Il nuovo Sierra, dalla delusione scozzese alle feste di Cali

22.09.2023
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Un mese dopo. Città diversa, maglia diversa in palio, anche aspettative diverse e non potrebbe essere altrimenti visto che da allora Luis David Sierra è diventato una star della categoria juniores. Negli occhi tutti gli appassionati hanno ancora le immagini di quel salto di catena che, nel momento, topico, gli è costato il podio ai Mondiali di Glasgow, quella delusione stampata sul volto quando ha tagliato il traguardo, dimostrando ancora che ne aveva più di tutti.

E’ passato un mese e sembra un’eternità. Sierra è andato ai mondiali su pista di Cali dove ha vinto tutte e tre le medaglie (oro nel quartetto, argento nell’individuale a punti, bronzo nella madison), nell’ultimo weekend ha realizzato una splendida doppietta di successi su strada e ora è pronto per una nuova sfida, sulle strade olandesi, per prendersi quello che gli era sfuggito.

Sul podio di Cali con il quartetto. Una maglia che cancella la delusione di poche settimane prima (foto Instagram)
Sul podio di Cali con il quartetto. Una maglia che cancella la delusione di poche settimane prima (foto Instagram)

«E’ vero che tutto è un po’ partito da quel sabato maledetto – racconta Sierra a poche ore dalla partenza – da quella corsa così sfortunata per i nostri colori con 4 atleti su 6 fuori corsa in anticipo, da quell’epilogo che tutti conoscono. E’ una vicenda amara che nel fondo aveva anche un po’ di dolce, perché tutti hanno visto come ho corso e ripensandoci mi ha dato morale e spinta per andare avanti».

La sensazione è che il Sierra di oggi sia un po’ diverso da quello…

Forse è vero, perché credo di più nei miei mezzi, ho la percezione netta di quel che posso fare. Come persona sono rimasto quello di sempre, ma amo sempre di più correre, mettermi in gioco e credo di poter fare davvero tanto.

In Olanda Sierra vuol cancellare la delusione iridata. Il percorso sembra adatto a lui
In Olanda Sierra vuol cancellare la delusione iridata. Il percorso sembra adatto a lui
Che esperienza è stata quella di Cali?

Qualcosa di eccezionale, che mi ha segnato nel profondo. Io sono per metà colombiano, lì ho trovato casa. C’erano tanti parenti che sono venuti a vedermi, molti non li conoscevo neanche, in Colombia ero stato da ragazzino. E’ stata un’emozione forte e mi è dispiaciuto che con me non ci fosse mio padre, ma doveva lavorare. Sono contento di averli ripagati con bei risultati anche se volevo fare di più.

Che cosa ti rimproveri?

Nell’individuale a punti ho commesso un solo errore, ma in quei contesti ne basta uno che lo paghi amaramente. Nella madison prima sono caduto, poi con Fiorin siamo tornati in testa alla corsa, ma lui ha forato e a quel punto l’oro è sfuggito. Ho comunque dimostrato quel che so fare e per me vale molto proprio perché ero davanti alla mia famiglia.

Per Juan la trasferta a Cali è stata una tappa importante, non solo per i risultati (foto Instagram)
Per Juan la trasferta a Cali è stata una tappa importante, non solo per i risultati (foto Instagram)
Facevano il tifo per te?

In maniera incredibile, quasi esagerata. Si sentivano solo loro, facevano davvero un tifo indiavolato esattamente come per ogni corridore colombiano. Mi sono davvero sentito a casa.

Al tuo ritorno hai sentito benefici dall’attività su pista?

Inizialmente è stata dura. Ho disputato il Trofeo Buffoni che nel calendario italiano è la gara più lunga e ho pagato la distanza, poi però le cose sono andate sempre meglio. Probabilmente rispetto a Glasgow ho perso qualcosa nelle salite, ma ho guadagnato tanto in esplosività e questo sarà utile per la gara, sicuramente meno dura di quella iridata ma con strappi che sono adatti alle mie caratteristiche.

La volata vincente al Trofeo San Rocco di sabato, battendo Cettolin e Bambagioni (foto Pagni)
Quel mondiale ha favorito contatti per il tuo futuro?

Sì, molte squadre mi hanno fatto proposte, soprattutto team Development del WorldTour, ma io ho scelto il team devo della Tudor. Ho parlato direttamente con Cancellara, mi ha presentato il progetto del team e le ambizioni di entrare nella massima serie, il lavoro che vogliono fare con i giovani. Abbiamo trovato molte affinità, alla fine mi ha convinto e ho firmato nei giorni scorsi. Ora posso affrontare l’europeo con la mente più sgombra.

A Cali un buon bilancio, ma Salvoldi guarda già oltre

06.09.2023
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Se Villa era impegnato alla guida delle ragazze, il settore maschile azzurro ai mondiali su pista juniores di Cali non poteva che avere Dino Salvoldi come referente e la rassegna colombiana ha portato avanti quel lavoro di rifondazione che il tecnico, al suo secondo anno nel nuovo incarico, ha deciso di dare pensando al futuro del settore e di tutto il ciclismo azzurro.

Il bilancio è sicuramente importante, con l’oro del quartetto, due argenti (Giaimi nell’inseguimento individuale e Sierra nella corsa a punti, due bronzi con Stella nell’eliminazione e ancora con Sierra insieme a Fiorin nella madison). Risultati che non hanno sorpreso Salvoldi, soprattutto dopo quanto si era visto agli europei di Anadia, ma di mezzo ci sono stati i mondiali assoluti di Glasgow che hanno fatto un po’ da spartiacque.

Il quartetto azzurro si riconferma iridato con Favero, Fiorin, Grimod e Sierra, battuta in finale la Germania (foto Uci)
Il quartetto azzurro si riconferma iridato con Favero, Fiorin, Grimod e Sierra, battuta in finale la Germania (foto Uci)

«Le prestazioni sono state all’altezza di quel che si era visto precedentemente – sentenzia Salvoldi – in un mondiale molto qualificato, ma mi ha dato ancora di più la conferma di quel che pensavo dopo Glasgow, dove i risultati raccolti non hanno rispecchiato il valore delle prestazioni dei nostri ragazzi. Abbiamo avuto sfortuna in terra scozzese, questo è indubbio».

Una trasferta in Colombia non è mai semplice da assorbire: i ragazzi hanno sofferto?

Eravamo a Cali che è a 1.000 metri di altitudine quindi non ci sono stati soverchi problemi legati all’altezza. Qualcuno ha sofferto il jet lag dopo l’arrivo, ma quel che è pesato di più è stata l’impossibilità di usare la bici da strada durante le gare per defaticare meglio. Questo alla lunga si è fatto sentire.

Per Sierra e Fiorin bronzo nella madison, battuti solo da britannici e belgi (foto Fci)
Per Sierra e Fiorin bronzo nella madison, battuti solo da britannici e belgi (foto Fci)
Anche a Cali alla fine il “front man” è stato Juan David Sierra con tre medaglie tutte di diverso colore. Come lo hai trovato, come ha assorbito la delusione del quarto posto a Glasgow?

E’ stato bravissimo nel “prima” della rassegna – ammonisce Salvoldi – perché ha saputo azzerare tutto e ricominciare, concentrarsi sin dal giorno dopo sull’obiettivo successivo e questo è sintomo di grande maturità. Ci teneva a far bene, oltretutto a Cali ha trovato anche parenti che non aveva avuto modo di conoscere prima e si è trovato come a casa, c’era un tifo notevole per lui e questo mi ha fatto molto piacere. D’altronde dopo Glasgow non è più uno sconosciuto, tutti sapevano chi era e correre nel ruolo di favorito non è facile, ma ha portato a casa altre due medaglie.

La conferma del titolo del quartetto non sembra più neanche una notizia…

Lo notavo anch’io, ormai ci si è abituati troppo bene. Oro e quasi record del mondo, eppure noi sappiamo quanto sudore e quanta fatica ci sono dietro, come un titolo non sia mai scontato. E’ diverso quando corri con tutti gli occhi addosso, con il peso del pronostico, lo scorso anno eravamo più “leggeri”.

Matthew Brennan, oro nell’inseguimento col record mondiale di 3’07″092 e poi bis nella madison e argento nello scratch (foto Uci)
Matthew Brennan, oro nell’inseguimento col record mondiale di 3’07″092 e poi bis nella madison e argento nello scratch (foto Uci)
Rispetto agli europei, la qualità dell’evento com’era?

Molto alta, qui abbiamo trovato anche la compagine russa, sotto l’egida dell’Uci e si è visto subito come gli equilibri fossero cambiati, soprattutto nelle prove di velocità hanno fatto davvero la differenza. Abbiamo capito che a dispetto dell’embargo nei loro confronti, non sono rimasti fermi, hanno continuato a progredire. I ragazzi che hanno fatto bene nelle prove di endurance, come Kazakov terzo nell’individuale a punti dietro Sierra, sono quelli del gruppo di San Pietroburgo che è di stanza in Spagna. Quando rientreranno anche al massimo livello saranno sicuramente da considerare subito più che competitivi.

La stagione però è ben lungi dall’essere conclusa, ora si avvicinano gli europei, ma che cosa cambia rispetto ai mondiali di Glasgow?

Cambia il fatto che i ragazzi sono giocoforza più stanchi – ammette Salvoldi – diventa difficile mantenere alta la tensione soprattutto a livello mentale. Dal ritorno dalla Colombia alcuni si sono ritrovati subito impegnati al Lunigiana, altri hanno ripreso confidenza con la bici da strada in allenamento e nelle altre gare del calendario. Intanto però l’attività su pista, per quel che mi concerne, non è finita…

Per Davide Stella un’altra medaglia dopo Anadia: bronzo nell’eliminazione (foto Uci)
Per Davide Stella un’altra medaglia dopo Anadia: bronzo nell’eliminazione (foto Uci)
Che cosa ti aspetta?

Già a fine mese avremo i test di valutazione per la classe 2007, con tantissimi ragazzi impegnati. Tutti i prospetti provenienti dalla categoria allievi saranno sottoposti a prove per capire la loro predisposizione alla pista. Il settore ogni anno ha bisogno di nuova linfa perché il mondo non si ferma neanche un secondo…

Sierra, un “legno” che fa male. Salvoldi aveva visto giusto

05.08.2023
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GLASGOW – «Mi dispiace – dice Salvoldi – peccato per tutti. Per il movimento e per il ragazzo. Perché quest’anno veramente ho visto uno step e un tentativo di cambio di mentalità, di atteggiamento e di ammodernamento nel ciclismo di questa categoria e sarebbe stato un bel premio per tutti. Ci rimane che abbiamo fatto vedere di non essere comprimari, ma protagonisti. Rispetto all’anno scorso c’è stato un passo in avanti».

Sierra aveva indovinato la fuga giusta. Con Nordhagen e Philipsen erano in 7
Sierra aveva indovinato la fuga giusta. Con Nordhagen e Philipsen erano in 7

Un tecnico vincente

Salvoldi è tecnico vincente. E mentre mastica gli ultimi bocconi del panino che la tensione gli ha impedito di mangiare per tutta la corsa, nei suoi occhi non c’è il dolore per la sconfitta, ma la fiamma della possibile medaglia sfumata per uno stupido salto di catena. Ha vinto il più forte, ammette, ma potevamo giocarcela.

«A me sarebbe bastato che le cose andassero normalmente – dice Salvoldi – non chiedo fortuna, perché non l’ho avuta proprio mai nella mia carriera. Abbiamo perso subito Gualdi e su un percorso del genere una cosa del genere si poteva mettere in preventivo. Dietro anche Bessega ha fatto una grande gara, ma questo episodio capitato a Sierra ci ha privato di una medaglia che guardando in faccia i corridori nel finale, non mi pareva troppo lontana».

Percorso da scoprire

Sierra è rimasto a lungo per terra, ansimando, riprendendo fiato e maledicendo il ciclismo, come capita a chiunque vada in bici e ne abbia rigetto dopo una sconfitta, una fatica eccessiva, una delusione. Ma poi ha sorriso, ha tirato su col naso e si è diretto verso le interviste, sotto lo sguardo attento di Salvoldi.

«Avevamo individuato subito Sierra – spiega Salvoldi – come il più adatto dei nostri per questo tipo di percorso. Che poi onestamente, quando l’ho visto dal vivo per la prima volta, mi è parso subito molto più impegnativo e questo mi ha comunque rasserenato, perché sarebbe diventato un percorso molto adatto anche per Gualdi e Bessega. Però ha vinto il più forte, su questo non c’è nessuna discussione».

Un altro alloro per Philipsen, già europeo di mtb. In Danimarca ha vinto tutti i titoli (linea, crono, cross, mtb)
Un altro alloro per Philipsen, già europeo di mtb. In Danimarca ha vinto tutti i titoli (linea, crono, cross, mtb)

L’incidente meccanico

Sierra, tesserato per la Ciclistica Biringhello, sorride amaro anche adesso. Gli strappiamo un sorriso ricordandogli che nella prima intervista di qualche mese fa, aveva detto di sperare in una maglia azzurra per qualche prova di Nations Cup, mentre oggi è andato a un passo dal giocarsi il mondiale. Dice di aver messo la testa a posto, facendo la vita del corridore. E ovviamente quando si fa tutto bene, il fisico risponde bene e poi il resto lo fanno i sogni e la testa.

«Ho buttato giù la catena – racconta – dal 52 al 36 per fare il pezzo più duro dello strappo e la catena è caduta oltre il 36. Un passante mi ha spinto per riuscire a tirarla su, ma avevo perso quella trentina di secondi che non sono riuscito a recuperare. Sicuramente una medaglia ci scappava, sicuramente non oro, però l’avrei presa. Invece adesso mi ritrovo con la medaglia di legno.

«Mi sentivo a mio agio su questo percorso, volevo fare molto bene. Ovviamente la maglia iridata è sempre qualcosa di difficile, anche da sognare, però io ci credevo quando sono andato in fuga con i due più forti, Nordhagen e Storm. Da là ho cominciato a crederci un pochino, poi Philipsen è scattato e il suo compagno ha fatto il buco. Io ero appena dietro, non è scattato violentemente, però ha preso quei 5 metri che non sono riuscito a chiudere. Forse aveva una marcia in più e complimenti a Philipsen, ma qui si fatica a inseguire. Nelle curve non guadagni niente, negli strappi non guadagni niente, quindi diventa molto difficile».

Un altro talento danese

Philipsen spingeva come un diavolo, ma quando arriva al tavolo della conferenza stampa, ha la faccia di un ragazzino. Tutti biondi al tavolo del podio: un danese, un tedesco e un norvegese. Il ciclismo dei giovani si va spostando sempre più a Nord, la scuola di lassù evidentemente funziona bene. Il vincitore è un altro figlio della multidisciplina, avendo già vinto un europeo di mountain bike.

«E’ stata una corsa molto intensa – spiega – su un percorso bello, ma difficile. Sono andato in fuga presto, perché lo avevamo pianificato con la squadra da ieri sera per aprire la corsa. Al penultimo giro ho fatto un attacco sulla salita più dura e sono rimasto solo al comando. A quel punto si trattava di spingere e rilanciare, andando nei rilanci sempre al massimo della potenza. Solo quando ha piovuto, è diventato tutto molto più difficile.

«E’ stato pazzesco con tutti i fan sul percorso, ho avuto un grande supporto da amici e tifosi. Tutte le discipline che faccio hanno delle particolarità, difficile scegliere quale sia la più bella. Ma di sicuro il fatto di correre sempre davanti mi viene proprio dalla mountain bike e dalla minore esperienza che ho nello stare in gruppo. Le poche volte che sono caduto, ero nelle retrovie. Per cui se mi dicono di attaccare presto, io attacco. Solo poi mi volto a vedere come è andata».

Dall’Olanda arriva un Giaimi carico a mille

04.08.2023
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Nelle sue scelte per i mondiali, Salvoldi è stato fedele alla linea che si era dato: una squadra costruita nei mesi precedenti, in parte già rodata anche dall’attività della pista. Luca Giaimi viene da un europeo di categoria al velodromo di Anadia addirittura eccezionale, con due titoli (inseguimento individuale e a squadre) conditi da due record mondiali, ma poi ha tirato dritto e nella prova generale della gara iridata, coincisa con la Watersley Junior Challenge in Olanda (prova della Nations Cup) ha chiuso alla grande con una vittoria di tappa.

Si sente dalla voce che Giaimi, da poco arrivato in Scozia, è già carico a mille. Il successo in terra olandese lo ha caricato, quelli portoghesi sembrano già appartenenti a un’altra epoca per far capire come ormai sia mentalizzato sulla strada.

Lo scatto vincente dell’iridato su pista. Il gruppo rimane a 3″. La corsa è stata vinta da Chamberlain (AUS)
Lo scatto vincente dell’iridato su pista. Il gruppo rimane a 3″. La corsa è stata vinta da Chamberlain (AUS)

«E’ stata una gara dura, quella olandese. Il primo giorno una cronometro nella quale non siamo andati benissimo, anche perché il tempo era brutto e sinceramente non ce la sentivamo di rischiare oltremodo sapendo quel che ci aspetta. Il secondo giorno tappa difficile per il meteo, con tanta pioggia e vento, il terzo frazione ondulata che conoscevamo bene per averla affrontata lo scorso anno, con qualche sprazzo di sole e nel complesso un ottimo lavoro di tutta la squadra. Io ho solo capitalizzato».

L’impressione è che Glasgow sarà il culmine di un lavoro iniziato mesi fa…

E’ così, in gara saremo solo in cinque, ragazzi che durante tutto l’anno corrono per i rispettivi team, ma devo dire che si è formato un gruppo davvero unito, forte, che lavora come un sol uomo. In Olanda è stato così e questo permette di mettere in pratica anche strategie complesse, ma che alla fine funzionano. Lì poi non eravamo solo noi che facevamo le prove generali, c’erano davvero tutti i favoriti per domani.

Il podio con Giaimi e Sierra, secondo il francese Grisel, tra i grandi favoriti a Glasgow
Il podio con Giaimi e Sierra, secondo il francese Grisel, tra i grandi favoriti a Glasgow
Fra loro chi ti ha impressionato di più?

Io vedo favorito il francese Grisel, perché da quel che so è il più adatto al percorso e ha dimostrato di essere davvero in forma. Poi c’è Nordhagen, il norvegese che è stato protagonista per tutta la stagione ma attenzione anche all’americano August, si è ritirato nella terza tappa ma l’ho visto andare molto forte. Come squadre secondo me Francia e Danimarca sono le più forti, ma noi non siamo distanti, anzi…

I risultati dicono che avete raggiunto la forma al momento giusto…

Arriviamo con la gamba giusta, come detto è la summa di un lavoro iniziato mesi fa con tante gare ma anche ritiri, che noi, io e Sierra nello specifico, abbiamo condiviso anche su pista. Salvoldi vuole un gruppo unito, che lavori bene e soprattutto che non sia passivo, che sappia rendere la corsa dura. Nella seconda e terza tappa in Olanda entravamo sempre nelle fughe, nella frazione finale abbiamo provato più volte finché io a 450 metri dal traguardo ho fatto la mia sparata senza che nessuno rispondesse. Ma intanto dietro anche gli altri erano pronti e hanno lavorato, non solo per favorire me ma anche Sierra per la volata del gruppo, infatti ha chiuso terzo assoluto.

Il gruppo azzurro in Olanda, riconfermato per la gara iridata. Giaimi farà anche la cronometro
Il gruppo azzurro in Olanda, riconfermato per la gara iridata. Giaimi farà anche la cronometro
Tu venivi da una trasferta portoghese che migliore non poteva essere…

La cosa che mi piace di più è che lo spirito che si respira su pista, corroborato da tante vittorie, ora c’è anche su strada. Io dopo il Portogallo ho leggermente staccato, poi ho fatto 10 giorni a Livigno passando così dalla pista alla strada. Anadia mi aveva dato tanta forza e capacità di reggere il fuorigiri, lavorando in altura ho tradotto queste caratteristiche anche sulla resistenza necessaria per la strada.

Anche tu come Salvoldi punti molto sul discorso del gruppo…

Siamo un gruppo di amici prima ancora che compagni di nazionale e questo non capita spesso proprio perché normalmente siamo avversari nelle gare, com’è giusto che sia. Io ero nel gruppo azzurro anche lo scorso anno, ma si vede che c’è stato un cambio di passo, si vede qualcosa di diverso.

Giaimi con Sierra, i due saranno deputati a controllare le fughe e magari scatenarle…
Giaimi, insieme a Sierra, sarà deputato a controllare le fughe e magari scatenarle…
Questo si traduce anche in nuove strategie? La sensazione è che non ci sia un capitano, un finalizzatore già designato.

E’ la corsa che deciderà la tattica da adottare. Ci siamo io e Sierra che, venendo dalla pista, abbiamo l’esplosività, possiamo spingere in pianura e creare scompiglio. Cettolin è l’eventuale uomo per la volata, poi Gualdi e Bessega hanno dimostrato che in caso di corsa dura sono gli uomini giusti per entrare nelle fughe. Ci adatteremo al tipo di corsa che verrà fuori, l’importante è non viverla passivamente, ma stando sempre attenti a quel che succede.

In Olanda avete già parlato della tattica iridata?

Sì, attendiamo ora di vedere il percorso per affinare il tutto. Salvoldi però ci raccomanda sempre di non prendere ogni segnale precedente per oro colato: in un giorno importante come quello di domani ci potrà essere chi ha la gamba giusta per fare l’impresa e magari è chi non ti aspetti, come anche chi ha la giornata storta. E’ la strada che dà i suoi verdetti, l’importante è saper cogliere ogni dettaglio, correndo con la testa prima ancora che con le gambe.

Bottino pieno su pista, il metodo Salvoldi funziona

20.07.2023
5 min
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Un bottino di 22 medaglie, con conquista del medagliere (che sta diventando una piacevole abitudine per lo sport italiano) e l’aggiunta di 4 record del mondo. Questo è l’eccezionale bilancio azzurro agli europei juniores e under 23 su pista ospitati nuovamente ad Anadia (POR). E’ l’esaltazione del lavoro di Dino Salvoldi con gli juniores, che dopo un anno di presa di contatto con un mondo per lui totalmente nuovo raccoglie grandi risultati e soprattutto inizia a vedere i frutti del suo metodo, quello che ha fatto grande il ciclismo femminile azzurro.

Quando gli riportiamo i dovuti complimenti, Salvoldi risponde con un «è stata solo fortuna» che non è solo una frase di circostanza e modestia. Qualcuno digrigna i denti di fronte alle attestazioni di stima nei suoi confronti, ma ci sono dati inoppugnabili che dimostrano come il tecnico azzurro in pochi mesi stia ridisegnando la base del ciclismo italiano. Forse tracciando la strada giusta per provare a uscire dalla crisi.

Luca Giaimi trionfatore nell’inseguimento a suon di record mondiale, 3’07″596
Luca Giaimi trionfatore nell’inseguimento a suon di record mondiale, 3’07″596

«Quando si lavora con gli juniores – ammonisce Salvoldi – bisogna tenere conto del fatto che ogni annata è diversa dalle altre, capitano quelle con tanti talenti e quelle con meno. Al di là di vittorie e medaglie, a me piace il fatto che siamo andati bene in ogni prova: in quelle che seguo direttamente, 8, ne abbiamo vinte 7 e fatto secondo nell’altra, significa che abbiamo un futuro. Avevamo ottenuto molto anche lo scorso anno e so che proseguendo su questa strada otterremo molto anche nelle edizioni a venire».

Una simile superiorità ti ha sorpreso?

Sinceramente no, perché venivamo dall’ottima base dello scorso anno. Pur non conoscendo il valore degli avversari, sapevo che avevamo grandi possibilità e soprattutto una straordinaria compattezza di squadra. Siamo forti dappertutto e questa è una novità per il movimento.

La cosa che colpisce è che i nomi che emergono sono praticamente gli stessi che fanno attività ai massimi livelli su strada…

Quando ho preso l’incarico, ho detto subito che volevo accorpare tutta la categoria strada/pista endurance in un unico gruppo. Solo così si può programmare a livello nazionale e internazionale. I risultati creano prospettive e interesse, si mette in moto un meccanismo virtuoso che porterà lontano.

L’impressione però è che tu stia portando avanti un po’ lo stesso criterio di lavoro che applicavi fra le donne elite: quali sono gli elementi in comune e quali le differenze?

Il metodo effettivamente è molto simile considerando la doppia attività, ma la differenza principale sta nel fatto che prima avevo rapporti direttamente con le atlete e quindi con i team, qui si lavora all’incontrario. Per me è stato fondamentale lo scorso anno, prendere contatto con oltre 70 squadre, conoscere dirigenti e tecnici perché è con loro che mi rapporto. Ho trovato gente molto competente, che si aggiorna continuamente. I risultati non verrebbero senza il loro apporto, è come se tutto il movimento stia diventando un grande gruppo.

Il progresso cronometrico del quartetto ti ha sorpreso? Al record mondiale sono stati tolti più secondi…

Tre dei quattro ragazzi li avevo già lo scorso anno, ho visto qual è stata la loro crescita. Posso dire che siamo partiti per Anadia con quest’idea in testa, sapendo che i mondiali di fine agosto saranno in altura e su pista semiscoperta. L’occasione giusta era questa. I ragazzi volevano fortemente il record, a Montichiari era maturata la convinzione di poter fare un gran tempo. In finale poi, con la componente gara, è arrivato un tempo che, sono sincero, è anche oltre le mie previsioni.

Considerando le modalità del tuo lavoro, c’è da aspettarsi che alcuni di questi ragazzi saranno in gara anche nella prova in linea di Glasgow…

Non posso ancora fare i nomi, ma almeno un paio ci saranno. Anche altri che saranno nella selezione hanno lavorato su pista durante l’anno, praticamente solo il campione d’Italia Gualdi non svolge attività al velodromo. All’estero d’altronde fanno lo stesso: in Gran Bretagna il cittì è unico e porterà molti corridori presenti ad Anadia, lo stesso la Germania e la Danimarca, per fare degli esempi.

Sierra e Fiorin hanno sugellato la rassegna vincendo la madison junior
Sierra e Fiorin hanno sugellato la rassegna vincendo la madison junior
A proposito di mondiali, pensi che le sfide di fine agosto in Colombia saranno dello stesso livello?

Difficile a dirsi, cambiano molti fattori. Il livello delle gare portoghesi è stato molto alto e la trasferta in Colombia è molto costosa, non ci saranno tutti. Troveremo meno concorrenza a livello numerico e non so quale sarà il livello. D’altro canto anche noi partiremo dopo 40 giorni dalle gare di Anadia con Glasgow nel mezzo. Non sarà semplice ripetersi, dovremo essere bravi a gestire lo stress psicofisico.

Glasgow è dietro l’angolo, che cosa ti aspetti?

La gara iridata avrà infinite variabili e fare un pronostico è impossibile. Di una cosa sono però sicuro: avremo una squadra forte e saremo protagonisti, quanto ai risultati sono scritti nel futuro…

Un milanese di sangue colombiano. E’ Juan David Sierra

30.03.2023
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Il nome tradisce le origini colombiane, ma basta sentirlo parlare per accorgersi che Juan David Sierra è un milanese purosangue. Già da tempo nel mirino di team affermati che puntano sulle sue qualità veloci e se lo contendono per inserirlo nei propri team Devo, il portacolori della Ciclistica Biringhello è salito alla ribalta nel fine settimana, quando in una giornata tipica del Nord tra freddo e pioggia ha conquistato un importante settimo posto alla Gand-Wevelgem per juniores.

La cosa curiosa è che la sua passione ciclistica non ha nulla a che fare con le origini del padre: «Lui è arrivato qui a 18 anni, perché mia nonna aveva trovato lavoro, ma non era appassionato di ciclismo. Praticamente sono stato io a coinvolgerlo, ora segue tutte le mie gare ed è il mio primo tifoso».

Juan David con suo padre Alberto, arrivato dalla Colombia a 18 anni e suo primo tifoso
Juan David con suo padre Alberto, arrivato dalla Colombia a 18 anni e suo primo tifoso
Se in famiglia non c’era questa spinta verso il ciclismo, come è sbocciata questa passione?

Non è che la bici non facesse parte della nostra vita, solo che non prevedeva le gare. I miei genitori amavano invece le uscite escursionistiche e hanno coinvolto tutta la famiglia. A me piacevano moltissimo, poi ho deciso di provare qualcosa di diverso: facevo calcio ma non mi piaceva. Allora chiesi a mio padre di farmi correre con la società del posto, la Ciclistica Biringhello perché hanno una pista a Rho e pedalare su pista mi piaceva moltissimo. La mia prima gara l’ho fatta da G2 e non è neanche andata bene…

Sei stato subito un vincente?

Assolutamente no, penso di aver vinto una sola corsa da ragazzino. Mi piaceva però far fatica, lottare per arrivare davanti e questo non è mai venuto meno. E’ qualcosa che non so neanche spiegare, quel senso di appagamento dopo un allenamento o una gara sono insostituibili.

Juan David Sierra è nato il 25 gennaio 2005 a Rho (MI). Alla Gand ha chiuso 7° a 1’09” dal vincitore De Schuyteneer (BEL)
Juan David Sierra è nato il 25 gennaio 2005 a Rho (MI). Alla Gand ha chiuso 7° a 1’09” dal vincitore De Schuyteneer (BEL)
Che caratteristiche hai?

Sono un corridore veloce, vado bene sul passo e in salita diciamo che mi difendo, ma posso migliorare. La gara di Gand era ideale per me, piatta con pochi strappi, poi non avevo mai corso al Nord e men che meno sul terreno sconnesso, mi sono divertito tantissimo e non vedo l’ora di tornarci.

Eri partito con l’idea di fare risultato?

No, l’obiettivo era arrivare alla volata, ma in quel caso si sarebbe lavorato per altri. Non ero io la punta – ammette Sierra – anche se sono veloce. La corsa però si è messa altrimenti: io ho cercato di rimanere sempre davanti, poi il gruppo si è spezzato a una settantina di chilometri dal traguardo. Mi è spiaciuto perdere un centinaio di metri proprio alla sommità del Kemmelberg, se riuscivo a tenere il risultato sarebbe stato ancora più importante.

Il milanese è già stato azzurro lo scorso anno al Trophée Centre Morbihan
Il milanese è già stato azzurro lo scorso anno al Trophée Centre Morbihan
Tra le gare italiane ce n’è una che ti è rimasta nel cuore?

Non è una vittoria. Mi sono davvero divertito lo scorso anno a Roma, al GP Liberazione finito al 10° posto. Quella gara è particolare, corta ma nervosa, non ti puoi rilassare neanche un metro. Ci torno quest’anno per cercare di fare ancora meglio, è uno dei miei obiettivi di questa stagione.

E gli altri?

Non mi dispiacerebbe mantenere un buon livello, tale da guadagnarmi qualche altra chance per vestire la maglia azzurra. Per me è un grande onore, sento molto la responsabilità e vorrei ripetere l’esperienza quanto prima. Spero di riuscire a essere selezionato, magari per qualche prova a tappe della Nations Cup come lo scorso anno.

Tu sei al secondo anno da junior, si avvicina il momento del cambio di categorie e quindi di squadra…

Non mi pongo molto il problema, d’altronde passa tutto attraverso i risultati, quindi devo pensare a correre. Poi devo pensare anche alla scuola. Quest’anno ho cambiato indirizzo, sono all’Istituto Professionale Elettricisti e l’anno prossimo avrò gli esami, questo influirà un po’ sulle mie scelte. Ma ho tempo per pensarci.

Tante le vittorie nelle categorie giovanili. Qui al Lombardia per allievi
Tante le vittorie nelle categorie giovanili. Qui al Lombardia per allievi
Andresti all’estero?

Di corsa! Intanto per migliorare il mio inglese considerando che di partenza sono bilingue italiano-spagnolo, poi perché ritengo sia un passo fondamentale se si vuole fare davvero questo mestiere. In Italia c’è una mentalità ancora troppo chiusa. Un’esperienza all’estero sicuramente mi darebbe molti altri spunti per continuare nella mia attività.

Considerate le tue caratteristiche, quali pensi siano le prove dove puoi emergere e per le quali un team dovrebbe sceglierti?

Sono un passista veloce, capace di emergere sia nelle gare d’un giorno, sia nelle corse a tappe come cacciatore di traguardi. Certo – conclude Sierra – dove c’è tanta salita sono ancora un po’ acerbo ma spero di migliorare.