Il Pordoi, i pro’ e Marco Frigo: «Il mio parco giochi»

21.08.2025
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Non solo Teide, Sierra Nevada o Livigno… I pro’ per i ritiri in altura stanno tornando anche sul Passo Pordoi. La Bahrain Victorious lo ha scelto come base per gli allenamenti estivi. Ma c’è un atleta che del Pordoi in qualche modo ne ha fatto la sua “seconda casa”: si tratta di Marco Frigo.

Lo abbiamo sentito a pochi giorni dall’imminente Vuelta, ma con il corridore della Israel-Premier Tech c’è stato tempo anche per parlare del mitico passo dolomitico. Lassù c’è una stele dedicata a Fausto Coppi e ogni giorno, nel pieno dell’estate, centinaia di ciclisti da tutto il mondo lo affrontano, sudano, soffrono, gioiscono e si innamorano delle sue bellezze.
E questo vale anche per i professionisti: se pensate che questi ragazzi siano sempre e solo numeri e dati, vi sbagliate. E il Pordoi ne è testimone.

Marco, tanti tuoi colleghi vanno in ritiro in altura sul Teide, oppure nella gettonatissima Livigno. Ora anche Andorra, dove tra l’altro molti vivono. Perché tu scegli il Pordoi?

Nel mio caso anche per una questione di vicinanza a casa. Io sono veneto e il Pordoi è in provincia di Belluno (un versante, l’altro è trentino, ndr). Ma in generale direi perché sei sulle Dolomiti e pedalare lassù non ha eguali. Non c’è un altro posto al mondo come le Dolomiti, secondo me. Già questo lo definirei il miglior motivo per scegliere il Pordoi. E poi è anche bello alto.

Siamo a 2.239 metri…

Una quota molto buona per l’ossigenazione. Ci sono un paio di hotel in cima, io mi sono sempre affidato all’Hotel Savoia. Ci si sta bene, tranquilli e i servizi sono ideali. Io poi vado in un periodo dell’anno che di solito è quello estivo (in qualche caso anche aprile inoltrato, ndr) perché già a settembre fai fatica. Alla fine è davvero disponibile per tre mesi all’anno.

La sua posizione è buona per cosa?

Perché puoi anche scegliere di allenarti un po’ più in basso, ci sono tanti percorsi. Per esempio dal Pordoi in 25 chilometri sei ad Alleghe, a quota mille metri o anche meno. Quindi praticamente non sei al livello del mare ma puoi svolgere determinati lavori. In più c’è anche un po’ di pianura. Oppure fai la stessa cosa scendendo in Val di Fassa, dall’altro versante: lì sei a 1.300-1.400 metri e appena vuoi hai subito qualche salita che ti riporta in quota.

A te perché piace?

A me piace molto il Pordoi, perché sei al centro di tutto. Mi verrebbe da definirlo un parco giochi. Sì, proprio così: il Pordoi è al centro di quel parco giochi che sono le Dolomiti. Da lì puoi scendere verso la Val di Fassa o la Valle di Livinallongo e si apre tutta una diramazione di altri passi. Penso al Fedaia, al Campolongo, al San Pellegrino, al Valles… potrei continuare per ore.

La bellezza del Pordoi e delle sue vedute (sullo sfondo i bastioni del Boè e il Sassolungo. Nel mezzo il Passo Sella (foto Dolomiti Review)
La bellezza del Pordoi e delle sue vedute (sullo sfondo i bastioni del Boè e il Sassolungo. Nel mezzo il Passo Sella (foto Dolomiti Review)
Una scelta vastissima in effetti…

Io sono stato in altri posti, in altre alture ed è tutta un’altra cosa. Magari hai 2-3 salite che puoi fare, mentre sul Pordoi hai una scelta immensa. Per questo dico che è un parco giochi.

Da un punto di vista tecnico, stare a 2.200 metri è utile ai fini dell’aumento dell’ossigenazione. Rispetto ai 1.800 metri di Livigno, che differenza c’è?

Sinceramente le percentuali non le so. Sicuramente è risaputo scientificamente che più in alto vai e meno ossigeno trovi, quindi è una cosa fisica. Ed è anche una cosa che aumenta in maniera esponenziale, quindi anche solo un piccolo aumento di altitudine può darti un più grosso decremento di ossigeno e quindi qualcosa in termini di miglioramento della forma. Non a caso molti atleti dicono di andare a Livigno poi in realtà risiedono al Passo Trepalle o all’Eira proprio per questo motivo. Io mi sono sempre trovato bene al Pordoi e quando sono sceso ho avuto buone sensazioni e un buon riscontro a livello di prestazioni. Anche quest’anno, prima del Giro, sono stato lassù 10 giorni in solitaria con un mio amico.

Ecco, da un punto di vista delle distrazioni com’è?

Sicuramente non è un ambiente familiare o friendly, di svago. Non è come Livigno insomma. Personalmente mi trovo bene in cima al Pordoi perché so che posso anche investire del tempo su me stesso e non solo in bici. Il non avere troppe distrazioni mi aiuta. Detto ciò in 15 minuti di macchina sei a Canazei o ad Arabba.

Investire del tempo per se stessi è una bella cosa. Cosa fai nel dopo-bici lassù?

Almeno una volta salgo in funivia al Sass Pordoi. Al pomeriggio si va lassù, sul filo dei 3.000 metri. Godi di un panorama unico, il silenzio, la maestosità delle montagne. Vedi cime su cime. Hai la Marmolada di fronte. Poi c’è anche un bellissimo sentiero semi-pianeggiante che conduce a Porta Vescovo, altra cima unica. Sei sul tetto del mondo, nel cuore delle Dolomiti.

Prima hai parlato di passi e diramazioni a non finire. Qual è il tuo giro preferito?

La mia salita preferita è proprio quella che porta al Pordoi, sono sincero. Mi piacciono entrambi i versanti, ma forse un filo di più quello che sale da Canazei. Mentre uno dei giri preferiti è quello con Colle Santa Lucia, Giau, la discesa verso Cortina e, prima di arrivarci, la svolta per il Falzarego e poi ancora più su sul Valparola. Quindi scendi a La Villa, Corvara, ti arrampichi sul Gardena, fai il Sella e rientri sul Pordoi dal lato di Canazei.

Un giro da oltre 4.000 metri di dislivello (per la precisione 121 km e 4.183 m di dislisvello)!

Sì, ma unico. Tocchi tutte le valli più belle. Io poi non sono uno che ama troppo la sosta al bar, ma ho un paio di punti fissi. Uno di questi è la Dolciaria Fassana: lì prendo quella torta al grano saraceno con i mirtilli che è una bontà.

Che rapporti utilizzi normalmente? Ci sono tante differenze tra passo e passo?

Le pendenze dei passi dolomitici sono abbastanza eterogenee. Puoi trovare veramente pendenze toste, penso al San Pellegrino dal Valles o al Fedaia. E puoi trovare salite ben più abbordabili, proprio come il Pordoi da entrambi i versanti che ha pendenze più fattibili. Anche il Campolongo e il Gardena sono abbordabili. Dai, ce n’è per tutti i gusti. Chi vuole una certa pendenza… la trova! Si trova persino la pianura.

Cioè?

Spesso nei giorni di scarico scendo in auto a Predazzo, in Val di Fiemme, e giro lì. In quel caso hai veramente poco dislivello.

Il bivio tra il Sella (a sinistra) e il Pordoi (a destra): siamo sul versante fassano, quello preferito da Frigo
Il bivio tra il Sella (a sinistra) e il Pordoi (a destra): siamo sul versante fassano, quello preferito da Frigo
Riguardo ai lavori come ti regoli? Magari fai le SFR sul Pordoi e gli scatti sul Giau?

Sì, esatto. Più o meno è così. Ormai essendoci stato parecchie volte ho i miei riferimenti, i miei tempi. Ad esempio il VO2 Max mi piace farlo sul Colle Santa Lucia partendo da Caprile, proprio dal basso.

Come mai?

Anche per una questione di quota. Certi lavori è meglio farli non troppo alti. Lì siamo poco sopra i mille metri. Mentre mi trovo bene a fare le SFR sul San Pellegrino perché ha una pendenza un po’ più alta. Quando invece c’è da fare i lavori di endurance allora una salita vale l’altra… più o meno. Gli sprint invece li faccio sempre in Val di Fassa, nella valle.

Che rapporti utilizzi maggiormente quando fai endurance, quindi Z2?

Avendo come moltiplica più piccola un 40, di solito dietro utilizzo un 40×23 o un 40×25, dipende anche dalla salita. Diciamo che mi attesto tra le 80 e le 90 rpm.

Caruso è un gladiatore: prepara la Vuelta e culla il sogno azzurro

07.08.2025
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Per una singolare coincidenza o per aver ben lavorato, nella prima tappa della Vuelta Burgos e nella seconda al Tour de Pologne – martedì scorso – Caruso e Tiberi hanno centrato rispettivamente il quinto e il quarto posto. Per essere entrambi diretti verso la Vuelta, il segnale non è passato inosservato. E se di Tiberi vi abbiamo raccontato proprio dal Polonia, eccoci oggi con Damiano che alla corsa di Burgos è da sempre affezionato e con la prossima Vuelta si accinge a vivere il ventiduesimo Grande Giro della carriera.

«Alla fine la ripresa non è stata così male – spiega – ho fatto un bel blocco di altura sul Pordoi, lavorando bene. Un periodo così lungo forse è stato un po’ forzato, però del resto da me a luglio c’è stato un caldo torrido e ho dovuto allungare l’altura, altrimenti più che migliorare sarei peggiorato. La Sicilia d’estate quando fa caldo veramente, è improponibile: puoi andare in bici, ma non ti puoi allenare».

Il Giro ha dato a Caruso il quinto posto e un grosso carico di soddisfazione personale
Il Giro ha dato a Caruso il quinto posto e un grosso carico di soddisfazione personale
Come mai il Pordoi e non Livigno come tanti colleghi?

La squadra ha degli accordi per cui siamo andati lassù, ma devo dire che mi piace molto. C’è traffico anche sulle Dolomiti, però partendo dal Pordoi hai più opportunità di percorsi. L’unica pecca è che nel giorno di scarico, devi comunque farti la risalita. Però diciamo anche che il Pordoi preso da Canazei, se fatto in maniera blanda, non è così impegnativo. Le Dolomiti sono un bel posto per allenarsi e ci troviamo bene. Abbiamo tutto l’hotel prenotato per noi, l’Hotel Garni Gonzaga, e quindi riesci a stare tranquillo, isolarti, lavorare bene e concentrarti sul pezzo.

Al Giro è arrivato l’annuncio del prolungamento del contratto, con quali motivazioni si va verso la Vuelta?

Sono venuto fuori dal Giro con una bella dose di soddisfazione personale, che mi ha dato la motivazione per continuare a fare questo lavoro. Il rinnovo ne è stata la conferma lampante. Ho lavorato bene per ripresentarmi alla Vuelta in maniera adeguata. Chiaramente non immagino di impegnarmi per fare classifica. Il mio obiettivo è provare a vincere una tappa e dare il mio supporto ad Antonio (Tiberi, ndr) che invece si cimenterà con la generale.

Vuelta 2021, Caruso è già arrivato secondo al Giro, vincendo all’Alpe di Mera. In Spagna conquista l’Alto de Velefique
Vuelta 2021, Caruso è già arrivato secondo al Giro, vincendo all’Alpe di Mera. In Spagna conquista l’Alto de Velefique
Come quando nel 2021 arrivasti secondo al Giro e vincesti una tappa in Spagna?

Come nel 2021 all’Alto de Velefique e come nel 2023, quando arrivai quarto al Giro e alla Vuelta feci secondo in una tappa dietro Evenepoel e altri piazzamenti. L’anno scorso sono stato sfortunato, perché sono caduto qui a Burgos e alla Vuelta ho preso il Covid. L’ultimo è stato una finale di stagione travagliato, spero che quest’anno vada tutto liscio.

Hai detto che la ripresa dopo tanta altura non è stata poi così male…

In realtà a San Sebastian, che è stata la corsa del rientro, mi hanno tirato il collo. Dopo quasi due mesi senza correre, è stato abbastanza traumatico. Però già qui a Burgos – chiaramente con il dovuto rispetto perché il livello è diverso – sono riuscito ad arrivare davanti e questo fa piacere. La tappa d’apertura, con tutto il trasferimento, era lunga 210 chilometri, con percorso abbastanza ondulato e il finale su uno strappo secco di un chilometro. Essere tra i migliori ti fa capire che il fisico risponde bene che hai lavorato in maniera corretta. Per il momento è tutto tranquillo. Ho visto che anche Antonio in Polonia ha dato un bel segnale. Diciamo che siamo in carreggiata.

Burgos sarà l’ultimo test per Caruso verseo la Vuelta. Qui è con Zambanini e Van der Meulen
Burgos sarà l’ultimo test per Caruso verseo la Vuelta. Qui è con Zambanini e Van der Meulen
C’è stato il quinto posto al Giro, ma cosa è cambiato dopo aver deciso che avresti chiuso? 

Io credo che tanto sia cambiato nella testa. Ho iniziato il 2025 convinto di smettere a fine stagione, ma sono anche testardo. Per cui in questa mia convinzione, ho promesso a me stesso di fare tutto al meglio. Ho dedicato tanto del mio tempo alla bici, come se fosse per l’ultima volta. Anziché trascinarmi sino a fine stagione, ho voluto fare tutto nella maniera corretta, per non avere rimpianti. Il problema è che forse mi sono impegnato troppo (ride, ndr).

E cosa è successo?

Sono arrivati dei bei risultati. Ho ritrovato il piacere di andare in bici, di soffrire e di fare la vita del corridore. Non che prima l’avessi perso, però l’anno scorso è stata una stagione troppo travagliata. Ho inseguito la condizione, ma fra malanni e cadute non è mai arrivata. Quindi mi era passata un po’ la voglia, invece quest’anno l’ho ritrovata. E poi mi gratifica anche il ruolo di riferimento per i ragazzi più giovani, non solo per Antonio. Mi viene riconosciuto dalla dirigenza e anche dai compagni. E’ un insieme di cose che mi hanno portato a prendere la decisione di continuare a fare il mio lavoro e cercare di farlo bene.

Il rientro alle gare di Caruso dopo il ritiro sul Pordoi è avvenuto a San Sebastian: una discreta faticaccia…
Il rientro alle gare di Caruso dopo il ritiro sul Pordoi è avvenuto a San Sebastian: una discreta faticaccia…
Un anno e poi basta?

Deciso! Comunque vada, il prossimo sarà l’ultimo. Fino allo scorso anno anche a casa parlavo di percentuali, per cui al 90 per cento avrei smesso. Adesso invece sono convinto al 100 per cento. Il 2026 sarà il mio ultimo anno.

Pensi che per allora Tiberi avrà imparato tutto quello che serve?

Il grosso di quello che potevo trasmettergli in termini di esperienza, l’ho trasmesso. Antonio ha 24 anni ed è nell’età in cui deve cominciare a prendere le decisioni per conto proprio e capire quello che vuole fare veramente. Io posso solo assisterlo e facilitargli il lavoro. Stiamo arrivando al punto in cui, trasmesso il mio bagaglio, non potrò più aiutarlo. Per me è come se fosse un fratellino, c’è un rapporto che va oltre quello lavorativo. Averlo in camera o in gara è solo un piacere, perché è un bravo ragazzo e una persona piacevole con cui è bello dividere il proprio tempo.

Caruso ha corso 4 mondiali da pro’: l’ultimo a Imola nel 2020, quando arrivò decimo, primo degli azzurri
Caruso ha corso 4 mondiali da pro’: l’ultimo a Imola nel 2020, quando arrivò decimo, primo degli azzurri
Parliamo del mondiale?

E dai, parliamone. Il cittì Villa ha chiesto il mio parere. Io gli ho spiegato il mio avvicinamento, che passerà per la Vuelta e sarà ideale per pensare di avere una buona condizione. Non ho detto no e non ho detto sì, anche perché non ho ricevuto ancora alcun tipo di proposta. Semplicemente ho chiesto di vedere come evolve la situazione e quale sarà la condizione, perché mi piacerebbe andare solo nel caso in cui avessi una condizione dignitosa nel rispetto per la maglia azzurra. E’ ancora presto per parlarne, ma a breve arriverà il momento di prendere una decisione. Per ora ci siamo limitati a uno scambio di idee.

Ultima domanda: fra Burgos e la Vuelta riesci a tornare a casa?

No, ci sarà ancora un mini richiamo di altura a Sestriere con la squadra. Servirà per evitare distrazioni, non tanto per finalizzare o migliorare qualcosa. A casa si sta pochissimo, ma al giorno d’oggi o ti adatti a questo sistema o non puoi fare il corridore. E poi cosa ci vado a fare la settimana di Ferragosto in Sicilia? Non riesci ad allenarti, fa troppo caldo. E poi una giornata in spiaggia in Sicilia equivale a una tappa di montagna della Vuelta, una di quelle dure…

Vendrame sul Pordoi, svela i perché del Tour sfumato

23.07.2022
4 min
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Andrea Vendrame sta ricaricando le pile sul Passo Pordoi. Il veneto sta ultimando il suo ritiro in quota. Ma questa fase intermedia tra Giro d’Italia e un possibile Tour de France è stata un po’ convulsa: Grande Boucle sì, Grande Boucle no.

Andrea ci aveva detto della sua volontà di disputare la corsa francese sin dalla primavera. Poi (quasi) all’ultimo è stato dirottato dalla Ag2R-Citroen al Giro. Ha cercato una tappa in più occasioni, arrivando a sfiorare la vittoria in Friuli. Quel giorno fu autore di una strenua tenuta verso la cima del Santuario di Castelmonte, prima della volata maledetta con Schmid e Bouwman. Finì quinto, ma volle riprovarci lo stesso il giorno dopo. Guarda caso ancora sulle Dolomiti, ancora sul Pordoi.

Andrea Vendrame all’ultima curva nella tappa di Castelmonte al Giro
Andrea Vendrame all’ultima curva nella tappa di Castelmonte al Giro
Andrea, come è andata, come mai non sei più andato al Tour?

Ero rimasto in contatto con il team per andare in Francia. Poi sono stato male prima del campionato italiano, che infatti ho saltato. Inoltre ero anche caduto in allenamento.

Cosa hai avuto?

Tosse, una tosse fortissima, ma non era Covid. Tossivo talmente tanto e forte che dormivo sul divano per non disturbare! In queste condizioni non me la sentivo di andare in Francia. Ho avuto un confronto con i medici del team, ai quali avevo comunicato che non ero al meglio. E se poi una volta in Danimarca fossi risultato positivo? Avrei creato più problemi che altro.

Ma dopo il Giro ti sei allenato per andare al Tour?

Diciamo che mi sono allenato per arrivare discretamente al Tour d’Occitaine, ma ero in fase calante. Senza troppo impegno proprio in previsione del Tour.

Nella penultima frazione del Giro, Vendrame ancora in fuga (nel giorno di Covi). E ancora sul Pordoi
Nella penultima frazione del Giro, Vendrame ancora in fuga (nel giorno di Covi). E ancora sul Pordoi
Senza questo problema saresti andato al Tour secondo te?

Guardate, la squadra aveva detto che avrebbe portato quattro francesi e quattro stranieri. Tra gli stranieri me la sarei giocata con Dewulf. O’Connor ci sarebbe stato perché avrebbe puntato alla classifica: Naesen sarebbe stato il suo gregario per il pavè e la pianura. Jungels veniva da un ottimo Giro di Svizzera. E Greg (Van Avermaet) non stava benissimo. Insomma ero in lista e me la sarei giocata.

E dopo che sei stato male hai cambiato i programmi?

A quel punto, sapendo che non sarei più partito, ho rivisto i piani. Ho fatto tre giorni di stop completi, proprio per recuperare bene dalla bronchite. Ho ripreso a pedalare a casa prima di venire in altura quassù sul Pordoi. Alla fine farò un ritiro di 17 giorni.

Che giri fai lassù?

Le Dolomiti le conosco bene. Diciamo che sono le montagne di casa. Vengo quassù sin da quando ero un allievo, con i primi mini-ritiri che facevamo con la squadra. E la stessa cosa da junior. Insomma ci sono sempre stato.

Il veneto pronto ad uno dei suoi giri sulle Dolomiti dal Giau al Pordoi, dal Campolongo al Sella ha scalato tutti i passi più noti
Il veneto pronto ad uno dei suoi giri sulle Dolomiti dal Giau al Pordoi, dal Campolongo al Sella ha scalato tutti i passi più noti
E hai anche una salita preferita?

Sembrerà un po’ “brutto” visto quanto accaduto (il riferimento è alla tragedia del seracco, ndr), ma dico la Marmolada, il Fedaia, da Canazei. Hai questa visuale particolare sul ghiacciaio e la montagna davvero suggestivi.

Quale sarà adesso il tuo programma? A Budapest ci parlasti anche di una sorta di “piano B” che prevedeva anche la Vuelta…

Farò il Giro di Polonia e poi la Vuelta. Dopo il Polonia tornerò a casa per 8-9 giorni, prima di andare in Olanda per visite, presentazione, foto e tutte le operazioni preliminari di un grande Giro.

Hai dato un’occhiata al percorso?

Sì dai, un’occhiata veloce l’ho data, ma non mi sono soffermato su una tappa in particolare. Piuttosto punto più sulla seconda e sulla terza settimana. Ci proverò quando anche gli altri iniziano a sentire la stanchezza. Mentre storicamente io ne esco bene e avverto meno la fatica col passare dei giorni.

Battistella, l’italiano più giovane del Tour: il tagliando e via…

19.06.2022
5 min
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Della sparuta decina di italiani al Tour de France farà parte anche Samuele Battistella, che con i suoi 23 anni, sarà anche il più giovane della spedizione. Campione del mondo U23 nel 2019, prima che il Covid appiattisse tutto, alla fine del secondo anno il veneto ha preso le misure al professionismo, con il Giro a 22 anni, qualche piazzamento e finalmente la vittoria centrata nell’ultima corsa del 2021 nella Veneto Classic. Quest’anno sembrava lanciato verso una rapida conferma, ma un drammatico incidente all’Amstel Gold Race lo ha fermato sul più bello. Lui però si è rimboccato le maniche e ha ripreso subito col passo giusto.

Samuele Battistella è nato a novembre del 1998. E’ pro’ dal 2020 (foto Astana Qazaqstan Team)
Samuele Battistella è nato a novembre del 1998. E’ pro’ dal 2020 (foto Astana Qazaqstan Team)

Base sul Pordoi

In questo momento chi passasse sul Pordoi potrebbe riconoscere la sua pedalata su qualche salita. Ma fra qualche giorno anche lui scenderà dal passo e si sposterà in Puglia per i campionati italiani e poi volerà in Danimarca per l’inizio della contesa.

«Ho beccato una settimana stupenda – racconta dai 2.239 metri del passo trentino – con 26 gradi di massima, mentre giù in valle si arriva quasi a 40. Quest’anno ho fatto tantissima altura. Tre settimane sul Teide prima del Delfinato, tutto per il Tour. Aiuterò Lutsenko, ma avrò spazio per provare a vincere qualche tappa. Andrò giù martedì, sperando di non risentire troppo del caldo. Non so come arriverò ad Alberobello. Ricordo che ero andato in altura anche prima dei mondiali U23 di Harrogate, ma non finivo le gare. Credo che Amadori abbia anche pensato di non portarmi più, ma per fortuna lo fece e vinsi. Ho bisogno di tempo per metabolizzare i lavori in quota. Ma questa settimana me la sono presa per recuperare».

Dopo l’incidente all’Amstel, è passato un mese prima del rientro in gara di Battistella al Giro di Ungheria
Dopo l’incidente all’Amstel, è passato un mese prima del rientro in gara di Battistella al Giro di Ungheria

Sangue e sudore

A proposito di programmi saltati, che per l’Astana sono stati il filo conduttore di una prima parte maledetta, le sole corse del calendario che Battistella sia riuscito a rispettare sono state la Volta ao Algarve e l’Amstel. Le altre sono saltate, a causa di malattie, bronchiti e cadute. A causa dell’incidente nella corsa olandese, Samuele ha infatti dovuto rinunciare al resto delle classiche.

«Il Tour me l’hanno proposto a dicembre – racconta – e ho accettato subito. L’anno scorso ho fatto il Giro, il Tour a detta di tutti è più grande e la sola idea di andare mi mette entusiasmo e tensione. Il fatto di aver saltato le classiche mi scoccia ancora molto, perché ci avevo messo sangue e sudore. Per questo conto di arrivare al Tour con una cattiveria da paura. Quando le cose vanno storte, cresce la frustrazione che poi diventa voglia di riprendersi tutto».

Foto ricordo dopo quasi tre settimane sul Teide alla vigilia del Delfinato (foto Astana Qazaqstan Team)
Foto ricordo dopo quasi tre settimane sul Teide alla vigilia del Delfinato (foto Astana Qazaqstan Team)

Ventun giorni filati

C’è la testa che fa la differenza, con la sensazione che il Giro d’Italia dello scorso anno abbia davvero permesso di salire un gradino importante.

«Quasi sicuramente – dice – i 21 giorni di gara consecutivi sono stati qualcosa che non avevo mai fatto e che ripeterò al Tour. La testa conta tanto. Prima era solo fatica e sofferenza, adesso è fatica e buone sensazioni. A questo aggiungo che aver messo mano in modo importante alla nutrizione fa sì che il mio fisico sia cambiato. Lo vedo da come recupero anche dopo le corse. Il Delfinato è stato tosto, alcuni lo hanno paragonato alla prima settimana del Tour e mi ha dato una bella base di ritmo gara. Quassù prima ho recuperato e poi ho cominciato a lavorare, con distanze mai eccessive. Cucinotta preferisce farmi puntare sull’intensità, perché rispecchia quello che succede in gara».

Al rientro dopo l’infortunio, subito terzo al Giro di Ungheria, dietro Dunbar e Rodrigues
Al rientro dopo l’infortunio, subito terzo al Giro di Ungheria, dietro Dunbar e Rodrigues

Parla Cucinotta

Ieri qualche lavoro di forza, oggi la prima distanza fra medio e soglia, avendo fatto abbastanza ritmo gara al Delfinato. Tirato in ballo da Samuele (i due sono insieme nella foto Astana, in apertura), Claudio Cucinotta riallaccia i fili di questa primavera scombinata e spiega in che modo il veneto arriverà al Tour.

«La sua fortuna – sorride il preparatore dell’Astana – è essere flessibile e duttile. Samuele prende la forma abbastanza facilmente, gli basta qualche settimana per arrivare a un livello discreto da cui provare a raggiungere il top di forma. Dopo l’incidente dell’Amstel abbiamo ricostruito la base aerobica ed è andato al Giro di Ungheria, che ha chiuso al terzo posto. Poi due settimane abbondanti di altura sul Teide e via al Delfinato. Ora altri 10 giorni in montagna per recuperare, lasciando che l’altura faccia il suo corso, quindi il campionato italiano per fare bene e poi il Tour. I corridori che seguiamo impiegano fra 7 e 15 giorni per andare a regime dopo l’altura, per questo fare un altro periodo dopo il Delfinato servirà a ridurre il tempo di latenza, favorendo l’adattamento. All’italiano magari non sarà al massimo, ma avrà un buon livello».

Nella seconda tappa dell’Algarve, Battistella ottiene il secondo posto dietro Gaudu in rimonta
Nella seconda tappa dell’Algarve, Battistella ottiene il secondo posto dietro Gaudu in rimonta

Potenza e recupero

Quel che interessa è il discorso del cambiamento atletico di un ragazzo che ha corso il Giro a 22 anni e si accinge al Tour a 23.

«Lo step di miglioramento – spiega Cucinotta – si nota nel lungo periodo e nella potenza sulle salite lunghe. Non è uno scalatore puro, ma le passa molto meglio. In più, rispetto allo scorso anno, recupera e sopporta meglio carichi di lavoro superiori. Il Tour sarà il modo per fare esperienza in un contesto di livello altissimo, che più alto non c’è. Il Giro a 22 anni non fa più notizia, perché c’è chi alla stessa età è capace di vincerlo. Ma ognuno ha i suoi tempi e Battistella sta facendo un percorso per raggiungere il suo massimo nei prossimi 3-4 anni».

Arabba aspetta il Giro e arricchisce il menù

30.03.2022
3 min
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La bici e la montagna sono un binomio indissolubile che fa riemergere dalla memoria imprese d’altri tempi. Se poi queste montagne sono le Dolomiti, che sono tra l’altro patrimonio dell’Unesco, le emozioni si amplificano ancor di più.  Arabba è una località da sempre legata al ciclismo, sono moltissime le iniziative per chi ama pedalare in mezzo a questi paesaggi mozzafiato. 

Il percorso del Sellaronda Bike Day misura 52 chilometri e prevede il “Giro dei quattro Passi” (foto Freddy Planinschek)
Il percorso del Sellaronda Bike Day misura 52 chilometri e prevede il “Giro dei quattro Passi” (foto Freddy Planinschek)

Spazio ai pro’

Il Giro d’Italia quest’anno torna ad Arabba, infatti la località sarà al centro della 20­­ª tappa, la penultima prima dell’arrivo a Verona. Il gruppo raggiungerà il paesino, situato a 1600 metri sul livello del mare, dopo aver scalato il Passo Pordoi, che con i suoi 2239 metri è la Cima Coppi del Giro d’Italia 2022

I corridori una volta attraversato Arabba si dirigeranno verso Caprile. Da lì inizieranno la scala finale, forse decisiva per la conquista della maglia rosa, che li porterà in cima al Passo Fedaia. 

Il Sellaronda Bike Day ed il Dolomites Bike Day sono entrambi eventi non competitivi (foto Freddy Planinschek)
Il Sellaronda Bike Day ed il Dolomites Bike Day sono entrambi eventi non competitivi (foto Freddy Planinschek)

Tante iniziative

Come detto, nel territorio delle Dolomiti si respirano natura e ciclismo. Saranno molti gli eventi che vedranno protagonista la località di Arabba. La prima manifestazione sarà il Sellaronda Bike Day che si affronterà in due momenti: 11 giugno e 17 settembre (foto in apertura di Freddy Planinschek). Un percorso di 52 chilometri che prevede il “Giro dei Quattro Passi”: Campolongo, Gardena, Sella e Pordoi. 

In mezzo a questi due eventi sarà possibile prendere parte al Dolomites Bike Day, in programma il 25 giugno. Si tratta, anche in questo caso, di una manifestazione non competitiva che viene organizzata con la collaborazione dell’associazione turistica Alta Badia. Un giro che unisce tre Passi: Campolongo, Falzarego e Valparola, per un totale di 51 chilometri e 2190 metri di dislivello.

Per concludere, domenica 3 luglio Arabba verrà coinvolta nella Maratona dles Dolomites, la granfondo più famosa al mondo, che quest’anno celebra la sua 35ª edizione.

Per coloro che amano la Mtb sarà possibile pedalare sul percorso del Sellaronda MTB Tour (foto Arabba Fodom Turismo)
Per coloro che amano la Mtb sarà possibile pedalare sul percorso del Sellaronda MTB Tour (foto Arabba Fodom Turismo)

Per gli amanti dei sentieri

Per chi preferisce destreggiarsi nei sentieri più impervi, in sella alla propria mountain bike, invece, l’appuntamento è per sabato 18 giugno con la Hero Sudtirol Dolomites. Si tratta della gara di Mtb più dura al mondo, giunta ormai alla dodicesima edizione.

I veri appassionati non possono perdere la possibilità di misurarsi nel percorso principe: la Sellaronda MTB Tour. Il panoramico giro intorno al gruppo del Sella è percorribile in autonomia (ma è preferibile farlo con un’esperta Guida di Mountain Bike). E’ possibile affrontarlo in due sensi: orario ed antiorario. Nel primo caso il percorso misura 58 chilometri con 3400 metri di dislivello (che si riducono a 700 utilizzando gli impianti di risalita contrassegnati dal colore arancione). Nel secondo i chilometri saranno 53 ed il dislivello sarà pari a 3.000 metri (che possono essere ridotti a 1300 utilizzando gli impianti dal colore di riconoscimento verde).

Simoni, le alte vette e l’immenso amore per la bici

24.05.2021
3 min
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Gilberto Simoni è stato uno scalatore fortissimo, due volte vincitore del Giro, altri tre anni sul podio. Ha vinto gare e tappe di montagna faticosissime, in Italia, Spagna, Svizzera, Francia, persino in Giappone. Chi meglio di lui poteva raccontare le Dolomiti e le altre vette, protagoniste, come sempre, del Giro d’Italia? 

«Il mio rapporto con la montagna è venuto un po’ naturale, facile, per certi aspetti», esordisce Gibo. «Quando ti svegli la mattina o quando torni la sera e ne sei circondato, le cime diventano punti di riferimento. Ci sono, le vedi e sai che sei a casa». Molti le vogliono salire: a piedi sui sentieri e sulle ferrate, con gli sci sulla neve, in cordata sulle vie di roccia. «Ognuno lo fa nel proprio modo, io ho trovato la soddisfazione di farlo in bicicletta e mi è andata bene. Avevo grinta e tenacia e la montagna mi ha regalato il successo», riconosce Simoni. 

Sul Sampeyre nel 2003, con la neve sulla strada: il fascino e la durezza delle vette
Sul Sampeyre nel 2003, con la neve sulla strada: il fascino e la durezza delle vette

Il Giro sul Pordoi

Sul Pordoi ha ipotecato la vittoria del suo primo Giro, nel 2001. «E’ una bella salita, anche se non è tra le più dure, però quel giorno lì era spettacolare –ricorda – lo salivamo due volte, c’era una folla incredibile». I tifosi lo aspettavano, ma lui non sentiva molta pressione addosso: «Sapevo che potevo farcela, ho avuto sangue freddo e, nonostante la presenza di avversari molto agguerriti, ho giocato bene le mie carte». Gibo quella tappa non l’ha vinta: «Ma è stato comunque il giorno più bello della mia carriera», ammette.

Gioia effimera

Anche la seconda vittoria alla corsa rosa, nel 2003, la deve a salite di tutto rispetto come Zoncolan e l’Alpe di Pampeago. «Sono due belle sfide, chi vince sullo Zoncolan deve metterci oltre alla testa, la volontà, le gambe e il cuore», confessa a bici.PRO. «Anche l’Alpe di Pampeago non è facile, non ti dà respiro. Bei momenti, ma la soddisfazione dura poco perché sai che il giorno dopo sei ancora in gara e non è finita».

La strada si allarga

La montagna in corsa e negli allenamenti: l’habitat di Simoni era più o meno quello dei camosci o dei cervi che popolano valli e versanti alpini. Afferma di avere «la fortuna o la sfortuna (dipende dai momenti) di dover affrontare una salita di sei chilometri per tornare a casa. Alcuni giorni mi piaceva, come fosse un finale di corsa, altri, quando ero stanco, diventava un calvario, una penitenza». Anche in gara non dev’essere stato facile, «ma nel Giro e in altre corse le salite coincidevano con i momenti più tranquilli, sapevo che avrei trovato il mio posto. Non parlo di vittorie o di secondi posti. Se in pianura devi mischiarti, combattere per cercare la vittoria, in salita ognuno trova il suo posto e la strada si allarga». A Gibo piacevano soprattutto le frazioni nelle quali poteva metterci del suo. «Non c’entravo niente con le tappe per velocisti e odiavo le cronometro. Non vedevo l’ora di fare una tappa di 250 chilometri tutta in salita, con vette importanti, piuttosto che farne 10 in pianura».

In salita trovava il suo posto: «La strada si allargava»
In salita trovava il suo posto: «La strada si allargava»

Amore per la bici

Il brutto tempo sulle alte terre, a volte, è una difficoltà aggiuntiva per i corridori, «ma il meteo è stato sempre dalla mia parte. Ricordo gare con tanta, tanta acqua come il Giro dell’Emilia e la Japan Cup. O come la prima tappa vinta al Giro d’Italia, che arrivava a Bormio: un tappone vero, 250 chilometri, il Gavia in discesa con la neve in alto e sotto un temporale primaverile». Non si è mai inchinato alle intemperie, Simoni, che chiude la chiacchierata con la frase più bella: «In bicicletta facevo cose che non avrei mai fatto senza, non mi piaceva la gara in sé, mi piaceva solo andare in bici».