A notte fonda, nei ricordi di Fornaciari

21.02.2021
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Quando si metteva davanti Fornaciari, la velocità impazziva e il gruppo dietro smetteva di parlare. Oggi che fa i gelati, Paolo mette nelle sue giornate la stessa grinta. Per questo, quando ci sentiamo a notte fonda, ha lo stesso tono delle sere nella hall degli hotel a raccontarci come fosse andata la tappa. Una volta si faceva così. E lui stavolta è arrivato lungo perché a un certo punto ha finito il latte ed è dovuto andare alla Esselunga per trovarlo.

Nel 2008, dopo il ritiro, riceve da Johnny Carera e Roberto Bettini il premio Sprint Cycling Magazine
Nel 2008 riceve da Roberto Bettini il premio Sprint Cycling Magazine

«Sono stato tutto il giorno a inseguire il gruppo col 53×11 – scherza Fornaciari – ma ora sono rientrato. Arriva il primo caldo, la gente vuole il gelato. Ma noi abbiamo lavorato anche durante il lockdown. L’8 marzo abbiamo cominciato a portare le vaschette a casa e quei clienti poi sono tornati. Ne portavamo fino a 100 al giorno per 5 euro in più. Con le scatole termiche, il ghiaccio e quello che serviva. Perché s’è corso in bici e con tutta la fatica che facevo, non erano quei chilometri a farmi paura. Ma adesso non pedalo più. L’anno scorso ho fatto in tutto 210 chilometri, in un giorno solo. E’ venuto un amico a propormelo e allora gli ho detto che il percorso lo avrei deciso io. Siamo partiti alle sei del mattino e siamo tornati alle cinque del pomeriggio. Montecatini, Lucca, Massa, Versilia, Pisa e poi a casa. Non prendevo la mia Wilier da 11 anni e quando sono rientrato, ho tolto le ruote e l’ho rimessa sull’armadio. Mi ha fatto male il soprassella per qualche giorno…».

La bici è una parentesi

Paolo ride e parla, l’ha sempre fatto. Da quando era dilettante fino al passaggio nel 1992 e poi per tutta la carriera, conclusa nel 2008 con una sola vittoria personale ma strepitosi successi dei suoi capitani. Ha il vocione e il suo modo di raccontare le cose ti fa pensare di aver vissuto insieme degli anni davvero speciali. Racconta che gioca a tennis con dei ragazzotti di 20 anni che dopo un po’ non ce la fanno più. Dice di essere 10 chili più di quando ha smesso, ma allora era tutto muscolo. Adesso le gambe sono la metà, però ha i capelli bianchi.

«Lunedì e martedì siamo chiusi – dice Fornaciari – anche d’estate. Ho la casa, la mia famiglia. Mia moglie Maddalena s’è laureata in geologia con 110 e lode, ha fatto la geologa per vent’anni e adesso lavora con me. Mia figlia Arianna è al secondo anno all’università, mentre Greta è in seconda media. E’ un lavoro che si fa con grande passione, cercando la qualità del prodotto. La bicicletta è stata una parentesi e a me è andata bene. Dovevo aprire un negozio di bici e per fortuna non l’ho fatto. Ho la mia casa con la piscina. Non ti arricchisci a fare questi lavori, ma c’è grande soddisfazione».

Con Gotti e Cunego

Paolo ride e parla. Poi di colpo il tono si abbassa ed è come se dal manubrio si voltasse per guardare quel che ha lasciato indietro.

Nel 1995 partecipa alla Roubaix vinta da Ballerini
Nel 1995 partecipa alla Roubaix vinta da Ballerini

«Sono contentissimo – dice Fornaciari – e devo dire grazie a tante persone che mi hanno consigliato benissimo. Eravamo insieme in Sicilia da neoprofessionisti, ti ricordi? Bartoli e Fornaciari, primo e terzo. Sembrava fossero nati due campioni, invece ne era nato uno solo. Ho capito presto che non ero un vincente. Fu Salutini ai tempi della Mercatone Uno a dirmi che se volevo fare carriera dovevo mettermi a disposizione di un capitano, perché con il mio fisico avrei fatto la differenza. Anche Luciano Pezzi seppe parlarmi in modo saggio. Ho un bellissimo rapporto con tutti, l’unico con cui ho rotto è Cipollini e non so perché. Eravamo a Genova alla partenza del Giro del 2004. Noi avevamo Cunego, andai vicino a Mario a dirgli di dare un occhio a questo ragazzino e mi rispose: “Con lui ci parlo, con te no”. Mai più una parola da allora. Gli altri li ho risentiti tutti. Calcaterra, Bramati, Scirea. I toscani li vedo e li sento spesso e ho un ottimo rapporto ancora con Martinelli. La Saeco è la squadra che più mi è rimasta nel cuore. Vincemmo prima il Giro con Gotti e poi con Cunego».

Al Giro del 2003 sullo Zoncolan, che non si addice ai giganti
Al Giro del 2003 sullo Zoncolan, che non si addice ai giganti

I suoi massaggiatori

Paolo adesso non ride più e lo dice con un sorriso amaro, perché quasi gli fa male parlare del ciclismo, che fatica a riconoscere.

«Non mi garba più – ammette Fornaciari – perché è cambiato tanto. Sono in contatto con i massaggiatori e me lo dicono che non è più come una volta. E’ vero quello che si diceva poc’anzi. Dopo la corsa ci si trovava nella hall, si chiarivano eventuali incomprensioni e poi si andava avanti. Adesso invece sono tutti coi cellulari, i computer e le mail. Io andavo sul pullman a prendere il caffè con i massaggiatori, che fanno una vitaccia. L’ultima cosa che fanno sono proprio i massaggi. Prima preparano i rifornimenti, poi te li passano in corsa, portano le valigie, fanno le camere. Arrivano la sera distrutti e devono ancora fare i massaggi. Devono darti morale ed essere sempre onesti a dirti le cose come sono. I miei li ricordo tutti. Noè, Mugnaini, Della Torre, Avogadri e Cerea che mi salvò quando caddi al Tour e mi pelai da testa a piedi. Ero alla Saeco, nel Tour che partì da Dublino. Erano anni che stavo più con il massaggiatore che con la moglie. Facevo anche 100 corse all’anno, ma fisicamente sono integro. Mai una tendinite, mai una frattura…».

Alla Tirreno del 2007, con Bettini iridato, Basso e Roberto Petito
Alla Tirreno del 2007, con Bettini iridato e Basso

Kemmel, che paura

Paolo parla e ride forte, questa volta ricordando quanta paura abbia avuto in certi momenti.

«Se c’è una corsa che davvero faceva paura – dice Fornaciari – era la Gand a scendere dal Kemmel. Quello era il rischio più grande, si aveva paura per tutto il tempo prima di arrivarci. Si faceva in discesa a 70 all’ora sul pavé. Le borracce cadevano, l’acqua bagnava le pietre e diventava impossibile restare in piedi. Duecento metri, non di più. Sull’asfalto scivoli. Sul pavé, se va bene sono contusioni, altrimenti ti rompi. Vi ricordate nel 2007 Velo che male si fece in quella discesa?».

Mito Indurain

Il ricordo è un fiume in piena e le sue parole tratteggiano situazioni e personaggi cui non pensavamo da tempo.

«Ho corso con tanti campioni – dice Fornaciari – Museeuw, Bettini, Bartoli, Ballerini, Tafi, Zanini. Ma per me il più forte al mondo come persona fu Miguel Indurain. Un signore, furbo il giusto. Si è fermato al momento opportuno. Una volta al Tour, un paio d’anni dopo che aveva smesso, era venuto al Villaggio di partenza ed era sotto un gazebo circondato dai giornalisti. Io ero con Fagnini quando mi accorsi che c’era Miguel, ma stavamo in disparte. E sai lui cosa fece? Li lasciò tutti lì, si alzò, venne da noi a salutarci. Quando ero dietro a prendere le borracce e rimontavo, se passavo accanto a lui, mi diceva sempre “Vai Forna, vai Forna!”».

Al Fiandre del 2008 ritrova Bartoli, vincitore nel 1996 e grande amico
Al Fiandre del 2008 ritrova Bartoli, vincitore nel 1996 e grande amico

La scatola dei ricordi

Eppure in casa del suo ciclismo non c’è niente, appena un paio di foto in gelateria.

«A casa ci sono più trofei di gelato che altro – ammette – ma ho uno scatolone in cui tengo tutte le altimetrie dei Giri che ho fatto e i Garibaldi. Ogni tanto mi metto a riguardarli e a ricordare. C’è stato il periodo che facevo i gusti del gelato in onore dei corridori. Il gusto Nibali quando vinse il Tour e anche il giallo Nocentini. Ma ormai vado su quelli classici e altri che inventiamo noi, che portiamo ai concorsi. Quella è una parte bella, ma è più importante seguire la gelateria. Me lo insegnò Carlo Pozzi, il decano dei gelatai, che purtroppo non c’è più. Dopo che vinsi il titolo di miglior gelataio d’Italia, mi disse che i concorsi erano adatti a me perché quando attacco il numero sto meglio, ma la gente vuole vedermi dietro al banco. Quando fermai la Tirreno-Adriatico, mi chiamò per dirmi che era contento di avermi visto con la giacca dell’Accademia».

Gande Wevelgem
Che paura nelle discesa del Kemmel quando cadevano le borracce
Gand Wevelgem
Che paura nelle discesa del Kemmel quando cadevano le borracce

S’è fatto tardi. Ci diamo appuntamento al giorno di Larciano, per rivederci dopo tanto tempo. E poi l’ultima risata, “Forna” ce la strappa augurando la buona notte.

«Devo andare a chiudere le galline – dice – sperando che la volpe non le abbia già mangiate. Di solito le chiudo prima. Le teniamo per le uova di casa. Uguale con le anatre, sai che ci sono nate con l’incubatrice in casa? Ma adesso sapeste che buona la frittata con le uova di anatra…».

Daniele Casanova, Eddy Mazzoleni, ristorante Casanova 2020

Volete sapere cosa fa ora Eddy Mazzoleni?

19.12.2020
5 min
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Dal 2008 Eddy Mazzoleni manda avanti il suo ristorante, il Casanova di Curno, assieme al socio che gli ha messo il nome. Daniele Casanova, appunto, suo cugino di secondo grado, già cuoco in ristoranti stellati. Il bergamasco ha impiegato un anno, dopo aver smesso di correre, per scegliere quale strada intraprendere. E anche se il momento per chi fa ristorazione non è affatto semplice, con la possibilità di tenere aperto soltanto a pranzo, dice di averne approfittato per stare un po’ di più a casa. Dato che, a cose normali, starebbe nel locale da mattina a sera.

«Non siamo tantissimi – dice – in tutto una decina. Per cui si è fatta un po’ di cassa integrazione con i dipendenti, ma ora stiamo lavorando tutti. La fortuna è che il locale è mio, per cui la voce dell’affitto non va considerata».

Eddy Mazzoleni, Gand-Wevelgem 1999
Nel 1999 alla Gand-Wevelgem, Eddy è già professionista da tre stagioni
Eddy Mazzoleni, Gand-Wevelgem 1999
Gand-Wevelgem 1999, è pro’ già da tre anni

Gregario di lusso

Eddy era una forza della natura. Diventò professionista nel 1996 con la Saeco e passando per il Team Polti, la Tacconi Sport poi Vini Caldirola, di nuovo la Saeco, Lampre, T-Mobile e Astana e si fermò contro un’accusa di doping in realtà non suffragata da prove. Aveva già 34 anni e valutò che non valesse la pena imbarcarsi in una costosa disputa legale che comunque non gli avrebbe permesso di correre. E così pensò di occuparsi d’altro.

Era stato tra gli artefici della vittoria di Cunego al Giro del 2004. Prima ancora, braccio destro di Gotti e di Garzelli, dopo anni di apprendistato alla corte di Cipollini. Poi lo presero per aiutare Ullrich e alla fine per Savoldelli, che però cadde al Giro del 2007 lasciando al compagno via libera verso il terzo posto.

La ruota storta

Giusto per farci una risata, lo conoscemmo mentre il suo direttore sportivo Locatelli lo copriva di improperi al Giro d’Italia dilettanti del 1994. Infatti Eddy aveva fatto un’ottima crono in Romagna e al traguardo Olivano si era accorto che aveva corso con il tubolare che toccava contro il fodero orizzontale.

«In tanti anni che ho corso – si fa a sua volta una risata – mi è successo solo con quella bici Colnago e quelle ruote. Sotto sforzo il mozzo mollava e la ruota si storceva. Ero proprio forte, si vede, perché non me ne ero neppure accorto».

Eddy Mazzoleni, Paolo Savoldelli, Giro di Romandia 2007
Al Romandia del 2007 preparando il Giro d’Italia con Paolo Savoldelli
Eddy Mazzoleni, Paolo Savoldelli, Giro di Romandia 2007
Al Romandia 2007, preparando il Giro con Savoldelli
Come sono stati gli anni dopo aver smesso?

Il tempo passa. Ormai ho fatto più anni da ristoratore che da professionista. All’inizio ebbi qualche difficoltà, perché venivo davvero da un altro mondo. Sono serviti due anni per togliermi la mentalità del corridore.

Esserlo stato non ti ha lasciato niente?

Mi è servito parecchio. Mi ha insegnato la metodicità nel lavoro, la capacità di non mollare quando si fa dura. E’ stato una scuola di vita, anche se la mia vita a un certo punto l’ho trasformata. Chi era inquadrato nel ciclismo, ne ha tratto vantaggi. Per chi non lo era, non cambia poi molto.

Pensi mai ai tuoi anni in sella?

Certo e penso che sono stato fortunato. Ho fatto il mestiere che avevo sempre sognato e di conseguenza ho il rammarico di aver smesso prima. In quel periodo le cose andavano in modo strano e dare la colpa solo ai corridori è stato per anni il modo di non fare chiarezza. Oggi sarei forse più forte e senza tanti stress. Chi ha qualità esce più facilmente.

Eddy Mazzoleni, Tre Cime di Lavaredo, Giro d'Italia 2007
Tre Cime di Lavaredo, Giro 2007, arriva 5° e sale al 2° posto nella generale
Eddy Mazzoleni, Tre Cime di Lavaredo, Giro d'Italia 2007
Quinto alla Tre Cime di Lavaredo al Giro del 2007
Il sogno…

Alle elementari facevo i compiti con la tele accesa, per guardare Moser, Saronni e Lemond. Volevo esserci anche io, ma poteva sembrare un sogno di bambino. Perciò se penso a tutto quello che ho fatto, sono contento. Il terzo posto al Giro dimostrò che potenzialmente non ero solo un gregario.

Quali furono i tuoi capitani?

Ho imparato tanto da Cipollini. Come allenarsi, come mangiare, la messa a punto della bici. Alla Saeco capitai nel pieno della lite fra Cunego e Simoni e mi ritrovai dalla parte di Cunego. Poi Gotti e Salvoldelli, con cui ho un rapporto di amicizia anche dopo tanto tempo. Con Garzelli, alla Caldirola, eravamo una squadra piccola, come oggi l’Atalanta. Nessuno ci considerava, ma facemmo grandi cose.

Se qualcuno ti chiede il perché tu abbia smesso?

Me lo chiedono spesso anche al ristorante. Se è gente che non sa nulla di ciclismo, dico che avevo raggiunto un’età in cui era meglio smettere. A chi conosce il ciclismo dico di aver avuto un problema, per il quale mi hanno fatto smettere.

E’ un peso che ti porti addosso?

No, poteva succedere ed è successo anche ad altri. Non ho fatto male a nessuno, non sono mai risultato positivo. Sono finito in delle intercettazioni e tanto bastò.

Mazzoleni con la compagna Alessandra, con cui condivide la passione per la bici
Mazzoleni con la compagna Alessandra, con cui condivide la passione per la bici
Eddy, vai ancora in bicicletta?

Farò a dire tanto 1.000 chilometri all’anno. Vado in palestra, corro a piedi. Mi alleno 4-5 volte a settimana, ma sapete com’è la bici, no? Se esci poco, ogni volta è una pena. E se ricordi i vari tratti di strada e le velocità con cui li facevi, ti viene male passarci al rallentatore.

Dove abiti?

Vivo a Palazzago e convivo con Alessandra Bianchini, sono felicissimo con lei anche perché condividiamo la passione per lo sport e soprattutto la bici. Vedo mia figlia Camilla, che ha 10 anni. Vedo Gotti due volte a settimana, perché viene a mangiare da noi. Vedo Fidanza, perché abita nel mio paese. Seguo gli altri su Facebook.

La tivù è sempre accesa sul ciclismo come quando Eddy era un bambino?

Non guardo tutte le tappe, ma non mi perdo quelle più belle. Non sono più così assiduo e anche con i nomi faccio un po’ fatica. Però negli ultimi 2-3 anni sono usciti dei bei corridori che fanno la differenza. Van der Poel, Evenepoel, Pogacar, Roglic. Prima non c’erano e peccato per gli italiani. Credo stia passando da noi il buco che hanno avuto per un po’ i francesi, ma sono fasi che passano. Tutto passa. Passerà anche il Covid. La vita va sempre avanti, mai dimenticarlo.