Colnago, festa al Dots di Milano: 70 anni portati alla grande

21.11.2024
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MILANO – L’appuntamento è al Dots, che significa puntini e stasera qui a Milano i puntini sono gli occhi sgranati degli invitati davanti alle ultime bellezze di Colnago. Si festeggiano i 70 anni dell’azienda di Cambiago, ricordati con foto, schede tecniche, la C35 e la nuovissima Steelnovo esposta all’ingresso della sala. In mezzo, fra il brusio di un chiacchierare spensierato e composto, riconosciamo alcuni dei nomi più belli e importanti del ciclismo.

Corridori e imprenditori, manager e giornalisti. C’è tutto il mondo che vuole bene a Colnago e che si è sobbarcato centinaia di chilometri per esserci. Al punto che quando nella sala entra Ernesto, 92 anni portati ottimamente, è come se fosse arrivato il Papa. Abbracci. Strette di mano. E una foto dietro l’altra con il simbolo di un Made in Italy che non si dimentica e non è possibile superare. Al punto che l’ultima nata è una bici in acciaio. Perché il carbonio è performante e veloce, ma forse le vecchie leghe hanno più cuore.

«E’ una grande soddisfazione – dice Nicola Rosin, amministratore delegato – per un brand che ha una storia molto importante, seconda a nessuno, che però adesso è un’azienda proiettata nel futuro con degli oggetti meravigliosi che oggi sono qui in esposizione. Dal punto di vista dell’azienda siamo diventati manageriali come serve, dal punto di vista del prodotto abbiamo lavorato molto sulla desiderabilità ed è un motivo d’orgoglio, perché effettivamente è un valore che oggi ci viene riconosciuto dal nostro pubblico. Siamo molto emozionati.

«Fare oggi una bici in acciaio è anche un momento di rottura. Perché grazie alle vittorie dei campioni, si parla di Colnago in tema di performance, di carbonio e leggerezza. Invece l’acciaio è un materiale straordinario che ci permette di proprio raccontare anche la storia dell’azienda».

La Colnago di Tafi

In fondo alla sala dei modelli indossano la nuova linea di abbigliamento e posano su rialzi identici a quelli riservati alle biciclette. I calici di prosecco iniziano a girare, accompagnati da piccole suggestioni super gustose. Gli invitati si ritrovano in capannelli in cui si racconta di tutto. Andrea Tafi è qui con la moglie Gloria, brindano e lei fa foto in giro. Il toscano su bici Colnago ha centrato le vittorie più belle della sua carriera e non dimentica di ricordarlo.

«La Colnago – sorride – è stata il mio primo grande ciclistico. Mi ha permesso di centrare i miei traguardi più belli e di consacrarmi nell’Olimpo dei campioni. Devo tanto a Ernesto e alla Colnago, che rimarrà sempre nel mio cuore. Penso alla C40, importantissima per la mia carriera. Con la C40 abbiamo vinto tutti, grazie all’inventiva di Ernesto che ha messo su una bicicletta veramente eccezionale. Sbaragliando, come diceva lui, tutti gli altri e andando a vincere sui traguardi più prestigiosi. Davvero, una Colnago è per sempre».

La Colnago di Saronni

Beppe Saronni è stato per anni sinonimo di Colnago. Su queste bici ha vinto e il suo rapporto con il fondatore dell’azienda è stato più volte paragonato a quello di un figlio con suo padre. Ha iniziato vincendo sull’acciaio, ha finito col carbonio, in una storia di vittorie e sfide memorabili. I Giri. Il mondiale. La Sanremo. Il Lombardia. I tricolori. Beppe non ha avuto altre bici all’infuori di queste.

«Io ho avuto la fortuna di avere sempre usato una bici Colnago – sorride – a parte quando da ragazzino comprai la prima usata, che era di una marca sconosciuta. Ho avuto anche la fortuna di vivere il processo di innovazione e lo sviluppo dell’azienda. Ho corso con i telai in acciaio, ma nonostante fossero uguali per tutti, i Master di Ernesto Colnago avevano qualcosa in più.

«Poi sono arrivati l’alluminio e soprattutto il carbonio. Anche lì Ernesto è stato uno dei primi a crederci. Ho vinta la mia ultima corsa, Il Giro di Reggio Calabria nel chilometro più bello d’Italia, con una C35. Una monoscocca in carbonio.

«Ogni tanto ci sentiamo – chiude Saronni – e come al solito sono più le novità che ti dà lui su quelle che gli do io. Lui è così. E io credo che Ernesto sarà sempre il personaggio più importante della Colnago, nonostante ora ci siano dei personaggi e delle persone capaci e qualificate che stanno portando avanti bene il marchio. Non trovo strano che sia cambiata la conduzione dell’azienda, però quel tipo di storia l’ha fatta lui e io credo che tutti dobbiamo dirgli grazie e anche bravo».

Le Colnago del Ghisallo

Antonio Molteni ci racconta le meraviglie del Museo del Ghisallo. C’è passione in ogni sua parola e ci sarebbe da dirgli grazie per la passione con cui tiene viva la sua creatura. Lassù nei giorni scorsi è salita una troupe che ha girato immagini con la nuova bici Colnago e lui ce le mostra nel cellulare, proprio mentre passa a salutarlo Giancarlo Brocci, l’ideatore de L’Eroica. All’angolo c’è anche Cassani, tirato come al solito.

Gianetti e Saronni, il presente e le origini della UAE Emirates
Gianetti e Saronni, il presente e le origini della UAE Emirates

La Colnago di Cassani

«Da ragazzino – ricorda Cassani – mi comprai una Colnago Messico, solo per averla lì. E sempre a causa di una Colnago, ebbi una disputa piuttosto accesa con Giancarlo Ferretti. Successe che nella Sanremo del 1993, quella vinta da Fondriest, noi avevamo ancora i telai Master in acciaio, mentre Maurizio che correva con la Lampre vinse usando la Carbitubo, arrivata da poco.

«Quando arrivai in albergo, vidi Ferretti e gli dissi: “Vedi Ferron, ci chiedi di farci un mazzo così e di essere magri, e poi ci dai una bicicletta che è due chili in più di quella che ha vinto?”. Ferretti se la prese, era furibondo. Disse che sapevamo solo lamentarci, però dopo venti giorni anche a noi arrivò la Carbitubo. Era fantastica, sentivi la differenza».

Il genio dell’Ernesto

Si potrebbe andare avanti per tutta la notte, perché qua chiunque ha un ricordo legato ai primi 70 anni della Colnago. Gli occhi continuano a scrutare fra le mille facce presenti e ne riconoscono ogni volta una diversa. C’è pure Paolo Bellino e verrebbe da chiedergli cosa ne sarà del Giro d’Italia, ma questa è la festa della Colnago e allora prima di andare via, preferiamo dare un altro abbraccio a Ernesto.

«Gli anni passano», dice con un filo di voce nell’orecchio. E poi è tutto uno stare in fila per farsi con lui la foto. In mezzo allo scintillare del nuovo corso, ricordare quando Ernesto regalò una bici a Torriani immergendo il telaio nell’oro o quando fece un accordo con la Ferrari perché gli azzurri potessero volare nella 100 Chilometri alle Olimpiadi di Barcellona, fa tornare ad anni ancora caldi sotto la cenere. Adesso però si va a casa: è stata davvero la degna festa per una sì grande storia. Esserci era un atto dovuto.

La pubblicità ai tempi delle riviste e delle fiere

15.11.2022
6 min
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Il mondo del ciclismo dal duemila a oggi ha conosciuto un cambiamento davvero notevole che ha interessato non solo atleti e team, ma anche le aziende, che erano parte attiva di questo mondo e lo sono tuttora con i loro prodotti: biciclette, componentistica e accessori. Per loro ogni giorno rappresenta una sfida continua per restare al passo con la concorrenza. In tutto ciò assume un ruolo strategico la capacità di saper comunicare nel migliore dei modi le proprie novità di prodotto, attraverso messaggi in grado di raggiungere in maniera efficace e rapida la clientela. La pubblicità, ma non soltanto quella.

Se un tempo la comunicazione si riduceva ad una pagina pubblicitaria ripetuta per qualche mese sui magazine di settore, oggi tutto è cambiato grazie o per colpa – dipende da come la si voglia vedere – dell’avvento di internet e dei social.

Alberto Giacopello, 80 anni appena superati, una vita fra le aziende nel campo della pubblicità (foto Guido Rubino)
Alberto Giacopello, 80 anni appena superati, una vita fra le aziende nel campo della pubblicità (foto Guido Rubino)

C’era una volta la carta stampata

Prima del loro irrompere e della contemporanea crisi della carta stampata, come si muovevano le aziende per comunicare con il pubblico? Per saperne di più, abbiamo deciso di fare due chiacchiere con Alberto Giacopello, uno degli agenti pubblicitari “storici” nel mondo ciclo.

Giacopello ha da poco superato gli ottant’anni. La mente è sempre brillante e lucidissima. Per ventisei anni, dal 1980 al 2006, ha lavorato per Compagnia Editoriale, la casa editrice del mensile Bicisport, occupandosi della vendita degli spazi pubblicitari. Ha vissuto in prima persona un modo di comunicare da parte delle aziende che oggi non esiste più. Ascoltarlo può essere d’aiuto anche per comprendere la realtà di oggi.

Una premessa prima di passare alle domande. Chi scrive ha lavorato per alcuni anni accanto ad Alberto Giacopello e da oltre vent’anni ha la fortuna di esserne amico. Perdonerete allora l’uso del più confidenziale “tu”.

Antonio Colombo, fondatore di Columbus, ha sempre abbinato il ciclismo con l’arte
Antonio Colombo, fondatore di Columbus, ha sempre abbinato il ciclismo con l’arte
Ai tuoi tempi come era il rapporto con le aziende?

Potrei rispondere con una sola parola che racchiude in sé tutto: diretto. Si parlava direttamente con il titolare dell’azienda e quindi era tutto decisamente più semplice e immediato. Quando sono andato in pensione nel 2006, nelle aziende era raro trovare una persona addetta al marketing o più in generale ai rapporti con le riviste. Una delle prime a introdurre una figura simile fu Columbus con Claudia Vianino. Ora so che ha aperto un’agenzia di comunicazione a Torino, che mi dicono vada molto bene. La cosa non mi sorprende, perché già ai tempi era davvero una persona tosta e preparata.

Avere un rapporto diretto con il titolare dell’azienda cosa voleva dire dal punto di vista pratico?

I contratti non si definivano certo al telefono. Si fissava un appuntamento in azienda e in quell’occasione si concordava il programma per l’intero anno. Poteva poi capitare che a seguito di una vittoria importante, come una Sanremo o un mondiale, ci fosse una integrazione a quanto definito a inizio anno. In quel caso, per accordarsi bastava una telefonata perché di fondo c’era una fiducia reciproca con i titolari, che avevo saputo costruire nel corso degli anni. Oggi non credo avvenga la stessa cosa. Credo sia tutto più “professionale”, ma anche più freddo.

Giuseppe Bigolin è il fondatore di Selle Italia. Al suo fianco si è inserito ed è cresciuto come leader dell’azienda il figlio Riccardo
Giuseppe Bigolin è il fondatore di Selle Italia. Al suo fianco si è inserito da anni il figlio Riccardo
Da cosa si capiva che ci fosse questo buon rapporto?

Dal fatto che mi sentivo sempre il benvenuto. Poteva capitare che durante uno dei miei viaggi di lavoro, di passaggio vicino ad un’azienda, chiamassi per chiedere se potevo passare per un saluto o un caffè. In tanti anni non ho mai ricevuto un rifiuto.

Come avveniva la definizione di un contratto?

Dovete tenere presente che quando ci si sedeva di fronte al titolare di un’azienda per parlare di pubblicità, si discuteva non solo del budget da investire, ma anche del soggetto pubblicitario che avremmo poi visto sulla rivista. In un certo senso, era come se fossi una specie di consulente marketing di oggi. Le aziende si fidavano così tanto da arrivare a chiedermi dei consigli sui mesi che, secondo me, potevano essere più interessanti per fare pubblicità. Spesso poi capitava che mi venisse mostrato in anteprima un prodotto prima che fosse lanciato sul mercato per avere un mio parere in merito. Oggi le aziende hanno così tanti esperti a cui affidarsi che raramente hanno bisogno di un parere esterno. Sono davvero cambiati i tempi. Allora si lavorava molto con il fax… Oggi il fax per una qualsiasi azienda è un soprammobile.

Ai tuoi tempi le fiere di settore che importanza avevano?

So che oggi sono quasi sparite. Ai miei tempi si andava un anno a Milano e un anno a Colonia. Poi è arrivata Friedrichshafen che ha soppiantato entrambe. Allora la fiera era un momento fondamentale della stagione. Lì si incontravano tutti i clienti e in alcuni casi era l’unica occasione per poterli vedere. Di conseguenza si chiudevano anche molti contratti. Oggi credo che siano più un momento per coltivare le famose “pubbliche relazioni”.

Il Cavalier Pietro Santini ha costruito un’azienda modello, ora gestita dalle figlie Monica e Paola
Il Cavalier Pietro Santini ha costruito un’azienda modello, ora gestita dalle figlie Monica e Paola
In quegli anni come era vista la pubblicità? Era considerata uno strumento importante per comunicare?

Tutti erano convinti dell’importanza di fare pubblicità. Allora però c’erano solo le riviste e quindi le aziende avevano solo la carta stampata come strumento di promozione. Oggi con l’avvento dei social, con la nascita dei siti internet specializzati tutto è cambiato. Anche io che ho ottant’anni, se voglio sapere qualcosa di ciclismo mi collego a internet.

Questo lavoro che cosa ti ha lasciato da un punto di vista personale?

Grazie a questo lavoro ho avuto la fortuna di andare alle corse e incontrare gli idoli della mia gioventù come Binda a Bartali, un uomo forse “ruvido”, ma di una grandissima umanità. Ho avuto modo di arricchirmi umanamente, ma anche culturalmente. Pensa, con Antonio Colombo di Columbus, parlavamo di lavoro, ma anche di cultura spaziando dal pittore Schifano al regista Nanni Moretti. Oggi credo sia una cosa impossibile. Tutti hanno fretta e poco tempo a disposizione per parlare di qualcosa che sia altro dal lavoro.

Figure che hanno fatto e ancora fanno la storia del ciclismo…

Ricordo con affetto il Cavaliere Pietro Santini, un vero signore, che mi parlava sempre del suo grande amore per la pista di Dalmine. Come non citare poi Ernesto Colnago. Con lui ho fatto in assoluto il mio primo appuntamento di lavoro. Quante battaglie facevamo sui costi delle pagine pubblicitarie (ride, ndr), ma quanto era bello poi ascoltarlo mentre mi parlava dei suoi progetti. Con tanti di loro ho costruito rapporti umani davvero profondi. Pensa che ancora oggi a Natale mi sento con Giuseppe Bigolin di Selle Italia per scambiarci gli auguri. Uso un’espressione che può forse sembrare desueta: grazie al mio lavoro ho conosciuto tante brave persone.

Colnago con Van Aert al via della Sanremo. Ernesto ha ceduto la sua azienda, ma ne rappresenta l’italianità
Colnago con Van Aert al via della Sanremo. Ernesto ha ceduto la sua azienda, ma ne rappresenta l’italianità
Se dovessi ricominciare oggi, quali difficoltà ti troveresti a dover affrontare?

Sicuramente avrei difficoltà a destreggiarmi con le nuove tecnologie e a dovermi rapportare con addetti stampa o al marketing. Come ti dicevo, io ero abituato a parlare direttamente con il titolare. Ai miei tempi lavoravo poi solamente con aziende italiane. Il cuore dell’industria ciclo era tutto in Italia. Ora mi sembra che ci sia più internazionalizzazione. Il solo pensiero di dover parlare in inglese con un responsabile marketing mi toglierebbe sicuramente il sonno.

L’importanza di “essere” Ernesto Colnago

15.02.2022
4 min
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Si finisce di ascoltare Ernesto Colnago con la voglia di alzarsi dalla sedia e fare qualcosa di buono per cambiare il mondo. Perché lui, uno dei geni della bicicletta, ha appena compiuto 90 anni e ha quella capacità ormai rara da trovare, cioè di riuscire a trascinare le persone con la passione per quello che fa da una vita. Da quando aveva 13 anni per l’esattezza. E quello che fa è qualcosa che nasce nella sua mente e si materializza dalle sue mani e da quelle di chi lavora per lui.

L’incontro di Milano si è svolto nel Bocconi Sport Center
L’incontro di Milano si è svolto nel Bocconi Sport Center

Un artigiano, insomma, di quelli che ormai stanno scomparendo, sostituiti da macchine, robot o da persone altrettanto illuminate, ma che rincorrono la creazione di qualcosa di virtuale. Utilissimi per la nostra vita quotidiana – per carità – ma non così affascinanti al pari di uno che costruisce biciclette come lui.

Invito alla Bocconi

Ecco perché l’intuizione dell’Università Bocconi di Milano – che ha organizzato un evento per festeggiare Colnago alla presenza di nomi illustri del ciclismo italiano – è stata all’altezza del suo essere rivoluzionario. Ha permesso ai giovani di conoscere da vicino uno che può tramandare il suo sapere e il suo mestiere alle future generazioni. O quantomeno, che trasmetta ai posteri un’idea, un’intraprendenza, una necessità di trovare qualcosa di nuovo, sempre, ma che si ispiri a principi artigianali, antichi, frutto di studio e saggezza popolare.

Gianmario Verona è stato il padrone di casa in veste di Rettore della Bocconi
Gianmario Verona è stato il padrone di casa in veste di Rettore della Bocconi

«Sono figlio di contadini», ama sempre sottolineare lui. E Ernesto Colnago da Cambiago, manco a dirlo, ha subito centrato il cuore dell’incontro dicendo: «Ragazzi pedalate, perché la bici unisce». Già, la bicicletta, quella creatura tutta sua che negli anni è riuscito a cambiare, modellare, modificare, affinare, rivoluzionare, migliorare per dar modo ai campioni di vincere, agli amatori di sognare, ai giovani di sperare.

Le celebri forcelle dritte

Colnago che ha introdotto prima di tutti il carbonio per costruire i telai, la forcella dritta per migliorarli, le misure più corte per essere più scattanti, tirandosi addosso sguardi stralunati e dubbi sulla reale credibilità della cosa.

La storia del carbonio la conosciamo tutti; quella della forcella e delle misure basta guardare ogni bicicletta di oggi, non c’è bisogno di ripeterla. Tuttavia ricordarsi di certi aneddoti è utile a tutti. Rischiare e provarci è doveroso. E più gli altri ci osservano stralunati più è possibile che l’idea possa funzionare.

Del resto, non guardavano storto anche chi ha inventato il computer oppure il telefonino o – prima ancora – l’energia elettrica per non parlare di chi metteva in dubbio le teorie di Galileo Galilei?

Ernesto Colnago ha ispirato con i suoi interventi tutti i partecipanti
Ernesto Colnago ha ispirato con i suoi interventi tutti i partecipanti

Il rivoluzionario Ernesto

Insomma, Ernesto Colnago ha vissuto una vita da rivoluzionario e il connubio con le due ruote è stato come una bomba atomica perché l’idea di libertà e rivoluzione è intrisa in ogni tassello della bicicletta come mezzo e dello spirito di chi la fa avanzare.

Al cospetto di Colnago, alla Bocconi, giganti come Beppe Saronni, Gianni Bugno, Gianni Motta, Michele Dancelli, Davide Boifava, Mauro Vegni, Stefano Allocchio, Renato Di Rocco, Giovanni Mantovani, Dino Zandegù. Persone d’esperienza, con palmares straordinari. Eppure ognuno con gli occhi lucidi e un sorriso fanciullesco nell’osservare il maestro parlare, nel ricordare incontri, episodi, confronti, attimi di intimità.

Anche Capello e Norma Gimondi hanno testimoniato l’affetto per Colnago
Anche Fabio Capello fra coloro che hanno testimoniato l’affetto per Colnago

L’amico di Gimondi

Tanti nomi di cui si conosceva la stima reciproca e il lavoro di squadra per arrivare a certi successi; ma Colnago è uomo di sport e di ciclismo e dietro alle collaborazioni ufficiali c’erano tante amicizie nascoste, ma altrettante genuine. Come quella con Felice Gimondi, l’uomo Bianchi, acerrimo rivale di Eddy Merckx che correva proprio con una Colnago.

Famiglia, onestà, buone maniere e fiducia sono capisaldi della sua persona, di un uomo che ha sempre onorato e rispettato l’importanza di “essere” Ernesto piuttosto che cavalcare il fatto di “chiamarsi” Ernesto.

Colnago all’attacco: bici prodotte in Italia e l’accordo col Tour

22.03.2021
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Colnago riporta in Italia l’alto di gamma e diventa la bicicletta ufficiale del Tour de France. E non finisce qui, venite a leggere.

Quando a maggio scorso Ernesto Colnago decise di vendere la sua azienda, qualcuno all’interno di Chimera Investments, il fondo di Abu Dhabi che l’ha rilevata, propose di trasferire tutto negli Emirati Arabi. L’italianità della bicicletta trapiantata nel deserto. Per fortuna ci si rese conto che l’idea non avrebbe dato grandi frutti e il management individuò in Nicola Rosin, ex Selle Royal, la figura di riferimento su cui incentrare il nuovo progetto. Subito sotto Rosin, si trova Manolo Bertocchi, bergamasco di stanza in Gran Bretagna che da circa un mese ha iniziato a lavorare alla ristrutturazione di un’azienda che per decenni ha avuto come unico riferimento il suo fondatore, con tutte le implicazioni che questo comporta.

Manolo Bertocchi ha lavorato a lungo nella comunicazione del Giro d’Italia con Shift Active Media. E’ ora Direttore Marketing di Colnago
Manolo Bertocchi è il nuovo Direttore Marketing di Colnago

Volendo proseguire nel nostro viaggio fra le aziende che forniscono biciclette ai team WorldTour, una sosta da Colnago era d’obbligo, anche se ci siamo trovati davanti a un vero e proprio cantiere, con Bertocchi direttore dei lavori.

Che cosa sta succedendo in Colnago?

Si sta ristrutturando un po’ tutto, con una serie di obiettivi, fra cui quello di riportare la produzione in Italia, quantomeno l’alto di gamma.

Come si concilia questa esigenza con il boom pazzesco del mercato?

C’è un eccesso di domanda e carenza di materia prima, dal carbonio ai gruppi. Shimano consegna a 18 mesi, Sram a un anno, Campagnolo a 8 mesi. Non possiamo fare una seria campagna di marketing perché non abbiamo materiale da vendere. Quindi anche lanciare dei nuovi modelli non sarebbe positivo, perché potremmo farli vedere e poi non saremmo in grado di consegnarli. Se lanci un prodotto, generi domanda. Abbiamo dei nuovi modelli fantastici, ma dobbiamo ragionare sui 18 mesi di Shimano. Se avessimo i gruppi, faremmo un +50% di fatturato.

Le specialissime della Uae Team Emirates
Le specialissime della Uae Team Emirates
Come dire che è tutto fermo?

Niente affatto, ci sono progetti e iniziative. Una è molto speciale e prevede che Colnago sarà la bici ufficiale del Tour de France. Produrremo un modello in serie limitata, che sarà montato Campagnolo, perché Shimano, sponsor del Tour, non riesce a dare i gruppi. E poi probabilmente potrebbe essere pronta una nuova bicicletta che Pogacar userà in Francia, ma qui serve il condizionale. Il grosso delle novità si vedranno a fine anno.

Con una crono, Pogacar ha conquistato il Tour de France
Con una crono, Pogacar ha conquistato il Tour de France
Quindi ad ora non ci sono bici Colnago da consegnare?

I magazzini sono stati svuotati prima che arrivassimo. Le fabbriche di mezzo mondo si sono piantate e quando il mondo è ripartito, davanti all’eccesso di domanda, tutto è stato consegnato e venduto e adesso non c’è più niente. A questo si aggiunga la difficoltà dei trasporti, più lenti e più costosi. Fosse però solo un problema di costi, pagheremmo volentieri visto tutto quello che potremmo consegnare. Abbiamo bici ferme da mesi perché sprovviste di gruppi e la situazione non dipende assolutamente da noi.

Però forse non tutti i mali vengono per nuocere…

Esatto, approfittando di questo stallo, abbiamo davanti quasi un anno per ripianificare l’azienda che da storica e artigianale, deve diventare manageriale.

Biciclette come gioielli dal mago artigiano di Cambiago
Biciclette come gioielli dal mago artigiano di Cambiago
Manageriale si intona bene con l’idea di artigianalità?

Quello che non deve cambiare è l’impronta di Colnago, la sua storia e la filosofia che c’è dietro. Vogliamo raccontare quello che davvero facciamo. E se diciamo che produciamo l’alto di gamma in Italia, è perché sarà così. Altri lo dicono, ma sanno che non è vero. A Cambiago ci sono i lavori per i nuovi impianti, anche se in Asia faremo le bici di gamma meno alta. Nonostante quello che si dice, ci sono due stabilimenti che fanno le bici di tutte le aziende del mondo: Giant e Merida. Noi invece vogliamo che il cliente Colnago venga in sede, che visiti il museo, veda la sua bici durante la costruzione, che esca con noi in bicicletta, che passi la giornata in azienda e poi torni a casa soddisfatto. Colnago è un’azienda italiana, rilevata da un fondo di investimento, al pari di alcun grandi squadre di calcio che non per questo hanno smesso di essere italiane.

Come si inserisce la squadra WorldTour un questo contesto?

Non si tratta di sponsorizzazione, ma di una società che è… sorella a Colnago. La proprietà è la stessa. La squadra ci dice di cosa ha bisogno e noi la sviluppiamo. Siamo agli inizi di questa simbiosi, ma darà grandi frutti. Forse la Trek può dirsi simile da questo punto di vista. Anche i fornitori dei componenti non intervengono come sponsor, ma parlano direttamente con noi. E’ un progetto tecnico e non commerciale. Il modello V3RS è stato impostato da Colnago, ma in futuro i cambiamenti saranno ispirati da Pogacar che per il team e per l’azienda rappresenta un grande valore aggiunto.

La V3RS che ha vinto il Tour 2020 autografata per Ernesto Colnago
La V3RS che ha vinto il Tour 2020 autografata per Ernesto Colnago
Torna in azienda Alessandro Colnago, che ne era uscito…

L’ho richiamato io, per avere un piede nel passato di questa azienda e costruire il futuro senza discostarsi dalla sua tradizione. La coerenza storica è necessaria. Alessandro ha sensibilità assoluta sul prodotto, il colore Frozen, ad esempio, l’ha tirato fuori lui. E adesso, libero da dinamiche familiari, si sta rivelando un eccellente Brand Manager. Chi lavorava anche prima con lui è rimasto a bocca aperta davanti al cambiamento. Io no, sapevo che avesse questo livello così alto. Oltre a lui avrò accanto Alessandro Turci per la comunicazione.

Pogacar in visita allo stabilimento di Cambiago, accanto al maestro
Pogacar in visita allo stabilimento di Cambiago, accanto al maestro
Sarà messa in atto una campagna di comunicazione per sottolineare l’italianità del progetto?

Ora non possiamo per i motivi detti prima, ma in futuro e in tutte le lingue del mondo, parleremo di “Colnago, La Bicicletta”. Se entrate a Cambiago, c’è un quadro di Ernesto che dipinge la Gioconda. La sua visione è sempre stata quella di fare un’opera d’arte italiana per il ciclismo. Un’idea ben chiara. Gli americani hanno belle bici e i muscoli di un marketing molto potente. Il prodotto industriale perfetto è bellissimo, ma l’errore degli italiani a lungo è stato volerli inseguire sul loro stesso terreno, senza rendersi conto che tanti di loro vorrebbero essere Colnago. Ecco, è il momento di mettere sul tavolo la storia e i contenuti tecnici di questo marchio.

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