha dato molti spunti per andare sempre meglio, conoscendo quanto mi piaccia quella specialità.
Come ha reagito alla tua vittoria?
E’ stato contentissimo, anzi credo di avergli restituito un sorriso dopo la caduta a Misano che gli è costata la frattura della clavicola e tanto lavoro perso. Anche lui era in predicato di partire per Hong Kong, davvero non ci voleva. Correrò anche per lui.
Ora che cosa ti aspetta?
Prima della partenza per l’Asia andrò in Olanda per la Drentse Acht van Westerveld dove correrò con il team maggiore. Sarà la seconda volta nella prima squadra e la cosa mi fa un certo effetto, sento il carico di responsabilità. In questo caso non saranno certo le altre a correre per me, sarò io a lavorare per colei che sarà reputata la prima punta del team.
Per una velocista pura quanto cambia in questo caso il lavoro, ad esempio nell’essere il “pesce pilota”?
Non mi è mai capitato in gara, ma credo sia sempre questione di coordinazione fra gli elementi del team. Io sono pronta in quel caso a fare la mia parte, a lanciare la volata molto più da lontano, tipo ai 300 metri per poi lasciare spazio ai 150. L’importante è che a vincere sia la nostra maglia…