Ma perché non pensare anche ad una Parigi-Roubaix per Samuele Zoccarato? Grinta da vendere, fisico potente e due titoli nazionali gravel. «Perché bisogna anche essere realistici – replica il diretto interessato – una Roubaix sì, sarebbe bella e di certo non avrei paura di buttarmici, ma forse una Strade Bianche sarebbe più indicata. E’ una corsa più adatta alle mie caratteristiche, c’è anche qualche strappo. Come dicevo bisogna essere realistici: non sono un super vincente e per certe corse serve anche una squadra importante. Credo però di poter essere un buon gregario».
Con il nuovo campione italiano gravel della VF Group-Bardiani dunque facciamo il punto sulla sua insolita stagione. Il Giro d’Italia non fatto, le corse al Nord, appunto l’esperienza offroad… Samuele non è mai banale e i discorsi filano via carichi.
Samuele Zoccarato (classe 1998) allo ZLM Tour in Olanda dove si è ben comportato tra pavè e ventagliSamuele Zoccarato (classe 1998) allo ZLM Tour in Olanda dove si è ben comportato tra pavè e ventagli
Samuele, partiamo con un piccolo passo indietro e dal buon campionato italiano su strada che hai disputato…
Era già da un bel po’ che andavo forte, almeno rispetto ai miei standard ovviamente. Mi sentivo bene. Quindi in verità non è stata una sorpresa andare così bene all’italiano su strada. Già dal Giro della Grecia avevo visto che era cambiato qualcosa: riuscivo a rimanere davanti molto più facilmente. Poi sono andato in Olanda e di nuovo mi sentivo molto bene. Lassù, nei miei quattro anni di professionismo non ero mai riuscito a stare davanti in un ventaglio. Stavolta in ogni ventaglio appunto ero in testa, sempre protagonista. Vuol dire che stavo lavorando nel modo giusto.
Hai raccolto i frutti della preparazione che hai fatto per il Giro e forse c’è anche un po’ di grinta in più, quella di voglia di dimostrare che Zoccarato c’era…
Sì, un po’ sì. Volevo fare vedere che qualcosa da dimostrare ancora ce l’ho. E poi credo che i giorni di gara in Olanda mi abbiano dato un ritmo che quest’anno non avevo mai avuto.
È diverso correre con la gamba buona lassù?
Assolutamente sì, perché invece di subire la corsa e fare solo fatica, la fai e ti gestisci. Lassù se molli un attimo, anche mentalmente, sei morto. Invece con una buona condizione e un po’ di grinta è tutta un’altra cosa. Mi sono divertito per la prima volta al Nord.
Il veneto in azione all’italiano gravel, che alternava tratti sterrati ad altri più filantiIl veneto in azione all’italiano gravel, che alternava tratti sterrati ad altri più filanti
Veniamo all’italiano gravel. Hai fatto doppietta. Lo avevi già vinto nel 2022. Questa specialità in qualche modo di attrae. Com’è andata?
All’inizio non avevo tutta questa voglia di andare. Poi ho chiesto alla squadra di montarmi una bici, come dicevo io, con i materiali specifici. Ci sono riusciti e alla fine questa scelta ha portato i suoi frutti.
Quali sono state le tue richieste specifiche?
Prima di tutto dei rapporti adatti al percorso, quindi ad esempio montavo il 44 davanti e il 9-44, dietro. Poi delle gomme molto scorrevoli. Coperture ideali secondo me per quel tipo di percorso.
Beh, te l’eri ristudiata allora…
Sì, altrimenti non sarei andato. Non avrei fatto l’italiano gravel allo sbaraglio. Del percorso mi ero informato sulla locandina e i file Gpx che ho trovato. In più gli ho dato un’occhiata il giorno prima. Volevo fare una ricognizione la settimana prima, ma un po’ perché la bici non era ancora pronta e un po’ perché non s’incastrava bene con i miei allenamenti non ci sono andato.
Come è andata la corsa?
Siamo partiti abbastanza forti come succede anche su strada. All’inizio ho avuto alcuni problemi, sono caduto dopo 15 chilometri in un tratto in discesa che già il giorno prima mi era accorto poteva essere pericoloso. Sono entrato in una curva a kamikaze… e sono finito a terra. Poi mi è scesa due volte la catena. Ho visto che c’era Agostinacchio che andava molto forte in salita e un po’ lo temevo (anche per le doti di guida, Agostinacchio è biker e crossista, ndr). Al secondo giro ho provato a fare una “fagianata”, ma non è andata bene. Così dopo qualche chilometro ho dato una botta secca e infine sono riuscito a rimanere da solo. E così sono rimasto fino all’arrivo.
Zoccarato bissa il successo del 2022. Potrà andare al mondiale a Leuven in Belgio ad inizio ottobreZoccarato bissa il successo del 2022. Potrà andare al mondiale a Leuven in Belgio ad inizio ottobre
E quanto mancava?
Circa 60 chilometri. Ma da quel momento è stato tutto più facile perché facevo il mio ritmo. Non avevo problemi di visibilità nei tratti tecnici nello stare dietro a qualcuno e rischiare di sbagliare qualcosa. Si trattava solo di spingere. Guida con sicurezza sul tecnico e spingere forte nei tratti più pedalabili.
E ora guardiamo avanti. Sei al Giro d’Austria. Poi quale sarà il tuo programma?
Adesso c’è un po’ di tempo per staccare, dovrei andare anche in ritiro in quota ma ancora non so dove. Dovrei riprendere ad inizio agosto con l’Arctic Race of Norway e a seguire con il Giro di Danimarca. Dentro di me non vorrei staccare, mi sento molto bene.
Possiamo immaginare…
Poi comunque dovrei fare le corse del calendario italiano, più avanti. Spazio per provare a cogliere qualche risultato non manca.
La Ursus Countach è una di quelle ruote che ci piace definire come una ruota prestazionale da strada, mascherata per l’utilizzo gravel. La nuova Countach fa della rigidità complessiva uno dei suoi cardini.
Il cerchio è tutto in carbonio con il canale interno hookless, con i bordi pieni e sostanziosi. La raggiatura è a nostro parere uno dei punti di forza che influiscono su rigidità, reattività e quell’efficienza aerodinamica che non guasta. Entriamo nel dettaglio del test.
Countach è una tipologia di ruota ad elevate prestazioniCountach è una tipologia di ruota ad elevate prestazioni
Ursus Countach, per le gomme larghe
Più le utilizziamo e più ci orientiamo a pensare che la Countach sia una sorta di ruota all’round. Con tutta probabilità nasce per un gravel competitivo e corsaiolo, dove conta il giusto rapporto tra il peso/resa tecnica/affidabilità e anche la robustezza. In realtà ci confrontiamo con un sistema scorrevole e capace di interfacciarsi al meglio anche con pneumatici stradali da 32 millimetri di sezione. Questo fattore la posiziona in quel segmento di prodotti che, opportunamente configurati con le bici endurance più moderne, gratifica anche se portato nei contesti stradali “scassati”. Ad esempio strade secondare abbandonate, ciottolati e pavè, strade bianche battute.
Rimanendo in ambito off-road/gravel è il gravel veloce e con dislivello il suo pane, dove una buona tecnica nella guida del mezzo collima con una rigidità (elevata) delle due ruote, anteriore e posteriore, aspetto che obbliga a gestire le pressioni e le tipologie di pneumatici (meglio tubeless da 38/40 usati a pressioni medie e basse). A nostro parere, per una ruota dall’elevata caratura tecnica (come lo è la Contach) si dovrebbe prevedere il montaggio di fabbrica del tubeless tape.
Il cerchio hookless dovrebbe prevedere un nastro tubelessIl peso rilevato per la coppia con il tape inseritoIl cerchio hookless dovrebbe prevedere un nastro tubelessIl peso rilevato per la coppia con il tape inserito
Sembra una ruota più alta
In alcuni frangenti sembra di avere in dotazione una ruota con un cerchio più alto, da 40 millimetri e oltre. Perché è veloce quando la si fa correre e perdona poco o nulla nella fase ammortizzante. La Countach è una ruota “secca” e diretta, una ruota che ti fa sentire la consistenza del terreno. La raggiatura è di quelle toste, per tensione e tipologia di profilato (Sapim in acciaio a testa dritta trattato al carbonio). I nipples sono esterni al cerchio, ma quello che influisce, al pari dei raggi, sono i punti di ancoraggio ai mozzi. Sono un blocco unico con il corpo del mozzo in alluminio.
Ma un cerchio da 35 millimetri ha dei grossi vantaggi. Ad esempio si rilancia con maggiore facilità alle andature più basse, ad esempio in salita e nei cambi di ritmo, oppure nei rilanci perentori in fase di sprint tenendo ben presente le gomme “cioccione” e le pressioni relativamente basse.
L’ingranaggio della ruota liberaIl corpetto è montato a pressione, facilissimoIl mozzo anteriore con struttura oversizeUn blocco unico, rigido anche nel punto di innesto dei raggiAnche il posteriore ha dimensioni abbondantiL’ingranaggio della ruota liberaIl corpetto è montato a pressione, facilissimoIl mozzo anteriore con struttura oversizeUn blocco unico, rigido anche nel punto di innesto dei raggiAnche il posteriore ha dimensioni abbondanti
Semplice nella manutenzione
Countach è sicuramente un pacchetto ruota brioso, nonostante questo non è difficile da guidare. Difficilmente perde la traiettoria, tutt’altro. Non “sbacchetta” quando prende un colpo proibito che fa perdere la linea giusta, anche se la posteriore smorza ben poco a prescindere dalla tipologia di pneumatico e pressione. Countach è una ruota da agonista senza tanti fronzoli.
In caso di manutenzione, pulizia e controlli di fino non è necessario essere degli ingegneri. Il corpetto posteriore della ruota libera è inserito a pressione e si toglie con un semplice gesto, per un ingrassaggio facilitato. Così anche per il mozzo anteriore, che ha dei cuscinetti classici messi in sede senza viti o blocchi particolari. Inoltre, le dimensioni dei cuscinetti sono standard.
Il cerchio ha una larghezza complessiva di 32 millimetri, cifra importanteIl cerchio ha una larghezza complessiva di 32 millimetri, cifra importante
Inserto oppure no?
L’utilizzo dell’inserto è sempre piuttosto soggettivo, ma a prescindere dalla soggettività l’utilizzo di un prodotto run-flat modifica in modo sostanziale il comportamento dello pneumatico e di conseguenza del cerchio. Dal canto nostro appoggiamo in modo deciso l’utilizzo di un inserto in un cerchio hookless.
Al di la della bontà construttiva delle ruote Ursus, un run-flat con una consistenza elevata protegge i bordi in carbonio in caso di foratura e perdita di pressione (evita di criccare il carbonio) e influisce in modo positivo sulla tenuta del tallone dello pneumatico, stabilizzandolo al cerchio.
Un pacchetto ruote che decisamente “veste” la biciclettaUn pacchetto ruote che decisamente “veste” la bicicletta
In conclusione
Considerando la qualità (pessima) delle strade attuali, con asfalti spesso ai limiti della percorribilità, una ruota come la Ursus Countach può essere il compromesso perfetto e una soluzione che permette di unire l’utilizzo stradale e quello gravel.
Tecnicamente si tratta di un prodotto rivolto ad un all-round impegnativo ed un’utenza alla quale piace un sistema performante, prestazionale e una ruota rigida. Il cerchio mediamente basso (considerando i canoni attuali dei cerchi sempre più alti), ma largo (32 millimetri esterno/esterno) offre stabilità e capacità di abbinarsi a diverse tipologie di pneumatici, tassellati o meno.
Abbiamo provato Tannus Lite, ovvero l’inserto con dimensioni ridotte (rispetto a quelli specifici per la mtb) dedicato ai tubeless gravel (e anche road), che fa parte di un pacchetto modulare, l’unico a proporre questo concetto.
Il suo disegno influisce in modo importante sul comportamento dello pneumatico durante l’utilizzo, perché irrobustisce, mette gomma e cerchio al riparo da colpi proibiti e se utilizzato con cerchi hookless aumenta la protezione in caso di foratura e run-flat (quando si pedala con la gomma a terra).
La struttura interna, tutto l’inserto ha una consistenza omogeneaLa struttura interna, tutto l’inserto ha una consistenza omogenea
Tannus Lite, una sorta di memory foam
L’inserto Tannus Lite è molto consistente e compatto, ma ha una grande capacità di adattamento, soprattutto nella porzione inferiore dove sono presenti le scanalature. Ricorda il memory foam di alcuni prodotti, si adatta alle pressioni esercitate, senza mai collassare.
E’ un fattore tecnico di prima importanza che conferma anche una certa longevità dell’inserto. Si adatta, ma non si plasma ed è un prodotto arcigno non facile da inserire all’interno del tubeless. O meglio, tende a far irrigidire il tallone del tubeless e di conseguenza tutte le operazioni di tallonatura diventano più complesse. Servono forza, malizia e un po’ di olio di gomito. In questi casi è sempre utile un velo di acqua e sapone sul tallone della gomma, in modo da facilitare lo scivolamento dello pneumatico sul carbonio.
L’inserto irrobustisce il lato della gommaSempre il lattice, nel tubeless non deve mancareL’inserto irrobustisce il lato della gommaSempre il lattice, nel tubeless non deve mancare
Binomio perfetto con cerchio hookless
Abbiamo provato l’inserto Lite con un cerchio hookless ed uno pneumatico gravel da 38 millimetri di sezione. Partendo dal presupposto che è fondamentale inserire il liquido sigillante (e/o lattice anti-foratura), proprio l’abbinamento hookless/inserto è a nostro parere perfetto. La zigrinatura del Tannus blocca il tallone dello pneumatico che diventa una cosa sola con i bordi del cerchio.
Se i vantaggi sono meno tangibili quando le pressioni di esercizio sono ottimali, in caso di abbassamento repentino della pressione e/o di foratura si può continuare a pedalare senza il rischio di stallonare e di far saltare lo pneumatico fuori dalla sede. Il cerchio è salvo e ringrazia, i bordi hookless sono fuori pericolo e considerando il costo medio di una buona ruota con cerchio in carbonio non è cosa di poco conto.
Un occhio al riciclo non guasta maiUn occhio al riciclo non guasta mai
Calibrare l’utilizzo dell’inserto
La consistenza dell’inserto è quella che sentiamo tra le mani. Inevitabilmente modifica il comportamento della gomma tubeless ed in parte anche lo stile di guida, spingendosi anche verso un’aggressività aumentata. Al tempo stesso aumenta la durezza della porzione laterale dello pneumatico, un vantaggio quando si parla di protezioneed aumento della resistenza contro oggetti esterni che possono tagliare la gomma. L’inserto protegge e attutisce i colpi che arrivano dal basso, smorza le vibrazioni (in particolare modo quando si percorrono tratti sassosi golenali). Al tempo stesso cambia e fa diminuire il potere elastico e di deformazione della gomma, che diventa “più tosta e dura”, limitando quell’effetto scivolamento che si percepisce quando si va in appoggio in curva sullo sterrato.
Ci siamo trovati a nostro agio con l’utilizzo dell’inserto (in ambito gravel competitivo) montato solo sulla ruota posteriore. Di certo una scelta ai limiti della soggettività, una soluzione che non ha influito in modo esponenziale sullo stile di guida (abbiamo abbassato di 0,2 bar la pressione, rispetto al setting standard) e ci ha permesso di sfruttare a pieno la fase ammortizzante della ruota anteriore.
Meglio usare l’inserto con valvole che mandano l’aria in 4 direzioni e non bloccano il liquidoL’esterno della valvola è di tipo Presta con testa smontabileVersione Lite 700×32, peso ridottoL’asola da posizionare sulla valvolaMeglio usare l’inserto con valvole che mandano l’aria in 4 direzioni e non bloccano il liquidoL’esterno della valvola è di tipo Presta con testa smontabileVersione Lite 700×32, peso ridottoL’asola da posizionare sulla valvola
In conclusione
Tannus Lite fa parte di un percorso evolutivo dei tubeless, del gravel e ovviamente degli inserti. Questi ultimi se utilizzati in modo corretto offrono una protezione maggiore per il tubeless e per il cerchio (hook e hookless), mettendo l’utilizzatore al riparo da eventuali rischi di rottura, ma portando anche una maggiore sicurezza nelle fasi di guida più aggressive.
Riteniamo un inserto come Tannus un prodotto molto tecnico e come tale deve essere utilizzato, provato e testato a lungo per capirne le reali potenzialità. Un inserto del genere è una sorta di customizzazione della ruota e proprio per questo motivo deve essere cucito addosso ai diversi stili di guida. Tannus Lite è uno solo, ma il delta di personalizzazioni di ruote/pneumatici è ampio. Ad ognuno il suo.
EMPORIA (USA) – Il fatto è che avrei così tante robe da dire… Di solito mi trovo anche ispirato, perché mi piace quando mi emoziono. Però in questo caso, ho talmente tante cose da scrivere che non so da dove partire e come incastrarlo. Perché il gravel è un altro mondo. Mi piacerebbe dire da dove arrivo, ma sarebbe un preambolo che esula dalla gara. E poi sulla gara in sé, sulla Unbound Gravel, rischio di dire cose che magari per me sono scontate e magari non vanno direttamente al punto. E finisce che si sparpagliano in un vomito di parole un po’ confuse…
Nel nord del Kansas si è pedalato su strappi brevi e lunghe pianure (foto UnboundGravel)Nel nord del Kansas si è pedalato su strappi brevi e lunghe pianure (foto UnboundGravel)
Un pallino americano
Dell’Unbound avevo sempre solo sentito parlare. E’ la più grande gara gravel d’America e forse del mondo. Avevo letto tanti articoli, racconti di ex professionisti che l’avevano provata. Ma anche tanti amici che l’hanno fatta come amatori, soltanto per una challenge, come la chiamano in America.
Una sfida contro se stessi e contro un percorso per nulla scontato. Mettersi alla prova sulla distanza classica di 200 miglia, se non sei allenato e non hai dimestichezza con il ciclismo, è una cosa tanto grande. Ma anche fare solo le 50 o 100 miglia è tanta roba. Ecco, insomma, ne avevo solo sentito parlare.
Perciò, da quando abbiamo voluto il progetto Gravel, nella mia testa l’Unbound è sempre stata un pallino. E’ tutto molto grande, americano: tutto molto «Wow!». Tanti ne decantano la grandezza e la maestosità.
Oss si era spostato negli Usa una decina di giorni prima della Unbound, per prendere il fuso e abituarsi agli orariOss si era spostato negli Usa una decina di giorni prima della Unbound, per prendere il fuso e abituarsi agli orari
Un giorno da eroi
Prevale l’eroismo nel fare questa cosa pazzesca. E oltre a questo, ovviamente, gli sponsor come Specialized ne hanno capito il valore e devono assolutamente esserci. Anche se loro vogliono primeggiare, essere davanti, essere presenti e protagonisti nel panorama gravel americano. E con questa Unbound si va dritti al cuore del discorso. Con questa mega gara popolare, magari ancora poco famosa, poco connessa da un punto di vista mediatico. Non c’è una diretta tv, ci sono quelle Instagram, forse su YouTube. Forse degli highlights vanno in televisione, ma su canali secondari.
In Europa, zero. Quasi non se ne sente parlare, se non perché quest’anno ha vinto Lachlan Morton. Ma tolti alcuni media specializzati, è un evento che di qua quasi non esiste. Però, fatto questo preambolo, davanti a un evento così grande che poi è sfociato in una gara, tra i racconti e quello che ho sempre sentito e quello che gli sponsor e la squadra mi chiedevano, un racconto ve l’ho promesso e vorrei farlo. Per cui, eccoci qua…
Nella prima metà di gara il gruppo è rimasto compatto, ma dopo le 140 miglia è iniziato lo sparpaglìo (foto UnboundGravel)Nella prima metà di gara il gruppo è rimasto compatto, ma dopo le 140 miglia è iniziato lo sparpaglìo (foto UnboundGravel)
Cambio di pelle
Le aspettative erano buone e si sono confermate, non voglio dire il contrario. Ma quello che mi ha stupito molto è il fatto che il livello sia completamente cambiato. Vi faccio un esempio, magari dico cose a caso che in un articolo non vanno bene, ma serve per capire. Un anno fa, quando si parlava di gravel e di UCI Gravel Series piuttosto che altre tipologie di gara, si era capito che il settore fosse in crescita. Però c’era ancora un modo di correre piuttosto blando, per cui si riusciva a fare le gare anche in maniera un po’ goliardica. Si stava insieme, non c’era la necessità di riprendere in mano tutto il mondo degli allenamenti o dei rifornimenti e come farli.
Non era una dimensione troppo seriosa. Era un po’ a tarallucci e vino, tipo nozze coi fichi secchi. E poi alla fine chi stava bene faceva la sua volata o andava in fuga. Però la gara era basata ancora sull’avventura, sul partecipare e concludere un’impresa. Il fatto che ora il movimento sia cresciuto così tanto, rende tutto molto più professionistico. Quindi in questa Unbound mi sono trovato davanti a squadre organizzate, con atleti super allenati ed esperti, tecnicità da tutti i punti di vista. Ho visto anche dei body con un camelback integrato, molto fuori dalla logica gravel. Ho visto tanta aerodinamica, che sta diventando importante anche in questo settore.
Vincitore della Unbound 200 miglia è stato Lachlan Morton. Secondo Chad Haga a un solo secondo (foto UnboundGravel)Vincitore della Unbound 200 miglia è stato Lachlan Morton. Secondo Chad Haga a un solo secondo (foto UnboundGravel)
La più veloce della storia
Fate conto che quest’anno, l’Unbound 2024 è stata la gara più veloce nella storia… dell’Unbound. Si corre dal 2006 e nei primi anni non c’era così tanta importanza per l’agonismo. I racconti dei miei ex colleghi professionisti erano tutti simili. Cioè ci si allenava 15 ore, si andava all’Unbound di 200 miglia, quindi 320 chilometri. E un atleta medio del WorldTour la faceva… fumandosi una sigaretta. Per dire che era abbastanza semplice. Riuscivi a vincere, riuscivi a farti la volata, aspettavi chi era meno allenato.
Invece quest’anno, le prime ore le abbiamo fatte a 40 e passa di media, tutti in gruppo. E poi un po’ alla volta c’è stata la scrematura. Ma chi ha vinto la gara, alla fine aveva 36 di media. Io ho finito 43° circa, a quasi 40 minuti da Morton e a quasi 33 di media. Quindi è abbastanza folle pensare a quanto tutto sia cresciuto in modo esponenziale da un anno all’altro.
Il percorso era asciutto, non c’erano tratti di fango. Siamo andati verso nord rispetto al solito, quindi era un percorso un po’ più duro. C’erano 3.500 metri di dislivello, pazzesco, è stata durissima. E non è che ci fosse una salita da 1.000 metri di dislivello, erano tutti strappi da un chilometro, 500 metri, 300 metri… Tutto così e quindi difficile per me.
Anche la gara delle donne ha battuto ogni record della Unbound. Vince la danese Rosa Kloser in 10.26’02” (foto UnboundGravel)Anche la gara delle donne ha battuto ogni record della Unbound. Vince la danese Rosa Kloser in 10.26’02” (foto UnboundGravel)
Sveglia alle 3,30
Per cui, riepilogando, Unbound Gravel: 200 miglia – 326 chilometri – sterrata per il 98 per cento. C’erano solo due/tre piccole connessioni di asfalto, ma veramente irrisorie. Partenza all’alba, alle 5,50 del mattino gli elite e poi nell’arco di 20 minuti partono tutti, quasi attaccati, suddivisi per scaglioni di categoria. Alzarmi alle 3,30 per fare colazione è stata dura, anche se nei giorni di avvicinamento avevo cercato di tenere orari vicini a quello.
Al mattino c’era pochissima luce. Non era tanto freddo, quindi tutti in maniche corte e braghe corte. Tutti attrezzati con camelbak o borracce da litro e in tasca almeno un paio di penne, si chiamano così gli attrezzi per aggiustare i tubeless con i vermicelli. Se hai un buco nel tubeless, ci ficchi dentro questa penna. Tiri indietro e ti resta il vermicello fatto di gomma un po’ appiccicaticcia. Così riesci a tappare il buco e poi a rigonfiare la ruota.
Tranne pochi raccordi in asfalto, il fondo della Unbound è tutto sterrato (foto UnboundGravel)Tranne pochi raccordi in asfalto, il fondo della Unbound è tutto sterrato (foto UnboundGravel)
Persi nel deserto
C’era da portare l’attrezzatura da sopravvivenza, perché a un certo punto ti trovi veramente nel nulla. Per oltre 50 miglia, dovunque guardi, non c’è niente. Chiaramente è facile raggiungere qualsiasi punto con la macchina, però tu sei in mezzo al niente e quindi se vuoi sopravvivere devi anche arrangiarti. Non è ovviamente il deserto del Sahara, però quasi…
Il regolamento dice che il percorso non deve essere segnato, per cui io avevo la traccia sul Garmin e gli altri sui loro dispositivi. Bisogna portare il telefono, perché in casi di emergenza estrema, bisogna averlo per collegarsi con qualcuno, ammesso che ci sia campo, perché non è scontato che ci sia. E’ capitato di trovarsi in mezzo al niente senza campo, senza rete.
Anche solo finire la Unbound significa aver vinto la sfida con se stessi (foto UnboundGravel)Anche solo finire la Unbound significa aver vinto la sfida con se stessi (foto UnboundGravel)
Nove ore e 10.000 calorie
Le luci non le aveva nessuno, però bisognava organizzare i rifornimenti. Nessuno può avere un supporto sul percorso, se non in due punti prestabiliti. Infatti dopo 70 e dopo 140 miglia ci sono due rifornimenti. Un parcheggio gigante, spesso in un villaggio, con le tende dei vari sponsor e delle squadre. Ti puoi fermare o prendere al volo la sacca con 2 litri d’acqua e il cibo e le borracce. E davvero c’è stata da valutare anche la parte approvvigionamenti.
Io ho mangiato circa 12 gel. Sei borracce di acqua con 70 grammi di carbo che erano in bustina e ovviamente pieni di sali minerali, potassio, magnesio e tutto il resto. Sui cinque litri d’acqua. E ho contato nel finale circa diecimila calorie consumate. Ho fatto circa 9 ore 47’27” su 325 chilometri. Tanta roba, tantissima.
La maglia iridata non tradisce: al via c’era anche Matej Mohoric, che però si è fermato (foto UnboundGravel)La maglia iridata non tradisce: al via c’era anche Matej Mohoric, che però si è fermato (foto UnboundGravel)
Più di una Sanremo
Non ho mai fatto una distanza del genere, intesa anche come timing. La Sanremo si avvicina, ma ormai si fa in meno di 6 ore. Quindi una distanza che non era mai stata fatta dalle mie gambette. E’ stata molto veloce all’inizio. Ci sono stati un paio di punti dove era particolarmente roccioso, quindi c’erano delle discese pericolose. Salti, fossi, delle pozzanghere, però con un fango abbastanza neutro, che non si attaccava tanto alla bici. Ci sono state cadute e anche forature.
Poi dalla seconda metà della gara, sui 100-140 km all’arrivo, il gruppo si è proprio spappolatonel tratto dove c’erano parecchie salite. Ognuno ha preso il suo posto ed è diventata una lotta con se stessi. Una lotta contro la fatica, per cercare di andare avanti il più possibile e gestire l’alimentazione.
Il primo italiano sul traguardo della Undbound 200 miglia è stato Mattia De Marchi: 5° a 3’41” (foto UnboundGravel)Il friulano è un grande conoscitore di queste prove estreme ed era negli USA per provare il colpaccio (foto UnboundGravel)Sfinito dopo il traguardo, De Marchi ha pagato un guasto meccanico. Avrebbe potuto vincere? (foto UnboundGravel)Il primo italiano sul traguardo della Undbound 200 miglia è stato Mattia De Marchi: 5° a 3’41” (foto UnboundGravel)Il friulano è un grande conoscitore di queste prove estreme ed era negli USA per provare il colpaccio (foto UnboundGravel)Sfinito dopo il traguardo, De Marchi ha pagato un guasto meccanico. Avrebbe potuto vincere? (foto UnboundGravel)
Una grande festa
Comunque tutti vogliono finire la corsa, perché quando finisci un’avventura così grande, è comunque molto soddisfacente. Quasi tutti hanno pubblicato che i più leggeri hanno fatto sui 250 watt medi e quelli più pesanti come me, sugli 80 chili, che hanno fatto 300 watt per quasi dieci ore. Il livello è altissimo e fa paura. Alla fine, all’arrivo, c’erano degli stand giganti, era tutto un barbecue, tutto un tacos. Quindi cucina messicana, americana, pasta all’italiana. E dovunque tanti atleti, tutti sfiniti, tutti sfatti, però un bel clima di… yeah!
Ho percepito un clima molto agonistico e un po’ mi dispiace, nel senso che mi sono sempre aspettato un clima più godereccio. Invece mi sono trovato proprio un clima da WorldTour. Da andare a letto presto, mangiare bene, poche distrazioni. Non che si dovesse fare chissà cosa, però mi immaginavo che ci fosse un po’ più una giostra, un ambiente più godereccio. Però è stato tutto molto bello. Lungi da me essere polemico, essere del tutto negativo: anzi, tutt’altro.
Daniel Oss ha concluso la sua prima Unbound Gravel in 43ª posizione, sfinito e feliceDaniel Oss ha concluso la sua prima Unbound Gravel in 43ª posizione, sfinito e felice
Una gara fighissima
E’ stata un’esperienza fantastica sotto tanti punti di vista. La cosa più bella, che forse più mi ha colpito, è il coinvolgimento di tantissima gente che non ha nulla a che fare con la parte racing, ma che è lì per godersi il weekend, la settimana e questa avventura contro se stessi. Mi ricordo in alcuni punti, quando stava per finire la gara, trovavo sul percorso gente che faceva un altro giro e quindi venivano doppiati. E quando li passavo, ci scambiavo qualche battuta.
«Dura, è?». E loro tutti gasati: «Sì, è dura!». Quindi felici di fare una cosa talmente faticosa e questo mi ha colpito tantissimo. La felicità di trovare le forze per fare una cosa più grande di loro.
E comunque è un’organizzazione bellissima, gara fighissima. Tante cose belle, anche gli stand, le grigliate, la gente felice. C’era felicità, c’era voglia di far fatica. C’era tutto questo ambiente mega festoso, ma allo stesso tempo sportivo, quindi alla fine della gara ci stava anche la birretta. Però erano tutti galvanizzati, carichi, felici di essere stati parte di questa cosa che era l’Unbound, davvero una gara fighissima.
POMARANCE – Perché Shimano ha lanciato il sistema gravel elettromeccanico specifico per la doppia corona anteriore? Perché vuole essere il punto di unione tra la strada ed il gravel. Ha l’obiettivo di accontentare gli amanti del doppio plateau anteriore con tutti i benefici e le opzioni dei sistemi Di2 di Shimano.
Non va in contrasto con il GRX meccanico lanciato nel 2023 (che si pone maggiormente tra la mtb al gravel), ma vuole essere un’alternativa meno sbilanciata verso le ruote grasse. Lo abbiamo provato nel magnifico contesto toscano della Geo Gravel Tuscany, al fianco di Paolo Bettini e dei tecnici Shimano.
Abbiamo provato il GRX Di2 sulla RaceMax Italia di 3TAbbiamo provato il GRX Di2 sulla RaceMax Italia di 3T
Con Bettini la prova alla Geo Gravel Tuscany
«Per me è motivo di grande orgoglio – ci racconta Paolo Bettini – il fatto che Shimano abbia identificato questa manifestazione come il luogo adatto per il test ufficiale del nuovo gruppo. Quando si tocca il gravel si aprono orizzonti e pensieri. Per quanto mi riguarda è il primo motivo per salire in bici da quando ho tolto i panni del corridore professionista. Shimano mi ha coivolto nel progetto: dal primo GRX DI2 a 11 rapporti, sono tornato ad una trasmissione meccanica con il GRX a 12 meccanico. Poi di nuovo un Di2, una sorta di ritorno al futuro con il nuovo GRX 12. Colpisce il fatto delle 2 corone davanti. Una soluzione che vuole portare verso questa terra di mezzo il classico stradista».
Paolo Bettini durante la sua Geo Gravel TuscanyI momenti a ridosso della partenza della Geo Gravel TuscanyLa manifestazione rende merito a Pomarance e al territorio toscanoUna zona ricca di natura e molto diversa dal senesePaolo Bettini, mattatore e regista dell’eventoPaolo Bettini durante la sua Geo Gravel TuscanyI momenti a ridosso della partenza della Geo Gravel TuscanyLa manifestazione rende merito a Pomarance e al territorio toscanoUna zona ricca di natura e molto diversa dal senesePaolo Bettini, mattatore e regista dell’evento
E’ la prima del Front Next Shifting
«Il deragliatore del nuovo GRX Di2 supporta al massimo la corona da 52 – dice Nicola Sbrolli di Shimano – significa che si può montare anche una configurazione più stradale delle corone. Il perno passante della guarnitura è sempre da 24 millimetri. Fa parte di un ecosistema a 12 rapporti Di2 della nuova generazione. Inoltre sul nuovo GRX Di2 abbiamo anche una sorta di prima, quasi come fosse un debutto ufficiale della funzione Front Next Shifting.
«Significa che i due pulsanti superiori ai manettini, se opportunamente configurati con la app E-Tube, agiscono direttamente sulla deragliata e sulla risalita della catena sulle corone. Così si amplia ulteriormente la customizzazione del Di2, perché un solo pulsante agisce su due funzioni. In questo modo si liberano altri due bottoni che possono essere utilizzati per altro. Questa funzione è ora disponibile anche per il comparto strada a 12 rapporti Di2».
Nicola Sbrolli del Servizio Tecnico ShimanoNicola Sbrolli del Servizio Tecnico Shimano
Doppia corona e meno attriti
«Merita una spiegazione – prosegue Sbrolli – la scala dei rapporti che Shimano ha dedicato al nuovo GRX, mi riferisco in modo particolare alle due corone 48-31. Dietro la derivazione dall’Ultegra Di2 è lampante. Ad esempio se usiamo la combinazione 31/34, corona piccola e pignone grande dietro, questa ha il medesimo sviluppo metrico del monocorona con soluzione 44 davanti e 51posteriore. La catena lavora con una linea ottimizzata, eliminando molti degli attritiche si generano sulle maglie quando si utilizza una monocorona.
«Inoltre – conclude – in qualità tecnico e meccanico Shimano mi preme aggiungere due cose. Qualsiasi trasmissione a batteria deve tenere conto di una lunghezza della catena che rientra in un range specifico, al pari di un cambio posteriore che sfrutta una tensione ottimale. Sono due fattori estremamente importanti per sfruttare la trasmissione elettromeccanica al pieno delle postenzialità».
L’ultimo aggiornamento prevede anche la nuova funzione per il deragliatoreIl deragliatore è una via di mezzo tra 105 e UltegraAnche il cambio posteriore, per design, si posiziona tra Ultegra e 105Il bilanciere rimane il cervello della trasmissioneL’ultimo aggiornamento prevede anche la nuova funzione per il deragliatoreIl deragliatore è una via di mezzo tra 105 e UltegraAnche il cambio posteriore, per design, si posiziona tra Ultegra e 105Il bilanciere rimane il cervello della trasmissione
Sensazioni dopo l’utilizzo
Rimaniamo dell’idea che una trasmissione Di2 abbia bisogno di tempo per essere utilizzata al pieno delle funzioni e per sfruttare le diverse possibilità di configurazione. La trasmissione Di2 di Shimano non si basa su una sola funzione, ne ha 3. Può essere manuale, semi-automatica e completamente automatica. Per sfruttare a pieno queste ultime due, è necessario capire e adeguare al “proprio stile di cambiata” gli sviluppi metrici e avere un plateau anteriore 48-31 non è usuale. Non è al pari di una combinazione da strada. Il contesto ambientale di Pomarance non è un tappeto di velluto e nel suo essere divertente mette anche alla prova la tecnica del mezzo e le capacità di guida.
Cosa è emerso dopo circa 7 ore di guida spalmati su due giorni? Lanuova ergonomia dei manettini offre dei vantagginon trascurabili, perché si adatta bene ai manubri con flare diversi e offre tanto appoggio per palmi e polsi. Quando si pedala sullo sterrato aumenta il grip, quando si è su asfalto sono aumentate le possibilità di mettere le mani in diverse posizioni (senza gravare sui polsi). La regolazione della distanza della leva dalla piega (non è una cosa nuova) è sempre un valore aggiunto di grande livello.
Il nuovo bilanciere posteriore con il meccanismo di blocco e sbloccoIl nuovo bilanciere posteriore con il meccanismo di blocco e sblocco
Un Di2 non mente
Tutto quello che riguarda la trasmissione è perfettamente in linea con un pacchetto Di2 Shimano e questo identifica l’efficienza del cambio. Aggiungiamo la bontà della doppia corona che non lascia spazi vuoti in fatto di sviluppi metrici, su asfalto e su sterrato, quando si vuole fare velocità, oppure sulle rampe più arcigne.
La frizione posteriore che blocca il bilanciere, stabilizza la catena, soprattutto quando questa è sul pignone più piccolo e/o su quello più grande. Significa che la catena non cade tra telaio e pignone, non cade tra pignone e raggi della ruota. La frizione si attiva manualmente. L’impianto frenante è del tutto accostabile ad un Ultegra, anche in fatto di compatibilità delle pastiglie dei freni e dei dischi. Il liquido all’interno dell’impianto idraulico è sempre di natura minerale.
Il plateau da 48-31Il plateau da 48-31
Un salto di 17 denti
La differenza tra corona grande e piccola è tanta. Se è vero che per questo Shimano Di2 gravel la derivazione Ultegra è reale, è altrettanto vero che un sistema gravel deve agevolare la salita anche su rampe che vanno ben oltre il 20% e sullo sterrato. Qui è fondamentale spingere e guidare la bici al tempo stesso e la combinazione 31/34 è “tanta roba” nei termini di una sfruttabilità del mezzo meccanico.
La corona da 31 è uno strumento di arrampicata. La 48 davanti permette di fare velocità, eventualmente di diminuire il numero delle rpm quando si percorrono i tratti di trasferimento su asfalto. Con un pacco pignoni 11/36 posteriore si può sfruttare molto bene anche in salita (bisogna avere gamba).
Tutto il manettino è maggiorato, rispetto al passatoI pulsanti superiori sono stati rivisitati nel design e posizionamentoAppoggio abbondante e interfaccia perfetta con il manubrioErgonomia adatta ai manubri con flareDischi e pinze mutuati dall’UltegraTutto il manettino è maggiorato, rispetto al passatoI pulsanti superiori sono stati rivisitati nel design e posizionamentoAppoggio abbondante e interfaccia perfetta con il manubrioErgonomia adatta ai manubri con flareDischi e pinze mutuati dall’Ultegra
In conclusione
Lo aspettavamo ed il nuovo GRX Di2 è arrivato. A nostro parere completa la piattaforma Di2 di Shimano, che si pone comunque su un gradino diverso dalle trasmissioni meccaniche. E’ un’opzione e un’alternativa (come lo è anche la configurazione meccanica), sicuramente performante, certamente votata ad implementare l’elettronica funzionale e customizzabile anche in ambito gravel/off-road.
Meglio o peggio di una trasmissione meccanica? Meglio o peggio di un monocorona? Ragionando con il cuore dello stradista vero e proprio, potremmo dire che il nuovo GRX è quello che si avvicina di più al modo di pedalare della strada e forse anche per questo motivo diventa più facile. Una trasmissione 2×12 ha di fatto 24 rapporti da sfruttare ed imparando ad usare le funzioni automatiche non esistono sovrapposizioni quando si tratta di entrare del dettaglio degli sviluppi metrici. Significa avere unpotenziale di configurazione praticamente infinito.
BIEL (Svizzera) – DT Swissha lanciato la sua prima ruota gravel nel 2019, ovvero la GRC. Cerchio in carbonio e profilo medio/alto, accattivanti e capaci di vestire le bicicletta, ma anche un accenno all’aerodinamica (con un cerchio da 42 millimetri di altezza), che anche in questa categoria non passa in secondo piano.
L’azienda svizzera rinnova e amplia la famiglia GRC e lo fa con due prodotti di altissima caratura tecnica. GRC50 e GRC30, due set di ruote molto diversi tra loro con due rese tecniche decisamente differenti. Entriamo nel dettaglio.
Altissima caratura tecnica, ma performances diverse (foto DT Swiss)Altissima caratura tecnica, ma performances diverse (foto DT Swiss)
DT Swiss e Swiss Side hanno cambiato le ruote della bici
La partnership tra le due aziende non è un semplice adesivo che troviamo sul cerchio in carbonio. DT Swiss si affida a Swiss Side per lo studio dell’aerodinamica e Swiss Side utilizza il know how di DT Swiss per la costruzione delle sue ruote e per proseguire nella ricerca in ambito ciclistico (in tutte le discipline).
Per contestualizzare meglio l’aerodinamica in ambito gravel, abbiamo interpellato Jean-Paul Ballard, CEO di Swiss Side. «Il corpo umano occupa oltre il 75% dell’ingombro, quando si tratta del binomio bicicletta/ciclista e la maggior parte delle energie vengono consumate per contrastare la resistenza aerodinamica. Nel gravel, rispetto al settore strada, non cambia molto. Oltre i 15 chilometri orari – ci dice Ballard – proprio l’impatto aerodinamico è l’ostacolo più grande da sorpassare. Un corretto setup aerodinamico può portare a risparmiare anche fino a 10 minuti su 100 chilometri».
Jean-Paul Ballard di SwissSide (foto DT Swiss)Jean-Paul Ballard di SwissSide (foto DT Swiss)
GRC50, gravel racing e velocità
Rispetto alla versione precedente con cerchio da 42 millimetri, a parità di setting hanno migliorato del 10% l’effetto del drag. Tradotto, la GRC50 è più efficiente e più stabile anche alle alte velocità. Le nuove hanno un cerchio sempre ful carbon, ma da 50 millimetri, con un canale interno da 24 (tubeless) e una larghezza totale di 36,5.
Una delle particolarità risiede nella forma del cerchio, con una sorta di svasatura nella parte alta. Questa soluzione è voluta per creare un abbinamento migliore e più efficiente (in fatto di aerodinamica) tra pneumatico e cerchio. Quest’ultimo è stato ottimizzato per le gomme da 40 millimetri di larghezza. DT Swiss ha inoltre sviluppato un nuovo mold per il cerchio che ha permesso di offrire il massimo compattezza delle fibre. Per la costruzione del cerchio sono utilizzate pressioni mai raggiunte fino ad oggi, a vantaggio di una struttura ancora più solida che non prevede l’utilizzo di resine addizionali e azzera la peneetrazione dell’aria in fase di lavorazione. Inoltre, i nuovi cerchi GRC non sono verniciati.
Sono disponibili in due categorie, 1100 e 1400, entrambe con mozzo della famiglia Dicut (per la 1100 i cuscinetti sono ceramici). Hanno 24 raggi in acciaio (per ruota) con incrocio in seconda ed i nipples sono interni al cerchio. Il meccanismo interno della ruota libera è l’ultima versione del Rachet System EXP con 36 punti di ingaggio. Il valore alla bilancia dichiarato è di 1567 e 1631 grammi, rispettivamente per le 1100 e le 1400.
I due profili a confrontoCanali interni da 24 millimetri per entrambe le ruoteLa svasatura che caratterizza il cerchio delle 50Il mold dove viene “formato” il cerchioIl mozzo Dicut con il Rachet System EXPLa parte interna dentata del Rachet System La ruota dentata del Rachet SystemI due profili a confrontoCanali interni da 24 millimetri per entrambe le ruoteLa svasatura che caratterizza il cerchio delle 50Il mold dove viene “formato” il cerchioIl mozzo Dicut con il Rachet System EXPLa parte interna dentata del Rachet System La ruota dentata del Rachet System
GRC30, più comode e leggere
Hanno una concezione maggiormente rivolta all’adeventure, ma anche a chi ricerca un valore alla bilancia inferiore. Le GRC30 hanno un peso dichiarato di 1.350 grammie 1421, rispettivamente per le 1.100 e le 1.400. Hanno un’altezza di 30 millimetri ed il disegno del cerchio è “tradizionale” (non ha le due rientranze vicino al bordo), mutuando la larghezza interna del canale e totale dalle GRC50. Sempre due le categorie, 1100 e 1400, con il mozzo Dicut 180 per le prime e 240 per le seconde e ingranaggio della ruota libera Rachet EXP.
Aggressive e velocissime le 50 (foto DT Swiss)Le ruote da 30 sono comode, ma comunque divertenti (foto DT Swiss)La configurazione con gli pneumatici da 40 è ottimale (foto DT Swiss)Aggressive e velocissime le 50 (foto DT Swiss)Le ruote da 30 sono comode, ma comunque divertenti (foto DT Swiss)La configurazione con gli pneumatici da 40 è ottimale (foto DT Swiss)
Le prime impressioni
Colpiscono le GRC50 per quanto sono veloci e stabili sullo sconnesso (diventa comunque fondamentale adeguare la pressione dei tubeless in modo corretto ed adeguato al proprio stile di guida) e quanto sono facili da rilanciare ripartendo da velocità basse. Nonostante un profilo del cerchio non così comune in ambito gravel, la ruota anteriore non obbliga a spendere energie aggiuntive nelle fasi di una guida più tecnica, dove è fondamentale lasciar correre la bici e guidare anche con il corpo. E questo a nostra parere non è un semplice dettaglio. Inoltre non influisce sulla stabilità dell’avantreno e sullo sterzo. A nostro parere la GRC50 è comunque da categorizzare come un prodotto dedicato all’agonista.
Le GRC30 sono più dolci, più “mansuete”, ma anche meno grintose e veloci rispetto alle 50. Volendo fare un accostamento con la categoria strada, sono le classiche ruote da scalatore e dedicate ai maniaci del peso. Sono estremamente facili da guidare e da indirizzare anche in salita, quando la pendenza costante in doppia cifra obbliga a guidare e non solo a spingere. In discesa sono un binario che permette anche di correggere la traiettoria all’ultimo istante. Rispetto alle 50, le GRC30 accontentano anche un’utenza che usa la bici gravel in modo più “tranquillo”, al di fuori delle competizioni e per stare tante ore in sella.
Matteo Zurlo, campione italiano della gravel, ha recentemente scelto Repente unendosi di conseguenza agli ambasciatori del marchio veneto produttore di selle 100% prodotte nel nostro paese. Zurlo ha optato per il modello Artax di Repente, utilizzando questa linea di selle sia durante le competizioni con la nazionale italiana gravel quanto nel corso delle sue attività su strada con il team Trevigiani Energiapura Marchiol.
La scelta di Zurlo per la sella Artax è stata motivata per le sue specifiche caratteristiche di ergonomicità, leggerezza e resistenza alle deformazioni, qualità che la rendono ideale per i ciclisti agonisti, incluso il team belga Bingoal WB. Matteo Zurlo ha già testato con successo la sella Artax durante la prova di Gravel World Series in Sardegna, dove nonostante un problema al cambio è riuscito a conquistare il terzo gradino del podio.
«Un amore a prima vista – ha dichiarato il corridore – per una sella eccezionale per quanto riguarda comfort e la leggerezza. Ho notato un miglioramento significativo sempre per quanto si riferisce al comfort durante le lunghe pedalate, con l’eliminazione di fastidi tipici di noi che trascorriamo molte ore in sella».
Matteo Zurlo e Massimo Farronato, CEO di RepenteMatteo Zurlo e Massimo Farronato, CEO di Repente
Testimonial… ma anche tester
Il campione italiano di gravel prevede di utilizzare la sella Artax nelle prossime competizioni, comprese alcune prove di coppa del mondo, che correrà con la maglia azzurra, il campionato italiano, l’europeo e il mondiale. Nonostante un ventesimo posto colto l’anno scorso in occasione del mondiale a Pieve di Soligo, Zurlo è molto determinato a migliorare le sue prestazioni complice anche il supporto tecnico Repente.
Massimo Farronato, CEO di Repente, ha commentato positivamente la collaborazione con Matteo Zurlo e quella che Repente ha attiva con molti altri ciclisti professionisti, sottolineando l’importanza dei loro feedback nel migliorare i prodotti dell’azienda. Farronato ha poi elogiato Zurlo non solo come atleta di talento, ma anche come tecnico con il quale è estremamente piacevole collaborare.
Il campione italiano gravel pedala sulla sella Repente ArtaxUn modello dotato di grande comfort, anche dopo tante ore di attivitàIl campione italiano gravel pedala sulla sella Repente ArtaxUn modello dotato di grande comfort, anche dopo tante ore di attività
Tecnologia e affidabilità
La sella Artax è considerata la più versatile nella gamma di Repente in quanto adatta a diverse tipologie di ciclisti, sia professionisti che amatori. Caratterizzata da un “rail” in fibra di carbonio UD, e da una doppia scocca rinforzata con la tecnologia LCF (fibre lunghe di carbonio), la Artax offre un supporto rigido e durevole nel tempo. Il suo design Ergo Shape favorisce la libertà di movimento durante la pedalata, assicurando un comfort ottimale anche nelle posizioni più avanzate.
Disponibile nelle larghezze 132 e 142 mm, Artax è diventata una fedele ed affidabile compagna di viaggio per numerosi ciclisti su strada, inclusi i professionisti del team Bingoal WB e del Team Efapel. La sua popolarità tra gli atleti di alto livello conferma la reputazione di Repente come produttore italiano di selle funzionali ed estremamente performanti.
FSA e gli amanti delle avventure fuoristrada hanno incrociato le loro esperienze per mettere a punto il manubrio Pro-Wing AGX. E’ progettato per rendere confortevoli le pedalate lungo i sentieri e le strade bianche. Posando lo sguardo su questo nuovo manubrio di FSA, risalta la sua forma fuori dall’ordinario. Nella parte anteriore infatti, è presente un’estensione integrata che vuole rendere la guida agevole e piacevole. Un punto di appoggio ulteriore, per scaricare il peso da mani e polsi dopo tanto tempo in sella. Si sa che nel gravel e nel bikepacking non si guarda al tempo, ma alla destinazione ed arrivarci in totale comodità permette di apprezzare appieno il viaggio.
Il nuovo manubrio di FSA è pensato per il fuoristrada, in tutte le sue sfumatureIl nuovo manubrio di FSA è pensato per il fuoristrada, in tutte le sue sfumature
Sicurezza, comfort e guidabilità
Il manubrio Pro-Wing AGX di FSA ha uno stile unico che ha tante sfumature e possibilità di utilizzo. Nella parte dell’impugnatura bassa l’angolazione è di 25 gradi, ciò consente di avere una presa più sicura e salda in discesa. Non solo, questo tipo di angolazione porta ad avere un’ampiezza nella parte bassa di 50 millimetri, l’impugnatura risulterà salda anche sui terreni sconnessi e accidentati. L’estensione anteriore, invece, ha una lunghezza di 170 millimetri. La larghezza alla base è di 150 millimetri, mentre in cima è di 80 millimetri. La lunghezza permette al ciclista di distendersi, trovando di fatto una posizione aerodinamica ma comunque comoda che gli permetta di appoggiare gli avambracci.
Per completare il tutto, FSA consiglia di utilizzare il manubrio con l’attacco VAS (Sistema di assorbimento delle vibrazioni). Un sistema sviluppato in maniera specifica per il fuoristrada, al fine di smorzare le vibrazioni. Un elastomero racchiude l’area di serraggio del manubrio e riduce gli urti a mani, polsi e braccia del ciclista. E’ disponibile con tre diverse tipologie di elastomero: Race, Sport e Comfort.
Nonostante l’aggiunta dell’estensione, il manubrio Pro-Wing AGX pesa solamente 380 grammi.
L’estensione anteriore è lunga 170 millimetriL’angolazione di 25 gradi nella presa bassa porta ad una larghezza massima di 50 millimetriL’estensione può essere usata anche per agganciare la borsa Climg di GIVIL’estensione anteriore è lunga 170 millimetriL’angolazione di 25 gradi nella presa bassa porta ad una larghezza massima di 50 millimetriL’estensione può essere usata anche per agganciare la borsa Climg di GIVI
Anche bikepacking
Gravel, vero, ma anche bikepacking: le possibilità di utilizzare e sfruttare il manubrio Pro-Wing AGX sono tante. Lo spazio in più fornito dall’estensione posta nella parte anteriore permette di montare anche borse aggiuntive. Non dovrete più lasciare a casa nulla, ogni oggetto troverà posto sulla vostra bici. le estensioni servono come perfetti punti di ancoraggio aggiuntivi.
FSA ha aperto le porte a GIVI ed insieme hanno creato una borsa specifica per questo manubrio. Si chiama Climb ed è la borsa manubrio con una capacità che va dai 9 ai 14 litri grazie al doppio sistema di chiusura Roll. A seconda delle necessità la borsa Climb si fa più o meno campiente. E’ realizzata in nylon ristop che la rende leggera ma anche molto resistente. Il rinforzo in tessuto TPU con asole per l’installazione di elementi aggiuntivi come moschettoni e cinghie consente l’aggiunta di qualsiasi carico supplementare. La borsa Climb ha un peso di 316 grammi.
Una raccolta di pensieri di Giovanni Visconti, dopo aver portato a termine la Sicily Divide. Tre giorni nel silenzio. Le parole. I sapori. I colori. La vita
Colnago lancia il nuovo modello dedicato in modo specifico alle competizioni gravel, ovvero la G4-X. Di fatto è una sorta di parallelo con la V4Rs, la stradale che viene utilizzata dagli atleti UAE Team Emirates, ma con delle peculiarità tecniche che si spingono verso l’off-road.
La G4-X è molto diversa dalla C68 Gravel. Prima di tutto perché il suo telaio è in carbonio monoscocca e non presenta congiunzioni, un fattore che categorizza anche le biciclette all’interno dello stesso catalogo Colnago. Entriamo nelle specificità della nuova bici.
G4-X la nuova Colnago per le competizioni gravelG4-X la nuova Colnago per le competizioni gravel
Nuova Colnago per gravel e cross
Rigida e leggera, divertente e guidabile, una guidabilità che si traduce anche nel feeling ottimale, con quel pizzico di comfort che sullo sterrato non guasta. Ma il progetto di questa bici parte da lontano, con l’ambizione di essere una bici per competere in ambito ciclocross. Questa è la sintesi della nuova G4-X.
Rispetto alla G3-X è stato aumentato il passaggio delle ruote e di conseguenza delle gomme, portato a 45 millimetri. Sulla G3-X era 40 e sulla C68 Gravel è di 42. Pur sfruttando al massimo il montaggio di uno pneumatico “grande” da 45 millimetri, è interessante sottolineare come l’inserzione dei foderi posteriori mantenga un raggio libero di 6 millimetri. Significa che rimane tanto spazio tra la gomma e le tubazioni.
Una bici gravel race stilosa ed eleganteUna bici gravel race stilosa ed elegante
Sloping e carro da 43
Lo stelo della forcella ha un diametro tradizionale, il che gli permette di montare uno stem tradizionale, oppure l’integrato Colnago CC.01 Wide. E’ una sorta di evoluzione in ottica gravel del manubrio full carbon presente sulla V4Rs e lo riteniamo il perfetto abbinamento per un utilizzo gravel (non solo race). Il CC.01 Wide ha un flare laterale aumentato di 3 centimetri (quello stradale ha una svasatura di 1 centimetro).
La tubazione orizzontale, nella sezione superiore, ha un punto di montaggio per una piccolo bag. A questo si aggiunge quello del terzo portaborraccia, posto sotto la tubazione obliqua e subito sopra alla scatola del movimento centrale (che è di matrice T47). Il supporto per il deragliatore può essere rimosso.
Infine le geometrie, che si basano su una bici leggermente più lunga rispetto alla G3-X. Si tratta di un telaio sloping, con il carro posteriore di 43 centimetri, valore comune a tutte le taglie. Il bb drop è compreso tra i 72 e 70 millimetri, un ottimo valore anche in prospettiva ciclocross.
Bici rigida e divertente al tempo stessoSotto l’obliquo il terzo portaborracciaInnesto degli obliqui al piantone, disegno che avvicina la G4-X alla V4RsColnago CC.01 Wide di fatto un manubrio aero con flare da gravelIl deragliatore può essere rimossoIl punto sull’orizzontale dove posizionare una piccola borsaTesta alta della forcella a tanto spazio per la gommaBici rigida e divertente al tempo stessoSotto l’obliquo il terzo portaborracciaInnesto degli obliqui al piantone, disegno che avvicina la G4-X alla V4RsColnago CC.01 Wide di fatto un manubrio aero con flare da gravelIl deragliatore può essere rimossoIl punto sull’orizzontale dove posizionare una piccola borsaTesta alta della forcella a tanto spazio per la gomma
Taglie e prezzi
Le misure disponibili sono 45, 48 e 52, 54 e 57. Ognuna di queste evidenzia degli ottimi valori, comunque proporzionati e progressivi taglia per taglia di reach e stack. La bicicletta non risulta troppo bassa sull’anteriore, a tutto vantaggio di un comfort anche nel lungo periodo.
Gli allestimenti disponibili sono 5 in totale, i primi tre si basano sulle trasmissioni Sram con monocorona, ai quali si aggiungono le configurazione Shimano con i sistemi GRX800, con doppio plateau e con la corona singola. L’allestimento con il Red XPLR e ruote Zipp 303s ha un prezzo di listino di 8.870 euro. Quello con il Force XPLR e ruote Fulcrum Rapid Red ha un listino di 5.710 euro, mentre il pacchetto con lo Sram Rival (con le ruote Fulcrum Rapid Red 900) è proposto a 4.830 euro. Le due G4-X con Shimano e ruote Fulcrum Rapid Red 900 hanno un prezzo di listino (entrambi) di 4.330 euro.