In occasione di una nostra visita del luglio dello scorso anno presso la sede Nalini di Castel d’Ario nel mantovano, Giuseppe Bovo, direttore generale del brand, ci aveva raccontato quanto fosse speciale il rapporto che univa Jan Ullrich a Nalini. Un rapporto iniziato ai tempi della Deutsche Telekom, diventata poi T-Mobile, proseguito anche dopo la fine della carriera sportiva dell’ex campione tedesco rimasto sempre molto legato alla famiglia Mantovani, proprietaria del marchio Nalini. Oggi quel legame si rafforza grazie ad una capsule collection firmata Nalini e dedicata proprio a Ullrich, composta da due maglie e da due pantaloncini. I nomi scelti per i due kit sono Kaiser e Hero. A distinguere le due maglie sono rispettivamente il colore oro e il colore nero.
La collezione dedicata a Jan Ullrich prevede la serie Hero, questa la magliaIn abbinamento viene proposto questo pantaloncino, comodo e traspiranteLa collezione dedicata a Jan Ullrich prevede la serie Hero, questa la magliaIn abbinamento viene proposto questo pantaloncino, comodo e traspirante
Grande stima
E’ lo stesso Giuseppe Bovo a esprimere con queste parole la stima che da sempre il brand Nalini nutre per Jan Ullrich: «Esprimiamo la nostra stima per l’uomo, al di là del formidabile campione del passato, perché ha saputo risollevarsi e trovare la propria strada, grazie anche alla grande passione per il ciclismo che lo anima tutt’oggi. La capacità di rimettersi in gioco, ottenendo dalla vita una nuova chance è un’impresa altrettanto importante, rispetto a qualsiasi podio conquistato».
L’essenza del Kaiser
Nel momento del suo massimo fulgore sportivo, Ullrich era soprannominato “Kaiser Jan”. La capsule collection pensata da Nalini vuole celebrare al meglio quelle che erano le caratteristiche che rendevano lo stesso Ullrich un vero campione. A confermarlo è Enrico Zecchini, sviluppatore di prodotti in Nalini.
«Visti i rapporti decennali con Ullrich – spiega – che è rimasto molto legato alla nostra azienda, abbiamo ideato una linea che lo rappresentasse, spingendo al massimo sull’aerodinamicità, visto che parliamo di un atleta dalle fortissime doti di cronoman. I dettagli cromatici delle due maglie sono richiami alla carriera di Ullrich, costellata di tante vittorie: sulle maniche la fascia in rosa acceso rievoca la divisa della Deutsche Telekom, quella in giallo è un chiaro rimando al Tour de France vinto nel 1997 indossando Nalini. L’oro della maglia Kaiser è un tributo alla corona del re e alla vittoria alle Olimpiadi di Sidney del 2000».
La collezione continua con la maglia Kaiser, di uno spiccato color oroAlla quale Nalini ha abbinato un pantaloncino tecnicamente votato all’aerodinamica La collezione continua con la maglia Kaiser, di uno spiccato color oroAlla quale Nalini ha abbinato un pantaloncino tecnicamente votato all’aerodinamica
Subito disponibili
Per gli appassionati di Jan Ullrich che si vogliono regalare una divisa davvero speciale, segnaliamo che entrambi i kit possono già essere acquistati sul sito ufficiale dell’azienda www.nalini.com
Sarà inoltre possibile toccare con mano la capsule e i prodotti più innovativi Nalini in occasione di Becycle, il nuovo prestigioso evento di Pitti Immagine dedicato al mondo della bicicletta e al Tour de France, in programma dal 26 al 28 giugno presso la Stazione Leopolda di Firenze.
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PASSO BROCON – Quasi trent’anni fa raccontai la vittoria di Tobias Steinheuser al Giro delle Regioni. Era il 1995 e il tedesco succedette al connazionale Baldinger, precedendo sul podio Uwe Peschel e il nostro Sgnaolin. Curiosamente è quello che penso mentre Georg Steinhauser, suo figlio, taglia il traguardo della tappa di oggi e si abbandona entusiasta fra le braccia dello staff EF Education-Easy Post sul traguardo.
Negli ultimi chilometri di salita si è tolto di dosso tutto quello che poteva. Prima gli occhiali, poi persino i guanti. E a capo di una fuga durata 136 chilometri, con la benedizione e i complimenti di Pogacar, il tedeschino di 22 anni ha conquistato la prima vittoria da professionista. Il suo precedente successo venne pure in Italia nel 2021, nella tappa di Valnontey al Giro di Val d’Aosta, in cui vestiva la maglia della Tyrol-Ktm.
«Ho tolto tutto quello che potevo – racconta – volevo essere il più leggero possibile per essere il più veloce possibile. Penso sia quello che serve per vincere una tappa in un grande Giro. I guanti sono poca cosa, per cui è possibile che sia stata una ricerca di leggerezza soprattutto psicologica. Però è anche vero che ho corso senza il misuratore di potenza, ho preferito ascoltare le mie sensazioni. La prima volta che l’ho tolto è stato nella tappa regina. I miei tecnici mi hanno detto che la bici sarebbe stata più leggera di 200 grammi e allora ho pensato: “Okay, non ne ho davvero bisogno!”. Oggi è stata la stessa cosa, ma per gli allenamenti non potrei farne a meno, in quel caso è prezioso».
Le mani sul casco nel segno dell’incredulità per la prima vittoria da professionistaLa sua precedente vittoria risaliva al Giro di Val d’Aosta del 2021Le mani sul casco nel segno dell’incredulità per la prima vittoria da professionistaLa sua precedente vittoria risaliva al Giro di Val d’Aosta del 2021
Il padre corridore
Era già andato in fuga nella tappa di Livigno, quella senza misuratore di potenza, ma alla fine era stato ripreso da Quintana e Pogacar dopo 176 chilometri di fuga. Quel terzo posto non gli bastava e così ha riprovato. L’albero genealogico dice che è figlio di un professionista e nipote di un gigante. Jan Ullrich sposò la sorella di suo padre Tobias e da lei ebbe due figli, prima di sprofondare nei suoi guai. In altre occasioni Georg ha raccontato di non avere grande assiduità con Jan, mentre suo padre gli è spesso vicino.
«E’ venuto a salutarmi nel giorno di Livigno – racconta – anche se ha sempre cercato di restare sullo sfondo delle cose. Mi ha lasciato prendere le mie decisioni, fare le mie cose. Per lui era semplicemente importante che mi piacesse questo sport. Ha riconosciuto più volte che per lui è come se la sua carriera e la mia siano molto distanti, davvero altre epoche. Però è sempre stato il mio riferimento, non avendo avuto idoli nella mia carriera.
«Faccio semplicemente le mie cose, ma ovviamente guardo le gare. E se vedo Froome andare in salita al Tour de France, riconosco che è qualcosa di straordinario. Oppure Kwiatkowski che vince la Milano-Sanremo per pochi centimetri. Sono momenti che ricordi per sempre e penso solo di voler essere come loro e di ottenere risultati come quelli. E oggi è la prima volta che ho realizzato qualcosa di così speciale e ne sono super felice».
Suo padre Tobias passò professionista nel 1996 con la Refin e fu professionista fino al 2005Steinhauser e Ullrich ai mondiali dilettanti del 1994 in SiciliaSuo padre Tobias passò professionista nel 1996 con la Refin e fu professionista fino al 2005Steinhauser e Ullrich ai mondiali dilettanti del 1994 in Sicilia
Scalatore fuori misura
Il problema è che essendo alto 189 centimetri (appena uno più di suo padre) si fa fatica ad etichettarlo. Quando vinse quella tappa in Val d’Aosta si lasciò dietro Hellemose, con un vantaggio di 3’41”. Le fughe sono il suo pane quotidiano, le salite non lo mettono a disagio malgrado la statura e i 65 chili, che a ben vedere non sono poi molti.
«Ci sono stati momenti nella mia carriera – Steinhauser spiega e sorride – in cui non ero sicuro di essere abbastanza forte per andare in salita. Ma sento che questa tappa lo ha dimostrato ancora una volta. Anche altre prove del passato hanno dimostrato che sono in grado: forse il mio corpo è alto, ma ho anche abbastanza muscoli per farcela. Semmai quello che mi sta stupendo e che mi rende felice è il mio recupero. Sono entrato nella terza settimana un po’ nervoso perché è il primo grande Giro e molti giovani corridori sono super stanchi. Per me finora è stato il contrario. Stamattina mi sentivo bene, sto recuperando. Quindi penso decisamente che i grandi Giri siano fatti per me, ma non so se per fare classifica o andare a caccia di tappe. Per ora mi godo questo momento e poi vedremo cosa verrà».
Il gruppo è partito daSelva di Val Gardena, scalando subito la meraviglia del Passo SellaIn fuga con Steinhauser è stato a lungo anche Ghebreigzabhier, eritreo di 29 anniIL gruppo è partito daSelva di Val Gardena, scalando subito la meraviglia del Passo SellaIn fuga con Steinhauser è stato a lungo anche Ghebreigzabhier, eritreo di 29 anni
Nessuna pressione
Quel che è certo è che in squadra da stasera si respirerà aria nuova. Non avendo portato al Giro Carapaz, che avrebbe potuto pensare alla classifica, e con Chaves sotto tono, era chiaro che la sola via per ritagliarsi uno spazio fosse andare a caccia di tappe. Ma questo pare non sia stato fonte di pressione, in un team che in effetti appare molto scanzonato e lascia ai corridori tanta aria e tanta libertà.
«In effetti – conferma Steinhauser – non vedo molta pressione. Noi ragazzi ci divertiamo molto e ovviamente siamo qui per correre e per provare a vincere. Sento che i direttori sportivi hanno molta fiducia in noi e fino ad ora ci avevamo provato molte volte, ma non aveva funzionato. Oggi è andata bene e adesso vedremo cosa succederà nei prossimi giorni. Mi sono divertito molto. Immagino che per fare questo lavoro tu debba divertirti e amare la sofferenza. Oggi è stata una giornata fantastica. Anche solo correre davanti a tutti è una sensazione straordinaria e arrivare fino al traguardo è semplicemente super speciale. Ancora non riesco a crederci».
Dopo l’arrivo Steinhauser si è abbandonato sfinito fra le braccia dei massaggiatoriDopo l’arrivo Steinhauser si è abbandonato sfinito fra le braccia dei massaggiatori
A proposito di passerelle
Sul traguardo è appena arrivato un po’ di sole. Dopo un Giro corso tutto al sole, per il secondo giorno hanno preso acqua e freddo e anche oggi hanno davanti 12 chilometri in bici per arrivare ai pullman. Un locale riservato sulla cima gli ha permesso di cambiarsi, ma forse sarebbe bene pensare anche a questo quando si invocano passerelle sotto la pioggia. Dall’inizio del Giro, ben più di una volta i corridori hanno dovuto fare chilometri e chilometri dopo l’arrivo: dai 24 di Prati di Tivo a quelli di Cusano Mutri. Siamo arrivati al diciassettesimo giorno di corsa e tutto va bene. Tiberi ha difeso la maglia bianca e incrementato il vantaggio. Pellizzari ha pagato gli sforzi di ieri. Steinhauser ride beato: per lui oggi la fatica ha avuto il sapore più dolce.
POC ha fatto debuttare al Tour de France il nuovo casco Cytal Carbon. Il segreto di aerodinamica e sicurezza è in una lama in carbonio fatta a mano in Italia
A volte si confessa per pulirsi la coscienza, altre per un tornaconto. Nel caso di Ullrich la convenienza ha la forma di un documentario su Amazon Video, dal titolo tedesco “Der Gejagte”, che significa “La Preda”. Raramente si confessa quando si ha qualcosa da perdere. Non per caso, libri e serie televisive, sono stati realizzati dopo scandali e a fine carriera. Mai durante, come dovrebbe fare chiunque avesse a cuore l’ambiente in cui vive. Nonostante ciò, vedere che finalmente Jan è uscito dal periodo più buio della sua vita riempie di gioia, perché di quel periodo sciagurato gli unici a pagare sono stati i corridori. Altri figuri, sia pure defilati, sono ancora in giro e non hanno pagato che spiccioli.
«Ullrich e io – chi parla è Lance Armstrong – eravamo icone nei nostri Paesi. Io perché avevo superato il cancro e ho ispirato molte persone. Jan perché è stato il primo tedesco a vincere il Tour. Sembra immodesto, ma eravamo i più grandi ciclisti al mondo e facevamo parte di quella generazione di merda. Mentre gli altri ciclisti dopati hanno potuto continuare a lavorare, Jan, io e Marco Pantani siamo stati trattati come se fossero stati infettati. Questo è il prezzo che paghi quando sei il migliore in uno sport, sei un simbolo. Mi ci sono voluti 10 anni di lotta per uscire da questo buco. E’ stato difficile. Ed è per questo che non ho lasciato Jan solo quando ho sentito che stava male».
Per 5 anni, Ullrich è stato battuto da Armstrong al Tour. Qui siamo nel 2001, tappa di Luz ArdidenPer 5 anni, Ullrich è stato battuto da Armstrong al Tour. Qui siamo nel 2001, tappa di Luz Ardiden
Un calderone di comodo
Ullrich alla fine ha rilasciato l’intervista che ci si aspettava da anni e ha ammesso di essersi dopato anche per vincere il Tour del 1997, che ha ribadito di sentire ugualmente suo. Mentre in quel mischione di ammissioni e confessioni, l’americano che non fu mai gentile con il romagnolo e probabilmente ne apprezzò le esclusioni dal Tour, ha ritenuto ugualmente di tirarlo dentro, sebbene non sia mai stato trovato positivo e soprattutto essendo impossibilitato a rispondere.
Avendo condiviso con lui tanti giorni, ne ricordiamo bene lo stupore quando raccontava di come Ullrich, 73 chili, rispondesse alle sue accelerazioni (Pantani pesava 58 chili) sull’Alpe d’Huez. Riepilogando dunque, il tedesco è stato male, Armstrong ha impiegato 10 anni per uscire dal buco, Marco è stato fregato e poi ammazzato. E a febbraio saranno 20 anni dalla sua morte.
Confessare ha tolto un peso dal cuore di Ullrich: al netto di tutto, un bene per la sua vitaConfessare ha tolto un peso dal cuore di Ullrich: al netto di tutto, un bene per la sua vita
La preda arresa
«Ero molto depresso – racconta Ullrich nell’intervista al tedesco Hajo Seppelt – come atleta ho sofferto molto, ma dopo la carriera, la mia vita ha preso una svolta nella direzione sbagliata. Nel 2018 ho vissuto il momento peggiore, esponendomi a tutto ciò che una persona può sopportare fisicamente e mentalmente. Il passo successivo, dal punto di vista pratico, sarebbe stato la morte».
Hajo Seppelt è un noto cacciatore di doping in Germania. Seppelt affrontò Ullrich durante la sua carriera, ma Jan evitò tutte le domande che potessero costringerlo a rivelare il segreto. Invece, dopo aver parlato per la prima volta del suo passato di doping in un’intervista con il magazine tedesco Stern, Ullrich è tornato a sedersi proprio davanti a chi lo ha inseguito lungo tutta la carriera. E ha vuotato il sacco.
Party di fine Tour 2005, Armstrong annuncia il ritiro, Ullrich festeggia con lui (foto Liz Kreutz)Party di fine Tour 2005, Armstrong annuncia il ritiro, Ullrich festeggia con lui (foto Liz Kreutz)
Una serie Amazon
«Sono sopravvissuto a malapena a quella crisi estrema della vita – racconta – e ad un incidente. Dopo due anni in cui mi sono rafforzato fisicamente e mentalmente, sono giunto alla decisione che avevo davvero bisogno di rimettere in carreggiata la mia vita. In realtà ho perso molti anni a causa di errori e debolezze personali. Come è possibile che si sia arrivati a questo? E’ stato un processo durato diversi anni. Tutto è iniziato quando non mi è stato permesso di partire al Tour de France nel 2006 (a causa del presunto coinvolgimento nell’Operacion Puerto, ndr)».
Armstrong si era ritirato dopo sette maglie gialle consecutive, il titolo era vacante e se lo sarebbero conteso Ullrich e Basso, gli uomini degli ultimi podi, ma entrambi si fermarono sullo stesso ostacolo. La maledizione di quel Tour si abbatté anche sul suo vincitore: quel Floyd Landis che venne trovato positivo e venne cancellato dall’ordine di arrivo, con vittoria finale di Oscar Pereiro Sio.
E’ il Tour 2005, l’ultimo di Armstrong: il pubblico tifa (invano) perché Ullrich ne interrompa il dominioE’ il Tour 2005, l’ultimo di Armstrong: il pubblico tifa (invano) perché Ullrich ne interrompa il dominio
Solo contro tutti
«Da candidato vincitore al Tour – racconta Ullrich nell’intervista – sono caduto e all’improvviso mi sono ritrovato solo, mentre tutta la Germania mi sparava addosso. Dall’essere il miglior cavallo della scuderia sono diventato un “cavallo da fattoria”, il che è stato molto difficile. Ho perso molti anni e adesso ne sono triste. I miei problemi sono sorti a causa di errori personali, a causa della mia debolezza. Ero in alto, sono caduto in basso in basso, ora per me l’obiettivo è il centro. Anche le piccole cose possono renderti felice».
Ullrich si ritirò nel 2007. A causa dell’Operacion Puero, il Tas di Losanna gli impose una sospensione, annullando i suoi risultati del 2005. Solo nel 2013, il tedesco ammise l’uso di sostanze dopanti.
In un post su Instagram, Ullrich ha ringraziato Tonina, arrivata per lui dall’Italia (foto Amazon Video)In un post su Instagram, Ullrich ha ringraziato Tonina, arrivata per lui dall’Italia (foto Amazon Video)
Perché parlarne
E’ difficile scegliere di parlarne, lo facciamo per l’amore verso i corridori che assaporarono la gloria e si presero la croce sulle spalle. La presenza di Tonina Pantani alla presentazione del documentario è quella di una mamma che ha sentito di voler abbracciare come un figlio il rivale di Marco.
Si diceva che è difficile parlarne ancora. Da una parte si vorrebbe dimenticare tutto, dall’altra si fa fatica a non essere d’accordo con chi dice che, pur in un ambiente viziato dalla chimica, fossero i più forti al mondo.
La vera utilità nel ricordare certe storie sta nella voglia di non cadere ancora negli stessi errori. Nella consapevolezza che non bisogna mai abbassare la guardia e che è bene dedicare a ogni impresa enorme il rispetto e il giusto stupore, vigilando sommessamente che tutto si sia svolto nelle regole. Nessun antidoping in quegli anni fu in grado di fermarli: ci riuscirono soltanto le inchieste di Polizia.
Giuseppe Guerini è nato e cresciuto a Vertova, in Val Seriana, ed è legato in maniera indissolubile al suo territorio. Lo è così tanto che i suoi tifosi lo hanno soprannominato “Beppe Turbo” vista la vicinanza alla centrale idroelettrica di Vertova. Professionista dal 1993 al 2007, la bici è sempre stata al centro del suo mondo e lo è ancora. Difficile disamorarsi del mezzo che ti ha conquistato fin dalla più tenera età.
«A parte una piccola parentesi dal 2008 al 2010 – racconta Giuseppe dalla Sicilia, dove si trova in vacanza – dove con degli amici ho aperto un negozio di arredi, sono sempre restato nel mondo del ciclismo. Proprio nel 2010 sono entrato in Bianchi e sono diventato il responsabile marketing della Lombardia, ruolo che ricopro tuttora».
Giuseppe Guerini, qui con Colbrelli, dal 2010 lavora come funzionario di vendita per Bianchi Giuseppe Guerini, qui con Colbrelli, dal 2010 lavora come funzionario di vendita per Bianchi
Com’è stato questo cambio di ruolo?
Mentre sei corridore non ti accorgi di tutto quel che ti circonda, pensi solamente ad andare forte. Non ti rendi conto dell’importanza del feedback dei professionisti per sviluppare un telaio o una bici, come non realizzi quanto sia profonda l’industria della bicicletta. Non mi accorgevo che dietro di me ci fosse un mondo che si muoveva e che cresceva giorno dopo giorno.
Qual è stata la più grande difficoltà che hai incontrato?
Mi sentivo preparato, o per lo meno, pensavo di esserlo ma non era così. Da corridore conoscevo davvero pochi dettagli tecnici o prodotti, quando mi sono lanciato in questa nuova avventura in Bianchi ho dovuto studiare tutto da zero. I primi mesi sono stati complicati, anche alcuni negozianti mi hanno confessato che inizialmente facevo qualche gaffe, ma me la perdonavano visto il mio passato (dice ridendo, ndr).
Ecco il cartello celebrativo dell’impresa di Giuseppe avvenuta nel Tour de 1999, un ricordo indelebile (foto Facebook) Ecco il cartello celebrativo dell’impresa di Giuseppe avvenuta nel Tour de 1999, un ricordo indelebile (foto Facebook)
Un uomo da Giri
Giuseppe da corridore si è distinto per aver conquistato due terzi posti nella classifica finale del Giro d’Italia, nel 1997 e nel 1998, il secondo alle spalle di Pantani che in quell’anno conquistò anche il Tour. Dopo la parentesi in Polti, dal ‘96 al ‘98 è passato alla Telekom di Ullrich diventando uno dei suoi uomini di fiducia per il Tour de France. E parlando proprio di Grande Boucle, quest’anno ricorre un anniversario particolare. Sono passati 23 anni dalla sua prima vittoria di tappa in terra francese: il 14 luglio 1999 sull’Alpe D’Huez (foto Cor Vos di apertura). E quest’anno, come allora, l’Alpe d’Huez verrà scalata il giorno della Festa Nazionale francese.
Che emozioni provi se ripensi a quel giorno?
Tante, tantissime. Quel periodo storico per il ciclismo italiano era davvero speciale, eravamo davvero forti. L’Alpe d’Huez è una salita magica, se poi l’affronti il giorno della Festa Nazionale lo diventa ancor di più. I colori, le bandiere, la gente, tutto ti travolge su quei tornanti. “Travolge” è proprio la parola giusta, visto che all’ultimo chilometro un tifoso mi voleva scattare una foto e mi ha fatto cadere, fortunatamente sono ripartito subito e sono riuscito a vincere.
A Selva di Val Gardena, nel Giro del 1998 Guerini vince davanti a PantaniA Selva di Val Gardena, nel Giro del 1998 Guerini vince davanti a Pantani
Cosa ricordi di quel giorno?
Oltre alla caduta, sono successe tante cose. Sulla macchina del giudice di corsa c’era l’amministratore delegato della Telekom, sponsor della squadra. Lui era un grande appassionato di ciclismo ed amava venire con noi alle corse e la sera prima della gara faceva una specie di riunione tecnica (racconta con una risata, ndr). Quel giorno io non dovevo neanche attaccare, ma la sua presenza mi diede una spinta in più. Della salita ricordo la fatica e l’adrenalina dei primi chilometri, non vedevo nulla di ciò che avevo intorno ma sentivo il frastuono, ad ogni tornante c’era un colore ed una lingua diversa. L’Alpe d’Huez negli ultimi 3-4 chilometri si apre e lì sembrava di essere dentro ad uno stadio, se ci penso ho ancora la pelle d’oca. Quando pedali in mezzo a milioni di persone non senti neanche più la fatica.
Quando hai realizzato ciò che avevi compiuto?
Pochi secondi dopo l’arrivo ero frastornato, la caduta e le emozioni mi hanno travolto, poi pian piano mi sono accorto di aver fatto qualcosa di davvero eccezionale. Quando da bambino sognavo di diventare un corridore immaginavo le salite del Giro, mai avrei immaginato di dominare l’Alpe d’Huez.
Ugualmente al Giro del 1998, Guerini terminò terzo in classifica generale, alle spalle di Pantani e TonkovUgualmente al Giro del 1998, Guerini terminò terzo in classifica generale, alle spalle di Pantani e Tonkov
Fra Ullrich e Pantani
Un corridore come Giuseppe Guerini ha visto da vicino, combattendoci sulle strade di Giro e Tour, due mostri sacri di questo sport: Pantani e Ullrich. Giuseppe è nato un mese dopo Marco ed essere venuti al mondo così vicini ha fatto, per forza di cose, incrociare i due più volte nelle varie categorie, ma non così tante di come ci si aspetterebbe. Questo anche a causa delle scelte professionali di Guerini.
Cosa ti ricordi del Pirata?
Io e Pantani abbiamo corso contro molte volte da dilettanti, meno da professionisti. Il primo ricordo che ho di lui è una tappa del Giro d’Italia dilettanti. Vinsi e dietro di me arrivarono Marco e Casagrande. Nel 1998, da professionisti, affrontammo una tappa molto simile, sempre con arrivo a Selva di Val Gardena. Pantani arrivò ancora secondo dietro di me, ma quel giorno conquistò la sua prima maglia rosa.
L’anno dopo sei passato alla Telekom di Ullrich.
Nel 1999 presi la decisione di “sposare” il progetto della Telekom, mi ero reso conto che contro Pantani si correva per arrivare secondi. Quindi andai da Ullrich per aiutarlo a vincere il Tour. Con lui sono stato per 8 anni, l’ho visto da vicino e ho imparato a conoscerlo, il mio arrivo alla Telekom fu particolare.
Nel 1999 Guerini passò alla Telekom di Ullrich, con la quale corse per 9 stagioni, fino al suo ritiro nel 2007Nel 1999 Guerini passò alla Telekom di Ullrich, con la quale corse per 9 stagioni, fino al suo ritiro nel 2007
Perché?
La Telekom, squadra tedesca, aveva tutti corridori tedeschi, non fu facile entrare in sintonia con la squadra. Io sono stato uno dei primi atleti “oltre confine” ma degli anni con Jan ho un ricordo bellissimo.
Raccontaci…
Lui era un uomo estremamente gentile, dal punto di vista umano era impeccabile, non si arrabbiava mai con i compagni, era sempre pronto a spendere una buona parola per tutti. Dal punto di vista atletico, invece, un po’ meno. Non aveva molta passione per la bici, si è ritrovato catapultato in questo mondo da giovanissimo grazie al suo immenso talento. A 22 anni ha vinto un Tour de France dal nulla, aveva davvero doti atletiche straordinarie, diciamo che aveva poca voglia di allenarsi ma tanta voglia di fare festa.
Forse questa sua poca passione era quel che gli ha permesso di vivere tutto in maniera più distaccata…
Potrebbe essere, in fondo a lui del ciclismo fregava il giusto. Negli anni in cui ero con lui in squadra avrà fatto 4 o 5 volte secondo al Tour senza mai lottare con Armstrong. Bisogna anche ammettere che Jan arrivava alla Boucle all’80 per cento, se si fosse allenato di più avrebbe potuto vincere qualsiasi gara. Non aveva limiti.