Volpi si fa in quattro (tra Giappone e Italia) per il JCL Team UKYO

20.02.2024
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Il team JCL UKYO ha iniziato la sua stagione, viaggiando e correndo in giro per il mondo. La continental nipponica, che da quest’anno vede una grande matrice italiana e un progetto di crescita ben delineato, ha trovato la sua dimensione. La vita di Alberto Volpi, manager della squadra, è diventata ancor più frenetica di quando lavorava nel WorldTour (foto apertura JCL Team UKYO). Le cose da fare sono le stesse, ma la macchina organizzativa non prevede lo stesso numero di bulloni, e far girare gli ingranaggi non è sempre semplice. 

«Sono di ritorno da Colle Brianza (provincia di Lecco, ndr) – ci dice subito Volpi al telefono – sono stato con i ragazzi e ho mostrato loro la casa dove si appoggeranno per i prossimi mesi. Per il momento ci sono tre giapponesi, rientrati giovedì dall’Oman. In questi giorni con loro ci saranno delle persone di fiducia che gli mostreranno le strade sulle quali allenarsi. Assieme a loro vivono un meccanico, un massaggiatore e il fotografo».

Due mondi, due staff

L’esordio del JCL Team UKYO è avvenuto tra le dune del deserto saudita, poi si sono spostati in Oman e ora tocca al calendario europeo. Non ci si ferma mai, il tempo per riprendere fiato è davvero poco

«Le trasferte sono sempre complicate – continua Volpi – devi pensare al trasporto delle bici, dei materiali, preparare i documenti per le dogane, i visti. Sono sempre procedure impegnative, c’è tanto da fare ed è un compito che ricade su di me, ma grazie alla mia esperienza so come destreggiarmi. Certo, ora siamo in pochi, ma tutti ci diamo una grande mano.

«L’impatto è stato buono – racconta – siamo tutti soddisfatti. Organizzare la vita di tutti non è semplice, ma dall’altra parte ho trovato persone volenterose e che hanno grande rispetto. I ragazzi e lo staff che vive a Colle Brianza rimarrà per tre mesi. Una volta finito questo periodo, torneranno in Giappone e affronteremo qualche gara lì. Abbiamo due staff praticamente: quello in Italia e l’altro, ridotto, in Giappone. Quest’ultimo è composto da un meccanico e due massaggiatori».

Il materiale per le gare arriva dal Giappone o lo avevate già qui in Italia?

Un mix delle due cose. Alcune cose dal Giappone, come il materiale meccanico, le ruote e le bici. La parte di alimentazione e dell’integrazione, invece, dall’Italia. Assemblare il tutto non è stato semplice a causa del viaggio.

Cosa vuol dire avere una squadra divisa in due?

Che tutto va organizzato al meglio. In questo momento è semplice, facciamo arrivare i corridori con il visto da turista, della durata di tre mesi. Una volta finito questo periodo loro sono costretti a tornare in Giappone per i successivi tre. Il massimo di giorni consecutivi che possono fare in Italia con questo visto è 180. Con il calendario che abbiamo è fattibile, ma in futuro potrebbe servire un altro genere di visto. 

Quello lavorativo?

Esatto, che però burocraticamente è più complicato da ottenere. Dovresti avere una società in Italia che si prenda la responsabilità delle persone e dei corridori. 

I contatti con la parte giapponese sono semplici?

Mi devo svegliare presto, ma si fa tutto con mail e videochiamate. La finestra per lavorare insieme è corta, a causa del fuso orario. Quando da noi sono le 7 del mattino da loro sono le 15. Quindi la prima cosa che faccio al mattino è mettermi in contatto con loro. 

L’abbigliamento, i caschi, le bici, tutto era in ordine per i primi appuntamenti?

Siamo partiti con tutti i prodotti ufficiali, senza problemi. Ora stiamo attendendo che ci inviino del materiale come caschi, occhiali e divise. La fornitura è annuale, ma a breve servirà un’integrazione, soprattutto per i materiali di usura: come le divise. Siamo in attesa che il nostro fornitore, Santic, ci dia risposta.

Il calendario è stato assemblato bene?

Siamo davvero felici di questo inizio. Andare a fare una corsa di Aso come il Tour of Oman non è scontato per un team continental. Il 28 febbraio ci sarà la prima gara del calendario italiano: il Trofeo Laigueglia. Per noi è un appuntamento importante, si tratta di una corsa 1.Pro. Successivamente andremo al Tour de Taiwan. Avevamo anche l’invito per il Giro di Sicilia e di Calabria, ma sembra che non saranno organizzate. Uno degli appuntamenti più importanti sarà il Tour of the Alpes, saremo l’unica continental presente. 

In Oriente quando andrete?

Dopo Taiwan correremo il Tour de Kumano e Giro del Giappone, due corse in casa. Infine abbiamo il Giro di Korea, finiti questi appuntamenti ognuno tornerà a casa per correre i propri campionati nazionali.

Avrai altri appuntamenti in Giappone?

Proprio in occasione del Giro del Giappone. Avrò modo di incontrare la parte organizzativa e pianificare il futuro, in vista anche di altri investimenti. Ho un grande margine di manovra all’interno del team, tanto che sono io che gestisco il budget, ma poi serve dare conto ai vertici. Siamo fiduciosi e lanciati in questa prima stagione, vi faremo sapere come andrà!

Boaro e l’ammiraglia: la somma di tante esperienze diverse

19.02.2024
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Una volta scesi dalla bici ci si accorge che la vita e il mondo del ciclismo sono diversi da come li si è sempre visti. Anzi, assume sfumature differenti: ci si accorge di cose che magari prima erano solamente un contorno sfocato. Manuele Boaro ha terminato la sua carriera a ottobre e un mese dopo era già nei panni del diesse (foto di apertura JCL Team UKYO). La squadra è la continental giapponese JCL Team UKYO della quale vi abbiamo raccontato obiettivi e i progetti. Ma com’è cambiata la vita di Boaro?

«Dalla macchina – ci dice subito – è un’altra prospettiva, qui da noi ci sono atleti che hanno tanta voglia, chiedono e imparano in fretta. In Oman stavamo anche per vincere, peccato abbiano ripreso Earle negli ultimi 150 metri. Devo ammettere che dietro il traguardo avevo il cuore a mille, pensare di vincere alla prima corsa dove ero da solo come diesse mi ha emozionato parecchio. Se mi fermo ancora, mi sale l’adrenalina del momento». 

La prima gara della stagione Volpi e Boaro, a destra dei corridori, l’hanno fatta insieme (foto team JCL UKYO)
La prima gara della stagione Volpi e Boaro, a destra dei corridori, l’hanno fatta insieme (foto team JCL UKYO)
Com’è andata la prima gara?

Bene, per fortuna all’AlUla Tour c’era Volpi che con la sua enorme esperienza mi ha aiutato tanto. Poi io ho fatto del mio meglio, cercando di assimilare il più possibile, ma è un modo completamente nuovo.

Cosa ti ha insegnato Volpi?

Nelle prime gare mi ha aiutato a capire l’ordine delle ammiraglie, come comportarsi con la giuria, le regole… Ci sono da imparare tante cose e molte sono dei dettagli. Alberto è bravo a spiegare sia prima che dopo la corsa. Ho tanta esperienza in gara, ma la mia più grande fortuna è quella di aver avuto diesse e manager che mi hanno passato qualcosa. Questo l’ho notato anche in Volpi.

Al Tour of Oman Boaro si è ritrovato da solo a gestire le dinamiche di corsa: test superato (foto team JCL UKYO)
Al Tour of Oman Boaro si è ritrovato da solo a gestire le dinamiche di corsa: test superato (foto team JCL UKYO)
In che senso?

Alberto ha la sua impronta, come tutti, però ha molte cose che gli sono state passate da Ferretti.

Tu hai qualche diesse che ti ha trasmesso più di altri? 

Bjarne Riis, lui come diesse aveva una marcia in più che mi ha lasciato. Ha trasmesso tanto: il modo di lavorare, di fare squadra e altro ancora. I ragazzi devi cercare di conoscerli anche al di fuori della bici, così diventa facile fare gruppo e costruire qualcosa. 

Hai qualche ricordo particolare di Bjarne Riis?

Aveva la passione, se così possiamo dire (fa una risatina, ndr) di fare dei ritiri particolari e stravaganti. Una scelta che poi tornava utile, perché con certe esperienze la squadra si unisce, si fortifica. Io non sono ancora riuscito a proporre dei ritiri diversi, ma ci penseremo, bisogna chiedere a Volpi (ride, ndr).

Creare un gruppo coeso si sta rivelando semplice, grazie alla curiosità dei nuovi (foto team JCL UKYO)
Creare un gruppo coeso si sta rivelando semplice, grazie alla curiosità dei nuovi (foto team JCL UKYO)
La prima gara da solo è stata in Oman, com’è andata?

Bene, ero un po’ teso ma ho cercato di rimanere sereno e trasmettere tranquillità alla squadra. Ho seguito i consigli di Volpi, ma ho messo anche del mio, soprattutto nelle piccole cose, nei dettagli.

Ad esempio?

Cercavo di non stressare troppo i corridori via radio, oppure nelle riunioni la sera dicevo le cose essenziali, così da tenerli concentrati. Poi ho commesso i miei errori, ma è giusto così, fa parte della crescita come diesse.

Gli insegnamenti passano da tutte le fasi di gara: dallo scegliere la fuga giusta al rifornimento
Gli insegnamenti passano da tutte le fasi di gara: dallo scegliere la fuga giusta al rifornimento
Quali errori hai commesso?

Magari nel passare qualche borraccia o nel dare indicazioni via radio. Ad una tappa ho sbagliato a dare un’indicazione per una curva. Oppure a una delle prime frazioni sono partito con i fogli sul cruscotto, la radio appoggiata e alla prima curva è volato tutto in giro. Cose piccole, ma che si imparano con l’esperienza. 

Com’è approcciarsi alle corse da diesse?

Diverso. Devi preparare tutto a casa: piani, slide e tutto il resto. Così una volta che si è alle corse devi pensare solo alle cose piccole, ai dettagli. Volpi dice sempre che prevenire è meglio che curare. Alle corse devi pensare a tutti: massaggiatori, meccanici, corridori. 

Il gruppo dei giapponesi si dimostra curioso e ha tanta voglia di imparare
Il gruppo dei giapponesi si dimostra curioso e ha tanta voglia di imparare
E’ stato facile creare il gruppo squadra?

In realtà sì. La parte di corridori giapponesi è davvero molto curiosa. Averli insieme e parlarci è un piacere, hanno tanta voglia di fare e imparare. A volte avevano anche troppa fretta di andare in fuga, ho spiegato loro che dovevano avere pazienza. Ci sono tappe dove non ha senso spingere per uscire dal gruppo, meglio risparmiare e provare a quella successiva, che magari è più favorevole. 

Cosa hai capito da corridore che ti porti in ammiraglia?

Che gli atleti sbagliano, è giusto rimproverarli e far vedere dove si può migliorare, ma non si deve creare l’assillo. I miei 13 anni di carriera sono volati, bisogna fare in modo di preservarli e viverli con serenità.

Ora Malucelli è convinto della scelta giapponese

17.02.2024
5 min
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Tre settimane al caldo della penisola araba. Tre settimane per guardarsi intorno e capire se la scelta di accettare l’ingaggio del Team Ukyo è stata quella giusta. Matteo Malucelli è tornato a casa con un paio di Top 10 che non sono mai da buttar via e le idee un po’ più chiare. La sua vera stagione inizia praticamente ora.

Gli impegni non erano di poco conto, fra AlUla Tour e Tour of Oman e ripercorrendo quelle lunghe giornate molto ha colpito la sua attenzione, non solo dal punto di vista ciclistico.

«Non è la prima volta che vado a correre da quelle parti – spiega – e il clima, unito ai percorsi perlopiù pianeggianti, mi è favorevole, quantomeno per affinare la mia preparazione. Si potrebbe pensare che si pedali sempre nella stessa realtà, ma non è così: l’Oman è molto più sviluppato, in Arabia Saudita invece si nota come sia tutto in espansione, in costruzione. Io sinceramente non ci andrei mai in vacanza: è comunque deserto con quattro grattacieli e tanta ricchezza qua e là… Anche ad AlUla ho trovato molti siti interessanti, fra una partenza da una città vecchia e un’altra dal parco naturale. C’era la possibilità di vedere qualcosa di diverso».

Per tre settimane il forlivese ha corso nel deserto arabo, con un clima a lui favorevole
Per tre settimane il forlivese ha corso nel deserto arabo, con un clima a lui favorevole
Era la tua prima esperienza sul campo con il nuovo team giapponese, che impressione ne hai tratto?

Molto positiva, perché già in pochissime settimane la realtà giapponese è andata fondendosi con il calore italiano. L’impronta nostrana è forte, grazie innanzitutto a Alberto e Manuele (Volpi e Boaro, i dirigenti del team, ndr), ma anche a noi corridori, poi il massaggiatore è italiano, il meccanico anche. C’è una bella sinergia, si vede che si lavora per unire due culture che sono comunque distanti.

Questo si evince anche dall’andamento delle corse?

Sì, infatti fra AlUla e Oman c’è stato un netto miglioramento. Quando abbiamo iniziato dovevamo conoscerci, non avendo neanche fatto un ritiro insieme. Che sarebbe stato anche controproducente considerando fusi orari diversi, l’effettiva difficoltà ad allestire qualcosa di collettivo e utile. Poi ci siamo trovati a correre in un contesto importante, con squadre di categorie superiori e quando capita c’è, almeno inizialmente, sempre un po’ un trattamento diverso verso una continental. Chi ci corre viene considerato non alla propria altezza.

Malucelli ha trovato in Carboni un valido aiuto per le volate, cogliendo due Top 10
Malucelli ha trovato in Carboni un valido aiuto per le volate, cogliendo due Top 10
Di questo si parla spesso, ma tu che hai corso a livello superiore, pensi sia qualcosa di inconscio?

Probabilmente sì. Non è che ti ritengono più scarso, ma c’è una forma di rispetto che bisogna progressivamente guadagnarsi in base alla maglia, perché poi il Malucelli della situazione è chiaro che nel gruppo è conosciuto almeno da una parte. Faccio un esempio: nella ricerca della posizione, un team continental ha formato il suo gruppo. Da dietro il team professional o addirittura WT, piuttosto che “sfidare” un pari grado verrà da noi a cercare di assumere le nostre posizioni nel gruppo. E’ normale, sta a te dimostrare che sei all’altezza di quella corsa e di quel contesto.

Tu avevi già accennato allo scendere di categoria. Ora che hai toccato con mano la realtà del Team Ukyo, sei convinto della scelta fatta?

Sì, perché si lavora seriamente. Ad AlUla eravamo più come cani sciolti, in Oman eravamo invece molto più squadra, iniziamo a conoscerci e pian piano ognuno assume il proprio ruolo, magari anche imparando qualcosa di nuovo.

Per il trentenne Malucelli il team giapponese è l’ottava squadra di cui entra a far parte
Per il trentenne Malucelli il team giapponese è l’ottava squadra di cui entra a far parte
Tu come ti sei presentato all’esordio agonistico?

Il mio inverno non è stato male, salvo il Covid contratto a fine novembre. Poi appena ripreso ho potuto lavorare intere settimane in maniera costante e quindi mi sono presentato al via il 30 gennaio abbastanza in forma fisica. La corsa poi ti dà quei fuorigiri, quella brillantezza che negli allenamenti non puoi avere. Qualcosa che manca e che correndo inizi ad acquisire, sicuramente oggi sono più in forma di quando siamo partiti.

Dove ti rivedremo?

Io non sarò a Laigueglia perché non è un percorso adatto a me. Parteciperò invece al Giro di Taiwan dal 10 al 14 marzo, cinque tappe dove ce ne saranno almeno un paio probabilmente destinate alla volata e lavoreremo per quelle. Oltretutto in un contesto qualitativamente più approcciabile, con 4-5 team professional, dove quindi ci sarà più possibilità di trovare spazio.

La compagine per l’AlUla Tour comprendeva 3 italiani, 3 giapponesi e un australiano
La compagine per l’AlUla Tour comprendeva 3 italiani, 3 giapponesi e un australiano
In una squadra come quella giapponese, si possono costruire anche meccanismi a tuo favore, per pilotare le tue volate?

E’ quello che spero e ci stiamo lavorando. All’inizio non è facile se non ci si conosce, c’è anche chi ha paura a tirarti la volata. Poi, con il tempo si acquisiscono meccanismi. Io ho notato che, a parte noi italiani, i nostri compagni sono molto capaci, quindi quei meccanismi si possono costruire e a Taiwan sarà sicuramente più facile farlo. Sarà una corsa con team di soli 5 corridori, ma proprio il numero ridotto potrebbe favorire le nostre potenzialità di correre come una squadra. E magari vincere…

Carboni all’AlUla Tour. Il debutto in mezzo al deserto

04.02.2024
5 min
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C’è voluto un po’ perché Giovanni Carboni si aprisse dopo il cambio di squadra e la nuova avventura che sta vivendo al JCL Team Ukyo. Per tutto l’inverno aveva scelto la via del silenzio, del lavoro, tenendo strette per sé le sue sensazioni e conoscendo la sua storia non si può che comprenderlo. Il corridore di Fano è uno di quelli che ha vissuto sulla propria pelle la disastrosa gestione (da parte dell’Uci in primis) della vicenda Gazprom Rusvelo dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e per mesi è rimasto fermo al palo, trovando un ingaggio in Spagna solo quasi a fine stagione 2022.

Quell’esperienza ha lasciato cicatrici. Alla fine dello scorso anno Carboni ha accettato la proposta del team giapponese fidandosi della competenza e del prestigio di Alberto Volpi, ma c’è voluto tempo per vincere la naturale diffidenza. Poi la stagione è iniziata, il marchigiano è volato nel deserto per fare il suo esordio con la squadra all’AlUla Tour e anche la sua voglia di parlare ha trovato sfogo.

Carboni fra Koishi e Malucelli: il loro esordio stagionale è stato finora promettente
Carboni insieme a Malucelli: il loro esordio stagionale è stato finora promettente
Una gara sicuramente diversa dal solito per iniziare il tuo cammino…

Molto meno semplice di quanto si possa pensare. Certo, non ci sono grandi asperità, le tappe per la maggior parte si concludono in volata, ma le difficoltà non mancano e sono legate soprattutto al vento che da queste parti imperversa.

Come influisce?

Basta una folata che possono crearsi ventagli. Bisogna stare continuamente all’erta, è una corsa che si disputa soprattutto di testa, a livello di concentrazione. Nella seconda e terza tappa ci sono state folate che hanno letteralmente spaccato il gruppo e c’è stato da lavorare per ricomporlo, le squadre dei velocisti hanno fatto un gran lavoro.

Il vento e la formazione dei ventagli sono stati i maggiori ostacoli nell’a corsa egiziana’AlUla Tour
Il vento e la formazione dei ventagli sono stati i maggiori ostacoli nell’a corsa egiziana’AlUla Tour
Che paesaggi avete affrontato?

E’ una gara diversa dal solito, questo è certo. Esci dalle città e ti ritrovi in mezzo al deserto. Strade molto ampie, che non cambiano mai, dove la direzione è sempre la stessa. Se c’è battaglia diventa tutto molto difficile perché si fa fatica soprattutto mentalmente. Non che ci sia da stupirsi, siamo nella nazione tra le più caratterizzate da questo tipo di ambiente.

Giustamente dici che l’ambientazione influisce sull’aspetto mentale. Che effetto fa?

Diciamo che devi abituarti. Poi quando la corsa parte devi concentrati su quel che avviene e non ci si accorge più di tanto di quanto c’è intorno. A me fa molto effetto dopo, durante i trasferimenti. Noti la desolazione, pensi alle difficoltà di chi è nato e vive in un ambiente ostile. E’ davvero difficile, è qualcosa che ti dà da pensare.

Tim Merlier, forse il più famoso dei corridori in gara, vincitore di due tappe
Tim Merlier, forse il più famoso dei corridori in gara, vincitore di due tappe
Trovate pubblico?

Questo è un aspetto interessante. Nei ritrovi di tappa e soprattutto negli arrivi c’è, ma è facile accorgersi che si tratta soprattutto di gente molto abbiente, che ha tempo per assistere, non ha obblighi di lavoro. Altrimenti vedi che la gente normale è quasi disinteressata, troppo presa dalle proprie attività. Lungo i percorsi, poi, non c’è proprio nessuno ma è facile capire il perché…

Tu hai fatto il tuo esordio nel team proprio in quest’occasione. E’ una squadra più giapponese o italiana?

Io direi che entrambe le nature coesistono. Io ho trovato una professionalità e una mentalità prettamente europea, Alberto Volpi e Manuele Boaro hanno dato già un’impronta decisa alla squadra. Al contempo però c’è una forte matrice giapponese: il peso dello sponsor è molto accentuato, c’è un’attenzione al dettaglio quasi maniacale. Io penso che siano due realtà che possono davvero coesistere e far crescere la squadra.

Alberto Volpi è il team manager del team giapponese. Anche per lui è stato un esordio
Alberto Volpi è il team manager del team giapponese. Anche per lui è stato un esordio
Già all’inizio dell’avventura vi trovate a gareggiare contro team del WorldTour. Si vede la differenza?

Non potrebbe essere altrimenti, i budget a disposizione non sono neanche paragonabili. Se parliamo però di attenzione e disponibilità verso i propri corridori, Alberto non ci fa mancare davvero nulla e mette a disposizione tutta la sua esperienza. E’ un valore in più per noi, soprattutto per noi italiani (con Carboni corrono Pesenti e Malucelli, ndr) che conosciamo bene la sua storia e la sua competenza.

Tu sei partito con quale ruolo?

Noi corriamo tutti in appoggio a Malucelli che è il più veloce, con noi ci sono anche 3 giapponesi e l’esperto australiano Earle. Io vengo da un inverno un po’ difficile, tra covid e influenza in pratica ho perso tutto dicembre e questo sulla condizione si fa sentire. L’AlUla Tour non è poi una corsa che si confà alle mie caratteristiche, ma io la sto interpretando un po’ “vecchio stile”, ossia per raggiungere la miglior forma, facendo quel che posso per i compagni.

Carboni alla Gazprom: un’avventura durata poche settimane e chiusa con 6 mesi di sofferenza per trovare un team
Carboni alla Gazprom: un’avventura durata poche settimane e chiusa con 6 mesi di sofferenza per trovare un team
Che obiettivi ti sei posto per questa stagione?

Nessuno in particolare, vivo un po’ alla giornata. Qui come detto l’importante è chiudere con una forma migliore di quella che avevo alla partenza, poi andremo al Tour of Oman che ha percorsi molto più adatti alle mie caratteristiche e dove spero di avere qualche occasione per mettermi maggiormente in mostra.

Che livello hai trovato in questa corsa?

E’ molto buono. Considerate che di squadre continental con noi ce ne sono solamente un paio, le altre sono tutte WorldTour o professional e sono tutte venute con un velocista di punta e un uomo per la classifica. Ciò ha portato la corsa a un valore notevole. Quel che ci voleva per iniziare.

Malucelli riparte dal Giappone: un reset totale per rinascere

10.11.2023
5 min
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Come quando sbagli il primo bottone e tutto il resto si storce, la carriera di Matteo Malucelli si è inceppata sulla chiusura della Gazprom. Quei pochi mesi di ciclismo ad alto livello sono stati la sua fortuna e la sua condanna, perché nulla di tutto quello che è venuto in seguito gli è parso all’altezza. Per cui al momento di ripartire e ritenendo chiuso il suo periodo alla Bingoal, l’ingegnere romagnolo si è trovato davanti a un bivio. Da un lato, la scelta di smettere. Dall’altro la possibilità di un reset totale, andando a correte nel JCL Team Ukyo di Alberto Volpi. Una continental che farà prevalentemente attività in Oriente.

«Il paragone del primo bottone – riflette Malucelli , in apertura con la compagna Martina durante le recenti vacanze – calza a pennello. Vengo da due anni di camicie storte. Adesso che l’ho sbottonata tutta, proverò a chiuderla dritta. La sfortuna più grande che ho avuto non è stato che abbiano fermato la Gazprom, ma il fatto che io abbia toccato con mano che cos’è una squadra che funziona. Da lì, dovunque andassi, vedevo solo le cose negative e quando entri in quel vortice, è finita. Sono convinto che se non avessi fatto quei due mesi con loro, probabilmente sarei rimasto in piccole squadre senza avere metri di paragone così diversi. E’ stato come avere fra le mani un’auto di lusso e poi farsela portare via senza averla usata davvero».

Il 10 febbraio 2022, Malucelli debutta ad Antalya in maglia Gazprom e vince
E’ il 10 febbraio 2022: Malucelli debutta ad Antalya in maglia Gazprom e vince
Come è arrivato il Team Ukyo?

Moreno Nicoletti, il mio procuratore, me ne aveva parlato già a settembre. Io avevo capito che alla Bingoal non sarei andato avanti, per cui sapeva che avrei voluto cambiare. Abbiamo sentito altre squadre, ma alla fine quella è stata la proposta rimasta nel piatto. Ho voluto parlare con Volpi per togliermi tutti i dubbi e lui mi ha illustrato il progetto, che mi è piaciuto.

Che cosa ti ha convinto?

E’ un progetto nuovo e io ho voglia di rimettermi in gioco, perché secondo me valgo più di quello che ho dimostrato. In vita mia ho avuto due mesi per provare ad essere a un certo livello e mi sembra di averlo dimostrato. Volpi non lo conoscevo tanto. Ci eravamo salutati qualche volta in giro per aeroporti, ma nulla di più. Mi ha convinto perché è stato molto trasparente.

In azione sul Muro di Grammont al Renewi Tour, accanto a Martinelli: la parentesi belga si è chiusa
In azione sul Muro di Grammont al Renewi Tour, accanto a Martinelli: la parentesi belga si è chiusa
Che cosa ti ha detto?

Intanto mi ha ringraziato per avergli voluto parlare. Poi mi ha detto: abbiamo questi materiali, questo è il budget, queste le corse che possiamo fare, anche se cercheremo di farne anche in Europa. Non mi ha raccontato favole. La squadra è continental, ha il progetto di diventare professional, ma non si sa in che tempi. E’ stato molto chiaro e a me, da ingegnere, questa cosa piace.

Di quali materiali ti ha parlato?

Le bici Factor montate in tutto e per tutto con Shimano, ruote, caschi e scarpe compresi. Avremo pneumatici Vittoria. Mi ha parlato dei pedali e dei direttori sportivi. Ha detto tutto quello che mi doveva dire e mi ha fatto sentire importante. Non che ne avessi bisogno, non mi devo sentire una prima donna. Sono stato in squadre con gente molto più forte di me e questo tante volte è stato uno stimolo. Ma è gratificante che un direttore sportivo che nemmeno conosci dimostri che si era davvero accorto di te, parlando di questa o quella volata. E poi non mi ha chiesto niente, vittorie o altro. E devo dire che il suo peso nella decisione di accettare l’ha avuta anche la presenza di Boaro.

Nel 2023 la squadra giapponese ha corso su bici Factor montate 100 per cento Shimano: così anche il prossimo anno (foto Team Ukyo)
Nel 2023 la squadra giapponese ha corso su Factor montate 100 per cento Shimano: così anche nel 2024 (foto Team Ukyo)
Che cosa significa che correrai prevalentemente in Oriente?

Da quello che mi hanno detto, non dovremmo correre in Cina, perché fra i giapponesi e i cinesi non c’è un grande feeling. Quest’anno, hanno corso in Corea, Taiwan, Giappone, Langkawi, Filippine, poi Saudi Tour e Oman. Cercheranno di inserire qualche corsa in Europa, ma alla fine devi averne 60 adatte alle tue caratteristiche, non c’è bisogno che ce ne siano 120. In ogni caso, dopo aver parlato con Volpi, un po’ sono stato titubante. Per cui ho detto a Moreno che sarei andato in vacanza e avrei deciso quando fossi tornato, perché con la mente fresca si decide meglio. E alla fine ho deciso di fare questo vero reset. Guadagnerò meno, ma penso che solo ripartendo dal basso potrò tornare al livello migliore. Ho pensato a Finetto, che era con me alla Trevigiani e aveva già 30 anni. Poi è passato ancora e ne ha fatti altri quattro alla Delko, vincendo corse.

Perché ripartire da un team più piccolo ti dà motivazione?

Ho il desiderio di rimettermi in discussione, come da neoprofessionista. Sono all’anno zero, tutto quello che ho fatto finora mi ha portato in Giappone, evidentemente non è stato così grande. Perciò riparto da una piccola squadra. Se va bene, potrò correre ancora. Se va male, andrò a lavorare un anno più tardi.

Malucelli ha preso la decisione di firmare con il Team Ukyo al ritorno dalle vacanze, a mente fresca
Malucelli ha preso la decisione di firmare con il Team Ukyo al ritorno dalle vacanze, a mente fresca
La nuova bici è arrivata?

Dovrebbe arrivare in settimana, non vedo l’ora. E’ questo che mi dà morale, la voglia di quando sei giovane che negli ultimi anni era un po’ calata.

Ci saranno altri italiani in squadra?

Oltre a Volpi e Boaro qualcuno dello staff e anche un corridore giovane, che è stato inserito nel gruppo Whatsapp, ma ancora non è stato annunciato. Sono appena tornato dalle vacanze e anche se ho trent’anni e per qualcuno potrei essere vecchio, non vedo l’ora di ripartire. Ho fatto sette anni da pro’, chi dice che non potrò farne altri sette?

Boaro: il tempo di dire addio, poi quella telefonata…

29.10.2023
6 min
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Neanche il tempo di appendere la bici al chiodo, di assimilare un totale cambio di vita che Manuele Boaro si è subito rituffato nel mondo del ciclismo. «Il giorno dopo la mia ultima corsa, la Veneto Classic, è squillato il telefono. Dall’altra parte c’era Alberto Volpi che mi ha chiesto se me la sentissi di affiancarlo nella guida del JCL Team Ukyo, il team giapponese del quale è diventato manager. Non ci ho pensato un attimo, gli ho detto subito sì. Mi sono tuffato in una nuova avventura con lo stesso entusiasmo di quando 13 anni fa ho iniziato il mio cammino fra i pro’».

Boaro ha chiuso a 36 anni con convinzione. Non perché il fisico gli dicesse di smettere, anche se le varie stagioni passate in giro per il mondo si facevano sentire. Questo ciclismo però non riusciva più a gestirlo dal di dentro.

«Sapendo che avevo il contratto in scadenza – spiega – ho provato a muovermi. Dopo anni i manager li conosco tutti, li ho contattati personalmente. Ma al di là di un po’ di “vediamo, ti faccio sapere” non avevo avuto nulla. Qualcosa magari sarebbe anche saltato fuori, ma mi sono chiesto se avrebbe avuto un senso. Poi ho saputo che la Veneto Classic passava proprio per il mio paese, davanti casa mia. Allora ho pensato che sarebbe stata la maniera migliore per chiudere».

La grande festa per il suo ritiro all’ultima Veneto Classic, con il fans club schierato al completo
La grande festa per il suo ritiro all’ultima Veneto Classic, con il fans club schierato al completo

L’ultimo dei veri gregari?

Una decisione presa proprio qualche giorno prima, ma il poco tempo è bastato per allestire una grande festa per salutarlo come si conveniva: «Sono venuti in tanti, il fans club si è mobilitato alla grande e quel giorno è stato un turbinio di emozioni. Posso dire di aver chiuso in bellezza, credevo che la mia storia ciclistica si sarebbe chiusa lì. Invece neanche poche ore dopo rieccomi coinvolto, ma in maniera completamente diversa».

L’addio di Boaro è anche l’addio di uno degli ultimi veri gregari. Il suo racconto della ricerca vana di un contratto non fa che confermare la sensazione che questa figura stia ormai sparendo: «In questo ciclismo, fatto di numeri, siamo noi quelli che vengono penalizzati. Le squadre chiedono corridori che portino punti, il principio del “siamo tutti capitani” è ormai imperante. Ma attenzione: chi lavora per la squadra nella prima parte di gara, quando non ci sono le telecamere, quando si gettano le basi della corsa e bisogna proteggere e stare vicino al capitano di turno?

«Il risultato è che le corse professionistiche stanno diventando come quelle dei dilettanti – prosegue Boaro – pronti via ed è subito bagarre. Ma a lungo andare questo modo di correre logora, bisognerà vedere come l’intero ambiente reagirà quando corridori come me o come Puccio non ci saranno più».

L’esempio di Rijs

Boaro è sempre stato molto convinto della sua scelta: «Non ero un campione quando sono passato professionista e ho capito presto che dovevo trovare una mia dimensione. Ho avuto la fortuna di correre insieme a grandi campioni come Contador, Nibali, Sagan e posso dire di aver contribuito ai loro successi. Il che mi ha permesso di vivere una carriera densa di bei momenti e di soddisfazioni, ma anche di contatti umani, il che è fondamentale».

Ripercorriamo allora la sua carriera, fatta di poche squadre perché quando Manuele era nel team, ne diventava una colonna: «Ho iniziato con la Saxo Bank diventata poi Tinkoff, ben 6 anni in quel gruppo. Avevo Bjarne Riis come manager ed è stato preziosissimo, mi ha insegnato tanto su come vivere questo ambiente, tutte nozioni che mi saranno ancora utili ora che passo dall’altra parte… Era davvero un numero 1 nel ciclismo, ma anche fuori sapeva far gruppo. Alla sera ad esempio, se si poteva ci faceva anche andare in discoteca, oggi quando mai? Mi dispiace che non sia più nell’ambiente. Poi le cose con la Tinkoff non sono cambiate: era un gruppo bellissimo, andare in ritiro era un piacere».

Nel 2017 Boaro approda alla Bahrain-Merida, per due anni, ma quella era una squadra ben diversa da quella di oggi: «Stava nascendo allora, dal niente. Mi ritrovai in una squadra tutta da impostare, non fu facile. Di quegli anni ricordo il primo Giro al fianco di Nibali: mamma mia quanta gente, quanto entusiasmo. Peccato che finimmo terzi e uso il plurale volutamente perché con Vincenzo era davvero un lavoro di gruppo e mi dispiacque tanto che non riuscì a cogliere il risultato pieno, la gente l’avrebbe meritato. Con lo Squalo siamo rimasti sempre in contatto, ritrovandoci all’Astana e ancora adesso ci sentiamo spesso».

Sul palco con le piccole Matilde e Sofia. Ora inizia la sua nuova carriera da diesse
Sul palco con le piccole Matilde e Sofia. Ora inizia la sua nuova carriera da diesse

Lopez, talento cristallino

Astana, un’avventura iniziata nel 2019 e portata avanti fino a qualche giorno fa: «E’ una squadra in forte cambiamento. Io arrivai che avevano Fuglsang che era uno dei grandi per le classiche e Lopez per le corse a tappe e a proposito del colombiano devo dire che è un corridore fortissimo. Abbiamo condiviso anche la camera insieme, io ho provato a consigliarlo, a stargli vicino, può ancora fare tanto. Purtroppo ha cambiato numero e ci siamo persi di vista, ma io non posso dirne che bene».

Torniamo però al cambiamento: «L’Astana è un team in cerca d’identità, era nato per i grandi Giri ma ora sta progressivamente diventando una squadra per le corse d’un giorno. Anche per questo non avevo più molto spazio. Io però le sono ancora molto legato».

Boaro ha sempre avuto grande predisposizione per le cronometro, finendo 2° ai tricolori 2012
Boaro ha sempre avuto grande predisposizione per le cronometro, finendo 2° ai tricolori 2012

In Giappone per imparare

Ora comincia una nuova avventura: «E’ la dimensione giusta, una squadra piccola, ma che ha una lunga storia alle spalle. Io devo imparare tutto, farlo in un team continental che ha però prestigio e ambizioni è la cosa giusta. Starò al fianco di Alberto per imparare ma lo farò in prima linea. Avrei potuto farlo anche all’Astana, ma sarei stato il nono diesse, in fondo alla gerarchia, non era giusto per loro e per me».

Chiudendo c’è qualche rammarico? «Se mi guardo indietro no, sono contento di come sono andate le cose. Forse l’unica che mi manca è una maglia tricolore nella cronometro, perché quando ho iniziato da pro’ andavo piuttosto bene, ma nel 2012 persi con Malori per soli 7”. Vestire il tricolore sarebbe stato bellissimo. Ma va bene così: molti mi dicono che nessuno farà più quello che ho fatto e forse, visto il ciclismo di oggi, sarà proprio così».

Volpi cambia tutto: «Ecco il mio team giapponese»

12.10.2023
6 min
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Ci vuole davvero grande coraggio per rimettersi in discussione a sessant’anni suonati. Alberto Volpi questo coraggio ce l’ha, tanto da lasciare un posto da diesse in uno dei team di vertice del WorldTour per mettersi alla guida (e usiamo questa frase non a caso, come si vedrà) di un pressoché neonato progetto giapponese, a livello continental. Qualcosa di piccolo che vuole diventare estremamente grande.

Volpi dal prossimo anno sarà il manager del JCL Team Ukyo. E’ una squadra rimodellata quest’anno nel Sol Levante per volontà di Ukyo Katayama, ex pilota di Formula 1 e secondo alla 24 Ore di Le Mans del 1999 (ecco il perché della guida…), che insieme a Seiko Hashimoto, presidente del comitato organizzatore di Tokyo 2020 ha voluto investire su una nuova creatura ciclistica. Obiettivo: farne il veicolo per far crescere il suo Paese anche nel ciclismo su strada, in una Nazione dove l’unico sfogo agonistico di vertice è nella pista e nella velocità in particolare, per il sistema delle scommesse ad essa legato.

«I contatti con Katayama – racconta Volpi che già dalla voce tradisce l’entusiasmo per la nuova avventura e la grande voglia di fare – risalgono al novembre 2022. Con Ukyo ci conosciamo da oltre 15 anni, l’ho anche ospitato sull’ammiraglia Barloworld al Giro d’Italia 2009, nella tappa di San Martino di Castrozza. Lo scorso anno mi parlò di questa idea che aveva avuto e gli sarebbe piaciuto coinvolgermi per la mia esperienza. Abbiamo continuato a sentirci nel corso della stagione, ho visto come ha agito la squadra in questo primo anno. Ukyo mi ha chiarito gli ambiziosi progetti e alla fine mi sono convinto».

Ukyo Katayama, 60 anni, è stato pilota di F1 dal 1992 al 1997. Nel 1999 è salito sul podio della 24 Ore di Le Mans (foto Miguel Bosch)
Ukyo Katayama, 60 anni, è stato pilota di F1 dal 1992 al 1997. Nel 1999 è salito sul podio della 24 Ore di Le Mans (foto Miguel Bosch)
Lasci però una realtà consolidata come la Bahrain Victorious: perché?

Perché dopo oltre 25 anni di ciclismo di vertice, sempre in grandissime squadre, avevo bisogno di nuovi stimoli. Alla Bahrain sono stato benissimo, avrebbero voluto che rimanessi. Mi accorgo però che gli anni passano e avevo bisogno di cambiare qualcosa per avere sempre quel sacro fuoco dentro. Questa è una grande sfida, c’è tantissimo da lavorare perché è qualcosa che va creato praticamente dal nulla.

Su alcuni media abbiamo saputo che la squadra verrà affiliata in Italia, è vero?

No e ci tengo a chiarire la questione perché sono uscite delle inesattezze. Il team continua ad avere la sua affiliazione in Giappone, ma da quest’anno svolgerà buona parte della sua attività in Europa e avrà la sua base in Italia. Precisamente a Colle Brianza, dove sono andato personalmente a visionare una sede adeguata. Ho scelto una confortevole casa dove i ragazzi e lo staff risiederanno per due periodi l’anno. Il primo da febbraio ad aprile e il secondo da agosto a ottobre. Per il resto svolgeranno la loro attività seguendo il calendario asiatico. Il Giro del Giappone sarà l’obiettivo primario, per il team e per chi lo finanzia.

Benjamin Prades, spagnolo di 39 anni, è il più esperto. E’ in Giappone dal 2016 (foto team)
Benjamin Prades, spagnolo di 39 anni, è il più esperto. E’ in Giappone dal 2016 (foto team)
Come sarà composta la squadra?

Parliamo di un team continental che già al suo primo anno ha avuto 11 corridori di cui 3 stranieri. Siamo orientati a mantenere la stessa struttura, con l’esperto australiano Nathan Earle, 35 anni, che resterà al fianco di un gruppo di corridori giapponesi. Sto lavorando però per portare nel team altri 3 corridori europei e non mi dispiacerebbe se fra loro ci fosse anche un italiano. I contatti li sto definendo in queste settimane.

Perché questa struttura internazionale?

E’ una precisa strada che abbiamo intrapreso e che è alla base del progetto. Il team deve servire a far crescere il ciclismo giapponese, portando i migliori prospetti del Paese a affrontare il ciclismo vero, quello che si fa nel Vecchio Continente, ma serve anche il confronto interno, quotidiano, con realtà diverse, culture diverse. Vogliamo che i ragazzi capiscano e imparino che ciclismo significa anche alimentazione corretta, allenamenti mirati, gestione della giornata nelle sue 24 ore vivendo da ciclista. Il team sarà comunque sempre di un massimo di una dozzina di corridori, più un meccanico, un massaggiatore e un accompagnatore.

Il JCL Team Ukyo è è stato reimpostato quest’anno, ma esisteva già dal 2012 (foto team)
Il JCL Team Ukyo è è stato reimpostato quest’anno, ma esisteva già dal 2012 (foto team)
Qual è il progetto alla base del team?

Katayama mi ha spiegato che l’obiettivo è arrivare più in alto possibile: entrare nel futuro come prima squadra giapponese del WorldTour, essere invitati al Tour de France, competere per il podio. Già nel suo primo anno il team ha preso parte al Tour of Oman e al Saudi Tour arrivando addirittura a vestire virtualmente la maglia di leader. Sono primi passi, nel 2024 vedremo di fare qualche altro piccolo passo in avanti, ma è chiaro che le idee restano tali se non ci sono finanziamenti a supportarle.

Stai trovando interesse nella tua ricerca di corridori?

Il mio telefono intanto non smette di squillare per le chiamate dei procuratori che mi stanno proponendo di tutto e di più… Quando poi vai a stringere, è chiaro che è difficile: i corridori di fronte alla chiamata di una professional non hanno dubbi, ma noi per ora siamo una continental e qui poi c’è davvero da mettersi in gioco in toto. Trovare gli elementi giusti, sia ciclisticamente che dal punto di vista umano non è facile, ma sono ottimista.

Masaki Yamamoto, laureatosi quest’anno campione nazionale dopo il 2° posto a cronometro (foto team)
Masaki Yamamoto, laureatosi quest’anno campione nazionale dopo il 2° posto a cronometro (foto team)
Parlavi di due periodi dei ragazzi in Europa. Anche tu però dovrai trasferirti per un periodo in Giappone…

Sicuramente. Sto cercando un diesse che segua la squadra in tutto il suo cammino, ma io come general manager sono il garante del team di fronte a Ukyo e all’intera proprietà. Vorrò esserci, vedere tutto, capire il più possibile di questa realtà. Già nei prossimi giorni partirò per il Giappone per conoscere gli sponsor e le strutture a disposizione in loco.

C’è anche il problema della lingua…

Masuda, che con i suoi 39 anni è il più anziano del gruppo, è stato con me alla Cannondale nel 2013. Parla bene inglese e anche un po’ italiano, nel gruppo fa da traduttore, ma abbiamo anche un factotum che parla bene italiano e ci aiuterà nei periodi qui. Anche a questo serve la multinazionalità del team, per uscire da certi schemi e comunicare il più possibile. Ma è tutto in divenire, intanto abbiamo stretto un rapporto con la Subaru Italia, che tramite la casa madre giapponese fornirà le auto del team e l’assistenza. Il progetto va avanti e vuole andare molto lontano.