La seconda vita di Manfredi, tra allenamenti e promozione

14.02.2023
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Le attività di Samuele Manfredi vanno moltiplicandosi e in attesa di completare quel percorso che tutti sperano possa riportarlo a vestire la maglia azzurra, magari in occasione delle Paralimpiadi, è ora coinvolto in un importante progetto con la Federazione. Il corridore savonese, fermato da un gravissimo incidente in allenamento dal dicembre 2018 che lo ha costretto sulla sedia a rotelle, è entrato a far parte della Commissione Attività di Promozione Ciclistica.

Il proposito del team, guidato dal vicepresidente Fci Ruggero Cazzaniga, è valutare idee e proposte per promuovere il ciclismo e l’uso della bicicletta fuori dagli ambienti agonistici, attraverso eventi promozionali rivolti ai più piccoli, la formazione di animatori per gestire gli eventi sul territorio e allargare attraverso varie iniziative il bacino d‘utenza degli utilizzatori della bici.

Samuele ha preso molto sul serio questo nuovo impegno: «Cazzaniga mi ha chiesto di mettere a disposizione le mie conoscenze e la mia storia per questo progetto e non ho avuto il minimo dubbio nell’accettare. Il mio compito è offrire idee e dare una mano nel trovare contatti utili per rapportarci con chi realmente può darci una mano. Abbiamo iniziato da pochi giorni, ma posso dire che ci sono già risultati».

Manfredi con gli altri componenti la Commissione Fci: da sinistra Pasqualini, Perazzi, Cazzaniga, Nicoletti e Negro Cusa (foto Fci)
Manfredi con gli altri componenti la Commissione Fci: da sinistra Pasqualini, Perazzi, Cazzaniga, Nicoletti e Negro Cusa (foto Fci)
Quali?

Nella mia città, Loano, c’è una pista al chiuso dedicata a mtb e E-bike. In questo teatro si può realizzare un centro di avviamento al ciclismo. Mi sono subito messo in contatto con il presidente del comitato regionale Fci Sandro Tuvo e la cosa si può dire che sia fatta. Io comunque mi sto muovendo anche per allargare il numero di collaboratori nella promozione del ciclismo, coinvolgendo mille attività prima lontane dal nostro mondo.

La tua storia e la tua testimonianza come vengono lette? Al giorno d’oggi il ciclismo ha ormai la patente di sport pericoloso…

E’ proprio su questo che dobbiamo agire. Dimostrare che il ciclismo, se affrontato nella maniera giusta e prendendo le giuste precauzioni, non è più pericoloso di tante altre attività, di tutto ciò che fa parte della vita stessa. Io non ho mai smesso di pensarla così, nonostante tutto.

Manfredi Europei 2018
Il trionfo nell’inseguimento agli Europei Juniores di Aigle 2018
Manfredi Europei 2018
Il trionfo nell’inseguimento agli Europei Juniores di Aigle 2018
Secondo te in questo quadro di attività dovrebbe rientrare anche una campagna di educazione riservata a chi va in auto, al rispetto verso chi pedala?

Non so quanto potrebbe trovare risposte. Noi stiamo invece lavorando verso una ristrutturazione delle figure di guida cicloturistica, rendendo l’accesso ai corsi più semplice e moltiplicando gli stessi. Quell’opera di educazione di cui si accennava prima può passare anche attraverso queste figure. Dobbiamo rendere la pratica ciclistica più radicata nella nostra cultura, non guardarla solo dall’aspetto sportivo. Inoltre è un’occasione di lavoro e questo oggi è importante.

Che cosa avete in programma ora?

Abbiamo già avuto tre incontri, uno a Milano e due in videoconferenza. L’attività è molto impegnativa, stiamo cercando di rendere questa commissione un organo che sia all’insegna del fare.

Il ligure sta sostenendo allenamenti molto intensi. E in futuro vuol provare il triathlon (foto Il Secolo XIX)
Il ligure sta sostenendo allenamenti molto intensi. E in futuro vuol provare il triathlon (foto Il Secolo XIX)
Questo impegno va a innestarsi in una tua vita quotidiana già molto impegnata, tra la continua opera di rieducazione e gli allenamenti…

Non c’è solo questo. Ho anche cambiato base, spostandomi a Pavia dove c’è la mia fidanzata. Ho dovuto ricostruire tutto. La cosa bella è che mi sto appassionando sempre più alla pratica sportiva, sto tornando quello di un tempo. Mi alleno sulla ciclabile lungo il Naviglio, quando torno a Loano su quella di Sanremo. Quel che è certo è che la sto prendendo molto seriamente.

Il progetto paralimpico ha quindi preso corpo…

Sì, anche se non mi pongo particolari obiettivi, non guardo certo a Parigi, sono un neofita della disciplina. Ho iniziato da poco, faccio uscite di 6-7 ore sotto la guida del mio vecchio preparatore atletico, Massimo Bechis. Sono poi in costante contatto con il cittì azzurro Rino De Candido che tanto ha insistito perché intraprendessi quest’avventura. E’ dura, ma ci metto tanto impegno.

Avversario di tante gare da junior, Manfredi ha mantenuto saldi legami con Evenepoel
Avversario di tante gare da junior, Manfredi ha mantenuto saldi legami con Evenepoel
Ti vedremo anche in gara?

Sì, subito dopo Pasqua a Marina di Massa, farò il mio esordio per il Team Equa. Ho anche una nuova handbike, una Carbonbike arrivata dagli Usa. Io sono alto 1,96, adattarla alla mia misura non è stato facile, ma ora mi trovo sempre più a mio agio.

Che sensazione provi nel tornare ad allenarti con l’obiettivo della gara?

E’ difficile descriverlo. Sentire la fatica nel corpo, sentire lo scorrere delle ruote e la velocità. Per carità, parliamo di cose molto diverse da quelle che si provano in bici, si va molto più piano e le pendenze, anche minime, si fanno sentire di più. Bisogna rivedere tutte le proprie nozioni di guida, adattarle alla diversa velocità nell’affrontare le curve, gli ostacoli. Non vedo l’ora di tornare in gara. Voglio tornare a respirare il Manfredi di una volta, quello che interpretava le corse alla garibaldina. Senza pensare al risultato, conterà esserci.

Manfredi 2022

Manfredi sta tornando e punta deciso alle Paralimpiadi

05.04.2022
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Parlando con Samuele Manfredi sembra davvero difficile pensare di essere di fronte a un “millennial”, tale e tanta è la sua maturità. La vita lo ha già messo di fronte a prove terribili, eppure il ligure di Loano non ha mai perso la speranza e l’energia nell’affrontare ogni giornata, ha saputo rinascere come un’araba fenice e davanti a sé ha una grande sfida, quella che sognava da bambino, anche se con modalità diverse. Ma ci arriveremo…

Samuele fino al 10 dicembre 2018 era uno dei più promettenti talenti del ciclismo italiano. Vincitore della Gand-Wevelgem per juniores nello stesso anno, campione europeo nell’inseguimento individuale e argento in quello a squadre, era stato messo sotto contratto dal Team Development della Groupama-Fdj. Samuele si stava allenando d’inverno per farsi trovare pronto all’inizio dell’avventura francese, ma il 10 dicembre si è interrotto tutto.

Un incidente in bici, a Toirano, uno di quelli che riempiono purtroppo le cronache ogni giorno. I danni riportati sono pesantissimi: per giorni Manfredi resta in coma, oltre un mese prima che venga risvegliato. Da lì inizia un lungo cammino di riabilitazione che accompagna tutt’ora le sue giornate, recuperando ogni giorno un piccolo ma fondamentale pezzetto delle sue funzionalità.

Manfredi Chrono des Nations 2022
Samuele con Dominique Soulard e la moglie, gli organizzatori della Chrono des Nations
Manfredi Chrono des Nations 2022
Samuele con Dominique Soulard e la moglie, gli organizzatori della Chrono des Nations

Un esempio per tanti

Il mondo del ciclismo gli è sempre rimasto vicino, non c’è gara alla quale Samuele assista che non veda tanti protagonisti avvicinarsi e salutarlo, farsi una foto con lui, scherzare insieme (nella foto di apertura Samuele con la deputata francese Christine Cloarec-Le Nabour, erano ospiti d’onore alla Route Adélie de Vitré, prova della Coupe de France vinta da Alex Zingle) perché Samuele non ha perso un’oncia della sua simpatia e non parla mai della sua condizione con toni di autocommiserazione. Nel tempo che la riabilitazione gli lascia, si dedica ad altri ciclisti, amatori e ragazzini e a questi insegna soprattutto come vivere il ciclismo, il che significa anche essere un maestro di vita, trasmettendo quello che per lui è un dogma: «Ho avuto la riprova che la vita è bella in qualsiasi caso».

Ora però c’è un sogno che sta prendendo forma. Un sogno a cinque cerchi, lo stesso che aveva prima di quella maledetta mattina di dicembre: «Rino De Candido per me è stato sempre molto più che il tecnico della nazionale, mi è rimasto sempre vicino. Ora che ha assunto la carica di responsabile del ciclismo paralimpico, mi ha chiesto se me la sentivo di provare l’handbike. Finora non avevo potuto perché le mie condizioni ancora non me lo permettevano, ma ora ho avuto il via libera medico. E’ un cammino lungo quello che mi aspetta, ma voglio provarci. So che Rino mi starà accanto, con Vittorio Podestà che è un nume nel campo e mi ha già accolto nella sua società».

Che cosa rappresenta per te poter tornare a parlare di Olimpiadi?

E’ un passaggio importante nella mia storia, significa un altro passo verso il ritorno alla normalità. Mi permette di restare ancora più legato a quello che è il mio mondo, che non ho mai lasciato.

Nell’ambiente non si è mai smesso di pensare a te e di rimanerti vicino, non capita sempre…

Forse in quel poco tempo che l’ho frequentato da corridore qualcosa avevo trasmesso e questo mi dà molto coraggio: io sono sempre stato uno del popolo, ero anche bravino ma non era questo l’aspetto primario. Non ero certamente uno che stava sulle sue, facevo gruppo e questo è rimasto.

Fare gruppo è un concetto che nel ciclismo attuale si è un po’ perso: ormai molti dicono che in squadra, finita la corsa ognuno sta per conto suo, smartphone alla mano…

Io sono sempre stato contrario: quando eravamo in ritiro dicevo sempre a tutti che quando stavamo insieme dovevamo fare qualcosa insieme. Sono sempre stato convinto che una squadra esiste al di fuori delle gare, prima ancora che in corsa, proprio perché comunicare costa fatica, impegno mentale. Anche piccole cose fatte insieme, alla sera, ti danno quegli automatismi di comunicazione che in corsa saranno fondamentali.

Manfredi Bettiol 2019
Manfredi tra Alberto Bettiol e Marina Romoli, viceiridata juniores 2006 anche lei vittima di un incidente
Manfredi Bettiol 2019
Manfredi tra Alberto Bettiol e Marina Romoli, viceiridata juniores 2006 anche lei vittima di un incidente
Insegni anche questo ai più giovani?

Certamente, ma a tal proposito devo dire che non avrei potuto essere un tecnico senza tutto quel che ho imparato dall’incidente a oggi. Non avevo fatto studi specifici, ma l’esperienza mi ha dato una cognizione scientifica enorme, me ne accorgo su di me e applico quel che imparo sugli altri, facendo la necessaria trasposizione.

Nell’ambiente chi ti è rimasto più vicino?

De Candido innanzitutto che è ben più che un parente, ma anche Marco Villa e la mia vecchia squadra. Non mi hanno mai fatto mancare il loro sostegno. Ho conosciuto Podestà che nel movimento paraciclistico è un riferimento assoluto. Chi vorrei conoscere è Alex Zanardi che per me è un mito. So che pian piano si sta riprendendo, spero che presto la cosa sia possibile.

La riabilitazione quanto tempo occupa della tua giornata?

Molto, è un vero e proprio lavoro, devo allenarmi muscolarmente e neurologicamente perché non ho ancora recuperato appieno le funzionalità, ma ogni giorno faccio sempre un piccolo passo in avanti. Ora poi che ho un sogno davanti a me, ho ancora più voglia di sudare e faticare, per riprendere quel discorso interrotto anni fa.

EDITORIALE / La lezione degli juniores e il rischio dell’abitudine

28.03.2022
5 min
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C’era una volta un giornalista (in realtà c’è ancora e gode di ottima salute) che passava decine di giorni l’anno accanto ai corridori: sanamente invidiato da chi, scrivendo magari su un mensile, aveva meno occasioni di essere in giro e seguire corse diverse dalle solite. Con il passare degli anni tuttavia, iniziò a farsi evidente che, nonostante tanta assiduità, quel che scriveva tendeva a restare in superficie. E se inizialmente si pensò magari a un volersi tenere buoni i vari interlocutori, approfondendo il discorso fu chiaro che la consuetudine fosse diventata abitudine, facendo venir meno in lui la curiosità e dando per scontati aspetti che invece avrebbero meritato un approfondimento.

Mondo juniores

La stessa cosa potrebbe essere avvenuta nel mondo degli juniores. De Candido, che negli anni ha ottenuto ottimi risultati, forse negli ultimi tempi aveva ristretto il campo delle sue indagini, finendo per concentrare l’attenzione su un numero sempre più ristretto di nomi e team, basando osservazioni e convocazioni sugli ordini di arrivo. L’abitudine, appunto. Le discussioni dello scorso anno e le polemiche sulla formazione della squadra per Leuven, dove comunque gli azzurri corsero in modo eccellente, non sono state dimenticate.

L’arrivo di Salvoldi

In ogni caso, alla fine della stagione scorsa e non senza stupore, la categoria è stata messa nelle mani di Dino Salvoldi. L’incarico ha avuto una doppia lettura. La versione ufficiale vuole il tecnico lombardo come unica risorsa federale in grado di ristrutturare gli juniores, valorizzando i tanti talenti con un massiccio lavoro di ricerca e raccordo tra nazionale e società. I sostenitori della versione non ufficiale si dividono a loro volta in due partiti. Coloro che mal accettavano le pressioni cui erano sottoposte le atlete e altri a chiedersi ancora se abbia avuto senso togliere il ciclismo femminile dalla gestione del tecnico plurimedagliato a tre anni dalle prossime Olimpiadi. Le tre piste hanno tutte una base di verità.

Il cittì degli juniores Salvoldi ha passato l’inverno in giro per ritiri e società (foto FCI Sicilia)
Il cittì degli juniores Salvoldi ha passato l’inverno in giro per ritiri e società (foto FCI Sicilia)

Osservazione capillare

Salvoldi si è dedicato al nuovo incarico con l’impegno che nessuno ha mai messo in dubbio. E’ stato lontano dalle interviste finché non ha raccolto un congruo bagaglio di conoscenze e durante l’inverno ha fatto per due o tre volte il giro d’Italia, incontrando tecnici e atleti e seguendo i loro allenamenti. Non avendo riferimenti, non c’è stata abitudine a limitare il suo orizzonte.

«Ho trovato dei direttori sportivi molto più preparati e disponibili di quel che mi dicevano – ci ha raccontato alla Ballero nel Cuore della scorsa settimana – e con loro ho potuto ragionare di tutta una serie di tematiche».

«Mi sono basato – ha detto ieri sera a Filippo Lorenzon, dopo la vittoria azzurra alla Gand-Wevelgem juniores – sui risultati dei ragazzi del 2004 raccolti la scorsa stagione. Li ho incrociati con i discorsi fatti con i rispettivi diesse e sono andato a vederli in allenamento e in gara, anche se ho avuto una sola gara a disposizione».

Capra non c’era

Capra non c’era all’apertura toscana, avendo debuttato in Veneto al Circuito delle Conche, mentre l’anno scorso ha ottenuto 8 vittorie fra gli allievi. Chi si sarebbe mai sognato, al netto della sostituzione dell’ultima ora, di portare uno junior di primo anno alla Gand?

Ugualmente è finito nei radar del tecnico azzurro e ha vinto la classica di Coppa delle Nazioni, come anni addietro era riuscito a Samuele Manfredi. Se questo sarà ancora l’approccio di Salvoldi anche per il futuro (abbiamo pochi dubbi al riguardo, essendo Dino un tecnico vincente e poco incline all’abitudine), allora la scelta della Federazione sarà stata lungimirante oltre ogni altra ipotesi. In fondo sino a un certo punto, anche De Candido è stato spinto dalla stessa curiosità, poi fisiologicamente ha probabilmente perso un po’ della sua spinta. Come accadde a quel collega da cui il discorso ha preso il via.

L’abitudine è deleteria. Forse per questo sarebbe meglio dare il via a una rotazione organica dei tecnici, affinché essi stessi abbiano nuovi stimoli e dal trapasso di nozioni e dalla voglia di scoprire altri aspetti, spariscano i legacci e le consuetudini che inaridiscono il terreno. Non è forse vero che anche nei campi la rotazione delle colture è il modo migliore per avere costantemente ricchezza nel raccolto?