Elisa guarda la sua maglia e la sua bici iridata prima di andare a letto. Le brillano gli occhi, hanno una luce particolare dettata, forse, dal fatto che al momento (in apertura, Balsamo nella foto ASO/F. Boukla) è la ciclista più forte al mondo…
«La sera prima della mia Parigi-Roubaix ero abbastanza serena, non mi sentivo particolarmente stressata o con qualche responsabilità di troppo. Volevo solo divertirmi e onorare la maglia».
Pochi problemi sul pavé asciutto, poi è cominciato l’InfernoPochi problemi sul pavé asciutto, poi è cominciato l’Inferno
Inizia la corsa, ma il terreno sembra quasi diverso da quello di due giorni prima.
«Quando abbiamo fatto la ricognizione, la strada era asciutta e sembrava già difficile in quel modo, ma tutta bagnata e piena di fango mi sembrava quasi impossibile. Il pavé è diverso rispetto a quello a cui sono abituata ad esempio al Giro delle Fiandre. Questo è più alto, più scivoloso, mette un po’ più in difficoltà. Sicuramente, però, le persone a bordo strada che mi incitavano davano tanto morale. Mi emozionava, mi sentivo parte integrante della storia».
Al via con il numero uno. Alla sua destra Vittoria Guazzini, caduta e finita all’ospedaleAl via con il numero uno. Alla sua destra Vittoria Guazzini, caduta e finita all’ospedale
«Ho avuto paura, tanta. Ho visto che si era fatta seriamente male e non è stata una bella scena. In alcune zone c’erano delle pozzanghere di fango molto grandi ed era lì che si perdeva maggiormente l’equilibrio».
Elisa abbassa un attimo lo sguardo e osserva la sua bici.
«Non è stata la miglior gara per inaugurare maglia e bici nuove e bianche (ride, ndr). Però ha avuto il suo fascino fare la prima Parigi-Roubaix come prima competizione in maglia iridata. Un sogno, non l’avrei mai immaginato possibile!».
Anche per Elisa qualche scivolata senza conseguenze sul fango della Roubaix (foto ASO / F. Boukla)Anche per Elisa qualche scivolata senza conseguenze sul fango della Roubaix (foto ASO / F. Boukla)
Negli spogliatoi del magico velodromo di Roubaix la Balsamo è ricoperta di fango dalla testa ai piedi, con difficoltà si intravede l’iride sulla sua maglia, eppure sorride…
«E’ stato divertente, è stato leggendario, è stato unico. Sinceramente spero solo che nei prossimi anni non piova più (ride, ndr). Il prossimo anno la rifarei? Non so, adesso non voglio pensarci, un Inferno all’anno è già tanto. Sicuramente… se non dovesse piovere sarebbe meglio!».
Raggiunto il velodromo di Roubaix: strana sensazione per Balsamo, vera “star” della pistaRaggiunto il velodromo di Roubaix: strana sensazione per una “star” della pista
Chiude un secondo gli occhi.
«Vedo l’arrivo, il fango, la bici sporca e le mani con le vesciche. Solo alla fine ho iniziato ad avvertire i primi dolori alle mani, una volta tolti i guanti. Durante la corsa l’adrenalina era tale da non sentire nulla».
La nostra campionessa del mondo è abbastanza positiva, l’iride non la spaventa, lo sa portare, non si sente grandi responsabilità sulle spalle ed è abbastanza contenta della sua stagione. Vuole solo continuare a fare del suo meglio divertendosi. L’Inferno è passato!
Parliamo di ciclismo femminile con Lorenzo Carera. L'avvento del WorldTour fra le donne ha stuzzicato la... curiosità dei procuratori. Come lavoreranno?
Un caso tecnico sta agitando il dopo Roubaix della Arkea e di Bianchi. Le parole di Senechal hanno sollevato un vespaio. La colpa è davvero dei meccanici?
«Una magnifica corsa – dice Elisa Longo Borghini dopo la prima Roubaix Femmes della storia vinta da Lizzie Deignan – una corsa epica a dispetto delle cadute e del caos. Ma in fondo la Roubaix è fatta di cadute e caos. Magari non ripartirei subito, ma tornerò a farla. E’ stato un po’ come affrontare l’ignoto e questo mi piace».
La campionessa italiana, terza sul podio, questa volta ha più sorriso e meno rammarico. Ci sono podi e podi. E quando in testa c’è dal via una tua compagna di squadra e arrivi terza al primo assaggio di pavé, puoi a buon diritto ritenerti soddisfatta.
Ha vinto appunto Lizzie Deignan, paladina della parità di corse fra uomini e donne, che a un certo punto è uscita in testa dal primo pavé (che voleva prendere da sola per evitare le cadute) e ha tirato dritto fino al traguardo. Non l’hanno mai neppure avvicinata. E se non fosse stato per il forcing di Marianne Vos, cui il secondo posto brucia invece quanto quello del mondiale, avrebbe fatto in tempo a fare la doccia prima dell’arrivo delle rivali.
«Nessuna merita più di Lizzie – prosegue Elisa – di stare su quel podio. Io ero rimasta dietro una caduta e quando siamo arrivate al secondo settore di pavé, ho sentito dalla radio che lei era già avanti. Stamattina al via aveva lo sguardo frizzante, ha seguito l’istinto».
Alle spalle di Lizzie Deignan in fuga, la Longo faceva buona guardiaAlle spalle di Lizzie Deignan in fuga, la Longo faceva buona guardia
Lavoro di squadra
Alle spalle della britannica dal cognome francese, un paio di squadre hanno provato a organizzarsi, ma non c’è stato verso di guadagnare.
«Avevamo fatto alcune ricognizioni – racconta la Longo – ed eravamo pronte, ma un conto è provare il pavé con le tue compagne, tutte a distanza di sicurezza, un conto entrarci dentro full gas. Alcuni settori erano molto scivolosi, sono caduta 3-4 volte, ma mi sono rialzata e sono rientrata. La Roubaix è questo, mentre davanti Lizzie ha fatto qualcosa di incredibile.
«Noi abbiamo cercato di stare davanti per rallentare l’inseguimento. Soprattutto Cordon-Ragot ha fatto un lavoro eccezionale. Poi quando è partita la Vos, ho provato a seguirla, ma mi sono sentita impacciata. Ho rischiato anche di cadere in un paio di curve…».
Arrivo solitario con 1’17” su Marianne Vos per Lizzie DeignanArrivo solitario con 1’17” su Marianne Vos per Lizzie Deignan
Trek Domane più monocorona
Fra gli accorgimenti fatti durante le ricognizioni invernali e quelle dei giorni scorsi, la Trek-Segafredo ha puntato su una soluzione tecnica molto interessante, dovuta anche e soprattutto alla presenza del fango che ha minato l’efficienza delle parti meccaniche.
Così sulle Domane del team, già dotate dell’ISoSpeed per ammortizzare l’effetto del pavé, si è scelto di montare una guarnitura monocorona: 50 per tutte, tranne Ellen Van Dijk che ha scelto la 54. Tutte con guidacatena K-Edge. La cassetta scelta invece aveva pignoni dal 10 al 33.
«Per il resto – dice Elisa – doppio nastro, perché altrimenti il manubrio sarebbe stato troppo diverso da quello della mia Emonda, e niente guanti».
La Trek Domane di Lizzie Deignan subito dopo l’arrivo (foto Trek-Segafredo)
Tracce di sporco e di sudore sul manubrio con doppio nastro (foto Trek-Segafredo)
Bici numero 13 e IsoSpeed, la Domane per il pavé (foto Trek-Segafredo)
Ecco la guarnitura monocorona da 50 con guidacatena K-Edge (foto Trek-Segafredo)
Fango e sporco: anche la bici ha bisogno di un bel make-up (foto Trek-Segafredo)
Cassetta 10-33 e tanto fango negli ingranaggi (foto Trek-Segafredo)
I settori di pavé ben annotati, per una cavalcata lunghissima (foto Trek-Segafredo)
La Trek Domane di Lizzie Deignan subito dopo l’arrivo (foto Trek-Segafredo)
Tracce di sporco e di sudore sul manubrio con doppio nastro (foto Trek-Segafredo)
Bici numero 13 e IsoSpeed, la Domane per il pavé (foto Trek-Segafredo)
Ecco la guarnitura monocorona da 50 con guidacatena K-Edge (foto Trek-Segafredo)
Fango e sporco: anche la bici ha bisogno di un bel make-up (foto Trek-Segafredo)
Cassetta 10-33 e tanto fango negli ingranaggi (foto Trek-Segafredo)
I settori di pavé ben annotati, per una cavalcata lunghissima
Tutto per caso
Lizzie sorride e ne ha motivo. Non ha capito neppure lei da dove le sia venuta l’idea di andarsene dal primo tratto di pavé, ma solo ora inizia a rendersi conto di quanto sia andata forte. Vanno bene tutte le osservazioni tecniche precedenti, ma se da sola riesci a tenerti dietro il gruppo, vuol dire che vai forte come e più di loro.
«Sono molto emozionata – dice – anche molto orgogliosao. Non posso credere che sia successo. Stavo lottando per prendere davanti il primo settore e sapevo che Ellen Van Dijk, uno dei nostri leader, non era in buona posizione. Ho pensato di darle il tempo per rientrare. Poi ho guardato dietro e non c’era nessuno. Così ho pensato: «Beh, almeno allora devono inseguire”. Io andavo e sapevo che dietro Ellen, Elisa e Audrey (Cordon-Ragot, ndr) mi guardavano le spalle. Avevamo la squadra migliore, per questo ho vinto».
Marianne Vos era la grande favorita anche grazie al ciclocross, ma è arrivata secondaMarianne Vos era la grande favorita anche grazie al ciclocross, ma è arrivata seconda
L’Inferno del Nord
Il vero Inferno del Nord, con la temperatura che negli ultimi due giorni si è abbassata, la pioggia nella notte e lungo il percorso. Quadro peggiore non si poteva immaginare, eppure le ragazze, anche la più scettica Bastianelli e la preoccupata Guderzo, all’entrata del velodromo sorridevano.
«Non sapevo che avrei vinto finché non sono entrato al velodromo – racconta ancora Deignan – perché sinceramente non sentivo nulla. Avevo i crampi alle gambe e sapevo che anche nell’ultima sezione avrei potuto perdere due minuti. A questo punto della stagione sono stanca e sapevo che la cosa migliore per me era mantenere un ritmo regolare.
«E’ sempre stata una gara maschile. E sono così orgogliosa di questo e dove siamo, che il ciclismo femminile adesso è sulla scena mondiale. Sono orgogliosa che mia figlia possa guardare questa pietra (indica il trofeo con il sasso di Roubaix, ndr). E’ davvero speciale poter dire che il mio nome sarà il primo dell’albo d’oro. Sono davvero orgogliosa di essere qui, lo meritiamo. Sono orgogliosa di tutto il gruppo».
Longo Borghini terza a Roubaix, «a dispetto di caos e cadute», ha detto sorridendoLongo Borghini terza a Roubaix, «a dispetto di caos e cadute», ha detto sorridendo
La Vos alle spalle
Parlerebbe per ore, come quando vuoi che il bel sogno non finisca mai. La tirano per la manica, propongono di chiuderla con le domande perché la squadra deve andare subito oltre la Manica per il Women’s Tour, ma lei sorride e si concede.
«Nessuno sarebbe stato così pazzo da prevedere un piano del genere – dice – è stato davvero doloroso. Però mi sentivo in controllo e sapevo di non poter superare il limite. Alla fine ho sentito che Marianne Vos era da sola al mio inseguimento e mi son detta che non era una bella notizia averla alle spalle. Sapevo anche di aver un buon margine. Poi sono entrata nel velodromo ed è stato surreale. Sono anni che guardo gli uomini farlo e dire che sono stata la prima donna è davvero speciale. Ci vorrà del tempo per farsene una ragione, ma avrò questo pezzo di pavé da guardare per gli anni a venire. Sono davvero orgogliosa: è questa la parola giusta».