Pidcock torna a colpire su strada. In mtb l’aveva già fatto…

13.08.2025
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L’Arctic Race che ha incoronato Corbin Strong, ha anche rilanciato su strada Tom Pidcock. E sottolineiamo “su strada” perché la sua estate è stata altrimenti esaltante come sempre, con un europeo di mountain bike dominato a conferma della sua superiorità nella specialità. La stagione in superleggera però era stata finora deficitaria.

Il confronto era stato, prima della Norvegia, addirittura impietoso, portando molti addetti ai lavori a ragionare su questa forbice di prestazioni inconsueta per lui, prima capace di un’uniformità di rendimento superiore anche a quella di Van der Poel, che fatica oltremisura in mtb. Noi abbiamo provato a capirne di più parlando con chi Pidcock l’ha visto da poco all’opera al suo meglio: il cittì della nazionale di mtb Mirko Celestino.

Il podio finale dell’Arctic Race, con Pidcock dietro al neozelandese Strong e davanti al nostro Scaroni
Il podio finale dell’Arctic Race, con Pidcock dietro al neozelandese Strong e davanti al nostro Scaroni

«Non posso nascondere che la domanda sul perché ci fosse tanta differenza me la sono posta io e tanti nell’ambiente, perché in mountain bike si vede proprio che si trova a suo agio. Come VDP anche lui sprigiona sui falsipiani dei wattaggi che i biker puri non possono raggiungere. Riescono a tenere alto il ritmo, spingere dei lunghi rapporti. Gli specialisti sono messi in difficoltà soprattutto sui percorsi veloci e quindi dove bisogna anche spingere. Ecco perché all’europeo ha fatto una grossa differenza».

Eppure privilegia la strada, questo dovrebbe penalizzarlo dal punto di vista tecnico…

Questo è il suo grande pregio: nonostante faccia tantissime gare su strada, riesce a padroneggiare la bicicletta su qualsiasi tipo di percorso. Ciò significa che tecnicamente non perde nulla, anche con un minimo periodo di passaggio, da una settimana all’altra, gli bastano pochissime sedute di mtb per riprendere confidenza.

Per il britannico una stagione su strada fatta di 50 giorni di gara, con 5 vittorie e 19 top 10
Per il britannico una stagione su strada fatta di 50 giorni di gara, con 5 vittorie e 19 top 10
Secondo te da che cosa può dipendere allora la sua involuzione su strada? Prima della Norvegia, il cammino di Van der Poel era esattamente inverso, il britannico su strada ha faticato molto…

Io credo che lui e il suo staff si siano macerati di fronte a questa domanda e le sue prestazioni in Norvegia credo siano state una manna dal cielo. Mettiamoci comunque che non tutte le annate sono uguali, d’altronde anche Van der Poel in mtb ha fatto numeri esagerati in passato. Solo che in mtb fa pochissime gare e fatica molto di più nel passaggio, combinandone non poche… Mi viene da pensare che fisicamente Tom è un ottimo scalatore, ma in salita non riesce a fare quella differenza che fa in mtb e mi chiedo perché. Eppure i numeri ce li ha. Ecco, magari è un’annata un po’ così, che magari ora riesce a ingranare. Ci sono quelle stagioni che non ti va bene niente, non riesci a trovare quel colpo di pedale.

Tu hai corso al massimo livello sia su strada che in mountain bike, secondo te dov’è più facile riuscire a raggiungere il culmine delle proprie prestazioni, chiaramente considerando le caratteristiche precipue di ognuno, in questo caso del britannico?

Sono due sport completamente diversi. Su strada devi avere l’istinto anche nel saperti giocare le tue cartucce al momento giusto, perché su strada puoi essere anche il più forte, ma se sbagli a muoverti rischi di bruciare tutte le tue possibilità. In mountain bike vince sempre il più forte e anche il più fortunato perché devi avere anche tanta fortuna in base al percorso e ai più frequenti problemi meccanici. Poi c’è il fattore squadra, che su strada fa tanta differenza, portandoti nel posto giusto al momento giusto. Quindi c’è un gioco di squadra che in mountain bike non c’è. E questo è un fattore che potrebbe anche aver influito sulla stagione di Pidcock, ma non seguo abbastanza la strada per farmi un’idea. Una cosa però sul Pidcock stradista vorrei dirla…

Il cittì della nazionale di mtb Mirko Celestino, che in Portogallo ha visto un Pidcock devastante
Il cittì della nazionale di mtb Mirko Celestino, che in Portogallo ha visto un Pidcock devastante
Prego…

Abbiamo visto che in discesa su strada Pidcock fa grandi cose e questo me lo fa sentire vicino, perché anch’io avevo nella discesa un punto forte, mi piaceva pennellare le curve per fare la differenza. E in Pidcock mi ci rivedo.

Considerando la sua superiorità in mountain bike, secondo te potrebbe anche prendere in considerazione di spostare un po’ il peso della stagione su di essa?

Non gli conviene innanzitutto dal punto di vista economico. La strada è il sogno di tutti. Io ormai sono 9 anni che frequento i ragazzi all’interno della nazionale, il loro sogno è sempre quello della strada, il Giro d’Italia, il Tour, le classiche. In questi anni tanti all’estero hanno provato e provano il passaggio, qualcuno anche con buoni risultati. Il ciclismo su strada è quello che ti cambia la vita, anche economicamente, quindi Pidcock continuerà a essere uno stradista, magari con qualche capatina da noi… Fin quando la squadra gli permetterà di fare sia uno che l’altro, secondo me andrà avanti così. L’unica cosa è che, per me, se nelle classiche è uno dei più accreditati, non è uomo da grandi giri.

Per Pidcock una superiorità schiacciante in mtb, sancita anche agli europei (foto UEC)
Per Pidcock una superiorità schiacciante in mtb, sancita anche agli europei (foto UEC)
Veniamo al tuo ruolo, come va la nazionale in quest’anno postolimpico, un po’ di transizione?

Io ho già messo nel mirino le Olimpiadi e i giovani ci sono, insieme a Luca Braidot che resta il riferimento. Ma Zanotti e Avondetto stanno crescendo e fra tre anni saranno lì, secondo me, a lottare per grandi traguardi. Loro intanto a questo mondiale saranno gli atleti che dovranno dimostrare il loro valore, mentre al femminile abbiamo Martina Berta fra le più forti e dietro Valentina Corvi, campionessa europea U23, che sta maturando come uno dei prospetti più forti in campo internazionale. Fra tre anni ci faranno divertire a Los Angeles…

Da Vetralla arriva Carosi, tricolore non per caso

02.07.2025
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Pochi, prima della partenza del campionato italiano juniores, avrebbero scommesso sul nome di Vincenzo Carosi, eppure i segnali che il laziale della Work Service Coratti potesse essere un candidato alla vittoria c’erano, considerando che aveva collezionato ben 8 Top 10 nella stagione e che le caratteristiche del percorso tricolore sembravano sposarsi perfettamente con le sue capacità. Ma Carosi si era ritirato al GP Baron e questo lasciava credere che la forma non fosse dei giorni migliori, invece…

La vittoria di Carosi riporta in auge il ciclismo laziale, rimasto un po’ ai margini nelle ultime stagioni dopo essere stato sempre presente nel ciclismo professionistico. La storia del neocampione italiano è molto simile a quella di tanti suoi coetanei.

Lo sprint di Carosi mette in fila il meglio del settore. Alle sue spalle Patrik Pezzo Rosola e Michele Pascarella (foto FCI)
Lo sprint di Carosi mette in fila il meglio del settore. Alle sue spalle Patrik Pezzo Rosola e Michele Pascarella (foto FCI)

«Io vengo da Vetralla, un paesino della provincia di Viterbo e ho cominciato ad andare in bici seguendo le orme dei miei fratelli. Ho iniziato dal fuoristrada, con ciclocross e soprattutto mtb, poi da allievo ho cominciato ad andare anche su strada. Da junior è diventata la mia attività principale, praticamente mi ci dedico a tempo pieno solo da quest’anno».

Come ti sei trovato in quest’ambiente?

Avevo un amico delle mie parti che faceva già parte della squadra, sapevo che era nata dalla fusione di un grande team con uno dei principali del panorama laziale. Si è sempre trovato bene, mi ha consigliato lui al presidente e ai dirigenti e appena li ho conosciuti ho capito che era il team giusto. Non ho neanche guardato proposte di altre squadre, avevo trovato quella giusta per crescere.

Fino allo scorso anno il laziale si dedicava soprattutto alla mountain bike e al cross (foto Billiani)
Fino allo scorso anno il laziale si dedicava soprattutto alla mountain bike e al cross (foto Billiani)
Prima del campionato italiano, com’era stata la tua stagione?

E’ stata dura, è un mondo diverso, già molto professionale. Ma mi sono adattato in fretta e sono riuscito a togliermi molte soddisfazioni, mi mancava solo la vittoria ed è arrivata nell’occasione più importante, ma visto com’ero andato sapevo che era abbastanza matura, bisognava trovare solo l’occasione giusta.

Ma che potessi diventare campione italiano lo avevi messo in preventivo?

Io ero partito con quell’idea, alla vigilia con il direttore sportivo ne avevamo parlato, bisognava solo che la corsa si mettesse nella giusta situazione. Infatti speravamo che nascesse una fuga numerosa in cui ci fossero tutte le regioni più importanti, in modo tale che il gruppo lasciasse andare. E io sono riuscito ad entrarci dentro, poi in volata ho fatto il mio.

Già da allievo il viterbese si era distinto correndo per la Borgo Molino (foto Instagram)
Già da allievo il viterbese si era distinto correndo per la Borgo Molino (foto Instagram)
Con la tua vittoria hai un po’ rilanciato anche l’immagine del ciclismo laziale. Com’è la situazione nella tua regione?

Il ciclismo laziale adesso si sta un po’ riprendendo rispetto agli anni precedenti. Adesso c’è un bel vivaio di allievi che vanno davvero forte, credo che dai prossimi anni il Lazio si farà vedere di più nel panorama nazionale. Magari la mia vittoria darà anche un’ulteriore spinta, soprattutto ai team che sono delle nostre parti, non proprio l’epicentro dell’attività nazionale.

Che caratteristiche hai da corridore?

Sono abbastanza completo perché non mi definisco uno scalatore puro, però le salite le riesco a reggere bene e in volata sono abbastanza veloce. Anche in pianura riesco a spingere un buon rapporto, i numeri dicono che ho un buon motore, infatti mi adatto bene a qualsiasi tipo di percorso.

In evidenza al Giro d’Abruzzo, il rider della Work Service Coratti pare adatto alle corse a tappe (foto Instagram)
In evidenza al Giro d’Abruzzo, il rider della Work Service Coratti pare adatto alle corse a tappe (foto Instagram)
Quindi preferisci le corse in linea o a tappe? E’ chiaro che ne hai fatte ancora poche essendo tu al primo anno, però come ti trovi nelle gare di più giorni?

Al Giro d’Abruzzo dove ho colto un quinto posto nella generale e la maglia bianca di miglior giovane mi ero trovato molto bene, ho anche centrato un podio di tappa. Poi il GP Baron e il Valdera sono stati più sfortunati, non sono riuscito a finirli, eppure credo di avere buone doti di recupero. Per ora comunque preferisco le gare singole. Le gare a tappe però mi stanno facendo scoprire delle caratteristiche che di me che non conoscevo ancora.

Tu sei al primo anno junior, adesso hai la maglia tricolore indosso e quindi hai anche l’attenzione di tanti grandi team che magari vogliono puntare su di te. Sarebbe un po’ presto pensare a cambiare squadra, puntare a qualche formazione filiera di un team internazionale?

Per ora non voglio pensarci, cerco di correre il più serenamente possibile, anche perché indossare la maglia tricolore è una grande soddisfazione, ma anche un grande peso, grande responsabilità. Per ora, essendo al primo anno, cerco da correre ancora spensieratamente. Se poi arrivasse qualche chiamata importante la valuterò con la mia famiglia. Ma io mi trovo benissimo con il mio team, mi danno tutto e non ho ragioni per cambiare.

A scuola hai un supporto?

Sì, faccio il liceo scientifico a Vetralla, nell’ambito del progetto studente-atleta, i professori sono molto comprensivi. Così riesco a conciliare bene le due cose.

La maglia tricolore è una grande responsabilità, ora per Carosi viene il difficile…
La maglia tricolore è una grande responsabilità, ora per Carosi viene il difficile…
Fai solo strada ora?

Sì e devo dire purtroppo, ma la stagione della mountain bike si accavalla completamente con quella della strada, è praticamente impossibile farle convivere. Mi piacerebbe fare ciclocross d’inverno, valuteremo più avanti se sarà possibile. Io comunque porto con me quelle esperienze offroad, infatti la gara che più sogno è la Roubaix dove penso che potrei esprimere al meglio le mie potenzialità.

Ora però viene il difficile, nel gruppo non sei più uno sconosciuto…

Per questo dicevo che questa maglia è anche un peso. Ora i corridori mi guardano in maniera diversa. Quando provo a muovermi o attaccare è sempre difficile andare via perché non mi lasciano tanto spazio, ma sta a me adattarmi, no?

Polso rotto e accoglienza timida: il ritorno di VdP non è stato super

28.05.2025
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Ipse dixit. Marco Aurelio Fontana era stato più che profetico sul ritorno di Mathieu Van der Poel nella mtb. Chiaro, non aveva previsto che il fenomeno olandese si sarebbe rotto lo scafoide e avrebbe riportato anche una lesione al legamento del polso, ma di certo aveva intuito che VdP avrebbe incontrato delle difficoltà tecniche.

Andiamo con ordine e vediamo come sono andati i fatti. E anche come è stato accolto Van der Poel dal circus della mtb (in apertura foto UCI Mtb).

VdP in azione in gara (foto @sythartha)
VdP in azione in gara (foto @sythartha)

Il ritorno amaro di VdP

Van der Poel torna in gara nella mtb a quasi due anni di distanza dall’ultima apparizione, mondiali di Glasgow 2023. Ad inizio stagione non aveva negato che il suo obiettivo era di vincere l’unico titolo iridato che gli manca: quello nella mountain bike, appunto.
Doveva quindi rientrare dapprima in un cross country, la specialità olimpica, in Germania a metà maggio, poi il tutto è stato posticipato a domenica scorsa, direttamente nella massima competizione: la Coppa del mondo.

Chi segue la mtb sa bene che le gare di Coppa sono di un altro livello rispetto a tutte le altre. I percorsi, oltre che duri, sono anche molto tecnici. E la tecnica, sia del mezzo che della guida, nella mtb è in evoluzione costante. Così ecco che dopo un via tumultuoso, l’atleta della Alpecin-Deceuninck cade. Alla tornata successiva cade di nuovo e da lì arriva il ritiro, dolorante.

Su strada abilità impressionanti per VdP, in mtb deve acquisire la stessa scioltezza di guida
Su strada abilità impressionanti per VdP, in mtb deve acquisire la stessa scioltezza di guida

L’avvertimento di Fontana

Fontana, quando aveva commentato con noi il ritorno di Mathieu, aveva detto che sarebbe stato fondamentale per lui usare la mtb. Usarla e usarla ancora. Allenarcisi, passarci delle ore, perché avrebbe trovato gente che gli sarebbe passata sopra e di fianco. Ed esattamente così è andata.
Van der Poel, invece, prima del via aveva dichiarato di aver utilizzato la mtb solo due volte… un po’ pochino.

Forse, e sottolineiamo il forse, VdP ha sentito un po’ di pressione. In tanti lo aspettavano al varco e più di qualcuno sui social lo ha sbeffeggiato. Cosa alla quale non è certo abituato.
Fatto sta che la prima caduta è stata quasi un copia e incolla di quella di Glasgow. Un incidente che ha coinvolto anche David Valero, biker importante: lo spagnolo è infatti salito sul podio olimpico di Tokyo. La seconda caduta, se vogliamo, è stata ancora più goffa per come è arrivata, spettacolare per come è avvenuta. Mathieu è caduto su un salto. Nel cercare di recuperare stava risalendo il gruppone e la foga lo ha condotto al secondo errore. A quel punto ha insistito ancora un po’ e all’inizio del terzo giro ha detto basta.

Ecco un frame che gira sui social della seconda caduta di Van der Poel. Si intuisce l’atterraggio sulle mani. Da lì la frattura
Ecco un frame che gira sui social della seconda caduta di Van der Poel. Si intuisce l’atterraggio sulle mani. Da lì la frattura

Frattura e rispetto

Ha detto basta anche perché il dolore alla mano evidentemente si faceva sentire. Un comunicato stampa della squadra ha poi confermato che Van der Poel ha riportato “una lieve frattura da avulsione dello scafoide, indicativa di una lesione legamentosa al polso”.

Questa sua apparizione, per quanto criticata o osannata, non è stata mal vista dai rivali in mtb, ma neanche festeggiata. Proprio Valero ha scritto sui suoi social: «Apprezzo che partecipino e diano visibilità alla Coppa del mondo mtb, è molto importante. Ma lo è anche il rispetto!».
Non ha citato Van der Poel, ma il riferimento è chiaro.

Van der Poel sui rulli con il tutore al polso destro: la sua stories di ieri su Instagram

E ora?

E’ chiaro che i programmi dell’olandese cambiano. Cambiano di certo nel breve termine.
Se il Tour de France non sembra essere a rischio (in fin dei conti lui non deve fare classifica), è in forte dubbio la sua presenza al Delfinato, in programma dall’8 al 15 giugno. Non solo: Mathieu non sarà presente nemmeno al ritiro in quota con la squadra, previsto a La Plagne. Almeno per la prima settimana non si vedrà da quelle parti.

Tra l’altro, secondo nostre informazioni, a La Plagne avrebbe dovuto affinare qualcosa anche con la mtb in vista della sfida iridata di Crans Montana a settembre e degli appuntamenti in mtb post Tour de France.

Van der Poel giusto ieri ha pubblicato un video che lo vede già pedalare. E’ sui rulli e indossa un tutore. Secondo Joris Duerinckx, il chirurgo che ha operato anche Pogacar due anni fa dopo la caduta alla Liegi, il Tour non dovrebbe essere a rischio per VdP. Tuttavia, per un completo recupero della frattura servono sei settimane e per questo vede praticamente impossibile (se non controproducente) una sua partecipazione al Delfinato.

La domanda che tutti si pongono adesso è: Mathieu Van der Poel ha capito che è una sfida impossibile (e per lui pericolosa ai fini dell’attività su strada) e getterà la spugna? Oppure insisterà?
Dalle sue parole non sembra proprio voglia finirla qui: «Mi sono divertito un mondo a tornare in mountain bike la scorsa settimana. Non è andata proprio come previsto, ma la vita sarebbe noiosa se tutto andasse alla perfezione, no? Non vedo l’ora di tornare presto sui sentieri!».

Spiuk in Italia: un modello di efficienza, qualità e personalizzazione

27.05.2025
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Da oltre dieci anni, Spiuk rappresenta un brand ben presente nel panorama ciclistico italiano. Nata in Spagna, e distribuita inizialmente tramite due importatori distinti, l’azienda ha compiuto un importante salto di qualità nel 2019, quando ha deciso di gestire direttamente le vendite sul territorio italiano. Questo cambio di rotta ha segnato una vera e propria svolta, consentendo di accedere al magazzino centrale e di ampliare sensibilmente la gamma di prodotti disponibili, dai caschi alle calzature, fino alle collezioni di abbigliamento tecnico e agli accessori per ogni specialità del ciclismo.

La nuova organizzazione ha reso Spiuk molto più competitiva sul mercato nazionale, grazie a una logistica snella, consegne rapide e una capacità di risposta immediata alle richieste dei rivenditori. L’obiettivo? Offrire un catalogo ampio, aggiornato e di alta qualità, in grado di soddisfare le esigenze dei ciclisti italiani, professionisti e amatori.

Per conoscere più da vicino questa storica realtà dei Paesi Baschi, abbiamo fatto due chiacchiere con Fabrizio Cazzola che di Spiuk è il country manager per l’Italia.

Fabrizio Cazzola, Country Manager Spiuk per l’Italia
Fabrizio Cazzola, Country Manager Spiuk per l’Italia
Da quanti anni Spiuk è presente sul mercato italiano, e come si è evoluta la sua presenza nel tempo?

Spiuk è presente sul mercato italiano da oltre dieci anni. In una prima fase, abbiamo collaborato con due diversi distributori. Dal 2019, invece, gestiamo direttamente la vendita sul territorio, e questo ha segnato una svolta importante. Accedendo direttamente al magazzino centrale di Spiuk, abbiamo potuto ampliare notevolmente la nostra offerta, introducendo collezioni di abbigliamento e nuovi accessori. Questo ci ha permesso di essere molto più competitivi, coprendo in modo completo le esigenze dei negozi italiani con un catalogo ampio e aggiornato.

Qual è la copertura della rete vendita Spiuk in Italia e quali sono i canali di distribuzione principali?

La nostra struttura è estremamente lineare, come se fossimo un’azienda italiana a tutti gli effetti. Lavoriamo con una rete di agenti suddivisi per regioni, che dialogano direttamente sia con la sede in Spagna che con i rivenditori italiani. Ogni punto vendita ha accesso al nostro portale B2B, collegato in tempo reale con il magazzino centrale, e può ordinare anche un singolo pezzo con consegne rapide, spesso in soli tre giorni. Dal 2025, abbiamo lanciato anche la linea di abbigliamento “custom”, prodotta interamente in Spagna: stiamo già riscontrando un buon successo sia tra i negozi che tra i clienti finali. Oggi possiamo dire di offrire un servizio completo al 100% ai nostri partner commerciali.

Spiuk è partner del team professional spagnolo Caja Rural – Seguros RGA
Spiuk è partner del team professional spagnolo Caja Rural – Seguros RGA
Quali categorie di prodotto registrano il maggiore interesse in Italia? Esistono differenze tra i vari segmenti di ciclisti? 

Il nostro prodotto di punta in Italia è sicuramente la scarpa, sia da strada che “off-road”. Grazie alla tecnologia BOA, alla qualità dei materiali e a un prezzo molto competitivo, siamo riusciti a ritagliarci uno spazio importante in un mercato molto affollato. Anche per le eBike offriamo calzature “ad hoc”. Un altro comparto in crescita è quello dei caschi, dove Spiuk vanta una lunga tradizione. Abbiamo un’offerta che va dal modello “entry-level” a quello professionale, con la possibilità di personalizzazione per team e negozi. La grande sfida per il 2025 è affermarci definitivamente anche nel segmento dell’abbigliamento tecnico, sia con le collezioni pronte (come la Capsule Collection) che con il “custom”. In Spagna, Spiuk è legata a un’azienda produttrice interna, garanzia di qualità e controllo diretto della filiera.

Quali sono i principali vantaggi distintivi di un prodotto Spiuk rispetto alla concorrenza?

Il vero valore aggiunto di Spiuk è la possibilità di acquistare da un’azienda solida, trasparente e reattiva, con un ottimo rapporto qualità-prezzo. Collaboriamo con fornitori leader a livello mondiale come BOA, Elastic Interface, Dolomite, Carvico: tutte aziende che elevano il livello tecnico dei nostri prodotti… Puntiamo molto su precisione, affidabilità e rapidità: vogliamo rispondere in modo immediato alle esigenze del mercato e dei negozi. Siamo stati per anni un riferimento in Spagna, ora l’obiettivo è consolidarci anche tra i protagonisti europei.

Il team Soudal Lee Cougal offre ottimi spunti per testare e perfezionare i prodotti nel fuoristrada
Il team Soudal Lee Cougal offre ottimi spunti per testare e perfezionare i prodotti nel fuoristrada

Spiuk, presente in ben 22 Paesi nel mondo, ha trovato nei mercati italiano e francese i suoi principali sbocchi esteri, dove opera con vendita diretta. Tra i suoi prodotti, spicca a livello globale la scarpa da gravel Loma – best-seller assoluto – mentre il colore bianco si conferma il più richiesto sia per le scarpe che per i caschi. La linea Anatomic, pensata per ciclisti amatoriali e di livello intermedio, è tra le più apprezzate. Il marchio collabora con team internazionali come la Professional Wagner Bazin WB, attiva in Francia e Belgio, e il Soudal Lee Cougan di Leonardo Paez in Italia, continuando a sostenere numerosi team locali grazie alla propria rete di distributori e agenti.

Spiuk

VdP in mtb, riparte da Nove Mesto. Sentiamo Fontana

17.05.2025
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Mathieu Van der Poel è pronto a tornare nella MTB. Sebbene con una settimana di ritardo rispetto a quanto dichiarato, il formidabile atleta della Alpecin-Deceuninck di fatto dà il via all’operazione “terzo mondiale”. Dopo quelli su strada e nel ciclocross, l’olandese vuole coronare questo sogno, questa sfida.

Van der Poel si sta allenando al sole della Spagna per questo rientro in mountain bike, che appunto doveva avvenire in Germania ma poi è stato spostato a Nove Mesto (nella foto di apertura di Andreas Dobslaff-Vojo), classicissima della Coppa del mondo prevista per il 25 maggio.

Ora un assaggio per rompere il ghiaccio, magari per fare il punto sulla situazione tecnica, e poi dopo il Tour de France, dare il vero e proprio assalto all’impresa iridata.

Del suo ritorno e del suo percorso di avvicinamento, a dire il vero piuttosto riservato (VdP non pubblica più neanche su Strava), ne parliamo con colui che resta il faro della mountain bike italiana, Marco Aurelio Fontana.

Per oltre dieci anni Marco Aurelio Fontana (classe 1984) è stato il miglior biker italiano. Vanta un bronzo olimpico e uno iridato
Per oltre dieci anni Marco Aurelio Fontana (classe 1984) è stato il miglior biker italiano. Vanta un bronzo olimpico e uno iridato
Allora Marco, VdP è pronto a tornare. Sono due anni che non prende parte a una gara di mountain bike. E sappiamo che c’è un’evoluzione tecnica continua. Cosa troverà di diverso? Quanto troverà di diverso?

Troverà un mix diverso di personaggi e di percorsi. Ho visto che stanno lavorando e quindi anche sul percorso ci saranno novità. Troverà diverso il modo in cui corrono i biker oggi, che magari è un modo che a lui piacerà di più o di meno. Però, secondo me, e l’abbiamo visto dalle prime due prove di Coppa: c’è un modo di correre nuovo, più “astratto”, più altalenante. Si lima tanto, c’è un po’ di gioco di squadra, dinamiche che lui ha già visto e vissuto nel ciclocross e su strada.

In teoria è un micro vantaggio questo per lui?

Sì, però qualche cambiamento lo troverà rispetto alle sue ultime apparizioni e quindi sarà bello vedere come si adatterà subito oppure se ci metterà un po’ di tempo.

Marco, Van der Poel appartiene alla categoria “Dei in bici”, però quale potrà essere per lui un vantaggio e uno svantaggio? Pensando anche alla sua attitudine al cross e alla strada…

Il vantaggio è quel grande motore che ha e quelle ore e quella forza che ti dà la strada. Lo svantaggio sicuramente lo avrà se non userà abbastanza la mountain bike perché, come ha già dimostrato, è sicuramente una delle divinità del ciclismo, ma la MTB è un po’ il suo “tallone d’Achille”. Nella guida non è scioltissimo. In qualche occasione ha mostrato piccole incertezze. Quindi deve acquisire quella fluidità che solo l’uso della mtb gli può dare.

Il ruzzolone di VdP ai Giochi di Tokyo. Secondo Fontana l’olandese deve usare molto di più questa bici
Il ruzzolone di VdP ai Giochi di Tokyo. Secondo Fontana l’olandese deve usare molto di più questa bici
Perché?

Perché il tallone ce l’ha lì: è caduto poco dopo il via ai mondiali di Glasgow e anche a Tokyo, alle Olimpiadi, è andato giù su un ponte che al netto di tutto non era impossibile. Quindi penso che si preparerà a dovere con la mtb per essere pronto quest’anno, soprattutto per il mondiale. Mentre ci ha fatto vedere ancora una volta di essere incredibile sul pavé, di avere una guida con la bici da strada che è allucinante. Veramente incredibile. Però sulla mountain bike l’avevamo visto in leggera difficoltà già due anni fa, almeno rispetto ad alcuni piloti. Oggi si ritroverà dei biker ancora più stilosi, ancora più veloci, ancora più determinati.

Chiaro…

Poi è anche vero che se dal ciclocross si porta il ritmo e dalla strada una forza e un chilometraggio che nessuno di quelli che corrono in MTB ha, resta un grande atleta anche in questa disciplina. Però ecco, io l’unico punto di domanda lo vedo legato al fatto che deve usare di più la MTB.

Ed è oggettivamente difficile sapere quanto la usa… Però sappiamo che Canyon ha stretto una forte collaborazione con lui.

Sì, vedremo. Ma è chiaro che anche un gigante come lui deve affinare una guida che richiede sempre di più abilità tecniche.

Doveva correre in un cross country in Germania ma poi ha cambiato idea…

In Germania avrebbe trovato una salita molto lunga, dove si poteva distendere. La discesa, specie se asciutta, non è niente di che. Se fosse stata bagnata sarebbe stata un po’ più complicata, però in realtà il problema di Van der Poel non è sul bagnato. Il problema è il tipo di tecnicità del percorso e la sua modernità. Diciamo che il percorso del “Bike the Rock” di Heubach gli sarebbe stato ideale per prendere un po’ di feeling.

Sulla bici da strada invece, sempre secondo l’occhio esperto di Fontana, Van der Poel è un fuoriclasse assoluto
Sulla bici da strada invece, sempre secondo l’occhio esperto di Fontana, Van der Poel è un fuoriclasse assoluto
E Nove Mesto invece che percorso troverà?

Nove Mesto la conosce bene anche lui, anche se ci sono stati dei cambiamenti. Di buono c’è che su quel tracciato, anche se parti dietro e hai gamba, chiaramente puoi recuperare. Ci sono tratti molto larghi per risalire. Nove Mesto da sempre è una gara in cui, se hai un tempo sul giro basso, puoi essere al quarantesimo il primo giro, ma arrivare nei primi cinque.

E sul mitico rock garden nel bosco, con le radici?

E’ sempre bellissimo, moderno, ma è sempre lo stesso, quindi diventa un po’ mono-traiettoria. Mi aspetto qualche cambiamento del percorso, ci saranno novità per tutti, ma Mathieu dovrà essere pronto a vedere gente che gli volerà ai lati! In generale però fatemi dire che fa comunque piacere vedere un campione del suo calibro tornare nella MTB.

La caccia al Grande Slam. Papà Van der Poel ci crede…

20.04.2025
6 min
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Il ciclismo non è fatto solo di record. Le vittorie di Pogacar e Van der Poel valgono di per sé, lo spettacolo offerto dai due dominatori delle ultime Classiche Monumento è un concentrato di storie e di immagini che illumina gli occhi. E’ anche vero però che lo sport passa per primati, imprese, numeri: i due campionissimi del nostro tempo possono avvicinarci a quel Grande Slam (la vittoria in tutte e cinque le Monumento della stagione) finora conquistato solo da tre belgi: Van Looy, Merckx, De Vlaeminck.

Entrambi sono a tre vittorie. Van der Poel ha impedito allo sloveno di completare la sua collezione con due prestazioni eccezionali, alla Sanremo e alla Roubaix, ma anche lui ha la possibilità di completare la collezione, se sarà capace di vincere se stesso e i suoi limiti alla Liegi-Bastogne-Liegi e al Lombardia.

Domenica Van der Poel ha colto la terza vittoria consecutiva a Roubaix, come fece Moser
Domenica Van der Poel ha colto la terza vittoria consecutiva a Roubaix, come fece Moser

L’ultima Roubaix, la gioia più grande

D’altronde, il corridore della Alpecin Deceuninck ha in casa chi di queste gare s’intende molto bene perché suo padre Adrie la Liegi la vinse nel lontano 1988, oltre a una lunga serie di altre classiche tra cui anche un Fiandre. E chi più di lui quindi può sapere se il figlio ce la può fare? Intanto però si gode l’ultima impresa.

«Penso che l’ultima Roubaix sia stata davvero speciale. E’ stata una gara davvero emozionante – dice papà Van der Poel – proprio perché l’ultimo capitolo di una sfida fra due grandi campioni, che regala sempre incertezza sul suo esito finale. Penso che sia stata una grande gara e vedere il suo esito finale mi ha riempito d’orgoglio».

Mathieu, in una foto del 2019, con suo padre Adrie: come lui vincitore di classiche su strada e titoli mondiali nel ciclocross
Mathieu, in una foto del 2019, con suo padre Adrie: come lui vincitore di classiche su strada e titoli mondiali nel ciclocross
Secondo te il Mathieu attuale è al suo limite o può ancora crescere?

Io penso che possa ancora migliorare. Certo, ha ormai trent’anni, ma è abituato al duro lavoro e a questo punto serve cambiare qualcosa nella sua preparazione. Penso che possa ancora migliorare un po’, non molto ma deve farlo per continuare a vincere perché il livello sale sempre.

Si parla tanto della ricerca di Pogacar del Grande Slam delle Classiche Monumento. A Mathieu mancano Liegi e Lombardia. Tu la Liegi l’hai vinta, può farlo anche lui e come dovrebbe correrla?

E’ una domanda che molti mi hanno fatto domenica scorsa. Potrebbe vincerla, ne ha tutte le possibilità, ma molto influisce il percorso. Gli organizzatori amano rendere le loro gare sempre più difficili e così facendo restringono sempre di più il lotto dei favoriti, di coloro che possono vincere. Il Lombardia è una gara bellissima, solo che la rendono troppo difficile. Quindi così facendo escludi molti corridori, corridori da classiche, dalla lotta per il successo. Oggi come oggi penso che solo 2-3 corridori possono vincere la classica delle foglie morte. Quando correvo io era il regno dell’incertezza, ce ne potevano essere 50 che partivano con la possibilità di vincere e questo la rendeva più incerta e interessante.

Alla Liegi VDP ha sorpreso tutti lo scorso anni vincendo lo sprint per il 3° posto
Alla Liegi VDP ha sorpreso tutti lo scorso anni vincendo lo sprint per il 3° posto
Escludi quindi Mathieu dal lotto?

No, dico solo che gare come le Monumento dovrebbero essere terreno di battaglia per tutti, non andrebbero rese troppo difficili già nella loro costruzione, andrebbe lasciato più spazio alle strategie delle squadre e alla fantasia dei corridori.

Quale pensi sia più difficile per lui tra Liegi e Lombardia, in base alle sue caratteristiche?

Io credo che Mathieu possa vincere entrambe. Servono una buona giornata e un pizzico di fortuna, ma nelle condizioni in cui è ha tutte le possibilità per farlo, io sono ottimista. E’ chiaro però che le altre tre classiche sono fatte a pennello per lui, si adattano meglio alle sue caratteristiche e le vittorie alla Milano-Sanremo sono davvero un fiore all’occhiello.

Al Lombardia l’olandese ha corso una sola volta, nel 2020, finendo al 10° posto a 6’28” da Fuglsang
Al Lombardia l’olandese ha corso una sola volta, nel 2020, finendo al 10° posto a 6’28” da Fuglsang
Tu dici che al Giro di Lombardia può essere competitivo: come andrebbe preparato?

Il Lombardia l’ha fatto una sola volta, nel 2020. Ed è arrivato decimo. Io dico che con le giuste condizioni potrebbe giocarsela. Deve arrivare con il peso giusto, magari perdere qualcosa come aveva fatto lo scorso anno prima dei mondiali ed è salito sul podio in una corsa durissima. Sa che può farlo, quindi, che il fisico poi risponde. Sarebbe importante per prepararlo andare alla Vuelta e poi affrontare alcune gare collinari, impegnative dal punto di vista altimetrico per abituarsi. E’ chiaro che sul terreno di Pogacar sarebbe durissima, ma ci si può provare.

Tuo figlio può raggiungere un altro traguardo storico: 4 titoli mondiali in 4 diverse specialità. Lo vedi competitivo nella mountain bike attuale?

E’ difficile cambiare bici durante la stagione. Ma penso che in passato abbia già dimostrato di esserne capace. Ha vinto gare di Coppa del mondo, significa che è un vincente anche lì. Io penso che la sua scelta sia giusta, considerando il mondiale su strada troppo duro e impegnativo anche come trasferta. E’ un obiettivo da inseguire quest’anno. Quindi penso che darà il massimo. Ci proverà, senza mettersi troppa pressione addosso, diciamo che è un “plus” nella sua stagione. Fa parte di quei target posti da qui alla fine della sua carriera, come anche conquistare una medaglia olimpica.

Quest’anno VDP ha optato per i mondiali di mtb, correrà il 14 settembre a Crans Montana (SUI)
Quest’anno VDP ha optato per i mondiali di mtb, correrà il 14 settembre a Crans Montana (SUI)
Tu che lo conosci bene, ha per la mountain bike la stessa passione che nutre per ciclocross e strada?

Oh, non credo. Ciclocross e strada sono nel suo DNA, come è un po’ per la nostra famiglia. Mathieu d’altro canto ha un pregio: vivere ogni evento in maniera abbastanza rilassata. Conscio di essere ben preparato, di stare in salute e e di non avere nulla di cui preoccuparsi. Non è spesso nervoso per una gara e questa è un’ottima cosa.

Nel ciclocross ha vinto 7 mondiali. Continuare a competere sui prati è legato solo alla passione o lo ritiene anche fondamentale per preparare la strada?

Io penso che lo faccia perché gli piace proprio. La mountain bike è forse più un vezzo, un divertissement, ma penso che per lui il ciclocross in inverno sia un’ottima preparazione e penso anche che, con le modalità e i tempi come l’ha interpretato negli ultimi due anni, sia un’ottima cosa.  Quindi penso che non debba cambiare molto, fare qualche ciclocross, prendersi una piccola pausa e poi dare il massimo per il mondiale.

Con Pogacar. I due sono in caccia del Grande Slam ciclistico, con 3 successi su 5 per ciascuno
Con Pogacar. I due sono in caccia del Grande Slam ciclistico, con 3 successi su 5 per ciascuo
E’ più probabile che Mathieu vinca le due classiche mancanti o che Pogacar vinca Sanremo e Roubaix?

Penso che per Tadej sia un po’ più facile rispetto a Mathieu, i risultati di quest’anno a Sanremo e Roubaix dicono che è molto vicino al vertice anche in quelle due prove, senza Mathieu le avrebbe vinte, credo. Obiettivamente è quello davvero in grado di fare il Grande Slam.

Tu sei stato campione in bici e sei padre: la gioia per i suoi successi è diversa da quella che provavi per i tuoi?

Sì, è piuttosto diverso e credo sia più emozionante. Vedere le sue corse mi rende più nervoso di quando correvo, è un modo completamente diverso di godersi le gare. Una gioia molto più profonda e intensa.

A tu per tu con Celestino, che già pensa a Los Angeles

13.03.2025
5 min
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Mirko Celestino resta alla guida della nazionale di mountain bike. Dopo i tanti cambiamenti nella Federazione, il suo ruolo di commissario tecnico non ha subito variazioni, segno di una fiducia confermata e meritata. La sua nazionale continua a crescere, con un gruppo di atleti che si sta affermando pur non senza difficoltà, e con uno sguardo rivolto a Los Angeles 2028.

Assieme a Mirko (nella foto di apertura con Martina Berta) abbiamo fatto il punto su questa nuova fase del suo lavoro, sulle prospettive degli atleti a sua disposizione e sulle sfide che attendono il movimento azzurro della mountain bike.

Avondetto in azione a Parigi. A Los Angeles avrà 28 anni, sarà al top della carriera
Avondetto in azione a Parigi. A Los Angeles avrà 28 anni, sarà al top della carriera
Mirko, tra i tanti rimescolamenti della Federazione, tu sei rimasto al tuo posto esattamente con le stesse mansioni che avevi prima del “Dagnoni bis”. Che sensazione hai?

Diciamo che alla fine abbiamo lavorato bene, i risultati sono arrivati e sono contento di poter continuare. Ringrazio chi mi ha dato fiducia, sia in passato che adesso. Vado avanti con orgoglio in questo nuovo quadriennio olimpico, sperando di arrivare a Los Angeles con un pizzico di fortuna in più. A Tokyo e Parigi soprattutto abbiamo visto cosa è successo con Luca Braidot: se fosse arrivata quella medaglia, sarebbe stata un’altra storia.

Ecco Los Angeles 2028, hai già messo l’argomento sul tavolo. Con che gruppo speri di arrivarci? Abbiamo giovani su cui lavorare?

Qualche nome verrà fuori, questo è sicuro. A parte Luca Braidot, che ha fatto un gran salto, abbiamo almeno un paio di giovani interessanti dietro di lui. Uno è Simone Avondetto, davvero un atleta che è già importante, e l’altro è Yuri Zanotti. Entrambi stanno crescendo bene e sono già nella mia testa per Los Angeles. Questo non vuol dire che Luca non possa esserci, anzi. Lui è una garanzia, ha dimostrato tanto, ma tra quattro anni avrà una certa età e dobbiamo anche guardare avanti. Mi auguro che Yuri continui la sua crescita.

E in campo femminile?

Tra le ragazze, Valentina Corvi ha dimostrato tanto. E’ al secondo anno da under 23 e ha già fatto vedere belle cose anche sul fronte internazionale. Io credo che lei e Martina Berta siano le più promettenti. Martina arriverà a Los Angeles davvero all’apice della carriera. Il tutto senza dimenticare lo zoccolo duro: Chiara Teocchi. Mentre sempre parlando di atlete giovani c’è anche Giada Specia. In generale il movimento giovanile femminile mi sembra vivace, mentre in campo maschile, specie tra gli under 23 si fatica un po’ di più a produrre nuovi talenti.

Valentina Corvi è una vera esperta di off road, lei viene anche dal cross (foto Instagram)
Valentina Corvi è una vera esperta di off road, lei viene anche dal cross (foto Instagram)
A proposito di Valentina Corvi, lei è anche un’abile ciclocrossista ed è già stata tentata dalla strada. Hai paura che talenti simili possano essere richiamati dalle sirene della strada? Che insomma te li portino via?

Sì, è una possibilità concreta. Non abbiamo tante atlete in questa categoria e se va via una biker come Valentina si crea un bel buco. Allora penso a Giada Martinoli, che è un altro talento, ma parliamo davvero di atlete giovanissime, per il resto il gruppo è ristretto. Con la Federazione bisognerà lavorare per trattenerla almeno fino a Los Angeles. Le sirene della strada sono forti, ma la mountain bike ha ancora tanto da offrirle.

Spesso quando parliamo con Bragato, capo della performance della FCI, ci dice dei test a Montichiari, test per valutare i ragazzi e i ragazzini di più discipline. Il tuo settore partecipa?

Sì, facciamo diversi test con i nostri biker. La settimana scorsa, per esempio, abbiamo fatto uno stage con dieci junior dopo la gara di Verona. Abbiamo provato percorsi tecnici – sulla tecnica insisto molto specie tra i giovani – abbiamo girato su una pista di BMX e poi abbiamo svolto i test in pista a Montichiari con il team performance. Tutto questo è utile per raccogliere dati e aiutare i gli atleti a crescere tecnicamente. E a noi è utile per scovare i ragazzi più promettenti su cui lavorare.

Si è parlato della possibile uscita della mountain bike dal programma olimpico. Cosa ci dici in merito?

Le voci in effetti ci sono state, soprattutto l’anno scorso a Parigi si diceva che poteva essere l’ultima volta che avremmo visto una prova di mtb alle Olimpiadi. O che al massimo si arrivasse a Los Angeles 2028. Ora tutto tace, ma non sappiamo quanto sia vero. Sarebbe un peccato, perché a Parigi c’era tantissima gente a seguire le gare e i numeri del seguito in generale mi dicono siano stati ottimi.

Piuttosto che togliere discipline come il cross country e magari immettere la break dance nel programma olimpico, bisognerebbe aggiungerle: pensiamo alla downhill. Questo aiuterebbe anche le aziende e il mercato della bici.

Esatto, però questi discorsi non dipendono da noi, ma dal CIO. Per ora sappiamo che arriveremo ai Giochi 2028 e su questi ci basiamo e siamo contenti. Spero che si faccia marcia indietro.

Celestino (in alto a sinistra) crede molto nel gruppo e nel rispetto reciproco
Celestino (in alto a sinistra) crede molto nel gruppo e nel rispetto reciproco
Dopo tanti anni da commissario tecnico della mtb, come senti di essere cresciuto nel tuo ruolo?

Nel tempo è cambiato molto. Il cittì oggi è più un selezionatore che un allenatore. Gli atleti hanno i loro preparatori e in una settimana di ritiro non puoi cambiare il loro lavoro. Il mio compito è organizzare al meglio le trasferte, farli stare bene, garantire serenità e concentrazione. E ammetto che quando si va alle gare mi diverto di più, anche perché ho più responsabilità.

E quando c’è da richiamare i ragazzi?

In questi anni passati con loro, probabilmente hanno capito che per me la prima cosa non è il risultato ma l’educazione, il rispetto. Il rispetto delle regole, per i rapporti umani… E questa mentalità ha pagato perché vedo ragazzi educati. All’inizio erano un po’ più montati, un po’ più pretenziosi, invece adesso hanno capito cosa voglio io. Okay vincere, però ti devi comportare bene. Alla lunga questo modo di fare mi ha dato grosse soddisfazioni perché i ragazzi mi ascoltano, c’è dialogo e quando siamo in gruppo si vive bene.

Il Celestino uomo invece quanto è cambiato in questi quasi 10 anni da tecnico?

All’inizio accusavo di più le critiche, ora ho imparato a fare filtro. A distinguere quelle costruttive da quelle inutili. Ho capito con chi ho a che fare e cerco di prendermela meno, rispettando sempre tutti.

A tu per tu con l’iridato Hatherly. Che su strada ci sa fare, eccome…

23.02.2025
6 min
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Nel 2024 le sfide fra Pidcock e Hatherly nella mountain bike sono state per certi versi il leit motiv della stagione, contraddistinguendo anche la gara olimpica con il britannico primo e il sudafricano terzo. Dopo, però, Hatherly ha completato la sua stagione portando a casa sia la Coppa del Mondo che il titolo mondiale di cross country. Nel frattempo maturava la sua decisione di mettersi alla prova nel ciclismo su strada, accettando la proposta della Jayco AlUla.

Ha fatto quindi un certo effetto rivederlo, a inizio stagione, protagonista all’AlUla Tour sfidarsi proprio con Pidcock, riproporre quel confronto serrato ma con bici diverse. E se la vittoria del britannico poteva anche essere messa in preventivo conoscendo la sua esplosività e la sua fame di vittorie su strada, la prestazione del sudafricano ha sorpreso, con due podi, 6° posto finale e, pochi giorni dopo, la conquista del titolo nazionale a cronometro.

Il podio della Mtb a Parigi con Hatherly terzo insieme all’oro di Pidcock e a Koretzky (FRA)
Hatherly sul podio a Parigi 2024, terzo nella gara vinta ancora da Pidcock, come 3 anni prima

Un esordio inaspettato

Intercettato in Spagna, alla Vuelta a Andalucia (sfortunata e chiusasi in anticipo), Hatherly si è sottoposto di buon grado alla sua prima intervista da “stradista”, partendo dalle sue aspettative dopo un cambio così profondo.

«Mi sono preparato molto bene per questa scelta. Ho riposato meno degli altri anni a fine stagione, proprio perché con la squadra avevamo stabilito di essere subito in gara. E io volevo iniziare col piede giusto, mettermi subito alla prova. E’ andata davvero bene per me, ma sapevo che la potenza c’era. Si trattava più di posizionamento e apprendimento di nuove tecniche, ma se tutto andava liscio, sapevo che un risultato era possibile».

Che cosa ti ha convinto a passare alla strada?

Penso di aver appena raggiunto un punto della mia carriera in cui volevo imparare di nuovo, uscire dalla mia zona di comfort. Era l’occasione perfetta per mettermi alla prova. E penso che questo mi renderà un atleta migliore nel progetto a lungo termine che mi aspetta e che è focalizzato sulla conquista della medaglia d’oro alle Olimpiadi.

Il sudafricano all’AlUla Tour, dove ha colto due podi finendo 6° in classifica. Davanti, ancora Pidcock…
Il sudafricano all’AlUla Tour, dove ha colto due podi finendo 6° in classifica
Avevi già corso gare negli ultimi due anni, ma era un Hatherly diverso da quello di oggi?

Sì, di sicuro. Penso di essermi sviluppato come atleta negli ultimi due anni, solo ora sto raggiungendo l’apice della mia carriera. Penso di avere ancora molto da migliorare, ma il mio motore sta diventando sempre più potente e la strada è fondamentale in questo. Sai, in passato non mi sono concentrato molto sulle corse su strada. E’ stato più un esercizio di allenamento, ma ora ci ho preso gusto, al di là del contratto. Mostrerò ancora di più col passare del tempo.

In mountain bike sei il campione del mondo, su strada che corridore pensi di poter diventare, da classiche o da corse a tappe?

Non so dare una risposta, non saprei indicare una categoria che mi calzi a pennello, ma se dovessi indovinare ora dalle poche gare che ho fatto, mi piace molto la salita e le corse a tappe in particolare. Penso che quel tipo di gara e quel tipo di lavoro di squadra mi si addicano. Ma nonostante tutto, non vedo l’ora di partecipare ad alcune delle gare di un giorno in calendario, come le classiche delle Ardenne. Saranno un bel test per vedere come me la cavo nelle gare di un giorno.

Alan ha trovato grande aiuto fra i compagni di squadra, che hanno subito visto le sue qualità
Alan ha trovato grande aiuto fra i compagni di squadra, che hanno subito visto le sue qualità
Essere un biker ti dà qualcosa di più?

Sì, penso che la maneggevolezza della bici sia davvero elevata. L’esperienza accumulata in mountain bike mi dà un po’ di sicurezza per essere molto preciso e rilassato durante le manovre e penso che forse il più grande vantaggio sia essere davvero esplosivo e in grado di mantenere alta potenza per un lungo periodo di tempo, perché ovviamente nella mountain bike non ci sono tante tattiche di squadra, è uno sport più individuale, quindi penso che quel background mi aiuterà davvero ad andare avanti, in quanto sono in grado di sostenere gli sforzi a lungo ed essere abbastanza esplosivo per farcela.

Sei stato il più grande sfidante di Pidcock lo scorso anno, ora te lo sei ritrovato davanti su strada all’AlUla Tour. Nella vostra sfida hai trovato qualcosa di diverso?

Non poteva essere la stessa cosa, per me la strada è ancora molto nuova. Penso di dover ancora pagare dazio su strada a uno come lui, imparare le basi. Lì la differenza si è vista. Ma penso che il tempo giochi dalla mia parte, presto saremo anche lì ad armi pari. Già nelle prossime gare voglio essere più vicino.

Le sue vittorie stanno riportando attenzione sul ciclismo nel suo Paese
Le sue vittorie stanno riportando attenzione sul ciclismo nel suo Paese
Qual è la situazione del ciclismo sudafricano?

Non ci sono più così tanti corridori nel World Tour. Io, Ryan Gibbons e poi ci sono alcuni ragazzi nelle squadre professsional. Abbiamo molte gare locali, ma quelle di alto livello non sono più così tante in Sud Africa. Penso che siano solo i campionati nazionali a cui si danno punti e il resto è tutto non UCI. Quindi è abbastanza dura trovare spazio, affermarsi, colmare il divario tra le gare sudafricane e quelle internazionali. Quindi sono davvero fortunato ad aver potuto gareggiare a livello internazionale in mountain bike a un livello così alto che la transizione non è stata troppo difficile.

Molti dicono che la mountain bike internazionale è in crisi, pochi soldi e poca attenzione dei media. Tu che cosa ne pensi?

Non sono d’accordo. Penso che si stia sviluppando abbastanza velocemente. Sta diventando molto elitaria, con un approccio più di tipo F1. Ovviamente ci sono stati anche alcuni cambiamenti di regole, ora devi essere tra i primi 100 classificati UCI o nella squadra MTB UCI Elite per gareggiare in Coppa del Mondo. Con meno partecipanti, per la TV potrebbe essere una gara più ricca di azione.

Hatherly in trionfo ai mondiali di mtb 2024. Ora vuole ripetersi in Kansas, ma dopo la stagione su strada
Hatherly in trionfo ai mondiali di mtb 2024. Ora vuole ripetersi in Kansas, ma dopo la stagione su strada
Che cosa ti proponi quest’anno e continuerai a dividerti con la mountain bike?

Sì, il mio obiettivo principale per quest’anno è essere già a un buon livello nelle gare su strada. Voglio davvero ottenere buoni risultati prima di tornare alla mountain bike, che mi accompagnerà da maggio in poi per gareggiare in Coppa del Mondo e concentrarmi per la conferma del mio titolo mondiale di mountain bike in Kansas a fine estate. Su strada vorrei centrare una Top 10 in una gara importante, poi i sogni non hanno confini… Penso che forse con un po’ più di esperienza sarò in grado di farcela, ma non si sa mai. Imparo abbastanza in fretta. Quindi non vedo l’ora di affrontare questa sfida.

Dopo la tua prima esperienza, hai pensato che forse era il caso di cambiare prima verso il ciclismo su strada?

Non mi pongo il problema. E’ stato molto difficile ottenere un’opportunità. La maggior parte delle squadre mi vedevano già troppo vecchio, mettici anche il fatto che non avessi alcuna esperienza internazionale, semplicemente non erano disposte a correre il rischio. Le mie vittorie mi hanno aperto le porte, ora voglio ripagare tanta fiducia.

Eva Lechner, il saluto a una campionessa immensa

03.02.2025
7 min
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«Quando avevo 15 anni per tutta l’estate ho fatto la baby sitter. Con i soldi guadagnati ho comprato la mia prima bici». Eva Lechner è così. È sempre stata così: semplice, diretta, coriacea, determinata. Sabato, cioè l’altro ieri, ai mondiali di ciclocross a Liévin, ha chiuso una carriera straordinaria.

Strada, ciclocross, mountain bike: la campionessa altoatesina ha lasciato il segno ovunque. A 39 anni, 40 a luglio, Lechner ha detto basta, ma il suo lascito resta indelebile. Comprese le categorie giovanili, si contano oltre 30 titoli italiani, uno persino su strada tra le elite, tre medaglie ai mondiali, due nella mtb (un argento e un bronzo), e una nel cross (un argento). E ancora: titoli europei, partecipazione a quattro Olimpiadi… Potremmo continuare all’infinito.

Eva Lechner (classe 1995) ha chiuso la carriera al mondiale di Liévin
Lechner (classe 1995) ha chiuso la carriera al mondiale di cross Liévin
Eva, partiamo dalla fine: in Sardegna, nella gara di Coppa che non si è disputata, ci avevi detto che non saresti andata al mondiale. Invece…

Vero, le cose sono cambiate a dicembre. Non sono andata al mondiale per i meriti sportivi di quest’anno, ma il cittì Daniele Pontoni aveva in mente di darmi un premio carriera. Ne abbiamo parlato, io avevo questo desiderio di chiudere con un Mondiale e lui mi ha promesso che avrebbe fatto di tutto per portarmi. Con la Federazione si è deciso di farmi questo regalo, che ho apprezzato tantissimo. Per me è stato un onore poter indossare ancora una volta la maglia azzurra.

Come hai vissuto quest’ultima gara della tua carriera?

È stato bello. Il percorso era duro, ma mi sono sentita bene e per questo mi sono anche divertita. Ho fatto il miglior risultato della stagione, il che non è poco a 39 anni, gareggiando contro atlete di altissimo livello. Nell’ultimo giro mi sono goduta ogni istante, salutando il pubblico. Avevo un buon vantaggio su chi era dietro di me, posto che avrei potuto anche perdere una posizione, ma sapete… non si vuole mai mollare. Neanche alla fine. C’era un lungo rettilineo in salita pieno di gente: ho dato il cinque a tantissimi tifosi e sono arrivata al traguardo con il sorriso.

Sei stata una campionessa in più discipline. Se pensi a un momento per ognuna, quale ti viene in mente?

Parto dalla strada, che è quella che ho fatto meno. Direi senza dubbio il Mondiale di Varese 2008: una bellissima esperienza. Quel giorno lavorai tanto per la squadra e mi ritirai, ma che giornata! Ricordo tutto questo pubblico e io lì a difendere i colori dell’Italia. Poi ricordo bene anche il titolo italiano vinto un po’ a sorpresa. Era il 2007 a Genova. Quando passai in testa la linea del traguardo non ci credevo: «Ma cosa ho fatto?», mi dicevo.

Mondiali di ciclocross 2014: Lechner fu la prima azzurra a riuscire nell’impresa di salire sul podio in questa disciplina. Qui con Marianne Vos
Mondiali di ciclocross 2014: Lechner fu la prima azzurra a riuscire nell’impresa di salire sul podio in questa disciplina. Qui con Marianne Vos
Nel cross?

Nel ciclocross mi viene in mente la prima vittoria in Coppa del Mondo a Hoogerheide e il secondo posto al Mondiale: arrivare dietro Marianne Vos era come vincere a quei tempi. Quel giorno pensai a mettermi alla ruota di Marianne. Pensavo intanto a stare dietro a lei. Questo mi avrebbe fatto guadagnare terreno sulle altre e andò esattamente così. Poi nel corso della gara lei mi staccò, ma io stavo bene e mantenni il secondo posto.

E infine la “tua” MTB…

Per la mountain bike i momenti sono tantissimi, ma direi anche qui la prima vittoria in Coppa del Mondo a Houffalize nel 2010. C’era tanto fango quel giorno. A un certo punto, in cima a una salita, c’era una stradina stretta, stretta. Io ero a ruota di Willow Rockwell e ricordo che lì stavo benissimo. Avrei potuto passarla quando volevo. Ma lì non si poteva. Con estrema tranquillità dissi a me stessa che lo avrei fatto appena possibile. E così feci. Andò tutto secondo i piani, tutto era sotto controllo. Tutto facile. Il top a livello psicofisico. E poi ricordo la medaglia d’argento ai Mondiali di Leogang: salire sul podio iridato fu una grandissima soddisfazione. Era il 2020 ed era passato qualche anno (per la cronaca vinse Pauline Ferrand-Prévot, ndr).

Ci sono stati momenti difficili? Delusioni?

Direi le Olimpiadi, soprattutto quelle di Londra 2012, dove davvero potevo fare qualcosa di importante. Era un anno difficile, non riuscivo a esprimermi al meglio, avevo troppa pressione. Dopo la gara ero a pezzi. Per un bel po’ non sono riuscita neanche a salire in bici.

Le Olimpiadi, il tasto dolente di Lechner. Ne ha disputate quattro. Miglior piazzamento il 16° posto a Pechino 2008
Le Olimpiadi, il tasto dolente di Lechner. Ne ha disputate quattro. Miglior piazzamento il 16° posto a Pechino 2008
E come ti sei rialzata?

Non so di preciso. C’era ancora un Mondiale e, piano piano, sono ripartita. Mi ha aiutato pormi un nuovo obiettivo: quando hai qualcosa da raggiungere, trovi la forza per ripartire e così è andata. Ma fu una vera batosta.

Senza togliere nulla agli altri, qual è il “tuo” tecnico?

Edi Telser, il mio preparatore per 13 anni. Lui è di Prato allo Stelvio. Ora è il cittì della Svizzera. Mi ha seguita a lungo e ha avuto un impatto enorme sulla mia carriera. È lui che mi portò nella selezione dell’Alto Adige, mi fece fare il primo ritiro, le gare all’estero e tanto altro.

Come hai iniziato a correre?

Ho iniziato a 16 anni, un po’ tardi. Non sapevo nemmeno che esistessero le gare di mountain bike. Dalle mie parti c’erano tutti sport di squadra. Io ho sempre amato la competizione, ma non mi piacevano gli sport di squadra appunto. Ho provato anche l’atletica leggera, ma…

Una Eva in formato bambina. Eccola, piccolissima, con una mtb ben più grande di lei
Una Eva in formato bambina. Eccola, piccolissima, con una mtb ben più grande di lei
Ma?

Ma non mi piaceva, non tanto per lo sport in sé, ma perché quando andavi ad allenarti facevi altre cose, esercizi. Mentre nella bici, se gareggi o se ti alleni, comunque pedali.

E quindi come sei arrivata alla bici?

Avevo iniziato ad andare in bici, ma così, da sola. Era quella delle mie sorelle più grandi. Ma ormai, arrivata a me, era sempre rotta. Papà me l’aggiustava, ma io questa cosa proprio non la sopportavo. Così un’estate ho fatto la baby sitter e con i soldi ho comprato la mia prima bici. Era una Giant argentata, una mtb rigida. La scelsi perché mi piaceva. Quello però fu anche il momento in cui cambiarono le cose.

Perché, cosa accadde?

Entrando nel negozio di bici ad Appiano ho conosciuto il mio primo allenatore, Anglani, che mi ha invitata a provare. Alla prima gara, a Villa Lagarina, feci una fatica immensa, ma mi è piacque subito. Ero proprio contenta e soddisfatta. Da lì altre gare. C’era una ragazza, sempre dell’Alto Adige, che mi batteva sempre. Poi al campionato italiano l’ho battuta io! Da quel giorno non mi è più arrivata davanti.

Avevi messo le cose in chiaro!

Sì, l’anno dopo, il primo anno junior, vincevo tutto. Al secondo anno, nel 2003 a Nalles, che per me era una gara di casa, Morelli e Telser ebbero l’idea di farmi partire con le élite, giusto per capire dove potevo arrivare. I giudici fecero un’eccezione e mi fecero partire con le élite. C’era un bel parterre: Kalentieva, Dahle, Kraft… Finii terza, davanti a tutte le altre italiane.

I cavalli, una passione di lungo corso per Eva (foto Sabine Jacobs)
I cavalli, una passione di lungo corso per Eva (foto Sabine Jacobs)
Oggi c’è una nuova Eva Lechner in Italia?

Bisogna vedere. Oggi i ragazzi sono già super allenati e hanno materiale al top. Bisogna capire quanto lavoro hanno già fatto e quanto margine di miglioramento gli resta, perché vedo delle ragazze e dei ragazzi sono fortissimi da piccoli, poi però non arrivano. Ci sono i giovani stra-allenati. Tutto è diverso, anche le discipline. Le gare sono più corte, sono più intense… Non so, ma credo sarà difficile per loro avere una carriera lunga tanto quanto la mia. Sono costretti ad essere professionali sin da subito e mentalmente non è facile.

E dal punto di vista della multidisciplinarietà?

Quella c’è e credo sia un bene. Spero che continuino a fargliela fare anche quando sono più grandi. Io l’ho fatta sin da giovane. “Tels”, ai tempi, mi faceva fare le gare su strada e questo è importante soprattutto per chi fa ciclocross da quel che vedo.

Oltre ai tuoi cavalli, cosa prevede il futuro?

Mi piacerebbe rimanere nell’ambiente e aiutare i giovani a crescere. Trasmettere la mia esperienza e far parte del loro percorso. È una cosa che mi piacerebbe molto, anche se non so ancora in quale ruolo. Vedremo nelle prossime settimane cosa accadrà, visto che devo parlare con qualcuno. Speriamo bene!