Vincente a 41 anni: su Mavi Garcia la lente di Marta Bastianelli

11.08.2025
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Il 27 luglio, vincendo la seconda tappa del Tour Femmes a Quimper, Mavi Garcia è diventata la vincitrice di tappa più… esperta nella storia del ciclismo. Più di Maria Canins e Jeannie Longo, che della corsa francese hanno scritto e riscritto la storia. La spagnola di Marratxi, sull’isola di Mallorca, era parsa addirittura sul punto di ritirarsi, invece a 41 anni ha conquistato la tappa e si è piazzata bene per tutto il resto della corsa.

In questo ciclismo che anche al femminile sta vivendo un’accelerazione a dir poco intensa, non è affatto facile esprimersi al top dopo i 35 anni. Eppure alcune atlete di classe comprovata sono riuscite a vincere anche da grandi. A ben vedere una delle più forti e continue è italiana ed è Marta Bastianelli. La romana che ha chiuso la carriera nel 2023 a 36 anni ha continuato a vincere fino agli ultimi mesi della carriera. Con Mavi Garcia ha condiviso tanti anni in gruppo e tre stagioni nella stessa squadra (prima alla Alé di Alessia Piccolo e poi nella prima stagione della Garcia al UAE Team Adq). Così, intercettandola alla ripresa dell’attività con la nazionale (due corse da seguire e il ritiro di Livigno con le juniores) le abbiamo chiesto di raccontarci Mavi Garcia e insieme di spiegarci cosa cambi nel rendimento quando si diventa grandi.

Tour de l’Ardeche 2021, Bastianelli vince a Saint Jean en Royans, Mavi Garcia va ad abbracciarla
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Quanto cambia fare attività e vincere mano a mano che passano gli anni?

Diciamo che l’anno in più ovviamente si sente. Penso che accada in tutti gli sport, anche i calciatori a un certo punto smettono di fare tanti goal (ride, ndr). Però quando la classe dell’atleta è limpida, si vince lo stesso, anche se l’età è matura. Noi abbiamo avuto l’esempio della Vos, di Van Vleuten e anche di Anna Van der Breggen. Credo che se c’è talento, l’età non sia un grande problema, anche se le differenze si sentono.

Una volta si diceva che con gli anni aumenta anche la quantità di lavoro da fare.

No, secondo me non è più così. Se quella che cambia è la capacità di recupero, la differenza la fai a maggior ragione con la freschezza. Io ho sempre lavorato intensamente, ma non ho aumentato perché l’età avanzava. Ho sempre mantenuto un livello medio alto, perché credo che vincere anche da grandi sia una questione di genetica. Anche quando ero giovane, c’erano le più grandi che andavano forte…

Se quello che cambia è il recupero, è più facile vincere la tappa di un Giro o la corsa di un giorno? Forse non è per caso che Mavi abbia vinto la seconda tappa…

Probabilmente è meno difficile vincere la gara di un giorno. Dopo i 35 anni, fai più fatica ad avere un certo recupero. Prendiamo Marianne Vos, che prima faceva cross, mountain bike, strada e pista. Più passano gli anni e più la sua attività è diventata mirata, fa le cose col contagocce e ben definite. Questo fa capire che il recupero è la base e con gli anni è più difficile ottenerlo, parlo anche di vita quotidiana. Allora magari scegli di correre meno e di selezionare gli obiettivi, fai il Giro oppure il Tour, ma non entrambi. Se però hai il fattore genetico che ti porta a convivere bene con la soglia della fatica e della stanchezza, allora vinci lo stesso.

A Quimper, seconda tappa del Tour Femmes, arriva la stoccata di Mavi Garcia
A Quimper, seconda tappa del Tour Femmes, arriva la stoccata di Mavi Garcia
In questo contesto, come la inseriamo Mavi Garcia?

Mavi è una grande atleta e una bravissima persona. Ho corso con lei per tanti anni ed è stata anche un’ottima compagna di squadra, non solo per il lavoro, ma anche per le bellissime giornate passate insieme. E’ molto appassionata di questo sport, le piace tantissimo il lavoro che fa e ci si dedica al mille per cento. Mi aveva detto che dopo le Olimpiadi di Parigi avrebbe smesso, invece ha continuato. Forse incentivata dalla famiglia e dal compagno che l’hanno stimolata a proseguire il suo percorso. Ho visto che poi è diventata molto più coraggiosa…

In che senso?

Per la vittoria del Tour de France è partita da lontano. Di solito lei attendeva le salite e le azioni delle altre, per vedere cosa sarebbe successo. Invece in questo caso ho visto che il coraggio l’ha portata a vincere. Sono stata felice soprattutto per i sacrifici che fa, perché se non finalizzi mai, è normale che le motivazioni vadano giù. Vedrete che questa vittoria sarà il modo per andare avanti.

Quindi è soprattutto un fatto di testa?

Nel suo caso penso che ci sia anche questo. Il fatto di incoraggiarsi e dirsi che malgrado l’età, può farcela ancora. Anche perché atleticamente sta benissimo, è un’atleta molto forte. Ovvio che le giovani stanno venendo fuori e smontano il castello di tutte e altre, non solo delle ragazze che cominciano avere una certa età.

Un attacco nella tappa da Brest a Quimper e 421 giorni dopo l’ultima vittoria, Mavi Garcia l’ha fatto ancora
Un attacco nella tappa da Brest a Quimper e 421 giorni dopo l’ultima vittoria, Mavi Garcia l’ha fatto ancora
Mavi ha iniziato a correre nel 2015, quando aveva già 31 anni: questo può darle una longevità superiore?

Ha iniziato tardi perché viene dal duathlon, in cui ha vinto anche due mondiali. A livello fisico è molto forte, anche perché è abituata a sforzi maggiori. Però nei primi anni in cui venne con noi alla Alé dopo essere stata alla Movistar, ci rendevamo conto che a livello tattico e nello stare in gruppo faceva più fatica, come la Reusser. Poi piano piano ha imparato a stare davanti, non aveva più paura di stare in gruppo in discesa e quello aiuta tanto. Al Tour abbiamo visto che Sarah Gigante ha perso il podio per una discesa…

Mavi ci ha lavorato?

E’ migliorata molto negli anni anche sotto questo punto di vista. Di conseguenza iniziare più tardi può essere stato un punto sfavorevole rispetto a chi inizia da piccolino, però al momento credo che non abbia nulla meno delle altre.

E i suoi 41 anni li porta benissimo, no?

Non posso che confermare. Un’atleta che arriva a 41 anni e riesce a vincere e stare davanti, ha delle doti fuori dal comune.

Ferrand Prevot in maglia gialla ha 33 anni, Mavi ne ha 41: quando il dna è vincente, le vittorie arrivano
Ferrand Prevot in maglia gialla ha 33 anni, Mavi ne ha 41: quando il dna è vincente, le vittorie arrivano
Le hai mandato i complimenti dopo la vittoria?

Certo, era felice e soprattutto emozionata. Mi ha detto che non ci credeva ancora, che si era lanciata in quella fuga quasi per caso e invece le è andata bene. Questo ti fa capire che puoi provarci dieci volte e prima o poi trovi quella che ti va bene. E per lei sarà un’altra lezione preziosa da mandare a mente.

Ferrand Prevot al Tour de France Femmes con Nimbl

11.08.2025
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La storia del ciclismo moderno si è arricchita di un nuovo, straordinario capitolo. Pauline Ferrand Prevot, la campionessa più versatile al mondo, ha trionfato al Tour de France Femmes. Un’impresa epica, che ha visto l’atleta francese dominare la corsa e consolidare il suo status di leggenda. Al suo fianco, a supportare ogni sua singola pedalata, le scarpe Nimbl, un brand che sta ridefinendo gli standard di performance nel settore. Questo successo non è solo una vittoria per Pauline, ma anche la dimostrazione del valore di un’attrezzatura di altissimo livello.

Pauline Ferrand Prevot è un’icona del ciclismo (in apertura, felice e stremata dopo la seconda vittoria a Chatel Les Portes du Soleil, con le sue Ultimate Exceed Pro Edition in bella evidenza). L’unica nella storia ad aver conquistato titoli mondiali in ben quattro discipline: strada, Mtb, ciclocross e gravel. La sua carriera è un susseguirsi di successi che dimostrano una determinazione incrollabile e una profonda conoscenza dei dettagli che fanno la differenza. Per un’atleta di questo calibro, l’attrezzatura non è un semplice accessorio, ma un’estensione del proprio corpo. Ogni watt conta, ogni grammo è fondamentale. La scelta di Nimbl non è casuale. E’ il risultato di una ricerca meticolosa e della necessità di avere a disposizione il meglio che il mercato può offrire.

Anche Ferrand Prevot ha puntato sulle Nimbl Ultimate Exceed Pro Edition
Anche Ferrand Prevot ha puntato sulle Nimbl Ultimate Exceed Pro Edition

Artigianato italiano e innovazione

Le scarpe Nimbl sono l’incarnazione di una filosofia che unisce artigianato di precisione e tecnologie all’avanguardia. Realizzate 100% a mano e in Italia, sono progettate per garantire la massima efficienza e il trasferimento di potenza più diretto possibile. Leggerezza e rigidità sono le caratteristiche principali, due elementi cruciali per i ciclisti che puntano al risultato.

La vittoria di Pauline Ferrand Prevot al Tour de France Femmes è la prova definitiva di queste qualità. Che si trattasse di affrontare salite impervie, sprint brucianti o discese tecniche, le scarpe Nimbl le hanno offerto la stabilità, il feeling e la sicurezza necessarie per dare il meglio di sé.

Un sistema integrato per la performance

«Siamo davvero molto orgogliosi e soddisfatti – ha dichiarato Francesco Sergio, Managing Director e co-fondatore di Nimbl – di questo successo. Una vittoria, quella di Pauline, che rafforza la nostra convinzione che la vera velocità ed efficienza nascano da un sistema completamente integrato tra atleta e attrezzatura.

L’obiettivo di Nimbl non è solo quello di produrre scarpe eccezionali, ma di perfezionare l’intero setup dell’atleta. E’ una visione che va oltre il singolo prodotto e si concentra sull’armonia tra tutti gli elementi, dalle scarpe all’abbigliamento. Questo approccio è la base di ciò che noi definiamo il nuovo Standard in Performance».

Francesco Sergio, co-fondatore e Managing Director Nimbl
Francesco Sergio, co-fondatore e Managing Director Nimbl

Ultimate Exceed Pro Edition: l’arma vincente

Il modello indossato da Pauline Ferrand Prevot è la Ultimate Exceed Pro Edition, una scarpa pensata per le alte prestazioni. Con una ventilazione migliorata, un comfort superiore grazie al sistema Boa® aggiornato e alle guide in morbido cotone, e grafiche audaci, questa scarpa è la scelta preferita dei professionisti.

Disponibile sia con attacchi a 3 fori che specifici per Speedplay, l’Ultimate Exceed Pro Edition trasforma ogni singolo watt in pura velocità, offrendo al ciclista un tangibile vantaggio competitivo. Un prodotto che incarna perfettamente la missione di Nimbl: supportare i ciclisti che pretendono il massimo, pedalata dopo pedalata.

nimbl.cc

Due anni da recuperare, ma Paternoster sta arrivando

15.05.2025
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Dopo le classiche, l’obiettivo di Letizia Paternoster è diventato il Tour de France Femmes. Riuscire a vincere una tappa sarebbe il modo di entrare fra le grandi e tenere il ritmo delle coetanee che, a vario titolo, hanno compiuto i loro passi verso l’alto. Basterebbe partire dal podio di Doha 2016, quando quel fantastico gruppo di ragazze fra il 1998 e il 1999 si affacciò (vincendo) sul mondo. Al centro Elisa Balsamo con la maglia iridata e a sostenerla proprio Letizia, Chiara Consonni e Martina Fidanza.

Sono passati nove anni, chilometri e tanta vita. C’è stato il Covid e ci sono stati gli incidenti. In tanti casi rimanere in equilibrio fra la realtà, le attese e i propri guai è già di per sé un’impresa, per cui essere riusciti a risollevarsi è segno di talento e determinazione. Così Letizia Paternoster sta risalendo le posizioni del gruppo. Si è smarcata dalla riduttiva etichetta di velocista. E’ tornata competitiva in pista. Ha imparato a non mettersi addosso pressioni troppo pesanti. E ora addenta le corse con altra consapevolezza, facendo i conti con la sua immagine pubblica che a molti basta e avanza per dare giudizi senza conoscere. La maledizione dei social colpisce spesso chi sui social è più forte.

Passaggio in Spagna

Fra le classiche e il Tour, con la condizione che le restava nelle gambe, la trentina si è trovata a passare per la Vuelta. E senza fare miracoli, ha portato a casa un secondo posto di tappa e ha vestito per un giorno la maglia rossa di leader. Poco al confronto di una leonessa come Marianne Vos, ma abbastanza per capire di aver trovato la chiave. E la stessa Vos, rileggendone la storia, a un certo della sua carriera di predestinata, ebbe un crollo che la costrinse a mettere un lungo punto.

«Ho iniziato la stagione con tanta pressione addosso – racconta – e questo al Nord mi ha fatto vivere dei brutti momenti. Il guaio è che me la mettevo da sola. L’anno scorso ero andata tanto forte e mi sono resa conto che non funziona affrontare certe corse solo con le attese e senza la mente libera. La Vuelta è servita per ritrovare testa e gambe e affrontare quel che verrà con un’altra consapevolezza».

Quattordicesima al Fiandre (qui con Niewiadoma), dopo il nono posto del 2024, pagando pegno alla tensione
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Però è venuta la maglia di leader e soprattutto alle spalle Marianne Vos, una vera leggenda…

Ricordo che ero piccolina la prima volta che puntai la sveglia per vedere il mondiale del 2010 in Australia, avevo 11 anni. Lo ricordo perché era il primo mondiale di Rossella Callovi, che è una mia amica ed è trentina come me. E ricordo la vittoria di Giorgia Bronzini sulla Vos, che già quattro anni prima, a 19 anni, aveva vinto il mondiale di Salisburgo. Marianne Vos è un riferimento, un modello da seguire.

Che cosa ti ha detto la Vuelta?

Che ho ritrovato testa e gamba. Ci sono arrivata motivata, con la testa leggera e ho capito le mie possibilità. Mi sono scrollata di dosso il fatto di essere una velocista, anche se l’ho sempre saputo e me l’hanno sempre detto. Sono più leggera delle ragazze di 70 chili specializzate negli sprint, vado meglio sui percorsi ondulati, con arrivi sugli strappi. Infatti la seconda tappa della Vuelta aveva l’arrivo dopo l’ultimo chilometro che tirava tutto in salita.

Però le salite lunghe restano indigeste…

Non è tanto il dislivello, infatti, il mio problema è la durata delle salite, la lunghezza. Se le salite sono corte, ripide e non tanto lunghe, se sono in forma posso dire la mia. Per questo ad esempio, non so cosa pensare di mondiali ed europei. Un po’ perché non ho visto i percorsi e un po’ perché non voglio guardare troppo avanti.

Chi ti ha sempre detto che non sei una velocista?

Quasi tutti i tecnici con cui ho lavorato (sorride, ndr). Penso a Josu Larrazabal, il capo dei tecnici alla Lidl-Trek. Non faceva che ripetermelo e l’ultima volta che ci siamo visti in ritiro, perché eravamo nello stesso hotel, me lo ha ricordato.

Al Trofeo Binda, Paternoster ha tenuto bene sulla salita di Orino ed è stata quinta allo sprint vinto da Balsamo
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Si può dire che la parte più difficile in questa fase della carriera sia capire che atleta sei?

Assolutamente. Sto acquisendo adesso la piena consapevolezza, dopo aver perso quasi due anni per problemi di salute. Quello che avrei dovuto fare a 22 anni, io lo sto facendo adesso. Ho riscoperto la Letizia giusta. E grazie a Marco Pinotti e alla squadra, alla LIV-Jayco-AlUla, ho capito quali saranno le corse cui posso puntare.

Il Tour e non il Giro proprio per questo?

Esatto e sono super entusiasta. Non vedo l’ora di iniziare la preparazione per il Tour. Le prime 5 tappe hanno arrivi di questo tipo, che ricordano molto le classiche. La squadra pensa che sia la soluzione migliore per me, quindi andrò dritta in Francia. Il Tour non l’ho mai fatto, l’ho sempre solo guardato, quindi mi gasa tantissimo. Però insieme ho un dispiacere enorme nel non fare il Giro d’Italia. Appena hanno annunciato le tappe, ho visto quella che passa proprio da Cles e arriva a Trento e farla sarebbe stato un sogno. Però per il resto, devo ammettere che il Tour si addice molto di più alle mie caratteristiche.

Farai altura, sai già come ci arriverai?

Questa settimana è stata di respiro dopo le classiche e la Vuelta. Nella prima parte di stagione non ho mai staccato, se non in questi giorni. Prossima corsa sarà il Tour of Britain ai primi di giugno, quindi fra due settimane e mezzo. Poi vado in altura. Scendo per il campionato italiano con le Fiamme Azzurre. Ritorno in altura. E poi, il tempo di riadattarmi al livello del mare e vado dritta al Tour de France.

Linguaccia alla cattiva sorte e ripartenza: il Tour sarà per Paternoster un importante momento di verifica
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Sei passata definitivamente a lavorare con Pinotti, dopo il periodo a metà fra lui e Broccardo. E’ cambiato qualcosa?

Marco mi ha sempre detto che ho tantissimo margine. E quindi gradualmente stiamo aumentando il lavoro e facendo tutto nel modo giusto. Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese. Sto crescendo e sta crescendo il carico di lavoro, per arrivare al mio vero valore. Ciclisticamente Dario è stato un padre, siamo in ottimi rapporti, resta un riferimento.

Quindi riassumendo, pochi viaggi mentali, pressioni al minimo e testa libera?

Esatto. E così arriverà tutto. Devo solo continuare in questo modo. Essere positiva con la testa, stare su e lavorare nel modo giusto. E poi la ruota girerà. Ne sono certa.