E dopo San Pellegrino in Alpe spunta (e la spunta) Carapaz

21.05.2025
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SAN PELLEGRINO IN ALPE – E’ la magia della montagna. Non importa che sia d’Appennino, di Alpi, Dolomiti… Tutto cambia. La pendenza, il bosco, la gente, le bici, le nuvole basse e il calore del fieno appena tagliato più a valle. E’ un’altra dimensione. Sul San Pellegrino in Alpe abbiamo vissuto tutto questo.

La salita, forse la più dura del Giro d’Italia, è stata al centro – in ogni senso – della tappa di oggi. E se Richard Carapaz ha vinto a Castelnovo ne’ Monti è anche per come ha affrontato questa montagna che collega la Toscana all’Emilia, come vedremo.

Quei muscoli tesi

Il tifo era forte per Luca Covili, beniamino di casa. Ma lungo la scalata c’erano anche belgi e olandesi. Poi il tifo è per tutti e quando dai nuvoloni bassi in quota è spuntata la maglia blu di Lorenzo Fortunato tutto ha preso un’altra piega. Vederli da bordo strada è tutt’altra cosa. Si sentiva il fiatone, le smorfie di fatica si percepivano in modo diverso ed erano la continuazione dello sforzo delle gambe. Più queste erano tese, più i volti si deformavano.

La maglia rosa pedalava bene. Carapaz era defilato, a tratti in coda al gruppetto. Era in “modalità” risparmio energia o era davvero affaticato? Il suo volto è quasi sempre indecifrabile. Giulio Pellizzari a 200 metri dalla vetta era staccato di 6”-7”, ma non sembrava assolutamente fuori giri. Primoz Roglic era il più coperto e rannicchiato al centro del drappello. E e gli Yates, seppur con maglie diverse, si riconoscevano anche attraverso la nebbia. La loro andatura ciondolante sui pedali è un marchio di famiglia.

Il popolo del ciclismo

E poi c’erano loro: i tifosi. I veri padroni del San Pellegrino in Alpe. Sinceramente, col meteo che c’era ed essendo un pieno giorno feriale di maggio (il Tour de France è ben più fortunato in tal senso), non ci aspettavamo tanta gente.

Dalle poche unità sparse nelle prime rampe a un vero stadio di 3.000 metri per lato nel finale. Una bolgia. Passarci in mezzo con la nostra ammiraglia è stata un’emozione. Qualche lettore ci ha anche salutato. Che dire: grazie!

Grigliate, birre, tocchi di formaggio, le bici appoggiate sulle pendici della montagna. Una montagna verdissima, rigogliosa. Sulle vette più alte verso nord c’erano ancora chiazze di neve… un ambiente totale, teatro perfetto per una grande sfida.

La corsa non passa mai in un secondo. Dopo i primi, ecco a intermittenza gruppetti di due o quattro atleti e poi due grandi gruppi nel finale. Gli ultimi, i velocisti, sono passati che già iniziava a cadere qualche goccia. Il freddo cominciava a farsi pungente.

La cosa bella è che in questi brevi momenti puoi vedere le differenze tra i corridori. Mads Pedersen, seppur staccato (ma non troppo) dalla maglia rosa, portava su i suoi 76 chili con una potenza mostruosa. Povera la sua catena! Mentre i passisti-scalatori che scortavano i velocisti sgambettavano agili e i Van Uden della situazione al loro fianco guardavano paonazzi a terra e facevano la metà delle pedalate.

Il tutto sotto l’applauso scrosciante della gente. Per tutti…

Carapaz vince la sua quarta tappa al Giro e risale dalla nona alla sesta posizione. Ora è a 1’56” da Del Toro
Carapaz vince la sua quarta tappa al Giro e risale dalla nona alla sesta posizione. Ora è a 1’56” da Del Toro

Si rivede Carapaz

La corsa passa. Il San Pellegrino in Alpe in pochi minuti si svuota. Le ultime ammiraglie sfrecciano tra la gente. Sono quelle dei massaggiatori che corrono verso l’arrivo.

Fortunato e gli altri quattro transitati davanti sul San Pellegrino sembravano potercela fare, ma Pedersen si è messo al lavoro per Giulio Ciccone. Solo che poi a “fregarli” tutti è stato Richard Carapaz. Un nome che forse, col senno del poi, poteva anche essere piuttosto scontato al via questa mattina.

L’ecuadoriano della EF Education-EasyPost si trova a meraviglia su questi tracciati: duri, lunghi e con salite non estreme nel finale. La sua azione è stata tosta. Il campione olimpico di Tokyo ha fatto subito il vuoto e ha resistito al ritorno della solita UAE Emirates.

«Nel finale avevo buone gambe e ci ho provato – ha detto Carapaz – è stata una tappa durissima. Si è visto chiaramente che sul San Pellegrino in Alpe nessuno aveva le gambe per fare qualcosa. In gruppo c’è tanta stanchezza e non so cosa potrà succedere nei prossimi giorni. Io ci ho provato. Sapevamo che si poteva fare. Sono felicissimo di essere tornato a vincere al Giro».

Ora Carapaz risale un po’ la china. Il bottino è magro in termini di tempo, venti secondi, migliore in termini di posizione: passa dalla nona alla sesta. Ma cambia poco ai fini del Giro.

Del Toro vince lo sprint con una facilità imbarazzante e allunga di 6″ su Ayuso. Terzo Ciccone
Del Toro vince lo sprint con una facilità imbarazzante e allunga di 6″ su Ayuso. Terzo Ciccone

E Del Toro…

Per assurdo pesano di più i 6” di abbuono di Isaac Del Toro che continua a dire una cosa e fare l’opposto. Anche oggi ha ripetuto quanto va dicendo da giorni: «Vediamo come andranno le cose. Sono qui per i miei capitani. Quei sei secondi… non so, è perché cerchiamo di fare una corsa intelligente», ha detto ai microfoni di Radio Rai.

E sempre restando legati alla radio, per pura casualità questa mattina abbiamo scambiato qualche battuta con Massimo Ghirotto. Max ha un’esperienza tale che potrebbe riempire una biblioteca del ciclismo.

«Io – ha detto Ghirotto – Ayuso è qualche giorno che non lo vedo benissimo. Per me non è super brillante». Non ci credevamo molto, ma abbiamo messo da parte quanto ci ha confidato; un suo giudizio è sempre prezioso. Evidentemente aveva ragione. Nella scalata finale ha un po’ pagato, e se Carapaz è andato via così bene è anche perché lui ha scricchiolato e la UAE non si è messa pancia a terra per chiudere.

Del Toro sì, lui si era mosso subito, ma quando dall’ammiraglia hanno visto che non c’era Ayuso lo hanno bloccato. Lo hanno fatto respirare e poi sono andati in progressione dopo il Gpm.

Insomma, questa tappa del San Pellegrino in Alpe e degli Appennini ci ha detto che questo Giro è aperto. Anzi, ogni giorno più aperto.

A 18 anni nel WorldTour, prosegue il volo di Markel Beloki

13.12.2023
4 min
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Nella scia di Ayuso e Rodriguez e anche prima di loro, sbarca nel WorldTour anche Markel Beloki, figlio di Joseba: tre volte sul podio del Tour. Lo farà con la maglia della Education First, guidato da Juan Manuel Garate, e lo farà soprattutto con un anno di anticipo anche rispetto agli auspici di suo padre.

«Mi trovo a pensare a lui – ci disse Joseba lo scorso anno – come padre e come tecnico. Come padre, ha molti sogni, gli piace andare in bici e allenarsi come me. Sogna di passare professionista. E’ un atleta che si sta facendo. E’ alto 1,84 e pesa 69 chili. E’ sottile. E’ cresciuto molto rapidamente e altrettanto rapidamente sta migliorando. Il prossimo anno e il primo da U23 saranno importantissimi».

Markel Beloki ha ripreso a pedalare sulle strade di Vitoria, prima del ritiro di Girona (foto Instagram)
Markel Beloki ha ripreso a pedalare sulle strade di Vitoria, prima del ritiro di Girona (foto Instagram)

Da Sanchez a Garate

Da junior, Markel Beloki ha corso nella MMR Cycling Academy di Samuel Sanchez e i suoi progressi sono subito apparsi sotto gli occhi di tutti. Così si è arrivati alla decisione di fare il grande salto con un sottile anticipo. E a 18 anni, dal 2024 ci sarà nuovamente un Beloki nel grande gruppo. L’anomalia semmai è che inizialmente il corridore basco sembrava promesso alla Movistar, con cui aveva anche svolto un ritiro. Invece alla fine a prevalere è stato il team di Jonathan Vaughters.

«Sono molto emozionato – spiega Markel – e desideroso di dimostrare che non avevo torto. Quando è iniziata la scorsa stagione avevo in mente di mettere in pratica il percorso logico per tutti i ciclisti. Correre nella categoria under 23 e poi lottare per un posto nel gruppo professionistico. Invece si è presentata l’occasione e ho deciso di sfruttarla. Immagino che se fosse successo a qualcun altro, avrebbe preso la stessa decisione.

«Diciamo che a convincere tutti che sono pronto sono stati i miei ottimi test, ma soprattutto essere guidato da “Juanma” Gárate sarà come avere accanto uno di casa. Lui mi segue da vicino, mi consiglia e mi aiuterà a fare questo passo. Sono contento dell’anno che ho fatto, con dieci vittorie, ma non mi aspettavo che finisse così. Avrei potuto fare la doppietta ai campionati nazionali, invece nella prova su strada non sono riuscito a riprendere Alvaro Garcia che ha vinto e che correva nella squadra di Valverde».

Qui Beloki vince la prima tappa della Bizkaio Itzulia a Guenes (foto Naikefotosport)
Qui Beloki vince la prima tappa della Bizkaio Itzulia a Guenes (foto Naikefotosport)

Crescere poco a poco

Markel non somiglia per niente a suo padre: tanto era minuto e scalatore Joseba, per quanto è alto e filiforme suo figlio. Li accomuna la passione per la crono, ma è innegabile che il DNA ciclistico sia comune.

«Sono sempre stato forte in salita – conferma Beloki junior – ma sono molto bravo anche a cronometro. Spero di potermi difendere su tutti i terreni e anche se il salto che sto per fare è molto grande, sono preparato. Sia fisicamente che mentalmente, ho fatto i conti con l’idea che potrò fare le cose poco a poco. Intanto ho avuto modo di conoscere i compagni a Girona intorno a metà novembre. Abbiamo trovato bel tempo e abbiamo iniziato a pedalare tutti insieme.

«La squadra è un bel miscuglio di nazionalità diverse, fra spagnoli, colombiani, ecuadoriani e venezuelani. Da fuori sembrano delle ottime persone oltre ad essere grandi ciclisti. Spero che possano aiutarmi con i miei primi passi: la lingua è un vantaggio in questo senso. Inizio a piacermi anche vestito di rosa (sorride, ndr), mentre sono super contento della mia Cannondale, penso sia un’ottima bici».

Nella crono iridata di Stirling (Glasgow) Beloki non è andato oltre il 18° posto
Nella crono iridata di Stirling (Glasgow) Beloki non è andato oltre il 18° posto

Il DNA non mente

E mentre Markel Beloki si accinge a debuttare, un altro giovane spagnolo si affaccia sulla grande ribalta. Per la Spagna, che ha in Ayuso e Rodriguez i primi eredi di Purito Rodriguez, Valverde e Contador, a proposito di DNA ciclistico si prospetta anche il talento di Marcos Freire, figlio di Oscar.

Se lo è accaparrato già Joxean Matxin che lo ha vestito dei colori del UAE Team Emirates, nonostante il ragazzo abbia ancora 16 anni. Il tempo di fare la trafila negli juniores e potremmo probabilmente vederlo nel Gen Z Team della squadra emiratina, in cui per ora sono stati concentrati elementi di solido avvenire, come Glivar e il nostro Giaimi. In Spagna, insomma, c’è più di qualche motivo per cui brindare.