Mont Ventoux, una sola vittoria italiana: 25 anni fa con Pantani

22.07.2025
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MONTPELLIER (Francia) – Solo dieci volte nella lunghissima storia del Tour, la corsa si è conclusa sul Mont Ventoux. E nell’albo d’oro del monte caro al Petrarca figura soltanto un nome italiano: quello di Marco Pantani (anche Marta Cavalli ha vinto lassù nel 2022 nella Mont Ventoux Denivele Challenge).

Accadde il 13 luglio del 2000, venticinque anni fa, ed è uno di quei ricordi da cui speriamo di non separarci mai. C’era un vento che strappava gli striscioni, tanto che quello di arrivo fu messo via per paura che volasse. La sala stampa era sulla cima, in un tendone e non a 17 chilometri come accadrà oggi. C’era l’imbattibile Armstrong che nel 1999 aveva vinto il primo Tour. C’era anche la fiducia irrazionale, che viveva da qualche parte nel nostro petto, che il Pirata sarebbe tornato. E quel giorno infatti, come è vero Dio, Marco tornò.

Chiudiamo gli occhi e rivediamo i flash della giornata. Si parte da Carpentras e al via c’è Robin Williams. L’immenso attore saluta Ilario Biondi, riconoscendo la somiglianza, e gli sussurra ridendo che potrebbero essere fratelli. Poi la corsa parte e Marco, che in classifica viaggia con un ritardo abissale di 10’34”, si stacca ancora una volta. Tuttavia questa volta, anziché sprofondare, resta lì con la sua fatica. Il tempo di inquadrare la fuga e lo vediamo spuntare nell’inquadratura alle spalle della fuga, dove la montagna si espone al vento. A quel punto noi siamo già sulla cima, cercando di seguire la corsa da uno schermo montato al riparo di un furgone. Di colpo da dietro si muove Armstrong che ha visto staccarsi Ullrich e ne approfitta, arrivando a doppia velocità.

A Carpentras, l’incontro fra Robin Williams e Ilario Biondi
A Carpentras, l’incontro fra Robin Williams e Ilario Biondi

Lo prende e fa per staccarlo, ma non lo stacca. Ci riprova e non si capisce se non affondi il colpo o se l’altro piuttosto che lasciarlo andare abbia scelto di morire sulla bici. E quando infine si tratta di fare la volata, Pantani vince e Armstrong dichiara di avergliela regalata. Non dichiara ciò che su quei giorni emergerà dalle indagini, che hanno portato alla cancellazione dei suoi risultati. Forse è stato meglio che quel giorno abbia vinto Pantani, altrimenti il Ventoux avrebbe avuto soltanto nove vincitori su dieci arrivi in cima.

In bici con Siboni

Noi c’eravamo, ma meglio di noi visse la corsa Marcello Siboni, lo storico gregario di Pantani, che quel giorno chiuse la tappa a 11’23” dal suo capitano. Il compagno di allenamenti e zingarate dai tempi della Carrera, era stato schierato in quel Tour perché oltre a uomini forti, sarebbero servite anche persone capaci di stargli accanto. Il giorno di Campiglio aveva ancora strascichi profondi. Il risveglio di fine Giro, quando Marco spianò la strada di Garzelli verso la maglia rosa, aveva riacceso le speranze, ma niente era più splendente come prima.

«La tappa del Ventoux – ricorda – veniva dopo il giorno di riposo. Eravamo partiti per il Tour con Marco al 75-80 per cento della condizione. Poi col passare dei giorni iniziammo a renderci conto che si stava mettendo a posto, ma nulla aveva potuto fare per evitare la batosta di Hautacam (il romagnolo perse 5’10” da Armstrong, ndr)».

Marcello Siboni, classe 1965, è stato pro’ dal 1987 al 2002. Oggi ha la sua officina a Cesena e si occupa di riparazioni
Marcello Siboni, classe 1965, è stato pro’ dal 1987 al 2002. Oggi ha la sua officina a Cesena e si occupa di riparazioni

«Cominciò a guardarlo – prosegue Siboni – e a pensare che fosse un extraterrestre. In più quel giorno aveva anche piovuto, quindi era stata una giornata un po’ particolare e la sera Marco era demoralizzato. Sapeva che la sua condizione non fosse al 100 per cento, ma sperava che il carattere gli bastasse per colmare le differenze.

«Non aspettava altro che battersi con Armstrong – prosegue Siboni – che aveva vinto il Tour dell’anno prima senza che noi ci fossimo per difendere la vittoria del 1998. L’americano era il favorito, ma quando partimmo, l’idea era quella di sfidarlo ancora».

La tigna del Pirata

La tappa ha una serie di salitelle nell’avvicinamento al Mont Ventoux, in quel dedalo di strade, canyon e stradine della campagna provenzale così morbida e poi di colpo pietrosa. Nessuno prova a fare chissà quale selezione, per cui fatta salva la fuga di giornata, il gruppo arriva compatto nella zona di Bedoin.

«Il gruppo era bello nutrito – ammette Siboni – e lui come al solito era indietro. E’ sempre stato il suo modo di essere e del resto nessuno quel giorno si aspettava che potesse succedere qualcosa di bello. Però l’avete conosciuto anche voi: spesso diceva una cosa e ne faceva un’altra. Quindi magari non disse nulla, ma dentro di sé sperava di fare qualcosa. Solo, per come era andato sulle salite precedenti, era difficile crederci. Invece con la tigna che ha sempre avuto, si staccava, si riprendeva e poi tornava sotto. Quella tappa fu l’espressione massima di Marco: cioè di uno che non molla mai, a costo di arrivare morto».

«Finché a un certo punto è andato via e dopo un po’ abbiamo visto andare via anche l’americano. Magari è vero che l’ha lasciato vincere e Marco non era contento, perché lui lo voleva staccare. Ma quando l’altro si è messo a dire di avergli fatto un regalo, Marco si è imbestialito. Cosa dici certe cose? Se anche fosse, tienile per te…».

L’istinto contro il calcolo

Si passa in poco meno di due ore dalla gioia per la vittoria al fastidio per le parole di Armstrong. Marco è contento, sono tutti felici per il ritorno alla vittoria dopo quella maledetta tappa di Madonna di Campiglio che aveva segnato l’inizio della fine. Quando gli dissero che non avrebbe dovuto vincere così tanto: chissà se a Pogacar qualcuno l’ha mai detto. Probabilmente no.

«Dentro di lui covava il malumore per le parole di Armstrong– ricorda Siboni – e la sua voglia di batterlo è letteralmente esplosa. Per questo a Courchevel lo staccò, per quella cattiveria di cui solo lui era capace e che gli è cresciuta dentro. A Courchevel forse non era il vero Marco, ma nemmeno era da buttare via. Due giorni dopo cercò di sbancare tutto con la fuga di Morzine, perché di colpo credevamo di nuovo che si potesse tentare l’impossibile. Quella settimana ci sentivamo tutti galvanizzati per il suo ritorno alla vittoria.

Spaghetti all’astice per Pantani, Fontanelli e la Mercatone Uno: li ha preparati Giovanni Ciccola per la vittoria sul Ventoux
Spaghetti all’astice per Pantani, Fontanelli e la Mercatone Uno: li ha preparati Giovanni Ciccola per la vittoria sul Ventoux

«Devo ammettere che Marco non avesse mai avuto grande simpatia per Armstrong. Si era visto sin da subito, appena passato, che fosse un giovincello un po’ sbruffone. Marco nel 1998 aveva vinto il Tour, ma di colpo era l’altro che spopolava. Evidentemente non gli era tanto simpatico neppure il suo modo di correre così freddo e calcolato, mentre lui era genuino e garibaldino. Armstrong si muoveva come se fosse il padrone, con una squadra che al pari di oggi sembrava composta da atleti telecomandati».

Gli spaghetti all’astice

Le esternazioni di Armstrong non riescono a rovinare la cena della Mercatone Uno del Novotel di Avignone. Qualche giorno prima, Giovanni Ciccola, lo chef che lavora con la Mercatone Uno per conto del Tour de France, ha preso da parte Pantani, chiedendogli che cosa avrebbe voluto mangiare. E quando Marco gli ha risposto «aragosta», l’altro per punzecchiarlo gliel’ha promessa per quando avesse vinto.

Quella sera sulla tavola della squadra approdano così degli spaghetti all’astice. A noi che lo aspettiamo fuori dalla porta, ne tocca una forchettata che vale quanto un calice di champagne per brindare al successo.

Quella sera pensammo nuovamente che tutto fosse possibile, mentre il Mont Ventoux da lassù si sentì felice di essersi consegnato a un campione immenso e pelato come lui. Erano anni di sogni che si avveravano e di campioni con gambe e grinta ultraterrena. Ne servì tanto per lottare contro Armstrong che, impunito, continuò a sovralimentarsi per tutto il tempo della corsa. Tre giorni dopo, in un testa a testa niente affatto casuale, Marco lo piegò dimostrando che forse, senza quel che accadde a Madonna di Campiglio nel 1999, l’era Armstrong non sarebbe mai iniziata. Forse un complotto, se complotto ci fu, servì a spianare la strada all’americano cui il Tour tributò sette anni di onori, prima di cancellarlo senza accennare la minima autocritica.

Domani il Carpegna, luogo di fatica e ricordi: parla Siboni

11.03.2022
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«L’aneddoto più bello – ricorda Marcello Siboni, una vita al servizio del Pirata – è dei tempi alla Carrera, quando partì senza aver fatto colazione e poi come al solito decise di allungare. Fece il Carpegna e quando finì la discesa si rese conto di essere svuotato e di non avere in tasca neanche una lira. Allora entrò in un negozio. “Sono Marco Pantani, non ho un soldo e ho una fame nera. Mi date un paio di barrette di cioccolata per arrivare a casa?”. Ovviamente gli diedero quello che chiedeva e lui ripartì. Mi disse che quando arrivò all’incrocio di Savignano, dove adesso c’è la rotatoria, era talmente sfinito che non ricordava nemmeno di essersi fermato al semaforo. Il giorno dopo ovviamente tornò su e gli portò i soldi per pagare quel che aveva mangiato».

Siboni raggiunse Pantani alla Carrera nel 1995 e ci rimase fino al 1999
Siboni raggiunse Pantani alla Carrera nel 1995 e ci rimase fino al 1999

Una vita da gregario

Domani c’è il Carpegna, che probabilmente deciderà la Tirreno-Adriatico del 2022 e come ha detto ieri Ciccone a fine intervista, è la salita del Panta. Chi meglio di Siboni può raccontarci che cosa abbia rappresentato quella salita per Marco e cosa possiamo aspettarci?

Marcello (in apertura nella foto Facebook) parla poco, abituato per una vita a starsene da parte. Amico, prima che compagno di squadra. Erano sempre insieme, anche quando Marco scoprì i rollerblade e lo convinse a seguirlo. Erano gli anni alla Carrera. Li incontrammo a Cesenatico, Marcello aveva il gesso al polso destro. Era caduto dai pattini, ma a Boifava dissero che era successo con la bici

Dal 1997 Siboni ha corso alla Mercatone Uno, nata attorno al suo capitano
Dal 1997 Siboni ha corso alla Mercatone Uno, nata attorno al suo capitano

Ritorno di fiamma

E’ stato professionista dal 1987 al 2002, con Ariostea, Jolly Componibili, Carrera e Mercatone Uno. Dopo qualche anno a riprendere le misure della vita, ha aperto la sua bottega di bici a Cesena. Cicli Siboni, zona Ponte Vecchio. Prima della pandemia vendeva anche qualcosa, ora si occupa soltanto di riparazioni. E soprattutto ha ripreso a pedalare.

«La passione si attenua – sorride abbassando lo sguardo – ma non si spegne. Seguo le corse. Sto vedendo i numeri di Pogacar, è fortissimo. Seguo anche voi su bici.PRO, ho visto quando siete nati. Mi piace tutta la parte dell’allenamento e dell’alimentazione, perché da quando ho ripreso a pedalare, ho capito che è cambiato il mondo. Di quel periodo è passato tutto, normale che sia così. Per fortuna qualcuno a volte si ricorda…».

Nel 1998, c’era anche lui nel team che conquistò il Giro d’Italia
Nel 1998, c’era anche lui nel team che conquistò il Giro d’Italia
Il Carpegna mi basta…

La sua frase, mi viene la pelle d’oca. Molte volte andava su da solo, perché aveva bisogno di ascoltare le sue vocine. La salita è dura, ma non lunghissima. Eppure valutando le sue sensazioni, Marco riusciva a capire se stesse bene. Niente strumenti, solo quello che gli dicevano gambe e testa.

Andavate mai insieme?

E’ capitato, però fino al Cippo non tante volte. Invece a Carpegna capitava più spesso (il paese si trova circa a metà salita e domani sarà sede di arrivo, ndr).

A Cesenatico con Tonina e Paolo, davanti alle due biglie dedicate a Marco
A Cesenatico con Tonina e Paolo, davanti alle due biglie dedicate a Marco
Pensi mai a quel periodo?

Non potrei mai fare finta di niente, non è che ti dimentichi o lo metti da parte. Sono stati periodi brevi ma intensi, tra una sfortuna e l’altra. Indimenticabili.

Segui le battaglie di Tonina per arrivare alla verità?

Capisco il dispiacere che ha addosso. A volte mi chiedo chi glielo faccia fare, perché Marco comunque è sempre ricordato, ma quello che è riuscita a dimostrare su Campiglio è stato eccezionale. La dimostrazione che ci fu qualcosa contro di lui. Ognuno ha il suo carattere, quello di Marco era unico. Si sentì subito tradito dall’ambiente ed era da capire.

Perché?

Era il portavoce del gruppo, a volte gli dicevo che forse si sentiva troppo indistruttibile. E infatti al primo intoppo l’ambiente e chi governava il ciclismo non fecero nulla per aiutarlo. Marco si è buttato giù perché capì di essere da solo. Non è facile da accettare.

A settembre fino al Cippo per un’intervista con Marangoni (foto Facebook)
A settembre fino al Cippo per un’intervista con Marangoni (foto Facebook)
Ti senti più con quei compagni di squadra?

Abbiamo creato un gruppo whatsapp con Zaina, Conti, Fontanelli, Fincato. Propongo sempre di organizzare una rimpatriata. Una volta in Romagna, una volta in Veneto… Si dice ma non si fa. Anzi, scrivilo, così magari si convincono.

Sei più tornato in bici a Carpegna?

Ci sono tornato a settembre, perché Marangoni mi ha proposto di fare un video. Prima abbiamo girato a Cesenatico. Poi siamo andati a Carpegna con la macchina e abbiamo fatto l’ultimo tratto.

Siboni ha la sua officina a Cesena: si occupa di riparazioni (foto Facebook)
Siboni ha la sua officina a Cesena: si occupa di riparazioni (foto Facebook)
Pensi che farà male al gruppo?

La faranno due volte, si farà sentire e l’arrivo è vicino all’ultimo scollinamento.

La discesa com’è?

Sempre stretta, ma con meno curve rispetto all’altro versante. Magari non ci saranno distacchi abissali, ma vedrete che faranno un po’ di casotto. Soprattutto se Pogacar corre lassù come alla Strade Bianche. Ci farà divertire.