Nella sua intervista post-vittoria mondiale, Stefano Viezzi era stato chiaro nel dare tanti meriti della sua esplosione fragorosa nel ciclocross al suo preparatore Mattia Pezzarini, parlando anche della sua propensione a diversificare l’attività allargandola addirittura alla mtb. Troppa carne al fuoco per lasciarla lì a bruciare: non si poteva prescindere dal parlare con lo stesso Pezzarini, proprio per capire quale possa essere il futuro del friulano ormai sulla bocca di tutti gli appassionati, non solo italiani.
«Con Stefano lavoro da un anno e mezzo – esordisce Pezzarini, nato a Corno di Rosazzo nel 1998 – Finora abbiamo privilegiato ciclocross e strada, lo scorso anno ha fatto solamente 3 gare in mtb ma ho intravisto grande potenziale anche in questa specialità. E’ un mondo da scoprire, dagli orizzonti sconosciuti per lui, ma io credo che possa arrivare molto lontano e che possa dargli enormi soddisfazioni. Ne abbiamo parlato, gli ho fatto l’esempio di Philipsen iridato in due discipline, io penso che abbia le doti tecniche giuste per emergere anche lì, unite a un fisico ideale, con la sua altezza non indifferente».
Che cosa ti spinge a seguire questa via?
C’è un fattore che va considerato: è uno che si difende molto bene in soglia anaerobica, ha limiti sconosciuti in questo senso e dobbiamo lavorarci. Il ciclocross è solo un primo passo secondo me, può fare altrettanto bene su strada, nelle cronometro e nella mountain bike, tanto è vero che confido di vederlo in nazionale sia agli europei che ai mondiali offroad.
Un progetto molto ambizioso, seguire tre discipline sull’onda di mostri sacri come Van der Poel e Pidcock e loro stessi dopo anni di tripla attività non sono più molto convinti…
Stefano è convinto anche perché fisiologicamente sa che può emergere. Inoltre io vedo la mountain bike propedeutica anche per l’attività su strada, proprio perché ha un’elevata soglia anaerobica. Ad esempio la mtb è un passaggio importante anche per approcciarlo nella giusta maniera alla cronometro che secondo me può essere la “sua” disciplina.
E Stefano cosa dice?
La pensa come me, d’altronde l’ha fatta solo una volta e ha chiuso 6° agli italiani. Io credo invece che possa davvero dire la sua anche in campo internazionale. Poi, tornando alla mountain bike, potrebbe anche essere un canale privilegiato per portarlo alle Olimpiadi fra quattro anni.
Viezzi comunque ha già detto che, se il ciclocross è la specialità che più gli piace, la strada è quella dove vede il suo futuro…
Ha ragione, la penso anch’io così, quello dovrà essere il suo pane. Proprio sull’esempio di VDP e Pidcock, un domani potrà anche scegliere, dirigere la propria attività verso una maggiore specializzazione, ma questo riguarda il futuro. Stefano è un atleta in costruzione. Guardando il mondiale di ciclocross, ad esempio, è facile cogliere come sui rilanci sia ancora carente e abbiamo visto come Van der Poel abbia fatto proprio di questo la sua forza. Su strada Viezzi secondo me può già fare cose notevoli in gare come l’Eroica.
Abbinare ciclocross e strada comporta stagioni diverse. Strada e mtb percorrono invece lo stesso periodo temporale, ma richiedono anche abitudine. Come conciliarle?
E’ un aspetto da considerare. Io prevedo dei cicli di lavoro esclusivamente per la mtb, considerando però il fatto che in questa stagione non andremo oltre le 6 gare in tutto. Certamente ci sarà da prevedere qualche giorno di passaggio da una disciplina all’altra, per riprendere la mano con una bici o con l’altra. Nella mountain bike poi non ha il potenziometro, quindi effettuerà lavori a tutta proprio per abituarsi allo sforzo. Ma tutto ciò servirà anche in funzione delle cronometro, che sono un mio pallino.
Con la Work Service c’è accordo su questa diversificazione dei lavori?
Sì, anche perché questo è un “must” per Stefano, che non vuole prescindere dalla sua attività nel ciclocross. Ancor di più ora che ha la maglia iridata e vuole onorarla passando di categoria. L’approccio con gli U23 non sarà facile essendo un primo anno, ma vuole comunque confermare il suo valore.
Voi siete amici anche al di fuori del ciclismo. Che tipo è?
La cosa che più mi piace di lui è la sua estrema semplicità. Che si traduce in un’applicazione nel lavoro quasi maniacale. Di atleti ne ho già visti molti, ma nessuno è mentalmente così. Vi racconto un episodio: a luglio parlando lontano dagli allenament,i mi disse che il suo sogno era vincere il mondiale e avrebbe fatto di tutto per riuscirci. Per questo dico che, quando si mette in testa una cosa, ha una concentrazione pazzesca. Poi, come lui stesso ha raccontato, è molto legato alla natura, le uscite in mezzo al verde sono la sua valvola di sfogo. Ed è anche bravo nella raccolta di funghi…
Sappiamo che sta imparando l’inglese, il che potrebbe significare anche un futuro fuori dall’Italia, magari in un devo team. Una soluzione che ti vedrebbe favorevole?
Sì e per molte ragioni. Innanzitutto è la strada ideale per crescere sapendo che c’è una via maestra che può portarlo in un team professionistico. Inoltre all’estero hanno una vera predilezione per la multidisciplina, quindi può trovare un sistema di lavoro che potrebbe favorirlo in tal senso. Sa che da parte mia c’è tutto il mio appoggio.