Moser: «Roubaix senza tifosi? Non cambia nulla»

01.04.2021
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Parigi-Roubaix sì o no? Anche se viene dato quasi per certo il suo rinvio a ottobre, nell’ambiente la speranza continua a esistere e qualcuno dice che gli organizzatori (gli stessi del Tour de France) si sarebbero tenuti una porticina aperta, di concerto con le autorità locali, per permettere la disputa della corsa l’11 aprile, nella data prevista, anche se rigorosamente a porte chiuse.

Dipenderà molto dall’andamento dei contagi da qui alla metà della prossima settimana, ma a questo punto ci si chiede se una Roubaix senza pubblico (ricordiamo che la classica del pavé è stata l’unica lo scorso anno tra le Monumento a non essere stata recuperata) sarà diversa dal solito. Chi ha un’opinione molto chiara in proposito è chi la Roubaix la conosce bene, per averla vinta ben tre volte di seguito (1978-79-80, la terza nella foto d’apertura): Francesco Moser.

Nel 1978, iridato in carica, Moser vince la prima Roubaix
Nel 1978, iridato in carica, Moser vince la prima Roubaix

«Cambia forse per lo spettacolo, per chi guarda – dice – ma non per i corridori. Alla Roubaix devi essere sempre concentrato al 100 per cento su quel che avviene in corsa, mentalmente è di gran lunga la gara più difficile dell’anno perché non basta controllare gli avversari, ma devi guardare anche dove metti le ruote».

Ci sono punti tranquilli?

Se sei fortunato, nella primissima parte quando si procede tutti in gruppo, ma già al primo settore di pavé la corsa esplode e allora guai a chi si distrae.

Roubaix del 1979, Francesco si avvia a vincere per la seconda volta
Roubaix del 1979, Francesco si avvia a vincere per la seconda volta
Si è visto d’altronde alla Parigi-Nizza come la gente si assembri appena c’è l’occasione per applaudire i corridori…

Quando passi nei paesini la gente si riversa sulle strade, la Roubaix è un evento unico, atteso tutto l’anno. Al Fiandre è lo stesso, nei punti strategici trovi sempre tante persone. Sono convinto che domenica ce ne saranno lo stesso a dispetto dei divieti. Ripeto però, per i corridori non cambia nulla.

E’ vero che ogni tratto di pavé è diverso dall’altro?

Sì, per questo devi essere sempre sveglio. Se c’è pioggia si viaggia sempre al centro della strada, se è asciutto devi decidere ogni volta dove passare, sperando che la traiettoria sia priva di buche. Devi scegliere in una frazione di secondo. Per questo servono tanta fortuna e mente sveglia. So ad esempio che ci sono squadre di volontari che vanno a posizionare sassi nuovi nei tratti di pavé per impedire che ci siano buche troppo grosse.

Nel 2016 Ganna ha vinto la Roubaix U23 in maglia Colpack: per Moser è lui l’italiano più adatto
Nel 2016 Ganna vince la Roubaix U23: per Moser è l’italiano più adatto
Nel caso si spostasse a ottobre, che cosa cambia per i corridori?

Credo che le condizioni climatiche sarebbero migliori. Il problema è che la Roubaix non s’inventa, la devi preparare prima e al termine dei grandi Giri molto potrebbe cambiare.

Guardando agli italiani su chi scommetterebbe un euro?

Daniel Oss è uno che ha sempre fatto bene, ma viste anche le mansioni di squadra, non punteranno su di lui. Invece Trentin potrebbe davvero ottenere un bel risultato. Sapete però chi è davvero tagliato per la Roubaix? Filippo Ganna, l’ha anche vinta da U23. Ha la gamba giusta perché sa spingere i grandi rapporti, ma deve fare esperienza e mentalizzarsi sulla gara, sin dall’inizio della stagione.

E se Ballerini fosse l’erede di Tafi?

10.03.2021
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C’è un altro Andrea Tafi in circolazione nel ciclismo italiano? Sono molti anni ormai che le due ruote tricolori attendono di trovare un altro protagonista capace di far sognare alla Parigi-Roubaix e il toscano, che l’ha vinta nel 1999 finendo altre tre volte nella top 5, pensa di averlo finalmente identificato.

Da solo con la maglia tricolore addosso: odore di impresa
Non ci sono più avversari davanti, è il momento dell’allungo

«Da quel che ho visto – dice Tafi – possiamo avere in Davide Ballerini un grande pretendente alla vittoria. Ha fatto un’escalation importante, anche lui come me ha iniziato con Savio, è passato all’Astana come io vissi un’esperienza alla Carrera ed ora è nel pieno della maturazione alla Deceuninck come me quando arrivai alla Mapei. E’ molto concentrato sulla sua attività e mi dà fiducia il fatto che stia seguendo una parabola ascendente da un paio d’anni. Attualmente non è un fatto di poco conto perché troppo spesso si vedono corridori che spariscono da un anno all’altro».

Perché questo avviene?

Io dico sempre che la bici vuol vederti soffrire, ti chiede quel “sacrificio”, parola tanto cara ad Alfredo Martini, ma è un sacrificio buono, quello che ti porta a emergere, a cambiare la tua vita. Le nuove generazioni sembra non sappiano che cosa vogliono, non sappiano che i risultati arrivano solo con il lavoro costante e appena molli un po’ la presa, non arrivano più. Il ciclismo è fatto di tante cose, non è solo tecnologia…

Davide Ballerini finora ha corsa una sola Roubaix, nel 2019 con l’Astana
Davide Ballerini finora ha corsa una sola Roubaix, nel 2019 con l’Astana
Che corridore è il “candidato per la Roubaix”?

Sicuramente non può essere un corridore leggero, ma non dev’essere neanche troppo pesante anche se in passato esempi del genere ce ne sono stati, basti ricordare Backstedt (primo nel 2004, ndr). Deve essere uno “tosto”, da ogni punto di vista, fisicamente ma anche mentalmente, pronto a combattere contro le pietre e che naturalmente ha una buona predisposizione a pedalare sul pavé.

Proprio a proposito di pavé, come va interpretato?

Dipende da settore a settore, ce ne sono alcuni più semplici e altri che sono determinanti per la corsa, alcuni che puoi affrontare ai suoi lati e altri dove è meglio andare sulla “schiena d’asino” ossia cercare la parte centrale. Cambiano se c’è sole o pioggia, magari passi su una piccola pozzanghera che nasconde una buca profonda che ti costa la foratura e la corsa. Per questo è fondamentale la ricognizione del venerdì, per studiare ogni settore, bisogna impararli a memoria e non è facile. Anche perché sono strade che durante la settimana precedente sono comunque aperte al passaggio dei trattori e dei mezzi motorizzati.

Nell’era della multidisciplina, chi ha una base proveniente da una specialità fuoristrada è avvantaggiato?

Enormemente perché ha una capacità di guida talmente rodata che gli permette di approcciarsi ai vari settori nella maniera giusta. Saper guidare la bici consente di risparmiare energie e in una gara come la Roubaix la riserva di forze è quello che fa la differenza.

Quanto conta l’approccio mentale?

Una Roubaix non s’improvvisa. Puoi magari sapere all’ultimo di correrla per sostituire un compagno, ma molto difficilmente potrai recitare un ruolo importante. Chi punta alla Roubaix la prepara molto prima, io cominciavo a pensarci già a dicembre. Sapevo che era il punto clou della stagione e mi preparavo a puntino, grazie anche a un grande team che mi permetteva di organizzarmi in sua funzione.

Assaggio di pavé fra i pro’ per Ganna, che aveva vinto fra gli U23
Assaggio di pavé fra i pro’ per Ganna, che aveva vinto fra gli U23
Hai detto di Ballerini. Ti viene in mente un altro nome?

Visto quello che ha fatto nelle categorie giovanili, soprattutto con la vittoria fra gli under 23 nel 2016, credo che Filippo Ganna sia adattissimo alla Roubaix, ma un conto è correrla nelle categorie giovanili, un altro fra i big. So che se ne parlerà il prossimo anno, lo seguirò con grande curiosità.

Sabato si apre al Nord, prepariamo le ruote…

23.02.2021
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Come si montano le ruote per correre il Nord? Sabato si apre in Belgio la stagione dei muri, con Omloop Het Nieuwsblad e poi Kuurne, ad aprile sarà la volta della Roubaix con Gilbert ultimo vincitore (foto di apertura). Le particolari difficoltà che i corridori incontrano sulle pietre hanno spinto i produttori che forniscono le ruote ai team professionistici a cercare di adattare, laddove è possibile, le parti più sensibili, al fine di garantire più sicurezza e affidabilità. Per le insidie che si incontrano nelle classiche del Nord, la fatica, fisica e mentale, si richiede la massima concentrazione, perché i rischi ai quali sono sottoposti i corridori sono molteplici. Ecco che qui l’importanza delle ruote da utilizzare emerge chiaramente. Abbiamo sentito  il parere di Andrea Nieri, un esperto meccanico toscano che ha fatto parte di team importanti come la Mapei, il Team Bahrain-Merida e la nazionale e che vanta numerose presenze in questo tipo di corse.

Roubaix del 2019, l’ultima: la Ef corre con ruote Vision
Roubaix del 2019, l’ultima: la Ef corre con ruote Vision
Andrea i corridori sono sempre così scrupolosi nel cercare la perfezione, per quanto riguarda le ruote da utilizzare sul pavé pensi che si possa raggiungere?

 Certo! Le ruote che si trovano in commercio sono già abbastanza affidabili, ti parlo di ruote come Campagnolo, Shimano, Vision… Una volta i corridori usavano delle ruote fatte appositamente per queste corse. Ora del materiale fornito ci si può fidare, non ci sono problemi, ci hanno studiato su e per queste corse sono robuste, resistenti.

Le ruote richiedono meno manutenzione…

 Sì, sono ruote molto sicure, ti basti pensare che vengono gommate per il Belgio, poi si usano anche durante il Giro d’Italia.

La Lotto Soudal corre con le Bora One di Campagnolo
La Lotto Soudal corre con le Bora One di Campagnolo
La manutenzione delle ruote, prima delle corse sul pavé, ad esempio la Parigi-Roubaix, in che cosa consiste?

 Le ruote innanzitutto vengono gommate bene, è importante che non si corra il rischio di un’eventuale scollatura dei tubolari per via delle forti sollecitazioni a cui sono sottoposte. Poi dopo un controllo ai raggi si passa alla lubrificazione, devono scorrere bene.

Si può fare qualcosa al fine di evitare, per quanto possibile, una foratura?

Non più di tanto, mettiamo un liquido nei tubolari che dovrebbe quantomeno rallentare la foratura, ma se devi forare in queste corse, ti basta poco. Prendi un sampietrino spigoloso ed ecco fatto. Il corridore scaltro fa la differenza, conosce il percorso. Certo anche un tubolare di buona marca è importante.

Degenkolb, vincitore della Roubaix 2015, nel 2019 alla Trek ha corso con ruote Bontrager
Degenkolb, nel 2019 alla Trek con ruote Bontrager
Le ruote possono rompersi in ogni gara, in queste corse però il rischio aumenta. Ti è mai successo di doverne buttare dopo una Parigi-Roubaix o un Giro delle Fiandre?

 Sì, molte volte. Spesso i corridori finiscono queste corse con la pista frenante compromessa o con i cerchi crepati. Sai sul pavé le ruote corrono più rischi del solito. Con i freni a disco un po’ cambia…

Ci fai qualche esempio?

Direi che la forte disconnessione del terreno aumenta il rischio di far toccare il cerchio con le pietre. Non ti nego nemmeno che gli sbandamenti che subiscono i corridori in gruppo, a determinate velocità, facciano sì che che si tocchino anche tra di loro e il più delle volte si aggancino con le ruote. In questo caso vai per terra, non sei sull’asfalto normale che puoi correggerti.

Bora e Deceuninck corrono con ruote Roval
Bora e Deceuninck corrono con ruote Roval
La pressione dei tubolari come viene gestita?

Qui si considerano più fattori: condizioni atmosferiche, peso dell’atleta e la sensibilità sulla bici. Solitamente la sera prima della corsa facciamo il giro delle stanze dei corridori, ognuno ci dà una pressione diversa dall’altro. E’ una cosa molto soggettiva.

In base alla tua esperienza, confermi che il meccanico in queste corse assume un aspetto di primaria importanza?

Prima di più, perché sai, non avendo moltissimo a disposizione dal commercio, il meccanico doveva arrangiarsi un po’ nel mettere assieme le ruote. Adesso invece è sempre importante, col vantaggio però di avere a disposizione bei materiali.

Ruote Vision al Fiandre per la Ef Pro Cycling
Ruote Vision al Fiandre per la Ef Pro Cycling
I meccanici si posizionano anche nei tratti più importanti della corsa…

Sì, oltre al meccanico che segue la corsa in ammiraglia, ce ne sono altri che si posizionano lungo il percorso, nei tratti fondamentali.

Cosi si contiene di più il rischio forature?

Sì sì, certo. E’ vero anche che se tu fori all’inizio del tratto, devi cercare di arrivare con la ruota forata almeno dove siamo noi. Non è facilissimo. L’alternativa altrimenti è che aspetti l’ammiraglia, che però è lontana due-tre minuti. Allora ti conviene quasi pedalare un po’ sul cerchio fino a raggiungere il meccanico, sebbene tu abbia bucato.

Quindi riassumendo servono tante ruote per le classiche del Nord…

Certo! Nelle ammiraglie, che sono almeno due al seguito della corsa, se ne mettono già sei o sette paia, tra ruote posteriori e ruote anteriori. Inoltre il meccanico che aspetta a fine tratto in pavé ne tiene anche lui almeno tre paia.

Ballerini, a cosa pensi se ti diciamo Roubaix?

01.02.2021
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Quando il Ballero vinse la prima Roubaix, Davide era venuto al mondo da sette mesi e chissà se a suo padre qualcuno fece la battuta. Poi Franco vinse la seconda nel 1998, ma di fatto la prima volta in cui Ballerini venne a sapere di Ballerini fu quando iniziò a correre anche lui in bicicletta. Quante possibilità c’erano, uno toscano e l’altro lombardo, che oltre al cognome avessero identici gusti ciclistici? Eppure andò così. Sarebbe stato divertente metterli allo stesso tavolo perché uno, tecnico della nazionale, desse consigli all’altro alla vigilia della corsa. Ma il destino così non ha voluto.

L’ultimo show di Ballerini a Roubaix, che nel 2001 salutò così la corsa vinta nel 1995 e 1998
Nel 2001 Ballerini salutò così la corsa vinta nel 1995 e 1998

Quando il Ballero se ne andò, Davide aveva 16 anni. E il fatto che quel soprannome sia passato dalle spalle di Franco alle sue, è parso a tutti normale. Così oggi il Ballero, come il Ballero di allora, sogna di vincere la Roubaix. E come il Ballero di allora, sa che non sarà per nulla facile. Tra le coincidenze, c’è che il suo diesse Wilfried Peeters, quel giorno corse in appoggio di Franco (e di Museeuw) e chiuse al 23° posto. E il manager di quella Mapei-Gb era lo stesso Patrick Lefevere che oggi guida la Deceuninck-Quick Step.

Messa così, non hai scampo. Perché la Roubaix?

E’ un sogno. La corsa più bella che mi piacerebbe vincere e confermo che non è facile.

Confermi anche che di Franco non sapevi nulla?

Ne ho sentito parlare quando ho iniziato a correre, prima non conoscevo molto del ciclismo. Dopo, piano piano, ho scoperto le sue caratteristiche e la sua carriera.

Nella Foresta di Arenberg, nelle prime posizioni con Van Avermaet
Nella Foresta di Arenberg con Van Avermaet
Il primo assaggio di quel pavé?

Da junior, un vero disastro…

Il cittì De Candido ricorda di averti visto risalire da un fossato con le felci nel casco…

Sono caduto. Ho forato. Ma era da poco che correvo, già non era facile stare in gruppo su asfalto, figuratevi là sopra. Era tutto nuovo, l’unica cosa che ricordo era la raccomandazione di prendere i tratti davanti. Come fosse facile…

L’hai riprovata al terzo anno da pro’, come andò?

E’ strano, vorrei vincerla, ma ne ho fatta una soltanto. Comunque ero con l’Astana e non andò male. Peccato perché caddi nel Carrefour de l’Arbre, prendendo uno spettatore che si sporgeva.

In realtà fu lui a prendere te per fare una foto…

Serve tanta fortuna in ogni cosa, ma andai bene. In ogni caso tra farla da junior e poi da pro’ cambia il mondo. Tranne che prendere i tratti davanti resta difficilissimo. E poi devi restare concentrato. Se perdi 10 secondi quando scattano, non rientri più.

«Mi sono messo a ruota di Sagan – dice Ballerini – e ho cercato di rubargli ogni segreto»
«A ruota di Sagan per rubargli ogni segreto»
La chiamano l’Inferno del Nord.

Mi ricordo che già dal ritiro, i compagni mi dicevano che è dura anche per le mani. Invece quando arrivai, avevo l’acido lattico nelle braccia, ma le mani tutto sommato stavano bene.

Possibile?

E’ decisivo avere il giusto comfort in bici e la pressione giusta delle gomme. I pezzi di pavé non sono tutti uguali, alcuni ti permettono di pedalare in banchina e allora cambia molto. Quel giorno, non sapendo che pesci prendere, mi francobollai a Sagan cercando di rubargli il mestiere. A lui e anche agli altri, perché ogni settore ha le sue traiettorie e i suoi segreti.

La pressione delle gomme, dicevi…

Andammo a fare una ricognizione tre giorni prima e le provai tutte fino a trovare quella più adatta. Chiesi molto a Zanini, nostro direttore sportivo all’Astana. Da un settaggio all’altro cambia il mondo e cambia anche da una squadra all’altra. Ai tempi usai una Argon 18 con tubolari da 28. Non so se quest’anno userò la stessa misura o più grandi, non so quali materiali. Comunque con una variazione di pressione di 0,3 oppure 0,5, si hanno bici completamente diverse.

Nel gruppo di testa fino all’Arbre, quando viene fatto cadere da un tifoso
In testa fino all’Arbre, quando viene fatto cadere da un tifoso
Specialized per la Roubaix ha sempre fatto grandi lavori…

Non l’ho ancora usata, perché l’anno scorso la corsa fu cancellata. Sapevo che c’è la bici per il pavé, ma quando ho visto la sospensione, mi sono fregato le mani. Dopo il lockdown facemmo un training camp, ma solo per provare il Fiandre.

Qual è la prima Roubaix di cui hai memoria?

L’ultima di Cancellara, quella del 2013. In fuga con lui c’era anche Stybar e in ritiro abbiamo diviso la camera e me ne ha parlato. Era la prima Roubaix per lui, andò fortissimo.

Hai già un’idea di cosa farai per arrivare pronto al giorno di Roubaix?

Ho parlato spesso con il mio allenatore Tom Steels. Il mio programma prevede Omloop Het Nieuwsblad, Strade Bianche, Tirreno, Sanremo, Fiandre, Harelbeke, De Panne e Roubaix. Al Fiandre saremo tutti per il campione del mondo, per Alaphilippe. Soprattutto dopo quello che ha fatto vedere l’anno scorso. Poi però avrò il mio spazio. Starà alla mia condizione. Siamo in tanti, ma non c’è il Boonen che mette tutti d’accordo.

Ballerini conclude la Roubaix del 2019 in 31ª posizione, malgrado la caduta
Nella Roubaix del 2019, 31° malgrado la caduta
Da solo o in volata?

A vincere da soli ci sono riusciti in pochi e io in pista sono andato un po’ da giovane, ma non mi sono mai giocato una corsa in velodromo.

Andrete su a provare il percorso e i materiali?

Sicuramente faremo dei ritiri, non so ancora quando. Steels mi ha chiesto se voglio andare, l’ho guardato di traverso. Certe cose non vanno nemmeno proposte: si fanno e basta!

Dario Pieri

Nel mondo di Pieri, fra ricordi, pensieri e risate

30.12.2020
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Quasi scherzando a proposito di Bettiol, giorni fa Leonardo Piepoli disse che a lasciarlo troppo da solo, in certi giorni gli ricordava Dario Pieri, ma che di Pieri ce n’è uno solo poi hanno buttato lo stampo. E qua s’è accesa la lampadina: dov’è finito Dario? E cosa sta facendo? E’ sorprendente come le vite si separino e ragazzi con cui condividevi ore e chilometri di colpo spariscano dai radar. La cosa migliore, più che mandare dei messaggi, è sollevare la cornetta e chiamare. Perciò amici di bici.PRO curiosi di avere sue notizie e amici che non sapete chi sia, riecco a voi il Toro di Scandicci.

A uso di chi non l’ha visto correre, vale la pena ricordare che Pieri, classe 1975, è stato professionista dal 1997 al 2006 e pur avendo vinto appena quattro corse, è ritenuto il più grande talento italiano del pavé dopo Franco Ballerini soprattutto per due secondi posti. Al Fiandre del 2000 e alla Roubaix del 2003. Tutto intorno, la sua figura si tinse di colori leggendari legati all’amore per la tavola e alle abitudini non sempre da atleta. Una reputazione cui oggi si ribella con decisione.

Dario Pieri, Tre Giorni di La Panne 1998
La vittoria di tappa a Zottegem alla Tre Giorni di La Panne 1998, primo acuto al Nord
Dario Pieri, Tre Giorni di La Panne 1998
Zottegem, De Panne 1998: primo colpo al Nord

«Non era tutto vero – dice a un certo punto, si impunta poi si rilassa – ma ho le spalle grandi e me la sono fatto scivolare addosso. E’ vero che mi piaceva mangiare e non ero un fissato come Bartoli e Casagrande. Ma se vengono certi risultati, vuol dire che mi allenavo».

A un certo punto si parlava di te come dell’erede di Franco Ballerini.

Lui me lo diceva sempre. «Se avessi il tuo fisico e la mia testa, non ce ne sarebbe per nessuno». Il paragone per la prima volta lo fece Marcello Perugi, un vecchio direttore sportivo che purtroppo è morto lo scorso settembre. «Te sei come Franco – disse – ma con un po’ più di classe». Perché Franco quando andava a tutta, un po’ stantuffava. Così me lo fece conoscere e uscimmo anche insieme, solo che ai tempi io ero un ragazzino e lui un professionista, sempre in giro. Poi quando passai anche io, divenne una figura da seguire.

Cosa fai oggi?

Ho il mio tiro al piattello, più ho un B&B con il ristorante sotto, “Il boschetto”, che gestisco con la mia compagna Samanta. Quest’anno ho dato anche una mano alla griglia, per non dover pagare una persona in più. Al tiro si è lavorato fino a settembre, poi s’è aperta la caccia e hanno smesso di venire. Vivo a Montemiccioli, un borghetto medievale di tre anime fra Volterra e Colle Val d’Elsa.

Segui ancora il ciclismo?

Poco per via del lavoro. Com’è stato seguirlo dal vivo con tante transenne? In televisione sembra lo stesso, però si capisce che non è uguale. Mi tiene aggiornato Balducci e qualche volta anche Alberto Bettiol. Simpatica questa cosa di Piepoli! E’ vero che a volte deve essere spronato, ma Gabriele fa un buon lavoro. Alberto ha vinto il Fiandre da giovane, se fa un’annata regolare, combina sicuro qualcosa di buono.

In bici ci vai qualche volta?

Zero. Ma sapete che proprio in questi giorni mi sta venendo voglia di allenarmi? Ma prima dovrei rimettermi in forma.

E al periodo delle corse ci pensi qualche volta?

Ci penso sì, normale. E’ stata la mia vita, sono cose che rimangono e che rifarei. Ho visto il mondo, sono maturato. Ho eliminato dai ricordi le situazioni spiacevoli e le discussioni inutili. Ho smesso perché il Pieri a un certo punto non era più una persona, ma solo un gran motore. Mi accorsi che nonostante tanta gente, ero da solo. Quando mi feci male alla Roubaix, mi ci portò Balducci all’ospedale. Due giorni dopo. Avevo un foruncolo che si era gonfiato troppo e rischiava di esplodere all’interno. Mi operarono, mi misero dei punti.

Quella fu l’ultima Roubaix, nel 2004. Poi ci fu il progetto di rifarla con la Lpr nel 2007, con tanto di troupe della Rai che voleva seguirti.

Ma alla fine rinunciai, perché pensavo di aver trovato persone di un certo tipo, che invece alle spalle dicevano altro. Ho sempre avuto accanto la mia famiglia, gli amici veri e Balducci, il solo nel mondo del ciclismo.

Quali corse ricordi?

La prima vittoria a De Panne, quando presi la maglia. Mi dissi: «Allora sei buono per davvero!». Ma il vero rammarico ce l’ho per la volata di Roubaix. Ero in giornata eccezionale, ma trovai Aldag che non tirava e non si staccava. Se fossi riuscito ad andare via da solo, non mi prendevano. Invece arrivammo allo sprint e vinse Van Petegem. A quello sprint ammetto che ci penso spesso. Il secondo al Fiandre fu diverso. Feci un po’ il succhiaruote, sapevo di non avere tante banane e poi venni fuori bene all’ultimo chilometro.

Una vittoria avrebbe cambiato la tua carriera?

Ne sono certo, avrei corso ancora a lungo, perché non ero davvero un corridore spremuto.

Dario Pieri
Un gigante buono che si è sempre fatto in quattro per gli altri, non sempre ricambiato
Dario Pieri
Dario Pieri, un gigante buono
Hai detto che Bartoli e Casagrande erano fissati, come si troverebbe Pieri nel ciclismo di oggi dove quello è lo standard?

Dipende. Sono epoche diverse. Adesso nascono con tutto a portata di mano e se sanno sfruttare le opportunità, sono avvantaggiati. Io passai nel 1997, l’epoca dei grandi cambiamenti, del controllo dell’ematocrito, un periodo differente. Mi dispiace che ho smesso quando si sono ritirati Boonen e Van Petegem, magari trovavo spazio.

Sei felice?

Vivo con Samanta e le sue due figlie di 11 e 20 anni, Irene e Sara. Ho il mio lavoro e vado a caccia, stamattina sono rientrato prima per fare questa chiacchierata. Di cosa posso lamentarmi? Sì, sto bene così.

Look 785 Huez RS Roubaix

Come nasce una bici per la Parigi-Roubaix?

26.10.2020
4 min
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Look insieme al Team Nippo Delko One Provence hanno intrapreso, alcuni mesi fa, un percorso per scegliere il modello di bicicletta e le soluzioni tecniche migliori per affrontare l’Inferno del Nord. Purtroppo quest’anno la gara è stata annullata ma tutto il lavoro fatto da Look e dal team sarà utilizzato per la prossima edizione.

La sfida più dura

Tutto nasce da una domanda che si sono fatti in Look: «Quale è stata la gara più dura affrontata da una nostra bicicletta?». La risposta di tutti è stata la Parigi-Roubaix. Da qui nasce la sfida di supportare al meglio il Team Nippo Delko One Provence proprio sul pavé della Roubaix.
L’inizio di questo percorso è iniziato da una visita agli stabilimenti Look a Nevers, dove sono progettate, sviluppate, prototipate e assemblate tutte le biciclette del marchio francese. In questo modo i corridori hanno scoperto quanto lavoro si cela dietro i mezzi che li aiutano a vincere. Ma non è tutto, perché la visita è stata anche un’occasione per confrontarsi con i progettisti, gli ingegneri e i tecnici sui punti chiave. Sono molti i fattori chiave su cui confrontarsi, dal periodo in cui si corre ai gusti e alle caratteristiche dei singoli atleti. Tutti fattori non sempre facili da individuare e da soddisfare

Fumiyuki Beppu con il direttore sportivo Giraud in visita negli stabilimenti Look a Nevers
Fumiyuki Beppu con il ds Giraud

Due Look da usare

Durante l’anno i ragazzi del Team Nippo Delko One Provence hanno usato sia la 795 Blade RS e sia la 785 Huez RS. La sfida è stata capire quale di questi due modelli permetterà ai corridori di affrontare meglio la Roubaix. La discussione ha ruotato intorno al design delle biciclette, alla loro composizione, ai diversi tipi di fibra di carbonio utilizzati, ai processi di assemblaggio e a tutte le diverse variabili che possono intervenire il giorno della gara. Bisognava scegliere fra l’aerodinamica e rigida 795 Blade RS oppure la più dolce e manovrabile 785 Huez RS. La scelta finale è ricaduta proprio su quest’ultima, che grazie alle geometrie orientate alla salita e il tubo sterzo più lungo offre un comfort e una flessibilità maggiore sulle strade sconnesse. E’ stato un po’ come equiparare la fatica di una tappa alpina con quella che si fa nei 260 chilometri della Roubaix.

https://youtu.be/xUKdLX6Jmwk

Quali freni?

Altra scelta che si è posta di fronte ai tecnici Look e ai corridori del team è stata quale tipo di freni usare, dischi o tradizionali? I dischi forniscono indubbi vantaggi con la pioggia, mentre i caliper sono più leggeri. Visto le caratteristiche del percorso e la frequenza di condizioni meteo avverse in quelle zone, si è optato per i dischi. Con questa scelta si è delineata la bici per la Parigi-Roubaix: la 785 Huez RS Disc con ruote Corima.

La ricognizione ha evidenziato le difficili condizioni meteo con freddo e pioggia
Condizioni meteo difficili durante la ricognizione

Si va sulla strada

Dopo il primo rinvio della gara, causa Covid-19, che prevedeva il recupero a fine ottobre, il Team Nippo Delko One Provence va in ricognizione sul tracciato della gara. E non si provano solo le biciclette, ma siccome era cambiato anche il periodo di svolgimento, i corridori hanno testato anche gli indumenti più caldi. Il direttore sportivo Benjamin Giraud mette i test dell’attrezzatura in cima alla lista delle sue preoccupazioni:
«L’attrezzatura sarà ancora più importante quest’anno perché il tempo in autunno sarà peggiore rispetto ad aprile. Ci sarà più fango e il pavé sarà più scivoloso. Ecco perché è fondamentale testare tutto».

Rémy Hoffman all’opera durante la ricognizione della Parigi-Roubaix
Rémy Hoffman all’opera durante la ricognizione della Parigi-Roubaix

Dura anche per i meccanici

La ricognizione sul tracciato è anche una prova per i meccanici. “C’è sempre molta pressione durante tutto l’anno, ma ancora di più in occasione della Roubaix, per noi è una grande sfida tecnica” afferma il meccanico Rémy Hoffman. In questo caso la responsabilità sui meccanici è ancora maggiore in virtù delle scelte fatte mesi prima a Nevers. Hoffman spiega che: «La Parigi-Roubaix è molto faticosa. Ci sono molti cambiamenti, stiamo passando ai freni a disco, rivedendo le pressioni, cambiando i tubolari, e cambiando anche i telai!».

Appuntamento al 2021

Tutto era pronto per la gara, poi è arrivato l’annullamento. Mesi di lavoro e di preparazione sono stati spazzati via in un attimo. Ma per concludere questa avventura bisognerà solo aspettare qualche mese.