Sarà per averne vissuto la storia e per i tanti corridori e direttori sportivi che ha donato al ciclismo mondiale, quando abbiamo saputo che alla Castelli 24H di Feltre avrebbe corso una squadra fatta da ex corridori della Liquigas, abbiamo voluto fortemente raccontarne il ritorno.
E’ stato bello rivedere in gruppo Dario Mariuzzo e risentire la sua voce, come pure riconoscere i volti di ragazzi che con quella maglia hanno raccontato corse e sogni. E siccome è parso chiaro che l’anima della festa sia stato in qualche modo Alan Marangoni, ci è venuta la curiosità di parlare con lui per farci raccontare il dietro le quinte.
Nibali ha corso solo pochi giri con il team Liquigas, in prestito dal team di Paolo KessisogluNibali ha corso solo pochi giri con il team Liquigas, in prestito dal team di Paolo Kessisoglu
A chi è venuta l’idea?
L’idea è venuta a Giovanni Lombardi che già dall’anno scorso pensava di fare questa cosa. Però un conto è avere l’idea e un altro organizzare, infatti a chiamarli tutti ci ho pensato io. Il punto era che Sagan doveva partecipare con Sportful, perché è un loro ambassador. Poteva andare con la squadra di Paolo Kessisoglu, che ha un fine nobile ma è piena di celebrità, oppure si poteva far rivivere la Liquigas e alla fine è andata così. Siamo arrivati in 12 giusti. Poi Nibali ha fatto qualche giro con noi, mentre con Oss non ci siamo riusciti, perché lo hanno fatto tirare tutta la notte ed era sfinito. Ha fatto la foto sul palco e poi è andato via.
Chi è mancato clamorosamente?
Sarebbe stato bello avere Viviani, ma il regolamento vieta che ci siano professionisti in attività, mentre fino a qualche tempo fa, uno per squadra poteva partecipare. Caleb Ewan era al limite, ma ha dichiarato di aver smesso e l’hanno ammesso. Del resto noi l’abbiamo fatta in maniera goliardica, ma era una gara amatorie ufficiale a tutti gli effetti. C’era gente molto agguerrita, che ha fatto il record dei giri della storia della 24 Ore, gente che andava veramente forte. E per questo alla fine Elia non l’ho neanche chiamato. Si poteva correre al massimo in 12 e l’unica eccezione è stata fatta con Nibali.
Il team Liquigas è stato costruito da Marangoni attorno a SaganIl team Liquigas è stato costruito da Marangoni attorno a SaganMariuzzo è il primo a destra, in basso: le sue battute sono state il succo della squadra
Qual è stata la reazione dei ragazzi che hai chiamato?
Hanno detto subito di sì. Gli unici che hanno detto di no erano impegnati. I due che sono stati più dispiaciuti di non poter correre sono stati Cataldo e Gasparotto, che erano fuori con le loro squadre. La cosa incredibile è che Amadio ha avuto la conferma di poter usare il nome Liquigas un mese prima, quindi hanno dovuto fare le maglie a tempo di record.
Ci si incontra sempre alle corse, ma questa riunione è stata anche l’occasione per tirare fuori aneddoti e ricordi particolarmente divertenti?
E’ stato bello soprattutto parlare con Mariuzzo, anche di alcune cose che sono successe. Ho ripreso Dario in un video in cui prende in giro Sagan perché è sceso dalla bici ed era finito, rintronato dalla fatica. Inizialmente Peter ha provato a fare corsa di testa, finché ne ha avuto le gambe. E quando è venuto giù era distrutto e si è messo a rispondere a Mariuzzo che avrebbe voluto vedere lui. E Dario ridendo lo pungolava dicendo che lui non lo avrebbe visto nessuno, perché avrebbe corso di notte.
Da Dalto e Sagan: il campione e il gregario di fiducia. Quei due hanno scritto pagine di storiaDa Dalto e Sagan: il campione e il gregario di fiducia. Qui due hanno scritto pagine di storia
Come essere tornati ai vecchi tempi?
La cosa che ha funzionato molto bene è stata proprio il fatto che eravamo tutti molto amalgamati, molto simili, con lo stesso modo di scherzare. Tanti avevano corso in squadra assieme, mentre io con Pellizotti ad esempio non ho mai corso. Però ho scoperto un modo di fare molto vicino al gruppo. Non so se altri si sarebbero integrati allo stesso modo.
Bennati non c’era?
L’ho chiamato, ma ha corso con Kessisoglu. Ho chiamato Nibali e Oss, ma anche loro si erano impegnati con lui e non ci è sembrato bello chiedergli di dare la disdetta all’ultimo. Ho chiamato anche Capecchi e Vanotti, ma erano impegnati. Se fossero arrivati tutti quelli che ho chiamato, sarebbe servito fare almeno due squadre.
I ragazzi sono diventati grandi: nella foto anche i figli di Dall’Antonia e Da DaltoAgostini, Ponzi, Moreno Moser e Mauro Santaromita: i convocati di Marangoni erano in tutto 12I ragazzi sono diventati grandi: nella foto anche i figli di Dall’Antonia e Da DaltoAgostini, Ponzi, Moreno Moser e Mauro Santaromita: i convocati di Marangoni erano in tutto 12
Se davvero l’anno prossimo rimettono insieme la Mapei, poi bisognerà chiamare anche tutti gli ex della Mercatone Uno…
Sarebbe meraviglioso, in effetti. Vediamo come andrà il prossimo anno, pare che prenderà in mano tutto Red Bull o almeno così si dice. Ripensandoci ora, è stata una di quelle cose che è meglio fare quando si presenta l’occasione, perché non sai mai cosa possa succedere in futuro.
Abbiamo ritrovato Agostini, grande speranza del ciclismo italiano. Smise di correre per una pomata, ma covava un malessere di cui ora parla apertamente
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FELTRE – Basta il nome Liquigas e all’appassionato di ciclismo non può non scappare la lacrimuccia. A dare lustro alla 23ª edizione della Castelli 24h, la festa della bicicletta che ogni anno pone il comune bellunese al centro del mondo del pedale, ci ha pensato la squadra che tra il 2006 e il 2014 ha scritto la storia sulla strada tra Grandi Giri e classiche. Un boato ha accolto la presentazione sul palco del team, qualche minuto prima delle 21 di venerdì, per la reunion nata da una suggestione di Giovanni Lombardi.
Li riconoscete? Da sinistra il ds Mariuzzo, Ponzi, Da Dalto, Moser, Sagan, Marangoni, Curtolo, Pellizotti, Oss (foto Castelli 24H)Li riconoscete? Da sinistra il ds Mariuzzio, Ponzi, Da Dalto, Moser e Sagan (foto Castelli 24H)E a seguire, Marangoni, Curtolo, Pellizotti e Daniel Oss (foto Castelli 24H)
Sagan capitano
Alan Marangoni, Alberto Curtolo, Simone Ponzi, Franco Pellizotti, Fabio Sabatini, Moreno Moser, Mauro Da Dalto, Tiziano Dall’Antonia, Stefano Agostini, Ivan Santaromita, insieme al mitico diesse Dario Mariuzzo, presentatosi al ritiro dei chip e del pacco gara con una maglia verde brillante con una scritta inequivocabile sul petto: Sagan. Già perché il tre volte campione del mondo e re di Fiandre e Roubaix non poteva proprio mancare. Anzi, Peter e il suo sorrisone hanno aperto le danze di questa rimpatriata.
«E’ un’occasione speciale- ha raccontato l’asso slovacco – e sono contento di essere qui e di partire per primo. Sono molto emozionato, perché la Liquigas mi ha lanciato nel mondo dei pro’ ed è bello rivedere così tanti vecchi amici».
Al suo fianco, ad abbracciarlo c’è il mitico Mariuzzo che aggiunge: «Bello indossare questa maglia di nuovo con lui come i vecchi tempi e rivivere quelle vittorie e quei momenti magici».
Moreno Moser, coetaneo di Sagan, ha corso con questa squadra nel 2011 e 2012 (foto Castelli 24H)Moreno Moser, coetaneo di Sagan, ha corso con questa squadra nel 2011 e 2012 (foto Castelli 24H)
Marangoni regista
Deus ex machina di questa rimpatriata è stato Marangoni, che ha rimesso insieme i pezzi di storia e spronato il team fino alla bandiera a scacchi come solo lui sa fare.
«Ho avuto l’incarico di formare la squadra – racconta – e li ho chiamati uno per uno, ma il diesse l’ho lasciato fare a Mariuzzo, che tra l’altro è anche il più allenato di tutti quanti. Infatti, mi è toccato pure girare come una trottola, perché mi sono ritrovato in una squadra di gente che non pedala mai e ho fatto più di 100 chilometri».
Tutti ricordano con nostalgia i tempi d’oro, come commenta Da Dalto, “passistone” come lo definisce Marangoni e pedina fondamentale per Sagan: «Ci siamo divertiti tantissimo in quegli anni, credo molto di più di quello che avviene nel ciclismo moderno».
Franco Pellizotti, ds del Team Bahrain Victorious, ha corso con Liquigas dal 2005 al 2010 (foto Castelli 24H)Tiziano Dall’Antonia, Vincenzo Nibali, Alan Marangoni: i tre sono ancora nel ciclismo con ruoli diversi (foto Castelli 24H)Franco Pellizotti, ds del Team Bahrain Victorious, ha corso con Liquigas dal 2005 al 2010 (foto Castelli 24H)Tiziano Dall’Antonia, Vincenzo Nibali, Alan Marangoni: i tre sono ancora nel ciclismo con ruoli diversi (foto Castelli 24H)
I voti di Pellizotti
Pellizotti, oramai calato nel nuovo ruolo in ammiraglia Bahrain Victorius, commenta le prestazioni dei compagni: «Mariuzzo sta andando a tutto gas. Peter si è difeso bene, Moserino anche. Ponzi da rivedere, anche perché è partito senza trasponder, quindi è come se non avesse corso».
Non è stato l’unico inconveniente perché come racconta Marangoni: «Dall’Antonia si è presentato con il cambio scarico e ha dovuto prendere in prestito la bici di Da Dalto. Per fortuna avevamo il nostro Mvp, Mariuzzo, che ha dato spettacolo nonostante non sia più un giovanotto».
Sul palco alla presentazione: da sinistra Sagan, Marangoni, Curtolo, Pellizotti e Oss (foto Castelli 24H)Sagan, la star, e Marangoni: l’uomo dei piani (segreti) ben riusciti (foto Castelli 24H)Qui “Abe” Curtolo, Pellizotti e Daniel Oss (foto Castelli 24H)
Una maglia storica
E proprio il tanto citato diesse stuzzica Pellizzotti che prova a seguire le sue orme: «Ha ancora tanta strada da fare». E Franco incassa con un sorriso: «C’è sempre da imparare, non bisogna mai fermarsi e da uno come Dario non posso che prendere un grande esempio. A parte tutto, è stata una bellissima esperienza, vestendo una maglia che ha fatto la storia del ciclismo degli ultimi vent’anni e tutti sono stati contenti di tornare a indossarla».
Goliardia, ricordi e tante risate: l’esperimento è riuscitissimo e i tanti appassionati che hanno assiepato le strade del circuito cittadino di Feltre hanno applaudito e travolto d’affetto una delle squadre più forti della storia del ciclismo.
Vincenzo Nibali ha corso con la Liquigas dal 2006 al 2012, vincendo la Vuelta e altre 14 corse (foto Castelli 24H)Nibali ha corso con la Liquigas dal 2006 al 2012, vincendo la Vuelta e altre 14 corse (foto Castelli 24H)
Nibali e la sfida 2026
E non è finita qui, perché nel team benefico di C’è Da Fare capitanato da Paolo Kessisoglu c’erano anche Daniel Oss e Vincenzo Nibali, altri due gioielli della scuderia Liquigas. Lo Squalo messinese non ha resistito alla chiamata della storica maglia verde e, su gentile concessione del comico ligure, ha sfrecciato anche coi vecchi compagni.
«Bello questo doppio impegno – ha sorriso – per una buona causa e per ritrovare i compagni di tante vittorie. Questi colori mi hanno lanciato nell’Olimpo del ciclismo ed è stato fantastico ritrovarli qui a Feltre. Velocità buona, anche se la gamba non era delle migliori dopo un Giro d’Italia vissuto in ammiraglia, per cui ho sofferto un pochino. E’ stato un momento conviviale di grande festa, grazie agli sforzi del Comitato organizzatore ed è stato bello celebrarlo tutti insieme. Davvero stupendo ritrovare tanti ex compagni di squadra, direttori sportivi, meccanici: è stato davvero un evento spettacolare, un po’ di fatica c’è, ma soprattutto tanto divertimento».
Si sussurra che per il 2026 Andrea Tafi, questo weekend col team Rudy Project, e anche Paolo Bettini stiano già pensando a una rimpatriata della Mapei: la sfida è già lanciata.
Debutto al Giro, gran lavoro e tanta fatica per Giovanni Aleotti. L'emiliano è uscito bene dalla corsa. rosa. Senza giorni di crisi. Studiando la fatica
FELTRE – Rigide e leggere, scorrevoli e guidabili, le DT Swiss ARC38 sono anche questo. Potrebbero essere il compromesso ottimale per molti, perché non sacrificano la velocità (rispetto ad un profilo da 50 millimetri). Al tempo stesso diventano più gestibili nel lungo periodo, quando il dislivello positivo raggiunge cifre importanti e quando è necessario rilanciare in fretta.
Cerchio da 38 millimetri di altezza e canale interno da 20. Raggiatura differenziata tra anteriore e posteriore, un mix che richiama l’aerodinamica e tanta rigidità laterale. E poi il valore aggiunto dei mozzi Dicut 180 con il meccanismo Rachet EXP (posteriore). 1.300 grammi (la coppia) di puro godimento e fanno parte del segmento Aero Optimizing.
Il test anche durante la Sportful Dolomiti RaceIl test anche durante la Sportful Dolomiti Race
DT Swiss stravolge la ruota bassa
Tempo addietro la ruota bassa era quella più comoda, certamente più leggera, ma utilizzata anche per avere maggiore morbidezza e una guidabilità facilitata della bici. La nuova ARC38 stravolge questo concetto, o meglio, lo evolve e adatta alle richieste e tecnologie attuali. Si tratta di un prodotto da competizione, che sorprende per la rigidità laterale e dotato di quella proverbiale scorrevolezza che è diventato uno dei marchi di fabbrica di DT Swiss.
Nell’era delle bici con i freni a disco e delle ruote ad alto profilo, DT Swiss fa saltare il banco con un profilo che oggi consideriamo ridotto, nato dalla collaborazione con Swiss Side. Le ARC38 sono ruote veloci, che permettono di mantenere facilmente un’andatura elevata e di conseguenza invitano a sfruttare un posizione efficiente in termini di penetrazione dello spazio. Inoltre, se messe a confronto con cerchi più alti, hanno influenze marginali sul controllo dell’avantreno e sulle forze che inevitabilmente si generano sullo sterzo e proprio in fase di sterzata e cornering. Sono facili da guidare.
Jean-Paul Ballard di Swiss Side (foto DT Swiss)Jean-Paul Ballard di Swiss Side (foto DT Swiss)
Lo zampino di Swiss Side
Perché interpellare e coinvolgere i maghi dell’aerodinamica di Swiss Side, quando si argomenta una ruota medio/bassa? Lo abbiamo chiesto direttamente a Jean-Paul Ballard, fondatore e CEO dell’azienda svizzera.
«Un mito da sfatare è che l’aerodinamica sia solo per i ciclisti veloci. Non è vero. Ci sono notevoli risparmi nella resistenza aerodinamica anche a velocità inferiori, in particolare quando si sale in montagna. Pertanto, il nuovo cerchio aerodinamico da 38 millimetri è progettato per ridurre al minimo la resistenza aerodinamica e massimizzare l’effetto vela, in una ruota da montagna dal peso minimo e dal profilo basso».
Il cappuccio della Presta è anche la chiave per smontare la testa della valvolaIl cappuccio della Presta è anche la chiave per smontare la testa della valvola
Il segno rosso dei cuscinetti SINC Ceramic
Il modello in test è posizionato al top del listino ed è il medesimo utilizzato anche in ambito professionistico. Nessuna differenza, stesse soluzioni tecniche. Cerchio full carbon (hooked, non hookless) da 38 millimetri di altezza, 26 di larghezza totale e con un canale interno da 20 che prevede l’applicazione del nastro tubeless. Tutti i raggi sono in acciaio ed incrociati in seconda. Sono di matrice DT Aero Comp con nipples interno al cerchio, mentre quello della ruota posteriore (lato pignoni) sono Aerolite.
L’ingranaggio del mozzo posteriore è l’ultima versione Rachet EXP con 36 punti di ingaggio. Facile in caso di pulizia e manutenzione, affidabile e non prevede alcun bullone di blocco. I cuscinetti sono i SINC con trattamento ceramico. Ogni sfera ha una tolleranza di gioco di pochissimi millesimi di millimetro, fattore che permette un adattamento del cuscinetto una volta inserito nel mozzo.
Il peso rilevato con il nastro tubeless inseritoC’è sempre Swiss SideIl cerchio con hooks laterali e nastro tubeless inseritoMozzi della famiglia 180 DicutIl corpetto ed il sistema Rachet EXPLe abbiamo usate con la trasmissione Sram Red AXSIl peso rilevato con il nastro tubeless inseritoC’è sempre Swiss SideIl cerchio con hooks laterali e nastro tubeless inseritoMozzi della famiglia 180 DicutIl corpetto ed il sistema Rachet EXPLe abbiamo usate con la trasmissione Sram Red AXS
Non solo da salita
A prescindere dal contesto di utilizzo, le DT Swiss da 38 sono ruote in grado di cambiare il carattere di una bicicletta, facilmente sfruttabili anche su una aero-bike. Sono rigide e si sente, ma non sono invasive quando la guida diventa tecnica. La rigidità emerge quando si cambia passo, quando ci si alza in piedi sui pedali per rilanciare la bici e quando la velocità si alza in modo esponenziale (ad esempio percorrendo una discesa alpina). Non parliamo di una rigidità scomoda, dura e prepotente, quella che obbliga a cambiare lo stile di guida e a far si che sia il ciclista ad adattarsi al componente. Nulla di tutto questo.
Davanti si percepisce la ruota “tosta”, che è un binario quando i tornanti o le curve affrontate in velocità obbligano a spostare anche il corpo. Dietro c’è una ruota che spinge, che non si siede quando si indurisce il rapporto, si sposta il corpo per fare forza e inevitabilmente ci si scompone. Certo, contano anche le gomme (le abbiamo usate nella configurazione tubeless) e le pressioni di esercizio, ma il sostegno che arriva dalla raggiatura e dal mozzo si sente.
Zero manutenzione
Anche dopo aver percorso poco meno di 1.000 chilometri, anche in condizioni di pioggia, il mozzo posteriore è esattamente come era in origine. Significa preservare il sistema e la funzionalità, le performance e la longevità. E poi è sufficiente togliere il corpetto della ruota libera con una sola mano. Non ci sono brugole e/o bulloni di tenuta, non ci sono brugole di contrasto per il pre-carico dei cuscinetti.
Facile da rilanciare, di più, rispetto ad una ruota da 50Facile da rilanciare, di più, rispetto ad una ruota da 50
In conclusione
Se è vero che le velocità di punta hanno visto un importante incremento nelle ultime stagioni, così come le medie orarie a tutti i livelli (anche in ambito amatoriale), è pur vero che l’utilizzatore medio fa fatica a sfruttare a pieno le potenzialità di un cerchio da 50 millimetri e oltre. Tenere una media oraria superiore ai 40 chilometri orari, spingersi verso i 45/50 all’ora non è cosa da tutti. Ma è pur vero che i vantaggi che arrivano dal mezzo meccanico moderno, dai suoi componenti e dell’aerodinamica sono sotto gli occhi di tutti e più o meno alla portata di (quasi) tutti.
Quando si esce in bicicletta per allenarsi con metodo e per puro piacere difficilmente si affronta una sola tipologia di strada. C’è la pianura, il vento, i mangia e bevi, ovviamente la salita lunga o corta che sia. Se un profilo da 38 diventasse la soluzione ottimale? Non scriviamo di un compromesso, ma di un pacchetto di ruote che è realmente sfruttabile ovunque, a tutti i livelli e in tutte le zone di potenza. 2500 euro sono molti (versione Dicut 1100 in test), ma è bene considerare che una ARC38 potrebbe essere la ruota totale.
C’è un territorio nel cuore del bellunese che non è alta montagna né collina. Non è mare (chiaramente!) e neanche Lago. Ma per chi ama scoprire luoghi e segreti in bici è un vero paradiso: è la Valbelluna.
E noi, con il Gal Prealpi e Dolomiti ci siamo goduti una tre giorni di divertimento, di mangiate e di bevute, di salite e stradine, di cultura e natura.
Fontane lungo le vie per rinfrescarsi… non mancano mai
Il GAL Valbelluna nel suo sviluppo per “Progetti Chiave” individua proprio la “mezza montagna”, territorio affascinante per il cicloturista
Un po’ di relax all’ombra di un albero secolare
Molti dei prodotti sono a chilometro zero e genuini (foto M. Terruzzi)
Fontane lungo le vie per rinfrescarsi… non mancano mai
Il GAL Valbelluna nel suo sviluppo per “Progetti Chiave” individua proprio la “mezza montagna”, territorio affascinante per il cicloturista
Un po’ di relax all’ombra di un albero secolare
Molti dei prodotti sono a chilometro zero e genuini (foto M. Terruzzi)
Natura, ma non solo
Ma prima di partire, cerchiamo di individuare bene la zona a cui ci riferiamo. Siamo in provincia di Belluno, nella porzione più bassa, quella tra la pianura e le prime alte cime dolomitiche. La bellissima Feltre è il fulcro della nostra piccola avventura.
Verso sud le montagne, le Prealpi, che separano appunto la Conca Feltrina dalla “Bassa” e verso Nord le prime vere guglie dolomitiche, che tra l’altro sono anche la porta del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi.
La cosa che più ci ha colpito è la varietà di paesaggi. Ci siamo intrufolati, termine non casuale, dappertutto. In musei e monasteri. In stradine di campagna vecchio stile e strade di maggior collegamento. Abbiamo lambito cascate nel bosco, attraversato ampie radure e costeggiato laghi.
Lasciate le stradine di campagna capita di attraversare borghi così (foto M. Terruzzi)
Non sarà alta montagna, ma a volte le pendenze mordono (foto M. Terruzzi)
Le radure a mezza costa? Dei veri balconi naturali
Il traffico è davvero scarso
Lasciate le stradine di campagna capita di attraversare borghi così (foto M. Terruzzi)
Non sarà alta montagna, ma a volte le pendenze mordono (foto M. Terruzzi)
Le radure a mezza costa? Dei veri balconi naturali
Il traffico è davvero scarso
Le stradine a mezza costa
Le stradine a mezza costa sono state la chiave di volta dei nostri anelli quotidiani. Queste sono le vie meno trafficate e più panoramiche al tempo stesso. Si viaggia in quella “terra di mezzo” forse più dimenticata. Non si è in montagna, ma neanche in basso. Il GAL individua nei suoi progetti di sviluppo rurale questa fascia come “Mezza Montagna” non a caso. E’ come un mondo a parte.
E’ il paradiso del cicloturista, quello slow, quello che vuol godersi ogni metro.
Una di queste stradine è la vecchia Via Claudia Augusta. Una strada romana risalente addirittura al 15 a.C.. A proposito di romani, sapevate che esiste una Feltre sotterranea in cui si può fare un vero salto nel passato? Si trova appena al di sotto delle mura e dove scorre anche l’anello della mitica Castelli 24 Ore di Feltre. Percorrere le passerelle è come fare un tuffo nel passato e ritrovarsi in un antico mercato o in una questura romana.
Ma torniamo in sella. La Via Claudia Augusta l’abbiamo incrociata in alcuni punti, ma oggi è davvero un percorso simbolo. Questa arriva fino in Germania e nel feltrino passa per Lamon, Sovramonte e continua fino al Passo Croce d’Aune (a Nord) e taglia la valle proseguendo fino al passo di Praderadego (a Sud) nelle Prealpi che separano Feltre dalla pianura.
Il Croce d’Aune
E a proposito di Croce d’Aune. Qui si è scritto un gran pezzo di storia del ciclismo. In cima infatti c’è il monumento a Tullio Campagnolo, l’inventore del cambio. Su questa salita, oltre a transitare ogni giugno la Granfondo Sportful Dolomiti Race, è passato anche il Giro 2019. E sempre in queste zone, poco più ad est del Passo c’è un museo che assolutamente merita di essere visitato. E’ il Museo della Bicicletta “Toni Bevilacqua”, a Cesiomaggiore.
Le stampe del Corriere della Sera al museo della bici di Cesiomaggiore. Qui Bartali che appende la bici al chiodo
Centinaia di bici. Alcune sono dei primi ‘800
Uno dei primi cambi (a bacchetta) di Campagnolo
Le stampe del Corriere della Sera al museo della bici di Cesiomaggiore. Qui Bartali che appende la bici al chiodo
Centinaia di bici. Alcune sono dei primi ‘800
Uno dei primi cambi (a bacchetta) di Campagnolo
Museo della bicicletta
Come dicevamo il Museo della Bici non può mancare nell’elenco delle cose da fare di un cicloturista che viene alla scoperta della Valbelluna.
Tre piani di ogni tipologia di bici: da quelle dei campionissimi in carbonio a quelle dei bersaglieri, da quelle degli anni ’70 che hanno vinto i Giri e le classiche a quelle dei mestieranti della Bassa. Ci sono persino le bici dei bambini di fine ‘800.
A prescindere dal poter ammirare oggetti unici, è come fare un viaggio nel tempo. E ulteriore testimonianza di questo viaggio sono le stampe del Corriere della Sera appese alle pareti. Anche queste sono dei veri pezzi da collezione.
Gravel o strada
Dicevamo le stradine. La bellezza di poter girare in bici, specie se si possiede una gravel bike è quella di passare dall’asfalto ad un prato verdissimo senza accorgersene. Oltrepassare un parco cittadino e ritrovarsi nel centro di un vecchio borgo con i ciottoli a terra. Come abbiamo detto in precedenza: questo è immergersi nel territorio.
Anche una bici da strada con delle gomme maggiorate va bene, ma certo la gravel è tutt’altra storia. O in alternativa delle Mtb, magari elettroassistite come le nostre per viaggiare in “poltrona”.
Le immense cisterne di rame della Birreria Pedavena
Polenta e baccalà al nero di seppia…
E l’accoglienza? Calorosa e di qualità (foto M. Terruzzi)
L’interno delle Botti di Pian Longhi, Nevegal… con Turisticadolomiti.it
Le immense cisterne di rame della Birreria Pedavena
Polenta e baccalà al nero di seppia…
E l’accoglienza? Calorosa e di qualità (foto M. Terruzzi)
L’interno delle Botti di Pian Longhi, Nevegal… con Turisticadolomiti.it
Cibi e tradizione
Da Nord a Sud non c’è uno spicchio d’Italia che non offra le sue bontà. E la Valbelluna non è da meno. Quel che stupisce è che al “confine” con le Dolomiti uno dei piatti forti sia la polenta con il baccalà (tipica del vicino vicentino) o con le trote.
A cena, in una delle locande che ci ha ospitato ce l’hanno proposta. All’inizio eravamo scettici, ma poi bisogna lasciarsi andare e fidarsi di chi fa della passione il proprio mestiere. Così come quando ci hanno detto che si poteva dormire in delle botti. Esperienza da provare sul Nevegal, al Pian Longhi, con una vista panoramica, avvolti dal calore del legno.
E poi i formaggi di malga, legati ad una tradizione certamente più radicata, la polenta che accompagna quasi ogni piatto, i ricchi taglieri di salumi. E poi la birra…
Quella della Birreria Pedavena è un pezzo di storia della Valbelluna e non solo. Si potrebbe dire dell’industria italiana, sempre all’avanguardia. L’azienda, nata nel 1896, ha attraversato periodi di enorme difficoltà, ma alla fine ha resistito sempre e chiunque passi di qua non può esimersi dal fare una sosta (magari anche per pranzo e cena). E’ ritenuta la birreria più grande d’Italia.
Il chiostro del Santuario di San Vittore
Il museo Diocesano nel cuore di Feltre (foto Visit Feltre)
Il Castello di Zumelle…
Uno scorcio di medioevo
E un boccale di birra per concludere da “cavalieri a pedali” (foto M. Terruzzi)
Il chiostro del Santuario di San Vittore
Il museo Diocesano nel cuore di Feltre (foto Visit Feltre)
Il Castello di Zumelle…
Uno scorcio di medioevo
E un boccale di birra per concludere da “cavalieri a pedali” (foto M. Terruzzi)
Tesori nascosti
Per un cicloturista l’elemento predominante è senza dubbio il paesaggio. L’andare in bici e inanellare scorci. Il solo fatto di pedalare e vedere costituisce di per sé un valore, una meta, per il viaggiatore. Ma poi ci sono le “gemme” che puntellano tutto e danno spessore al viaggio e alla sete di conoscenza del viaggiatore, in questo caso del cicloturista.
La Valbelluna in tal senso è un vero scrigno di tesori. Sono tutti racchiusi nel sistema “To.Te.M” (torri, teatro e museo) di Feltre. Tra questi spicca senza dubbio il Museo Diocesano con opere persino del Tintoretto. C’è il curiosissimo museo dedicato ai bicchieri. Mentre a circa 17 chilometri ad Est di Feltre sorge il Castello di Zumelle, con i suoi merletti e il suo stile medioevale… per fare un tuffo nel passato!
E poi ci sono castelli e monasteri. Il Santuario di San Vittore, per esempio, ha aperto la nostra avventura in Valbelluna. Questo Convento, oggi senza frati né monache, è una vera guardia di Feltre. Sorge sullo sperone del monte Miesna ed è un vero balcone sulla cittadina bellunese. In basso domina la “stretta” valle dove s’infila il Piave e va verso la Pianura Padana. Fondato intorno al 1.100, la sua lunga storia è strettamente legata a Venezia. La Chiesa è stata eretta con gli “scarti” della Serenissima e infatti si trovano capitelli, colonne e altri elementi architettonici di più stili.