La sfida di Welsford e il ciclismo trasversale della DSM

03.07.2023
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Sam Welsford ha bruciato le tappe. Dopo le vittorie alla Vuelta a San Juan, i suoi allenatori avevano drizzato le orecchie, anche se nelle parole di Roy Curvers che lo prepara, l’entusiasmo era pari alla cautela. Poi i lavori sono andati avanti. L’australiano (in apertura nella foto di Patrick Brunt) ha vinto il GP Criquielion e ottenuto il podio in tutte le classiche per velocisti. A quel punto il piano è cambiato e il pistard dell’australiana Subiaco, 1,80 per 79 chili, è stato schierato al Tour de France.

A Bilbao, la presentazione del Team DSM-Firmenich ai piedi del Guggenheim Museum
A Bilbao, la presentazione del Team DSM-Firmenich ai piedi del Guggenheim Museum

La sorpresa Tour

Il problema di partenza è che fino al 2021, Welsford era “solo” un pistard, con due medaglie olimpiche, quattro titoli mondiali fra quartetto e scratch e due ori ai Giochi del Commonwealth. Quando però il Team DSM gli ha proposto di passare su strada, lui ha accettato di buon grado. Prima stagione su strada nel 2022, con 56 giorni di corsa, una vittoria e qualche piazzamento. Seconda stagione quest’anno, con risultati ben più solidi.

«Quello che è successo dalle prime corse dell’anno – racconta in una videochiamata – è stato folle, se ci penso, imprevedibile. In poco tempo mi sono state offerte molte opportunità come top sprinter e per me continuare a questo livello è stato molto utile. Il Tour è stato una sorpresa. A un certo punto, in primavera, il team mi ha detto che poteva essere un’opzione, che saremmo potuti andare con una squadra per le volate e io potevo essere il velocista. Fino a quel momento avevamo lavorato con grande continuità per costruire un treno. Lo abbiamo dimostrato durante la primavera anche nelle classiche. Abbiamo avuto davvero un buon inizio di stagione con una buona consistenza. E questo è uno dei motivi per cui sono stato selezionato».

Dopo le vittorie alla Vuelta a San Juan, a marzo per Welsford arriva il GP Criquielion
Dopo le vittorie alla Vuelta a San Juan, a marzo per Welsford arriva il GP Criquielion
Che cosa intendi?

E’ cambiato parecchio. Probabilmente c’entra anche il modo in cui abbiamo lavorato, la preparazione è un fattore importante. Ma penso soprattutto al fatto che abbiamo lavorato costantemente come squadra per gli sprint, con dei livelli molto alti di comunicazione. E’ importante riuscire a stare insieme e lavorare nella stessa direzione. Riuscire a essere costantemente sul podio non è facile. In questi mesi abbiamo visto molti vincitori diversi, essere sempre lì ad alto livello non è semplice ed è un buon segno di come stiamo lavorando e di come sto crescendo.

Avrai un treno qui al Tour?

Sì, avrò al mio fianco John Degenkolb, Nils Eekoff e Alex Edmondson come ultimi tre uomini per lanciare la volata. Sono ragazzi davvero incredibili per il lavoro che sanno fare. John è nel giro da molti anni, quindi è davvero bello avere la sua regia e l’esperienza come velocista e come ultimo uomo. Sono davvero contento di questi ragazzi. Hanno fatto molte ore di lavoro con me durante tutto l’anno, specialmente con Alex, che ha sempre fatto parte del mio treno.

Il cambio di sponsor, con l’unione fra DSM e Firmenich (gigante di nutrizione e profumeria) ha dato nuova linfa al team
Il cambio di sponsor, con l’unione fra DSM e Firmenich (gigante di nutrizione e profumeria) ha dato nuova linfa al team
Gli uomini di classifica daranno una mano?

Anche loro possono fare un ottimo lavoro. In alcune occasioni, anche Bardet ha tirato tantissimo. Non vedo davvero l’ora di capire cosa potrà fare e lo stesso vale per Kevin Vermarke. Lui ha fatto parte del mio treno già da San Juan. Si muoveva bene negli ultimi 500 metri pur essendo uno scalatore per la classifica generale. E’ la conferma della bella cultura di questo team. Possiamo avere aiuto reciproco fra gli uomini di classifica e quelli dello sprint, per arrivare al successo su entrambi i fronti.

Quindi tu aiuterai gli scalatori nelle tappe di montagna?

E’ un lavoro che va nelle due direzioni. Cercheremo di aiutarli nelle tappe di montagna. Possiamo guidarli bene attraverso il gruppo perché prendano davanti le salite e poi possano svolgere il loro lavoro.

Hai già studiato i finali delle tappe veloci?

In questo ciclismo, devi studiare i finali metro per metro. L’abbiamo fatto con VeloViewer e poi con il libro della corsa. Bisogna studiare il modo migliore per interpretarli, perché non hai modo di vederli, non è come fare giri di un circuito. Hai una sola occasione, quindi devi essere sicuro di quale lato della strada prenderai, quando inizierai a risalire il gruppo, quando pensi che si aprirà. Servono tempismo ed esperienza per gestire situazioni in cui si va a 65-70 all’ora. Non c’è molto tempo per prendere decisioni, quindi più pianifichi nei giorni precedenti e meglio sarai preparato per fare le scelte giuste.

Hai già vissuto vigilie importanti, qual è stato il tuo approccio col Tour de France?

Ho vissuto molti grandi eventi in pista e penso che si debba trattarli tutti allo stesso modo. Il Tour probabilmente è la gara più importante dell’anno, ma ci sono gli stessi corridori di ogni giorno. E’ sempre lo stesso terreno, ma non lo stesso livello, perché qui ogni cosa è pazzesca. Ci sono 160 corridori tutti al top e questo aggiunge un altro elemento di tensione. Per questo è importante affrontarlo giorno per giorno. Se cominci a guardare troppo avanti e pensi che avrai un solo sprint nei prossimi 10 giorni, rischi di farti coinvolgere dall’importanza dell’evento. Se invece ragioni di tappa in tappa, ogni giorno cercherai il modo per passare il traguardo nel miglior modo possibile.

Con Philipsen e Cavendish sul podio della Scheldeprijs: «Mark è un rivale, voglio batterlo. Ma tifo perché superi il record di Merckx»
Con Philipsen e Cavendish alla Scheldeprijs: «Mark è un rivale, voglio batterlo. Ma tifo perché superi il record»
Guardavi il Tour quando eri piccolo?

Era ed è ancora la gara che sognavo di fare. La guardavo da bambino e ricordo di aver ammirato Cavendish e Mark Renshaw quando correvano e vincevano insieme. Dicevo sempre che un giorno avrei voluto esserci e vincere anche io, ma nel tempo mi sono reso conto di quanto fosse difficile arrivarci.

Ci sei riuscito nell’anno in cui Cavendish proverà a battere il record di Merckx con la regia di Renshaw…

Sono un suo tifoso, vorrei davvero che ci riuscisse. Sarà fantastico per lo sport e per lui. E’ il suo ultimo anno, la gente vuole che lui faccia il record e sono davvero curioso ed eccitato per la possibilità che ci riesca. Allo stesso tempo, Mark è un rivale e farò di tutto per batterlo. Così, se non dovessi vincere io, sarei contento che ci riuscisse lui. Penso sia stato il miglior sprinter di tutti i tempi, quindi essere al suo fianco in quest’ultimo Tour sarà un onore.

La rinascita di Degenkolb in una Roubaix maledetta

15.04.2023
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Subito dopo la fine della Parigi-Roubaix, John Degenkolb si è eclissato. Al team ha fatto sapere che avrebbe trascorso un periodo a casa per recuperare dalle fatiche delle classiche, ma soprattutto per smaltire l’immensa delusione di un sogno svanito certamente non per colpa sua. Sarebbe stato davvero un colpo a sensazione, il suo nuovo successo nel velodromo, a 8 anni di distanza. Nel “suo” velodromo, perché quella è un po’ diventata la sua corsa e non è un caso se proprio su quelle pietre è avvenuta la sua resurrezione, tanto da fargli attribuire, da qualche appassionato sui social, il soprannome di “immortale”.

Tanto è successo rispetto a quella vittoria di 8 anni fa. Curiosamente, anche lui era riuscito nella clamorosa doppietta Sanremo-Roubaix, solo altri due l’avevano centrata (il belga Van Hauwaert prima della Grande Guerra e Sean Kelly nel 1986) prima di lui, Van Der Poel lo avrebbe eguagliato proprio in quest’occasione, ma dopo essere stato causa (involontaria?) dell’infrangersi delle sue aspirazioni.

Il Grande Slam delle volate

Prima di quella Pasqua di “quasi” resurrezione, Degenkolb era quasi un desaparecido. Per capire bene la portata di quel che stava facendo, bisogna ripercorrere per sommi capi la sua carriera. Nel 2015 aveva completato una sorta di Grande Slam delle classiche adatte ai velocisti, aggiudicandosi nello spazio di 3 stagioni la Cyclassic di Amburgo, la Parigi-Tours e le due Monumento già citate. Nel gennaio 2016 però tutto sembrava cancellato a fronte di un terribile incidente.

Alicante, allenamento in gruppo per il suo team. Un automobilista britannico dimentica completamente che, rispetto alle sue usanze, in Spagna si guida al contrario, quindi si butta colpevolmente a sinistra. Prende il gruppo in pieno, i corridori saltano in aria come birilli.

«Istintivamente siamo andati a sinistra – racconterà qualche tempo più tardi Degenkolb – ma sarebbe stato meglio dall’altra parte. Quando mi sono ripreso dopo qualche attimo ho vissuto il terrore, quello vero: la mano era sformata, con le dita in posizione innaturale, ma questo era il meno, neanche sentivo dolore.

Il vincitore 2015 ha spesso preso l’iniziativa, sui tratti che meglio conosce
Il vincitore 2015 ha spesso preso l’iniziativa, sui tratti che meglio conosce

Il giorno del terrore

«Vedevo i miei compagni esanimi a terra, come manichini gettati via. Ho urlato i loro nomi, ho chiesto aiuto, ho provato ad alzarmi per prestare loro soccorso. I danni fisici non erano così gravi, ma quegli attimi hanno fatto parte delle mie notti per tanto, tanto tempo».

Già, così gravi. John non ha più recuperato la piena manualità e anche per questo ciò che stava facendo verso il velodromo era qualcosa di clamoroso, di storico. Da quel giorno la ripresa è stata lenta, qualche vittoria è arrivata, ma certamente non all’altezza di quel che poteva essere e non è stato. Dentro di sé, il Degenkolb ciclista non era cambiato, la mentalità da campione era sempre lì, ma il fisico non rispondeva. Fino a domenica 9 aprile.

Provarci, sempre e comunque

In corsa, il tedesco si è presto ritrovato a combattere con VDP e Van Aert, Ganna e Pedersen, insomma con quella ristretta pattuglia di favoriti della vigilia. E lui, da vecchio vincitore della corsa, c’era. Stava mettendo in pratica un assioma che ha sempre fatto parte della sua vita: «Ho capito molto presto che se c’è una possibilità di vincere qualcosa, devi provarci. Anche se non ti senti bene, anche se pensi di non avere buone gambe perché se credi questo hai già perso. Non puoi farti scappare l’occasione quando capita, se anche solo dentro di te accampi scuse, hai già perso. Io non sono così…».

Una forza d’animo figlia delle sue radici, da uomo della Germania Est trapiantato in Baviera a 4 anni dove il padre aveva trovato lavoro per evadere da un’esistenza economicamente difficile. Seguendo la passione del padre aveva cominciato a pedalare, poi finita la scuola prese la decisione di entrare in polizia: «Così avrei potuto gareggiare con una base d’istruzione e la sicurezza di avere un piano B se le cose non fossero andate bene. Posso rientrare quando voglio, con una famiglia alle spalle mi sento più sicuro sapendolo, anche se non avverrà».

Van Der Poel e Philipsen si scusano con il tedesco, accasciato a terra in preda a dolore e delusione
Van Der Poel e Philipsen si scusano con il tedesco, accasciato a terra in preda a dolore e delusione

Un settore a lui dedicato

Torniamo all’ultima Roubaix. Degenkolb non era in quel pregiato manipolo di campioni per caso. Poco importa quel che era avvenuto prima, non solo quest’anno. Su quelle strade il tedesco del Team DSM si sente a casa. Non è neanche un caso se nel settore 17, quello di Hoarming à Wandignies, John si è messo a tirare mettendo alla frusta i rivali: quel tratto è dedicato proprio a lui, porta il suo nome, da quando si è messo in testa di salvare la Parigi-Roubaix juniores che rischiava di sparire per mancanza di fondi. Ha speso il suo nome raccogliendo somme importanti, permettendo a molti giovani di vivere la sua esperienza. L’Aso non ha dimenticato.

Difficile dire se ce l’avrebbe fatta. Non lo sapremo mai. Forse, in un universo parallelo, Degenkolb ha evitato quel gomito di Van Der Poel che, seguendo il compagno di squadra Philipsen costretto a uno scarto improvviso, lo ha spinto a terra, forse ha anche vinto. Ma non qui, non in questa realtà. Questa lo ha visto chiudere settimo e accasciarsi sull’erba del velodromo, sentendo improvvisamente tutto il dolore della caduta sulla clavicola, con i due dell’Alpecin che si chinavano per chiedergli scusa, consci del male che gli avevano fatto, anche solo involontariamente.

Lontano, nel suo rifugio

C’era anche Laura, in quel velodromo. Sua moglie da tanti anni: «La famiglia è il mio rifugio, ha cambiato completamente la prospettiva con cui vivo il mio lavoro. Importante sì, ma non è tutto». Insieme si sono avviati verso casa, a Oberunsel, nord-ovest di Francoforte, staccando ogni contatto anche virtuale con il mondo. Per ritrovare il suo equilibrio. Per far pace con quel sogno infranto, di quel che poteva essere e non è stato (e non per colpa sua…).

Degenkolb muratore per rivincere sul pavé

15.01.2021
4 min
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John Degenkolb è così concentrato sulla Roubaix, che quando gli chiedono se ci sarà differenza nel correrla senza pubblico, ci pensa un attimo e poi dice che «soprattutto nel Carrefour de l’Arbre, il pubblico di solito protegge i corridori dal vento trasversale e questo potrebbe essere un problema». Poi si sveglia dal trance agonistico e aggiunge che correre senza l’odore delle patatine e il baccano della gente sarà sicuramente una cosa diversa.

Da Javea a Roubaix

Il ritiro della Lotto Soudal a Javea (Spagna) procede regolarmente, con i corridori divisi in gruppi di otto, cercando di tirare fuori il meglio da una situazione scomoda anche logisticamente. E visto che questo è il giorno di Degenkolb, ne abbiamo approfittato per fargli un po’ di domande, riallacciando il filo dal tremendo incidente del 2016, quando un’auto piombò sui corridori proprio nel ritiro spagnolo dell’allora Giant-Alpecin e il tedesco ne uscì con una lesione permanente all’indice della mano sinistra, che negli anni a seguire gli ha complicato la vita all’inverosimile.

Sempre bel tempo a Javea, ma è capitato anche di dover fare i rulli
A Javea è capitato anche di dover fare i rulli

«Forse per questo amo tanto quel velodromo – dice – perché nel 2015 avevo vinto la Roubaix. Nel 2016 ho avuto l’incidente e sono entrato davvero in un brutto tunnel. E alla fine la luce è venuta nella forma della tappa di Roubaix del Tour, un traguardo che inseguivo da una vita ed è arrivato in quel velodromo. Per me ha significato tanto. Era la mia corsa preferita, ma dopo tutto quello che è successo, Roubaix è anche il mio luogo preferito».

Il 2020 doveva ripartire dal Tour, invece primo giorno, caduta e addio…

La caduta di Nizza è stata una brutta esperienza. Negli altri anni mi era capitato di vedere corridori che andavano a casa così presto, ma non avrei mai creduto che toccasse a me. Seduto in aeroporto quel giorno, avevo una grandissima frustrazione. Una sensazione orribile lasciare la squadra, senza poterli aiutare. In due giorni, abbiamo perso anche Gilbert. Speravo di recuperare e ho fatto di tutto per tornare. La tappa vinta al Lussemburgo mi ha ridato fiducia.

Con quale spirito riparti?

Sarà importante andare alla partenza delle corse. Non solo per i corridori, anche per voi giornalisti. Tutti quelli che seguono il ciclismo vogliono ripartire e tutte le gare saranno speciali. Nel 2020 avevano la sensazione che ogni occasione potesse essere l’ultima, così davamo il 110 per cento e il livello è stato altissimo.

Aver chiuso così tardi ha cambiato la tua preparazione invernale?

La cosa che più è cambiata è stata che, tornato a casa, anziché stendermi da qualche parte a non fare niente, ho aiutato nei lavori di casa. Ero in cortile a preparare i mattoni. Mentalmente mi è servito davvero per staccare, perché mi sono divertito a costruire qualcosa per me e la mia famiglia. E quando sono salito sulla bici, il fatto di essermi tenuto in attività mi ha fatto sentire bene.

Degenkolb e Gilbert sono tra le punte di diamante della Lotto Soudal
Degenkolb e Gilbert punte di diamante Lotto Soudal
Parli di Roubaix e bisogna per forza tirare in ballo Van der Poel e Van Aert…

Dovrò provare a batterli e non sarà facile. Sembra che si dividano le corse, ma sono battibili. Il segreto sarà non cercare il testa a testa, perché hanno un grande livello, ma giocare con l’esperienza e la tattica. E ho fiducia che si potrà fare un grande risultato. Non ho paura di correre contro tutti questi ragazzini. Il tempo corre in fretta. Sono stato giovane anche io 10 anni fa e so che le prime vittorie sono sempre difficili da replicare. Non credo che il mio tempo sia finito, insomma, bisogna provare ogni volta, perché ogni volta è diversa.

Cambia qualcosa a tuo vantaggio il fatto che si arrivi in velodromo?

Cambia molto, è più complicato e devi stare freddo. C’è un video della mia Roubaix in cui per ridere mettono in evidenza quante volte mi volto per vedere se arriva qualcuno. Mi sono girato per almeno 20 volte. In pista puoi essere il più forte, ma se sbagli, hai perso la corsa.

Eppure Caleb Ewan, che è pure giovane, dice che finché ci saranno quei due in circolazione, per lui la Sanremo sarà interdetta…

Ma io non sono Caleb Ewan e non sono un velocista. Sono un uomo da classiche molto veloce e alla Sanremo niente è impossibile. Ci sono almeno 15 scenari diversi ed è il motivo per cui mi piace tanto. Abbiamo il sole oppure il vento. L’ho vinta, so di cosa parlo. Anche per quel giorno ho grandi ambizioni e grandi ricordi.