Il Giro nel cratere e la (lenta) rinascita delle Terre Mutate

25.01.2025
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Il Giro d’Italia vivrà nuovamente fra le montagne e i paesi del Centro Italia, colpiti duramente dal terremoto del 2016. Accadrà il 17 maggio, nell’ottava tappa che da Giulianova porterà il gruppo a Castelraimondo, attraversando Ascoli Piceno, le contrade dei Sibillini, scalando il Sassotetto, scendendo per Bolognola, Serravalle del Chienti e poi Montelago, Matelica e l’arrivo.

L’ultima volta che una corsa passò da quelle parti fu con la Tirreno-Adriatico dello scorso anno, quando Jonathan Milan vinse la tappa di Giulianova, che era partita da Arrone e aveva attraversato parte degli stessi territori. Davanti a una situazione pressoché immutata, un altro friulano del gruppo – Alessandro De Marchi, che ci era già passato in maglia rosa al Giro del 2021 – si disse stupito e amareggiato.

Il Senatore Castelli, classe 1965, è il Commissario straordinario per la ricostruzione nel Centro Italia
Il Senatore Castelli, classe 1965, è il Commissario straordinario per la ricostruzione nel Centro Italia

Il messaggio del Commissario

L’ultimo anno ha fatto registrare unaccelerazione nella ricostruzione. E la speranza che il passaggio del Giro possa aiutare nel tenere accesa la luce si legge anche in un post su Facebook del Senatore Guido Castelli: 59 anni, Commissario straordinario alla ricostruzione post sisma e ciclista praticante.

«Da appassionato di ruote fine – scrive – sono felice che l’Appennino Centrale torni a vestirsi di rosa anche in questo 2025. Era una notizia attesa da tanti appassionati e adesso c’è la certezza: anche quest’anno il Giro d’Italia farà tappa nei nostri territori per la tappa numero otto del prossimo 17 maggio. La frazione Giulianova-Castelraimondo partirà dall’Abruzzo e, dopo essersi lasciata alle spalle il teramano, toccherà le province di Ascoli Piceno e di Macerata (…). La nostra rinascita e questo evento hanno molto in comune: tanta salita e fatica, con la voglia di non mollare mai e di aggredire i tornanti che portano fin sulla cima».

Le terre dimenticate

Può davvero il ciclismo riportare interesse su quelle aree ancora ferite a distanza di nove anni? In che modo il Giro d’Italia può diventare il traino per il cicloturismo? Ci siamo rivolti direttamente a Castelli, per avere la sua opinione di uomo politico e di appassionato di ciclismo. Prima di approdare al Senato, Castelli è stato sindaco di Ascoli Piceno e poi Assessore della Regione Marche.

«Il Giro che torna – dice – non è un episodio occasionale, in realtà l’abbiamo studiata con Renzo Marinelli, un mio ex collega del Consiglio Regionale delle Marche, che è proprio di Castelraimondo. L’esperienza della Tirreno-Adriatico ci ha fatto capire quanto il Giro possa far bene anche a questi territori. Con questa tappa completiamo un trittico. Il Giro era già arrivato ad Ascoli, con il traguardo di San Giacomo, e da lì abbiamo investito finanziando il restyling della stazione sciistica. Poi c’è stata tutta la stagione dell’Abruzzo, in altre zone sismiche. Mentre la prossima tappa di Castelraimondo attraverserà tutto il cratere dei Sibillini».

Guido Castelli, il primo da sinistra, con Baroncini e Aru, durante #NoiConVoi2021, pedalata di solidarietà sui Monti Sibillini
Guido Castelli, il primo da sinistra, con Baroncini e Aru, durante #NoiConVoi2021, pedalata di solidarietà sui Monti Sibillini

La natura vince

La montagna è protagonista. Basta sollevare lo sguardo dalle macerie di alcuni paesi fantasma, per rendersi conto della loro maestosità e delle strade e dei sentieri che nacquero per i muli e i trattori, mentre oggi sembrano tracciati per le bici.

«Sono tornato più di una volta su quelle strade – prosegue Castelli – però ammetto di aver dovuto sposare la e-bike, che mi ha consentito di comprendere meglio alcuni aspetti del discorso. Abbiamo ulteriormente investito sulla mobilità dolce, finanziando dei progetti outdoor molto importanti nelle Marche. Abbiamo completato e strutturato dei Cammini, che hanno impegnato qualcosa come 48 milioni di euro nelle quattro regioni interessate. L’idea è proprio quella di partire dai Cammini che sono pensati per chi va a piedi e di renderli praticabili anche per i ciclisti. Uno di questi è sicuramente il Cammino dei Cappuccini, che va da Fossombrone fino ad Ascoli Piceno, che per l’appunto è già pensato nella doppia versione.

«Credo molto dell’escursionismo. Abbiamo finanziato anche il Cammino Francescano della marca da Assisi ad Ascoli. C’è anche il Cammino delle Terre Mutate, che va da Fabriano all’Aquila. Per non parlare del recupero della tratta ferroviaria Spoleto-Norcia, frequentata dai biker in misura abbondante. Lo abbiamo fatto con la Fondazione delle Ferrovie, che cura proprio le ferrovie storiche e sta facendo cose molto importanti».

L’economia che riparte

La bicicletta e il cicloturismo come veicolo per rilanciare l’economia e riportare gente su quelle strade. Se arrivano i turisti, i locali non hanno più la spinta di andarsene e allora forse, di pari passo con la rinascita dei muri, si potrà arrestare l’abbandono.

«C’è una tendenza molto interessante – conferma Castelli – anche verso la professionalizzazione dei tour operator. Sono tanti quelli che propongono in maniera molto significativa dei percorsi con guide, in collaborazione con gli affittacamere. Anche dal punto di vista del fare impresa, registriamo una sempre maggiore attenzione verso chi frequenta questi Cammini. Ci sono aziende sul territorio che si stanno specializzando in questa direzione».

E’ il 28 maggio 2024, Pellizzari è appena tornato a Camerino dal Giro: il centro è ancora deserto
E’ il 28 maggio 2024, Pellizzari è appena tornato a Camerino dal Giro: il centro è ancora deserto

Ricostruzione e censura

Il Giro d’Italia accenderà le luci e forse mostrerà le opere ristrutturate. Fu doloroso (e fastidioso) nel 2021 in cui Gino Mader vinse a San Giacomo rendersi conto che la RAI non avesse mostrato neppure un fotogramma di quei muri devastati. Se ne resero conto i residenti che vissero così un doppio abbandono. Sarà diverso? E come procede la ricostruzione?

«Ci sono diverse velocità  – ammette Castelli – perché i luoghi più distrutti sono quelli che richiedono tempi più lunghi. Siamo riusciti a imprimere un cambio di passo che nel 2024 ci ha permesso di liquidare spese per un miliardo e mezzo alle imprese. La mia attenzione, la mia preoccupazione maggiore è su Amatrice, perché effettivamente ha avuto un’area di devastazione enorme. In più il grosso problema iniziale è che ad Amatrice c’è stata una falsa partenza ed è collassata la comunità. Per la zona di Arquata, ho sbloccato le autorizzazioni che erano ferme e abbiamo indetto una gara per circa 60 milioni di euro per rifare le fondazioni.

«Il centro di Arquata è scoppiato, è letteralmente sprofondato. Abbiamo fatto una gara internazionale che spero sarà aggiudicata per giugno per poter rifare le fondamenta del paese, basate su un sistema di isolatori e tiranti, che ne faranno il luogo più sicuro al mondo. Abbiamo presentato il progetto anche al Congresso Mondiale di Ingegneria Sismica di Milano, in modo che la ricostruzione consenta anche di fare innovazione. Per il resto, la ricostruzione di Castelluccio è già partita e il cambio di passo si vede anche nei centri di Rieti, Ascoli Piceno e Tolentino. Camerino è un po’ indietro per la necessità di coordinare gli interventi privati con quelli pubblici, che ha richiesto un’ordinanza specifica. L’Università ha riaperto i suoi uffici nel centro storico e spero che entro quest’anno nella bellissima città di Giulio Pellizzari si vedranno le prime gru».

Niente di normale. Al Tour è tutto grande: la gioia e il dolore

22.07.2023
5 min
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Quelle lacrime Mohoric se le porterà dentro finché campa. Lui al Giro di Svizzera non c’era, ma quando ha vinto la tappa di Novo Mesto al Giro di Slovenia e l’ha dedicata a Gino Mader, le sue dita puntate al cielo hanno forse tenuto a bada l’emozione. Ma il Tour è un’altra cosa. In un Tour così veloce, tutto viene spinto all’estremo. La fatica. La fiducia e la sfiducia. Tutto può essere esaltazione e sofferenza. Le sue parole dopo il traguardo in parte le avevamo riportate ieri, ma oggi vogliamo leggerle più in profondità. In qualche misura ci hanno convinto a farlo le parole di Bennati, sul fatto che Mohoric abbia vinto prima con la testa e poi con le gambe. Che cosa voleva dire?

«Essere in grado di seguire l’attacco decisivo – ha raccontato lo sloveno – è stato come sbloccarsi. Quando Asgreen se n’è andato, non lo so, mi è parso così incredibilmente forte. Il giorno prima era andato all’attacco e aveva vinto la tappa, eppure era di nuovo in testa con la determinazione per rifare tutto da capo. E io davvero nei giorni scorsi ho sentito di non essere all’altezza. Invece questa volta l’ho seguito».

Il Col de la Loze è stato una sofferenza, Mohoric lo ricorda con dolore e smarrimento
Il Col de la Loze è stato una sofferenza, Mohoric lo ricorda con dolore e smarrimento
Quanto è duro questo mestiere?

E’ difficile e crudele. Soffri molto per allenarti, sacrifichi la tua vita, la tua famiglia e fai di tutto per arrivare qui pronto. E poi dopo un paio di giorni ti rendi conto che al Tour tutti sono così incredibilmente forti. A volte è difficile seguire le ruote. L’altro giorno sul Col de la Loze ero davvero completamente stanco e vuoto. Eppure sai che devi arrivare in cima, tagliare il traguardo e farlo di nuovo il giorno successivo.

Cosa ti spinge?

Guardo i ragazzi del personale che si svegliano alle 6. Vanno a correre per un’ora e finiscono il lavoro a mezzanotte. Stanno ogni volta a cambiarci le gomme o i rapporti, lo stesso i massaggiatori. Eppure certi giorni ti senti fuori posto, perché tutti sono così incredibilmente forti che fai fatica a tenere le ruote. Sapete a cosa ho pensato oggi per tutto il giorno? Speriamo che quel ragazzo là davanti che sta tirando soffra almeno quanto me…

Quando Asgreen è scattato, sei riuscito a prenderlo…

Sapevo di dover fare tutto alla perfezione e ho fatto del mio meglio. Non solo per me stesso, ma anche per Gino e per la squadra. A volte mi sono sentito quasi di averli traditi, perché non sono riuscito a vincere. E’ solo lo sport professionistico, tutti vogliono vincere. E ovviamente se volevo vincere anche io, dovevo prendere la ruota di Casper e poi provare a batterlo nella volata più corta, dentro gli ultimi 50 metri.

Dove hai trovato la determinazione?

Non lo so. Ho sempre detto che non voglio avere rimpianti quando torno al pullman della squadra. Lo so che non vinco spesso, perché non sono forte come gli altri. Però riesco a mantenere la calma e la concentrazione nei momenti cruciali (Bennati aveva ragione, ndr). E quando Asgreen ha fatto quell’attacco in salita, ho sofferto molto. Però sapevo che era una mossa decisiva e in qualche modo ho trovato la forza mentale per seguirli fino in cima e stare a ruota. Sono stato anche altruista. Ho cercato di dare il mio contributo per tenere lontano il gruppo, perché se non lo avessi fatto, non saremmo arrivati.

Nel gruppo c’era anche il tuo compagno Ben Wright.

A un certo punto mi è dispiaciuto per lui, perché sapevo che non avrebbe avuto possibilità allo sprint, ma ha comunque insistito per portare avanti la fuga, perché anche lui voleva vincere. Quando negli ultimi metri ha attaccato, perché sapeva che era la sua sola possibilità, ero sicuro che Kasper avrebbe reagito perché era di gran lunga il più veloce. E io ho semplicemente seguito la sua ruota e praticamente mi ha lasciato passare. Non ho uno sprint forte, ma dopo una giornata difficile come questa, non si sa mai. E adesso sono felice per me stesso, per la squadra e per tutto quello che è successo nell’ultimo mese.

Il giorno di Pello e una dedica speciale per Gino

11.07.2023
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«E’ stato molto difficile – dice Pello Bilbao e si commuove – soprattutto con il Tour così vicino. Ci sono stati momenti in cui non volevo davvero più correre. Soprattutto i tre o quattro giorni successivi alla disgrazia…».

Una pausa, gli occhi lucidi a metà fra il dolore e la gioia per vittoria. Il caldo umido di Issoire fa sì che tutti continuino a grondare di sudore e trovarsi accerchiati da così tanti giornalisti non è certo il modo migliore per prender fiato. Ma ci sono cose da dire, per questo Pello guarda dritto e parla piano.

Dopo l’arrivo, assalito da microfoni e telecamere, Pello ha raccontato la vittoria e si è commosso ancora per Mader
Dopo l’arrivo, assalito da microfoni e telecamere, Pello ha raccontato la vittoria e si è commosso ancora per Mader

L’eredità di Mader

Quando si è tolto il casco, subito prima di consegnarlo al massaggiatore, ha indicato l’hashtag che è diventato la sua regola: #rideforGino (foto di apertura). Fra tutti i corridori al Giro di Svizzera, Pello è quello che ha sofferto di più per la morte del compagno. E’ stato lui uno dei primi a non voler andare avanti e sempre lui si è fatto carico di raccogliere la campagna ambientalista già lanciata da Mader. Donerà un euro per ciascun corridore che si lascerà alle spalle a un’associazione basca, Basoak SOS, che acquista terreni per piantarci alberi.

«Solo a casa ho ribaltato la situazione – prosegue nel racconto – più serenamente con la compagnia della famiglia e di mia figlia. Mi sentivo molto, molto bene sulla bici e ho cercato di convincermi che un’opportunità come questa non si sarebbe presentata mai più, che avrei dovuto sfruttarla al massimo. E ho avuto ragione. E’ stata l’occasione migliore per potergli dedicare la più grande vittoria possibile».

Il Tour ha attraversaro un altopiano verde intorno ai 1.000 metri di quota, dal Puy de Dome a Issoire
Il Tour ha attraversaro un altopiano verde intorno ai 1.000 metri di quota, dal Puy de Dome a Issoire

Un vortice di emozioni

Gli ultimi venti giorni sono stati per il basco un vortice di emozioni pazzesche. La morte di Mader, ma anche il Tour che partiva dalle strade di casa, sulle salite dei Paesi Baschi su cui è diventato corridore assieme all’amico Landa e su cui continua ad allenarsi.

«E’ chiaro che è stato un evento speciale – dice – il più speciale della mia carriera sportiva. Il calore del pubblico si è fatto sentire, la presentazione è stata speciale. La gente parlava del Tour da molto tempo e l’atmosfera era accesa. Per i Paesi Baschi è stato un grande impulso. Soprattutto perché può servire da ispirazione per i ragazzi che possono iniziare a divertirsi con il ciclismo. E’ triste sfogliare i calendari e vedere gare che stanno scomparendo, speriamo che il Tour porti un po’ di forza e capacità per sostenere le corse più piccole e il calendario giovanile di cui spesso ci dimentichiamo, che invece è il modo perché nascano i nuovi corridori».

Krists Neilands ha sferrato due attacchi molto potenti, che alla fine ha pagato. Ma il corridore c’è ed è forte
Krists Neilands ha sferrato due attacchi molto potenti, che alla fine ha pagato. Ma il corridore c’è ed è forte

Sempre a tutto gas

La giornata è stata veloce, torrida e folle. La fuga ha fatto una discreta fatica per partire e dietro la condotta degli squadroni ha abbandonato la logica. Quale il senso del tirare della Alpecin-Deceuninck, quando il vantaggio era già intorno ai tre minuti e si capiva che non sarebbero mai rientrati? E quale il senso dell’allungo in discesa di Van Aert e Van der Poel? La sensazione è che l’autonomia dei supereroi si vada normalizzando col tempo e anche loro se ne stiano rendendo conto.

«Con la squadra – prosegue Pello – abbiamo provato a fare di tutto nei 40 chilometri iniziali. Per un’ora siamo stati in cinque fra i primi venti. Tutti abbiamo provato a evadere. Matej Mohoric, Fred Wright, Mikel Landa e io stesso. Non c’era tanto da ragionare, solo andare ogni volta a tutto gas, finché all’improvviso ho visto che i Jumbo volevano lasciare andare un gruppo e quello era il momento giusto. Tutti erano al limite e io sono andato via con la fuga».

Pello Bilbao non aveva mai vinto al Tour. Ora risale anche in classifica: 5° a 4’34”
Pello Bilbao non aveva mai vinto al Tour. Ora risale anche in classifica: 5° a 4’34”

Il finale perfetto

Hanno dato tutto per restare davanti. Krists Neilands ha dimostrato di essere il più forte di tutti in salita, ma ha consumato molta energia con il suo duplice attacco e alla fine lo hanno ripreso. Il vento soffiava contro e i primi inseguitori dietro hanno capito che la cosa migliore fosse girare regolari. E quando lo hanno preso e sono entrati negli ultimi 3 chilometri, il piano di Pello è scattato alla perfezione.

«Sapevo di essere il più veloce di noi cinque – dice – dovevo solo mantenere la calma e controllare gli altri. Ho chiuso O’Connor e ho inseguito Zimmermann mentre iniziava lo sprint. Negli ultimi 200 metri non ho pensato più a niente e ho dato quel che mi restava. Quando ho tagliato il traguardo, ho buttato via tutto. Tutti sanno perché volevo vincere questa tappa. Per Gino, che era ed è sempre nella mia mente, e alla fine è arrivato il mio momento. Pensavo che non mi avrebbero lasciato andare, perché sono ancora abbastanza vicino in classifica, ma ho colto l’occasione e sono andato davvero a tutta. Sono professionista da 13 anni e finalmente sono riuscito a vincere una tappa del Tour. Questo è incredibilmente speciale. Anche perché l’avevo promesso a un amico che non c’è più».

Mader nel dolore di Pellaud. E la storia di una bici

24.06.2023
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Lubiana. Partenza della quarta tappa del Giro di Slovenia. Facce funeree nella zona dello start e non potrebbe essere altrimenti. La scomparsa di Gino Mader è arrivata come un tornado non solo nella carovana, ma nel cuore di tutti. Per qualcuno però, nello specifico Simon Pellaud, ha un significato maggiore, perché con Gino c’era tantissimo in comune, pezzi interi di vita, battute, risate. Quando condividi qualcosa d’importante, è come se te lo strappassero via.

Simon è un professionista, correre è il suo lavoro e anche se chi lo conosce (nel team in primis, affranto e vedremo il perché) capirebbe se non se la sentisse di partire, è lì, in sella alla sua bici. Le labbra strette in una smorfia. Il pensiero che vaga lontano, la voglia di lasciare un segno, fare qualcosa per ricordare l’amico scomparso lontano, troppo lontano per assisterlo.

La Tudor ha sofferto per la scomparsa di Mader come se fosse stato un proprio corridore
La Tudor ha sofferto per la scomparsa di Mader come se fosse stato un proprio corridore

Un gesto simbolico

La tappa parte e Pellaud si avvicina a Zana, leader della classifica: «Filippo, voglio andare in fuga per qualche chilometro, devo fare una cosa per Gino…». Il veneto dà naturalmente il suo benestare, Pellaud parte e nessuno lo segue. Le immagini della Tv riprendono la sua azione. Pellaud è uno che alle fughe è abituato, al Giro d’Italia dello scorso anno attaccava un giorno sì e l’altro pure, ma questa non è come le altre.

E’ in quei pochi ma importanti chilometri che Simon lascia defluire tutte le emozioni. Indica la fascetta di lutto al braccio, fa con le mani il gesto del cuore e indica il cielo pronunciando poche parole che nessuno sente. Almeno nessuno qui… Poi si lascia riassorbire dal gruppo, in tanti lo abbracciano cogliendo il suo dolore.

Pellaud è andato in fuga e indica il segno del lutto al braccio. Sul viso il dolore per la perdita dell’amico
Pellaud è andato in fuga e indica il segno del lutto al braccio. Sul viso il dolore per la perdita dell’amico

Le gambe c’erano, la testa no…

«Non c’era niente che avesse a che fare con lo sport – racconta il corridore elvetico della Tudor – non ho pensato neanche a come stavo, perché le gambe c’erano, ma la testa assolutamente no e non so neanche come ho fatto a finire quella tappa. Ho sentito l’ispirazione per salutare Gino a modo mio, era qualcosa fra me e lui.

«In quei minuti di fuga non potrei neanche dire se stavo pensando qualcosa di particolare, diciamo che mi sono passati davanti agli occhi tanti momenti condivisi insieme. Forse solo in quel momento mi sono un po’ riavuto, quando il giorno prima i diesse ci hanno chiamato per darci la notizia è stato un terribile schiaffo in faccia, che non dimenticherò mai».

Nel fotogramma della telecronaca di Eurosport lo svizzero fa il segno del cuore dedicato a Mader
Nel fotogramma della telecronaca di Eurosport lo svizzero fa il segno del cuore dedicato a Mader

L’amicizia nata in trasferta

Le storie ciclistiche di Simon e Gino si erano intersecate nel 2018, al team Iam Excelsior, squadra continental svizzera. Mader vi sostò poco, passando l’anno successivo all’NTT Dimension Data, ma bastò quella stagione per legarli in una profonda amicizia. «Abbiamo corso molto insieme, il che significa condividere camere d’albergo, le emozioni e le paure prima della gara, le gioie o le delusioni del dopo e in mezzo tante chiacchiere e soprattutto la storia di una bici…».

Nel raccontare quest’episodio si percepisce fortemente l’emozione legata al ricordo dell’amico che non c’è più: «Un giorno Gino mi confida che ha deciso di comprare l’ultimo modello di Specialissima della Bianchi: “Ho chiesto al team di aiutarmi, la spesa è ingente, ma è un investimento per il mondiale di Innsbruck, è una bici migliore, ma mi dà le prestazioni che voglio”. Il team acconsente e Gino la compra, ci si allena, va in Austria e al mondiale finisce ai piedi del podio.

«L’anno successivo, quando torno in Europa dalla mia Colombia (Pellaud è sempre rimasto molto legato alle sue radici familiari colombiane e affronta parte della sua preparazione invernale oltre Atlantico, ndr) Gino ha già firmato per il team WorldTour. Mi chiama e mi dice se voglio quella bici: “Gino, costa troppo, non posso permettermela”. “Voglio che ce l’abbia tu, come segno della nostra amicizia” e me la dà a un prezzo stracciato, assurdo per la qualità di quella bici. Con quella l’anno successivo ho vinto la classifica degli scalatori al Romandia, ho trionfato alla Fleche Ardennaise, sono finito secondo ai campionati nazionali».

L’abbraccio fra i due amici dopo il mondiale di Innsbruck, con Mader sulla sua Bianchi
L’abbraccio fra i due amici dopo il mondiale di Innsbruck, con Mader sulla sua Bianchi

Un legame indissolubile

«Ma non è il valore dei risultati, è il significato di quella bici, di quel gesto che mi è caro, è il segno della sua generosità, di chi era davvero Gino. Quella bici ce l’ho ancora e niente me ne potrà separare».

Nel ripensare a chi era Gino, non è facile trovare le giuste parole per descriverlo: «Viveva un po’ nella sua dimensione, sembrava quasi assente, ma era il suo modo per affrontare il mestiere. Era sempre concentratissimo su quel che faceva e soprattutto viveva la sua attività in maniera sempre tranquilla, tirando fuori il sorriso anche nei momenti difficili. Era il tipico svizzero tedesco, ferreo e determinato in quel che faceva, convinto delle sue idee».

Pellaud si è poi lasciato riassorbire. Ha chiuso lo Slovenia al 43° posto
Pellaud si è poi lasciato riassorbire. Ha chiuso lo Slovenia al 43° posto

Il viaggio in Cina

«Porto con me i ricordi della bellissima trasferta vissuta insieme al Tour of Hainan in Cina, sempre nel 2018, quando perse la vittoria finale per appena 2 secondi contro Masnada. Era comunque felice perché entrambi avevamo vinto una tappa, avevamo condiviso qualcosa di raro come sempre è una trasferta cinese, sono ricordi che resteranno sempre».

L’indomani della terribile notizia, era evidente come in casa Tudor la si vivesse con un trasporto enorme e la risposta la dà lo stesso Simon: «C’era la possibilità che a fine stagione arrivasse qui, sarebbe voluto venire per fare il leader, per puntare a quei grandi traguardi per i quali era ormai maturo. Avevamo ancora tanta strada da fare insieme, tornando a vestire la stessa maglia, ma il destino ha voluto altrimenti e non ho potuto neanche condividere la sua ultima corsa…».

Tour 1995, quando la Motorola decise di continuare

24.06.2023
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«Quando ho sentito la notizia e il giorno dopo ho saputo che Mader era morto – mormora Andrea Peron – mi è sembrato di rivedere quel giorno. Vivo in Svizzera, l’ho visto in Svizzera ed ha avuto tanto risalto. C’è stata quasi la stessa dinamica, anche nel succedersi degli eventi dei giorni dopo. E’ stato come aver rivissuto quel Tour del 1995 in maglia Motorola…».

I compagni di Mader al team Bahrain Victorious hanno sfilato con il gruppo, ma il giorno dopo hanno lasciato il Giro di Svizzera
I compagni di Mader hanno sfilato con il gruppo, ma il giorno dopo hanno lasciato il Giro di Svizzera

La scelta di continuare

Oggi a Zurigo si svolgerà un evento commemorativo per Gino Mader, con i genitori al centro e il popolo delle due ruote che confluirà nel velodromo. La nostra memoria invece è andata a giorni che vivemmo in prima persona al Tour del 1995: quelli della caduta di Fabio Casartelli, della lenta sfilata del gruppo sul traguardo di Pau e della vittoria di Armstrong a Limoges con le dita al cielo. Non vogliamo rivangare il dolore, ma a pensarci bene nessuno ha raccontato ciò che avvenne nella Motorola quando si seppe che il loro compagno non ce l’aveva fatta. Come fu che decisero di andare avanti, mentre la Bahrain Victorious ha abbandonato il Giro di Svizzera? Perché decisero di proseguire? Come si vive in una squadra la perdita di un compagno?

«Eravamo all’Hotel Campanile – ricorda Peron – e ci ritrovammo sul prato lì fuori, davanti al laghetto. Jim Ochowitz, che era il team manager della Motorola, era venuto a chiederci cosa volessimo fare. Era la prima volta che succedeva una cosa del genere, fortunatamente non avevamo un precedente. Però conoscevamo tutti Fabio e la motivazione che aveva in quel Tour. Ci confrontammo a lungo e alla fine decidemmo di continuare, proprio per portare lui a Parigi. Perché comunque Fabio, sin da quando era partito dalla Normandia (il Tour del 1995 partì il primo luglio da Saint Brieuc, ndr), diceva sempre che voleva arrivare a Parigi».

Vi eravate preparati insieme, giusto?

Avevamo passato giugno allenandoci a Livigno e continuavamo a parlare di questo Tour e di quanto sarebbe stato bello arrivare a Parigi. E alla fine, decidemmo di continuare proprio per rispetto del nostro amico, altrimenti ci saremmo fermati. Siamo arrivati in fondo e la bici di Fabio ha sempre viaggiato sul tetto dell’ammiraglia fino all’ultimo traguardo. Per noi fu quello il modo migliore per concludere il Tour. Fu una decisione soggettiva del team, evidentemente al Team Bahrain hanno ponderato una scelta diversa, con altre motivazioni che meritano il massimo rispetto.

Credi che se l’incidente di Fabio non fosse avvenuto al Tour, ma in qualsiasi altra corsa, avreste continuato ugualmente?

Probabilmente no.

La sera sul lago ci fu qualcuno che non voleva andare avanti?

Eravamo tutti abbastanza uniti, non ci fu una votazione, fu piuttosto una terapia. Avevamo bisogno di stare tra di noi in modo più intimo. Tutti ci cercavano, tutti ci chiedevano, tutti volevano sapere, tutti volevano esserci vicino, invece quel momento fu solo per noi. Ci siamo confrontati, ci siamo parlati, ma alla fine tutti fummo concordi sul continuare. Fabio aveva un’energia e un entusiasmo contagiosi. Era sempre divertente, sempre motivato, sempre ottimista su tutto. Ce lo trasmetteva e quindi sapevamo che lui sarebbe voluto arrivare a Parigi. 

Hai parlato dell’intervento di Ochowitz, cosa venne a dirvi?

Jim era distrutto, come tutti, ma forse lui si sentiva addosso la responsabilità. Magari non dell’incidente, ma sicuramente del fatto di aver selezionato Fabio per il Tour. Ha sempre avuto un grande cuore e con Fabio aveva legato molto, visto che viveva anche lui a Como. Eravamo tutti più o meno nella stessa zona, eravamo quasi una famiglia.

Quando hai saputo che Fabio era morto?

In maniera chiara, all’arrivo. Però salendo sull’ultima salita ricordo che c’era un’atmosfera strana, quando passavamo noi della Motorola, la gente applaudiva in modo strano. Ricordo Darcy Kiefel, una fotografa americana, che sul Tourmalet mi fece una foto e intanto piangeva. E io pensai: perché sta piangendo? Poi, piano piano, ho realizzato tutto. Le radio non c’erano ancora. Della caduta e che fosse brutta l’avevamo saputo subito. In gruppo c’era ancora tantissima bagarre e mentre da dietro iniziavano a rientrare quelli che erano rimasti coinvolti, andai a chiedere all’ammiraglia se dovessimo aspettare Fabio, ma mi dissero che lo avevano portato in ospedale. Poi parlai con Perini, non ricordo se fosse caduto anche lui o avesse visto, e mi parve sconvolto. Continuammo la tappa, quasi tutti staccati, fino a Cauterets.

Al via della settima tappa del Giro di Svizzera è stata lanciata una colomba bianca, per salutare Gino Mader
Al via della settima tappa del Giro di Svizzera è stata lanciata una colomba bianca, per salutare Gino Mader
Il giorno dopo il gruppo pedalò a passo d’uomo fino a Pau: una processione lentissima, dopo la quale Bjarne Riis disse che avrebbe avuto più senso annullare la tappa, che farsi del male a quel modo…

Fu una giornata molto pesante, in un certo senso capisco Bjarne perché veramente era una tappa lunghissima con un sacco di salite. Fu pesante per tutti, anche perché eravamo svuotati. Già c’era la fatica di due settimane di Tour, ma soprattutto portavamo un macigno dentro e non avevamo l’adrenalina della gara. Se devo dirvi, di quel giorno non mi ricordo niente, se non l’arrivo a Pau e questa sfilata interminabile sui Pirenei a passo d’uomo, con tutto il gruppo che veniva a chiederci. Non mi ricordo che salite abbiamo fatto, dove siamo passati, niente…

Cosa ricordi della vittoria di Armstrong a Limoges?

Lance era motivatissimo per fare qualcosa che ricordasse Fabio. E lui quando era così, tirava fuori un’energia non comune. Fu una vittoria per Fabio, la sera non festeggiammo. Cercammo di mantenere un comportamento di rispetto, ma abbastanza leggero. Ci vuole tanta forza per continuare in quello stato. Quando ti succedono queste cose, trovare l’energia per andare avanti e fare delle tappe del Tour de France è pesantissimo. La tappa di Pau la facemmo a passo d’uomo, però poi la gara continuò, con tutte le difficoltà di un Tour de France.

Andrea Peron, casse 1971, è stato pro’ dal 1993 al 2006 (alla Motorola nel 1995 e 1996). Oggi lavora in Karpos, azienda del gruppo Valcismon
Andrea Peron, casse 1971, è stato pro’ dal 1993 al 2006. Oggi lavora in Karpos, azienda del gruppo Valcismon
Con la stessa testa?

Fummo costretti a reagire, ma almeno per me non c’era più il senso di cercare la vittoria, la prestazione, il risultato. C’era solo arrivare in fondo e portare Fabio a Parigi. La vera lotta fu non farci risucchiare dalle emozioni negative e dalla negatività di quanto era accaduto, altrimenti sarebbe stato impossibile andare avanti.

Tu eri compagno di stanza di Fabio in quel Tour?

Quando quella sera entrai in camera, ricordo benissimo che c’era la sua valigia aperta sul letto, perché l’avevano aperta, penso per cercare i documenti. C’era la valigia aperta, ma Fabio non c’era più. Fu una cosa pesante.

Patron del Tour in quegli anni era Jean Marie Leblanc, che assecondò in toto il volere della Motorola
Patron del Tour in quegli anni era Jean Marie Leblanc, che assecondò in toto il volere della Motorola
In questi giorni si è parlato di sicurezza delle corse.

Non credo che allora, come oggi, ci sia stata la colpa di qualcuno dal punto di vista delle protezioni. Gino Mader e Fabio prima di lui sono mancati facendo quello che amavano. Ogni ciclista si assume una parte di rischio come chi corre in moto, come è successo a Simoncelli e come ad esempio agli sciatori. Mi ricordo la morte di Ulrike Maier nel 1994, che conoscevo. Andò a sbattere su un paletto e morì. Penso agli alpinisti che muoiono in montagna. Quello che invece mi fa più rabbia sono le morti che si possono evitare.

Di cosa parli?

Penso al povero Davide Rebellin, che viene a ucciso perché un camionista gli passa sopra e non si accorge di lui. Oppure tutti i morti che ci sono quasi settimanalmente, tirati sotto da autisti distratti. Questo mi fa più rabbia, perché per loro si potrebbe fare qualcosa. La morte è sempre uguale, ma quelle morti lì non devono più succedere.

Perno passante, dischi, tubeless: più moto che bici

21.06.2023
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La caduta di Mader, nessuno ha visto niente. Ci sono solo le immagini – le foto e quelle riprese da un drone – che mostrano come quella curva non sembri poi così pericolosa. Che cosa può aver determinato la perdita di controllo della bici? Farsi tante domande è forse inutile, difficilmente se ne viene a capo e Gino non tornerà indietro.

Poi c’è stata la caduta di Zana e le sue parole su quello che ciascun corridore potrebbe fare in favore della sua stessa sicurezza. Quel che infatti appare chiaro è che le velocità siano aumentate in modo considerevole. E di conseguenza, quando si scende da una montagna a 100 all’ora, anche l’errore più piccolo diventa irrecuperabile. Che cosa rende queste bici così veloci?

Anche quest’anno Ballan, con Bettini e Dalia Muccioli, è stato ambassador di Mediolanum al Giro
Anche quest’anno Ballan, con Bettini e Dalia Muccioli, è stato ambassador di Mediolanum al Giro

Dischi e perno passante

Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Ballan, che ha corso fino al 2014 e negli anni è stato tester di Campagnolo per i freni a disco. Oggi che continua ad andare regolarmente in bici, il confronto fra le bici di una volta e le attuali è davvero palpabile.

«La guida è cambiata tantissimo – comincia Alessandro – visto che oltre ad esserci i freni a disco, c’è anche il perno passante. Quindi l’insieme è molto più rigido e in discesa non sono più bici, queste sono moto. Inoltre con le coperture più grandi, riesci a piegare molto di più e di conseguenza le velocità si sono alzate tantissimo».

Questa foto di Gino Mader è stata scattata durante la tappa in cui lo svizzero è caduto
Questa foto di Gino Mader è stata scattata durante la tappa in cui lo svizzero è caduto
Al punto da richiedere capacità di guida superiori rispetto a qualche anno fa?

Stiamo parlando di persone che sono tutto il giorno in sella alla bici e che sanno guidarla molto bene. Nel caso di Mader si potrebbe parlare forse di una distrazione, che può essere risultata fatale in quel momento. Magari anche semplicemente voltarsi indietro che ti fa sbandare quei 5 centimetri o ti manda verso un avversario. Però anche questo è da capire, perché se sei a 100 all’ora, non ti deconcentri. Può succedere quando vedi la strada dritta, se intorno non hai nessuno e la velocità magari arriva anche agli 80 all’ora. Sai di avere una frazione di secondo in cui puoi distrarti un attimo. Però non lo fai se sei in prossimità di una curva, oppure a stretto contatto con un altro corridore.

La distrazione diventa pericolosa proprio perché si va più veloci e si ha meno tempo per frenare?

Anche sulla bici col freno tradizionale, mi sembra proprio in un Giro di Svizzera, avevo superato i 105 all’ora. Adesso però sei molto più sicuro e col fatto che in frenata riesci a staccare tanto dopo, è logico che raggiungi velocità molto più elevate. La senti proprio sicura. Se devo decelerare per entrare in un tornante, con i freni a disco sono tranquillo. Prima invece non era così, anche perché in gara avevamo le ruote in carbonio e la frenata non era mai uguale. Cambiava fra bagnato e asciutto, quindi dovevi capire il punto in cui staccare. Dovevi dare prima un colpetto perché pattini e cerchio trovassero grip per la frenata vera e propria. Invece adesso col disco la risposta è sempre identica e quindi sei sempre sicuro.

Nibali era uno dei maghi delle discese, quando guidare con i freni caliper era ancora più difficile di adesso
Nibali era uno dei maghi delle discese, quando guidare con i freni caliper era ancora più difficile di adesso
Le bici ormai hanno raggiunto tutte gli stessi standard?

Non starei a fare classifiche, perché ormai sono a un livello talmente alto da essere tutte più o meno uguali. Io addirittura trovo più differenza fra una ruota rispetto a un’altra, che fra un telaio rispetto a un altro. Quindi diciamo che gli incidenti non avvengono per il diverso livello delle biciclette, ma certo fra queste e quelle di 10 anni fa, c’è un abisso.

E’ più facile sbagliare? Meglio: queste bici ti perdonano meno gli errori?

Evidentemente la volta che sbagli, rischi di pagarla più cara. Abbiamo visto anche Zana su quella curva: è arrivato un po’ lungo ed è stato costretto a correggere la curva. Non c’è riuscito e fortunatamente non ha trovato il guardrail. Dopo c’era un prato e non un precipizio. Quando sei in discesa, fai sempre delle considerazioni. Se vedi il guard rail, sai che di là c’è un burrone e se cadi, rischi di più. Però per fare un’ultima riflessione, io adesso seguo mia figlia che corre in bici e vado a vedere le sue corse.

I cerchi di carbonio con i freni caliper rendevano la frenata diversa in base alle condizioni
I cerchi di carbonio con i freni caliper rendevano la frenata diversa in base alle condizioni
Che cosa hai notato?

L’altra sera per vedere una notturna mi sono messo su una curva. E’ impressionante vedere come questi ragazzini pieghino le bici. Accanto a me c’era anche Ivan Ravaioli, che è stato professionista anche lui, e ha fatto la stessa considerazione. Ovviamente si parla di biciclette moderne, perché noi a quell’età non piegavamo così. Lo stesso è successo anche qualche settimana fa. Ero a vedere una gara con Gilberto Simoni e anche lui ha fatto la stessa osservazione. I giovani di oggi sono più spericolati, perché la bici è cambiata e gli permette di guidarla in un modo completamente diverso.

Parlavi della differenza di frenata fra disco e caliper su cerchio in carbonio…

Dovevi prima dare una pinzata per scaldare il pattino, ma non troppo altrimenti si incollava al cerchio, quindi rischiavi di inchiodare con la ruota dietro. Dovevi tenere conto di molte cose, che magari ti facevano andare meno di adesso. Oggi invece non hai assolutamente paura. Ho testato anche i dischi per Campagnolo. Mi buttavo giù da discese veramente pendenti, tipo Zoncolan, frenando al 75 per cento con l’anteriore e usando il posteriore solo per qualche correzione. Davvero sembrava di essere su una moto. Comunque tornando al povero Gino…

Nelle discese in gruppo, le velocità sono altissime ed è vietato distrarsi
Nelle discese in gruppo, le velocità sono altissime ed è vietato distrarsi
Che cosa?

Ho visto delle foto, non saprei dire se la curva fosse pericolosa, ma non dà quell’idea. Non si stava giocando la classifica ed era tagliato fuori anche dalla vittoria di tappa. E’ vero che l’arrivo era in fondo alla discesa, ma non credo che sia andato a rischiare così tanto sapendo di non lottare per la vittoria. 

Quindi?

Credo sia stato un tragico destino. Avesse trovato erba e non quella condotta, adesso sarebbe ancora qui. Personalmente non lo conoscevo, però mi ha sempre dato una bella impressione. Ne ho sempre sentito parlare molto bene dagli altri corridori. Era una persona carismatica, sempre col sorriso. Un po’ com’era Michele Scarponi. Non capisco perché certi tragici finali capitino solamente alle persone speciali.

Fra la caduta e la vittoria, ecco la Slovenia di Zana

21.06.2023
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Nelle ultime settimane Filippo Zana è pressoché un ospite fisso dei media nazionali. Il suo Giro d’Italia, al di là della tappa vinta non è passato inosservato, la conquista del Giro di Slovenia (nella foto d’apertura premiato da uno speciale padrone di casa, Primoz Roglic) è un altro tassello della sua crescita, ma c’è anche altro. Moltissime piattaforme hanno ripetuto all’infinito le immagini della sua caduta alla corsa slovena, il suo rialzarsi e poi andare addirittura in fuga per vincere la tappa e vestire la maglia di leader portata fino al traguardo.

Una caduta spettacolare e senza conseguenze, come ce ne sono tante nella vita di un corridore, ma questa non era una caduta normale: era due giorni dopo quella ben più tragica che ha portato via Gino Mader e questo ha dato uno straordinario risalto al suo incidente. “Filippo Zana è un miracolato: paurosa caduta in una scarpata, la bici precipita” titolava un importante sito d’informazione sportiva, non si sa quanto per richiamare visualizzazioni o, vogliamo crederlo vedendo le immagini, realmente spaventati dalla meccanica dell’evento.

Nelle prime tappe Zana aveva lavorato per gli sprint di Groenewegen, esultando per le sue vittorie
Nelle prime tappe Zana aveva lavorato per gli sprint di Groenewegen, esultanndo per le sue vittorie

A distanza di qualche giorno la chiacchierata con Filippo non può non prendere spunto da quel che è successo: «E’ stata una caduta tanto scenografica quanto poco significativa. Ho sbagliato l’impostazione della curva, la stessa che nel giro precedente era costata la stessa caduta a un mio compagno di squadra. Veniva alla fine di un pezzo molto veloce e ho commesso un errore di guida. Mi sono rialzato subito notando che non mi ero fatto nulla e ho pensato solo a ripartire».

Eppure quello scivolone ha avuto un enorme risalto…

Posso capirlo. Quando alla sera ho rivisto la scena nei video mi sono spaventato un po’ anch’io, ma capisco che l’enfasi fosse data soprattutto per quanto era successo in Svizzera, la tragedia che è costata la vita a Gino. Lì per lì non ci avevo pensato ma riconosco che vedendo le immagini mi è passato alla mente quel che è successo allo svizzero e ho capito di essere stato fortunato, tanto fortunato

E’ vero che le cadute ci sono sempre state per ogni ciclista, ma ragionandoci sopra, secondo te si potrebbe fare qualcosa in più in tema di sicurezza?

Qui apriremmo un dibattito enorme. Forse in quella curva dove sono caduto, un addetto che la segnalasse sarebbe stato utile. Forse nel caso di Mader non c’era bisogno di porre l’arrivo alla fine della discesa, bastava chiudere la tappa in cima alla salita. Ma bisogna guardare ogni cosa sotto altri aspetti. Nel caso elvetico capisco anche gli organizzatori, che trovano un accordo per arrivare in un dato posto e devono adeguarsi, soprattutto percorrere quelle date strade. A proposito della Slovenia, in una tappa di 200 chilometri quanti addetti dovresti allora spargere per il tracciato? E’ difficile trovare la quadratura del cerchio, anche se un’idea me la sono fatta.

Quale?

Premesso che si va sempre più veloci perché i materiali di gara sono in continua evoluzione, sta anche al ciclista metterci del suo, usare attenzione e prudenza, senza le quali ogni accortezza organizzativa sarà utile. Il nostro è uno sport rischioso, non dimentichiamolo mai e facciamo del nostro per ridurre i pericoli.

Nell’ultima tappa fuga a due con Mohoric. Lo sloveno vince la tappa, Zana è primo in classifica
Nell’ultima tappa fuga a due con Mohoric. Lo sloveno vince la tappa, Zana è primo in classifica
Ti aspettavi questa vittoria, soprattutto dopo le fatiche del Giro?

Sapevamo di essere usciti bene dal Giro e soprattutto sentivo di avere una buona forma, ma poi ci sono anche gli avversari e la partecipazione al Giro di Slovenia era sicuramente molto qualificata. Nessuno partecipa per arrivare secondo, c’è stato da lottare. Alla fine sono rimasto molto contento non solo del risultato, ma per come è arrivato, per la forma che ho mostrato contro gente che andava davvero molto forte.

La sensazione è che il Giro ti abbia fatto fare un altro salto di qualità…

Spero che sia così, ma il cammino è ancora lungo e rispetto ai più forti c’è ancora tanto margine da colmare. Sicuramente questo tipo di corse a tappe, racchiuse in 4-5 giorni, è la mia dimensione ideale al momento.

Alla partenza in tanti a chiedere autografi al nuovo campione del ciclismo italiano
Alla partenza in tanti a chiedere autografi al nuovo campione del ciclismo italiano
Ci sono molti esempi di corridori che in queste corse si sono costruiti una carriera, arrivando poi a emergere anche nei grandi Giri. Può essere il tuo caso?

Io me lo auguro. Dopo il Giro molti predicono il mio futuro come uomo da classifica, ma per esserlo davvero c’è ancora tanta strada da fare. I fenomeni come Pogacar capaci di vincere subito sono pochi proprio perché sono fenomeni. Io credo di essere sulla buona strada, ogni gara serve per maturare, queste soddisfazioni danno la spinta a insistere e provarci ancora, continuare a migliorare, sperando che un giorno possa essere anch’io lì a lottare per una maglia importante in un grande Giro.

Ora che cosa ti attende?

Naturalmente il campionato italiano, poi finalmente si stacca la spina per un po’. Avevamo impostato la stagione per essere al massimo al Giro e devo dire che alla fine abbiamo avuto ragione, anche se all’inizio non ero certo molto brillante. Mi prenderò un po’ di riposo e poi si dovrebbe ripartire verso la metà di agosto, per la seconda parte di stagione, vedremo con quali obiettivi.

P.S. Le cadute sono parte del mestiere, Zana lo sa e forse la sua porzione di fortuna l’aveva già riscossa. Fatto sta che stamattina, nel corso dell’allenamento Filippo è caduto riportando la frattura della clavicola destra. Niente campionato italiano e necessità di andare sotto i ferri venerdì per ridurre la frattura, poi si penserà alle tappe della ripresa.

Evenepoel e Van Aert, voci fiamminghe dalla Svizzera

18.06.2023
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Come quello che fece Lance a Limoges. Dell’americano si può dire quel che si vuole, ma in quel giorno del 1995, arrivando con le dita che indicavano Fabio Casartelli nel cielo di Francia, ci toccò i cuori come poche altre volte. Ieri Remco Evenepoel ha fatto qualcosa del genere, anche se Gino Mader non era suo compagno di squadra e Dio solo sa quanto puoi essere scosso quando hai visto morire un tuo amico. Armstrong invece partì per fare quel gesto, il campione del mondo lo ha sentito nascere da dentro e lo ha assecondato.

«Non era questo il piano stamattina – ha detto Evenepoel – volevo aiutare i nostri velocisti Merlier e Van Lerberghe, ma sono stati loro a chiedermi di provare. E’ stata una bella vittoria, ma non è questa la cosa più importante oggi. Era più importante onorare Gino e penso che questo sia stato il modo migliore per farlo. La mia mente non era sulla vittoria quando ho tagliato il traguardo. Ho pensato solo a Gino, alla sua famiglia e ai suoi cari».

Come per Jakobsen

La tappa di Weinfelden è iniziata con un toccante minuto di silenzio in memoria di Gino Mader. I corridori si sono tolti i caschi e una colomba bianca è stata fatta volare verso il cielo. Il Team Bahrain Victorious, la Intermarché e la Tudor Pro Cycling non erano al via, mentre altri 37 corridori si sono ritirati non sopportando il dolore. Il mattino infatti aveva ancora il sapore della morte. Il dio dei ciclisti, che in tante occasioni ha tenuto una mano sul capo dei suoi figli, l’altro giorno non c’era: Evenepoel lo sa bene. A lui ha salvato la vita quando volò giù dal ponte al Giro di Lombardia.

«Questa vittoria – ha detto Evenepoel – mi ricorda quando al Giro di Polonia vinsi per Jakobsen dopo il suo incidente. Questo però è stato molto peggio ovviamente. Fabio può ancora fare quello che gli piace fare con la sua famiglia, purtroppo Gino non può più. Preferisco dare tutti i premi che ho ricevuto per la mia vittoria alla famiglia di Mader. Cercherò di fare il massimo per sostenerli, ma so anche che questo non lo riporterà indietro».

La lettura di Van Aert

Anche Wout Van Aert, giunto secondo all’arrivo, ha raccontato di aver pedalato per tutto il giorno con uno strano senso di disagio addosso.

«E’ stato un po’ strano – ha detto – ma d’altra parte credo fosse giusto ricominciare a correre. Ho pensato che sia stata una decisione giusta e penso che tutti abbiano rispettato il modo in cui l’abbiamo gestita. Ho trovato positivo che non ci sia stata una vera battaglia, ma ho sentito molto rispetto nel gruppo. Alcune squadre non volevano continuare, altre hanno pensato che fosse una buona decisione. Bene che abbiamo rispettato l’opinione di tutti e che non ci sono stati attacchi subito dopo l’inizio. E’ stato più giusto andare di nuovo a tutto gas su una salita e per me è stato il modo giusto per affrontare la giornata. In questo modo abbiamo rispettato anche gli spettatori».

Evenepoel non aveva in programma di attaccare, sono stati i compagni a spingerlo
Evenepoel non aveva in programma di attaccare, sono stati i compagni a spingerlo

Tutto nella crono

E così il Giro di Svizzera è arrivato faticosamente all’ultima tappa: la cronometro di Abtwil, che in 25,7 chilometri metterà ordine fra le ambizioni dei contendenti. La prima, di soli 12,7 chilometri a Einsiedeln, ha visto la vittoria di Kung su Remco e Van Aert. La maglia di leader la indossa ancora Skjelmose, con 8 secondi di vantaggio su Gall, 18 su Ayuso, 46 su Evenepoel.

«Domani cercherò ovviamente di puntare alla vittoria finale – ha detto Remco a Het Nieuwsblad – ma voglio soprattutto avere buone gambe e vincere la tappa. E poi vedremo dove finirò in classifica. Mi rendo conto che sarà difficile rubare la maglia gialla a Skjelmose, ma alla fine siamo davvero vicini».

Christen, una croce per Gino sul traguardo di Cansiglio

17.06.2023
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PIAN DI CANSIGLIO – Per il Giro Next Gen sono le ultime pedalate prima della tappa finale, da Tavagnacco a Trieste. In gruppo l’atmosfera che si respira è particolare: sono molte le squadre ancora senza vittoria, le squalifiche hanno creato un certo nervosismo e la notizia della morte di Gino Mader ha scosso molti, tra staff e corridori, vicini al ciclista svizzero. La tappa parte regolarmente da Possagno, davanti allo spettacolare Tempio Canoviano. Prima del via, si osserva doverosamente un minuto di silenzio: tutto si ferma, i corridori si tolgono il casco e gli sguardi sono persi nel vuoto, ancora a chiedersi «perché?». 

Svizzero come Mader, stamattina Christen si è disegnato una croce sul braccio e l’ha portata al traguardo (foto LaPresse)
Svizzero come Mader, stamattina Christen si è disegnato una croce sul braccio e l’ha portata al traguardo (foto LaPresse)

Risposta svizzera

L’umore non è dei migliori, ma si parte comunque. La corsa procede regolarmente, ma tra coloro che ci credono e che ci provano in tutti modi c’è una persona speciale: Jan Christen. Jan non ha neppure 18 anni, è molto giovane ed è al Giro per la statunitense Hagens Berman Axeon. Nella sua carriera ha già vinto il campionato nazionale a cronometro juniores nel 2021 e nel 2022, conquistando, lo scorso anno, anche il titolo europeo nella prova in linea. E come abbiamo già raccontato, è… promesso al UAE Team Emirates per quattro anni a partire dal prossimo. Jan e Gino Mader si conoscevano, spesso si allenavano assieme: tutti e due infatti hanno sangue svizzero.

«Sono senza parole – racconta il vincitore Jan Christen – la vittoria significa molto per me. Questa notte non ho dormito molto, per via di quello che è successo ieri con Gino. Era un mio caro amico e conosco bene la sua famiglia. Forse è stato lui a darmi la forza di attaccare oggi. Questa vittoria è per lui, l’ho pensato molto durante tutta la tappa».

Maglia rosa vigile

Pronti, via e parte una fuga di dodici uomini. Il gruppo non gli concede molto spazio, finendo per riprenderli subito. Uno scatenato Gil Gelders si lancia in discesa assieme ad altri tre elementi: il loro vantaggio sale quasi fino ai tre minuti. Dietro la corsa è nervosa, il gruppo teme questi attaccanti, tanto che a prendere in mano la situazione è la maglia rosa Johannes Staune-Mittet in persona che allunga fino a raggiungere i tre fuggitivi.

E’ a quel punto che Jan Christen capisce la pericolosità dell’uomo Jumbo-Visma e parte in solitaria quando manca un chilometro al gran premio della montagna: nessuno riesce a raggiungerlo e sul Pian del Consiglio è lui il primo ad arrivare. Sulla sua gamba si vedono, tra l’altro, i segni di una caduta. Johannes Staune-Mittet, nel frattempo, arriva a 13 secondi ed è sempre più in rosa.

Staune-Mittet nel frattempo è sempre più rosa: per la Jumbo Visma, il secondo Giro dopo quello di Roglic (foto LaPresse)
Staune-Mittet nel frattempo è sempre più rosa: per la Jumbo Visma, il secondo Giro dopo quello di Roglic (foto LaPresse)

Una croce sul braccio

Sin da stamattina Jan Christen ha voluto ricordare Mader: sul braccio destro, si è disegnato con un pennarello nero una croce, proprio per Gino. Sul traguardo e durante le interviste Jan si è toccato spesso il braccio, come a voler dire: «Gino, sei qui con noi, questa vittoria è per te».

Ha alzato le dita al cielo e chissà cos’altro avrebbe voluto dirgli. Ha appoggiato la bici alle transenne a bordo strada e, ancora prima di abbracciare compagni e amici, si è lasciato andare ad un urlo liberatorio

Jan Christen è nato nel 2004 a Leuggern, dal 2024 al 2027 ha già un contratto con il UAE Team Emirates (foto LaPresse)
Jan Christen è nato nel 2004 a Leuggern, dal 2024 al 2027 ha già un contratto con il UAE Team Emirates (foto LaPresse)

Finiti tutti i convenevoli del post-tappa, mentre dal Giro di Svizzera rimbalza la notizia che anche Remco Evenepoel ha vinto e dedicato la vittoria a Mader, tra interviste, premiazioni e foto di rito, Jan prende il telefono in mano. La prima cosa che fa è postare su Instagram una storia. Poche parole: la sua foto, la sua impresa e la dedica “this is for you Gino”, “questa è per te Gino”, con un grande cuore rosso.