Paraciclismo e polemiche: a Di Somma la risposta di Podestà

22.09.2024
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Dalle otto medaglie ai Giochi di Parigi all’argento della staffetta di Mazzone, Mestroni e Cortini che ieri ha aperto la rassegna iridata di Zurigo (in apertura, foto FCI). Il paraciclismo azzurro non si ferma e su bici.PRO continuiamo a raccontarvi le medaglie, ma anche quello che ci sta dietro. Il bilancio paralimpico della nuova gestione targata Pierpaolo Addesi-Silvano Perusini ha provocato nelle scorse settimane la reazione di chi ha tessuto le fila azzurre fino ai precedenti Giochi di Tokyo. 

Le parole di Di Somma però hanno sollevato un vespaio, chiamando allo scoperto sui social diversi atleti paralimpici che le hanno ritenute inaccettabili. Per approfondire l’argomento abbiamo chiesto il parere di uno dei pionieri dell’handbike in Italia come Vittorio Podestà. Il ligure, 51 anni, è stato il primo campione iridato azzurro nella disciplina (Bordeaux 2007) e si è ritirato poco prima di Tokyo in seguito all’incidente di Alex Zanardi. Essendo stato uno degli atleti di punta della precedente gestione, Podestà ha voluto chiarire alcuni punti. Nella lunga chiacchierata con noi, ci ha spiegato anche ciò che secondo lui non funziona nel panorama internazionale.

Podestà ha deciso di ritirarsi dopo che l’incidente che impedì a Zanardi di partecipare a Tokyo (foto CIP/Ujetto)
Podestà ha deciso di ritirarsi dopo che l’incidente che impedì a Zanardi di partecipare a Tokyo (foto CIP/Ujetto)
Vittorio, che cosa ti ha colpito di Parigi?

Parto da quello che non mi è piaciuto. C’è un grande problema internazionale che vedo nell’handbike, ma anche paraciclismo ed è legato alle classificazioni. In vista dei Giochi casalinghi, l’asso francese Mathieu Bosredon è stato riclassificato: era già vicecampione mondiale H4 e l’hanno spostato negli H3, magicamente, dopo tanti anni, senza particolare motivi clinici. Ha demolito la categoria, lo si è visto nella gara in linea in cui ha forato, è rientrato e ha pure aiutato il compagno di squadra nella lotta per la medaglia d’argento. Noi azzurri che avevamo una corazzata negli H3 ci siamo trovati ad accontentarci di un bronzo con Mirko Testa.

E non è l’unico caso, viste le perplessità sollevate, ad esempio, in campo femminile da Francesca Porcellato.

Le classificazioni stanno diventando purtroppo una sorta di doping nascosto nel mondo paralimpico. Con il successo delle ultime edizioni, come in tante altre discipline, ci sono sempre più riflettori puntati. Non voglio fare troppe insinuazioni, ma tante classificazioni sono sospette e gli avversari non sono contenti. C’è stata anche una protesta molto accesa di alcuni atleti alla tappa di Coppa del mondo di Maniago, ma non è stata presa in considerazione, anzi è arrivata una forte condanna dall’Uci. Ci vorrebbe una maggior tutela degli atleti. Diciamo che non ho guardato con grande piacere Parigi sapendo di vittorie già scritte in maniera palese, perché lo sport che mi piace è quello equilibrato, con grandi battaglie sul filo dei secondi.

Che cosa ci dici, invece, delle dichiarazioni della precedente gestione che hai commentato anche a mezzo social?

Tanti atleti, tra cui il sottoscritto, hanno contribuito a far cadere la vecchia gestione, perché erano stufi della gestione dell’ex CT Mario Valentini. Si andava da gravi problemi logistici, passando per problemi di rispetto per gli atleti, in particolare per le categorie che hanno più difficoltà causa tetraplegia.

Fra i ricordi più belli di Podestà, l’oro di Rio nella staffetta con Zanardi e Mazzone (foto CIP/Ujetto)
Fra i ricordi più belli di Podestà, l’oro di Rio nella staffetta con Zanardi e Mazzone (foto CIP/Ujetto)
A cosa ti riferisci in particolare?

A tanti aspetti, che possono sembrare piccolezze, ma che fanno la differenza ad alto livello e che l’attuale staff ha messo in conto. Non può esistere che un atleta si trova a fare un raduno o durante gare cruciali come Coppe del mondo e mondiali in hotel con il bagno troppo stretto o il wc e la doccia difficilmente accessibili. Nessuno curava questi dettagli che per noi erano cruciali. Gli atleti per poter dare il massimo e concentrarsi sulle gare non possono disperdere energie mentali per certe barriere architettoniche. Non è possibile che avessi una logistica migliore quando mi spostavo con la mia società rispetto a quella con la nazionale.

E su Tokyo cosa vuoi aggiungere?

E’ stato il caso emblematico. Il Villaggio Olimpico della capitale era troppo lontano dal circuito ai piedi del Monte Fuji (la scelta di dove collocare il Villaggio ovviamente non compete alle federazioni nazionali o ai loro tecnici, ndr). Io non ero presente, ma i ragazzi che c’erano in Giappone, mi hanno riportato di disagi esagerati che si sono ripercossi sulla qualità dei risultati. Eravamo tra le poche nazionali che non hanno provato il percorso, mentre altre squadre ci sono andate mesi prima. L’unico dei nostri che ci era stato era Zanardi ad inizio 2020. Alex sapeva che non ci avrebbero portato e addirittura nessuno sarebbe andato a verificare la logistica e il percorso di gara. Mi dispiace aver letto certe cose da parte di Di Somma perché era il tecnico migliore dello staff di Valentini. Però risultava praticamente ininfluente perché si limitava ad eseguire gli ordini. E sulla logistica non ha mai preso in considerazione le numerose lamentele che io, come portavoce degli atleti, ho sempre rimarcato fin dai primi anni in cui ho fatto parte della nazionale

Dunque, dietro le medaglie di Londra e Rio che cosa c’era?

Degli atleti fortissimi e superprofessionali con una gestione a mio avviso inadeguata, soprattutto sotto gli aspetti tecnici. Come ho già detto, credo che molti di noi avrebbero potuto raccogliere ancora di più. A Londra 2012 eravamo in 16 tra maschi e femmine e a disposizione c’era un solo meccanico per tutti quanti. A volte, sia io che Alex ci prestavamo ad aiutare i nostri compagni handbiker per risolvere i problemi meccanici. Spiace dirlo, ma il merito dei successi nel paraciclismo è stato principalmente degli atleti e dei loro tecnici personali. Durante l’anno di preparazione erano loro che ci facevano arrivare al massimo della forma per i momenti importanti. Invece negli ultimi 15-20 giorni di ritiro con la nazionale a volte qualcuno rischiava di vanificare tutto con l’eccesso di lavoro che i tecnici richiedevano così a ridosso degli appuntamenti. Come dicevo prima, mi dispiace per Fabrizio (Di Somma, ndr), perché lui in realtà era l’unico che sarebbe potuto essere di aiuto ad Addesi nel dopo Valentini. Ma non ha avuto il coraggio di “tagliare il cordone ombelicale”.

Il bronzo di Martino Pini a Parigi, cui secondo Podestà poteva aggiungersi un podio anche nella prova in linea (foto CIP/Pagliaricci)
Il bronzo di Pini a Parigi, cui secondo Podestà poteva aggiungersi un podio anche nella prova in linea (foto CIP/Pagliaricci)
Come valuti il risultato di Parigi 2024?

Secondo me le otto medaglie sono un bottino più che decoroso. Siamo tornati sul podio nella specialità della pista che sarebbe dovuta essere il “pezzo forte” di Valentini per la sua grande esperienza e che invece dopo Pechino 2008 è stata abbandonata. Negli H3, potevamo avere un paio di medaglie in più e più prestigiose. Mettiamoci anche la sfortuna con Martino Pini che è stato fatto cadere da un altro atleta e ha dovuto inseguire per tutta la gara, altrimenti era da podio nella prova in linea. Oppure ancora il tandem Andreoli-Totò, che senza i problemi meccanici era in piena lotta per le medaglie all’esordio assoluto. Il livello internazionale si è alzato moltissimo e purtroppo il paraciclismo paga lo scotto di avere poco peso nel Comitato Paralimpico Internazionale. Riceve pochi slot in rapporto al numero di categorie e le varie nazionali sono costrette a lasciare a casa molti atleti competitivi, impoverendo lo spettacolo e l’equilibrio tecnico delle gare. Si dovrebbero aumentare il numero di atleti partecipanti e di medaglie in palio che invece attualmente sono condivise tra alcune categorie (soprattutto nelle gare in linea, ndr).

E il futuro azzurro, come lo vedi?

Secondo me la nazionale di paraciclismo e handbike è in buone mani. Le sette medaglie ottenute su strada, lo stesso numero di Tokyo, a mio avviso hanno un valore maggiore. Si è lavorato per il ricambio, a differenza di quanto sostengono i precedenti tecnici. In più Addesi di fatto ha ottenuto questo bottino in appena un anno e mezzo di gestione, perché all’inizio del triennio non aveva poteri decisionali ed era solo in affiancamento a Rino De Candido che non mi è parso adatto all’incarico in queste categorie. L’augurio è che il potenziale non venga più sperperato come in passato e Addesi possa lavorare con più serenità e con un orizzonte più ampio. Sono fiducioso.

A Parigi il bronzo di Mirko Testa nella prova su strada (foto CIP/Pagliaricci)
A Parigi il bronzo di Mirko Testa nella prova su strada (foto CIP/Pagliaricci)
Che ne pensi dei mondiali di Zurigo?

E’ la prima volta per il paraciclismo che ci sono i mondiali dopo i Giochi Paralimpici e quindi vedremo chi sarà appagato e chi vorrà invece rifarsi di qualche risultato deludente. In più, è la seconda volta che i mondiali sono aperti a tutti, disabili e normodotati insieme, come a Glasgow 2023. E’ una bella cosa andare verso l’integrazione totale. Certo, ciò ha come aspetto negativo che l’organizzazione di un così grande evento aperto ad atleti con prestazioni così diverse sia portata a scegliere percorsi non completamente a fuoco per alcune categorie. Nei campionati del mondo esclusivamente per il paraciclismo non accade. Però sono dettagli che col tempo sono sicuro che verranno migliorati e da appassionato sono felice di questa unione delle manifestazioni.

Paralimpiadi, parla Di Somma col dente avvelenato

16.09.2024
6 min
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E’ stata una Paralimpiade atipica per Fabrizio Di Somma. Dopo i trascorsi da protagonista con due medaglie (1 argento e 2 bronzi) a Sydney 2000 come guida di Silvana Valente, due titoli iridati e svariati podi di Coppa del mondo, seguiti da dodici anni da tecnico (dal 2010 al 2021) del paraciclismo azzurro, questa volta ha seguito la rassegna di Parigi 2024 da spettatore.

Non gli manca però la voglia di dire la sua su quello che ha visto da osservatore esterno dopo che ha dovuto lasciare l’incarico al termine dell’avventura di Tokyo. Pare che alla base ci sia stata anche una lettera scritta dagli atleti alla Federazione, che ha poi contribuito al cambio al timone della nazionale paralimpica italiana, affidata a Pierpaolo Addesi e Silvano Perusini.

Di Somma ha vissuto per 12 anni la nazionale paralimpica accanti a Valentini. Qui con Alex Zanardi (foto FCI)
Di Somma ha vissuto per 12 anni la nazionale paralimpica accanti a Valentini. Qui con Alex Zanardi (foto FCI)
Fabrizio, come hai seguito ai Giochi?

In parte alla tv. Non sono riuscito a seguire proprio tutte le gare, ma ho studiato a fondo i risultati finali, conoscendo tutti gli interpreti. Però diverse cose non mi sono piaciute, come ad esempio la scelta di far arrivare le gare olimpiche nel cuore di Parigi e quelle paralimpiche nei sobborghi, con pochissimo pubblico.

Altre cose che hanno colpito il tecnico Di Somma?

Ho visto che sono usciti molti commenti riguardo alle classificazioni. Fermo restando che nel paraciclismo non verrà raggiunta mai la perfezione, bisogna rendersi conto che non si può più aumentare il numero delle gare perché diminuirebbe l’interesse del pubblico. Ma non è solo questo…

A cosa ti riferisci?

Con l’aumento del numero degli atleti rispetto alle edizioni passate, c’è stata una rivoluzione soprattutto dal basso. Rispetto a Coppe del mondo e mondiali però si è scelto di privilegiare le Nazioni piccole, dando slot a Paesi in via di sviluppo. Così sono state eliminate le possibilità di inserimento per tutti i cosiddetti outsider delle grandi Nazioni, ovvero gli atleti che durante la stagione oscillavano tra il 5° e l’8° posto nelle gare internazionali. In questo modo, le Nazioni forti hanno portato soltanto atleti da podio, lasciando a casa coloro che potevano almeno insidiare le posizioni da medaglie. Mancando gli atleti di mezzo, molte gare avevano un andamento prevedibile e risultavano meno appetibili di quelle di Coppa del mondo. Secondo me, c’è stato meno spettacolo rispetto a Rio 2016 e Tokyo 2020 e l’Ipc dovrebbe fare qualcosa per invertire la rotta. 

Mirko Testa è stato campione del mondo 2023 nella categoria H3, a Parigi ha conquistato il bronzo (foto FCI)
Mirko Testa è stato campione del mondo 2023 nella categoria H3, a Parigi ha conquistato il bronzo (foto FCI)
Sulla nazionale azzurra, che ha eguagliato il bottino su strada di Tokyo e aggiunto un bronzo in pista, cosa ti senti di aggiungere?

Quello che mi è saltato agli occhi della spedizione italiana è che le medaglie sono state prese tutte da atleti che facevano già parte della nazionale con lo staff precedente o comunque erano nell’orbita. Già dal primo raduno post Covid, ad esempio, avevamo messo gli occhi su Mirko Testa, che si era messo in luce nelle gare del Giro d’Italia in handbike, ma non aveva fatto in tempo ad entrare per Tokyo. Come Martini Pini, che addirittura fece il mondiale pre-paralimpico del 2021.

Però la coppia Bernard-Plebani è stata un’intuizione del nuovo staff…

Lorenzo l’abbiamo contattato noi per primi, il 21 settembre 2021, chiedete anche a lui per conferma. Aveva fatto una prova sui rulli e poi un’uscita con Riccardo Panizza, al quale aveva assistito anche Fabio Triboli. In pratica, avevamo scovato pure lui, mentre ovviamente non potevamo pensare a Plebani perché fino al 2021 faceva ancora attività tra i normodotati. Quindi fino al 2022 non avrebbe potuto avvicinarsi al settore paralimpico.

Insomma, contesti la paternità delle medaglie?

Rispetto alle dichiarazioni rilasciate al vostro sito e ad altri media, voglio sottolineare che non si tratta di nessuna medaglia proveniente da nuovi interpreti. Tutti gli atleti erano già monitorati, appunto con l’unica eccezione di Bernard, che però appena due settimane dopo i Giochi di Tokyo, stavamo già cominciando a seguire. Mi sarei aspettato dalla nuova gestione un ringraziamento a chi aveva gettato le basi negli anni precedenti.

Bernard (a sinistra) guidato da Plebani ha colto il bronzo nell’inseguimento: Di Somma ricorda di averlo testato per primo nel ciclismo (foto FCI)
Bernard (a sinistra) guidato da Plebani ha colto il bronzo nell’inseguimento: Di Somma ricorda di averlo testato per primo nel ciclismo (foto FCI)
Di che cosa ti occupi ora?

Sto traghettando una piccola squadra under 23 abruzzese, la Asd Avezzano. Abbiamo un accordo fino a fine stagione, faccio un po’ di attività con loro come direttore sportivo e sono felice di essere tornato in ammiraglia

Ti manca il settore paralimpico?

Molto, ho fatto 5 Paralimpiadi e vorrei farne ancora in futuro. Ma tante cose dette negli ultimi mesi mi hanno dato fastidio, soprattutto certe dichiarazioni. Non mi aspettavo che si tirasse in ballo persino la vittoria del team relay a Tokyo.

Che cosa ti ha infastidito?

Sentir dire che in Giappone è stato un oro fortuito, riferendosi penso alla caduta del francese. Forse bisognerebbe ricordare che dall’argento di Londra 2012 a Brands Hatch, l’Italia ha perso pochissime gare di team relay tra tutte le competizioni mondiali e di Coppa del mondo. Al contrario abbiamo vinto i Giochi sia a Rio 2016 sia a Tokyo 2020. Invece, di fatto, dopo il Giappone, il trend è decisamente cambiato e a Parigi l’Italia ha vinto l’argento in una gara con appena 5 squadre, di cui due erano Brasile e Thailandia, che hanno sempre viaggiato a diversi minuti da noi. Mi aggancio a questo per segnalare che per portare Mestroni, impiegato in questa prova, hanno lasciato a casa Andrea Tarlao. Quest’ultimo avrebbe potuto gareggiare nell’inseguimento su pista e nella cronometro, dove la concorrenza era sì molto forte, ma poi andare a caccia di una medaglia nella prova in linea su strada, in cui è già stato campione del mondo. In virtù di questa situazione, sarebbe stato giusto prediligere un’altra nostra icona del movimento che stava per dare l’addio. 

Porcellato 2022
Porcellato, classe 1970, fra sci e ciclismo ha conquistato 2 ori, 3 argenti e 6 bronzi paralimpici. Per Di Somma, meritava Parigi (foto Coni)
Porcellato 2022
Porcellato, classe 1970, fra sci e ciclismo ha conquistato 2 ori, 3 argenti e 6 bronzi paralimpici. Per Di Somma, meritava Parigi (foto Coni)
Ti riferisci a Francesca Porcellato?

Proprio lei. In una gara dove il secondo posto, o comunque il podio erano quasi assicurati, lasciarla fuori dal team relay e negarle l’ultima medaglia di una carriera stellare dopo quella sfumata a livello individuale in una situazione molto svantaggiosa (classi accorpate tra H1 e H4; ndr) non è stato un bel gesto. Francesca meritava quella possibilità. Aggiungo ancora una cosa: non è giusto che una Federazione scelga dei tecnici che devono ancora accumulare esperienza paralimpica e lo debbano fare sulle spalle dei corridori della nazionale. Ho sentito parlare di problemi coi criteri di selezione che menzionava Perusini, ma quelli sono sempre stabiliti dall’Ipc all’inizio del quadriennio e mai cambiati. Nel nostro gruppo di lavoro con a capo Valentini, io e agli altri collaboratori ci occupavamo di questo nello specifico. E sapevamo già all’inizio del quadriennio, purtroppo, chi non avrebbe potuto fare i Giochi, pure vincendo medaglie ai mondiali.