Disordini alimentari: intervista a Brajkovic

18.02.2021
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Janez Brajkovic arrivò nel ciclismo con le stimmate del campione. Iridato della crono U23 nel 2004 a Bardolino, lo sloveno si lasciò dietro Dekker e Nibali. Scalatore fortissimo, le statistiche lo davano alto 1,77 per 60 chili. Di lui si accorse Bruyneel che lo portò con sé alla Discovery Channel poi all’Astana e da lì alla Radio Shack. Quando il gruppo americano si sciolse, Jani tornò all’Astana, alla United Healthcare, al Team Bahrain e poi alla Adria Mobil.

Il 6 agosto del 2019, da poco rientrato da una squalifica per doping, pubblicò un post nel suo sito dal titolo “Scheletri nell’armadio”. Un testo durissimo, sui suoi difficili problemi con il cibo. Ma oltre alla sua fragilità, quel testo esprime l’amara consapevolezza (da parte sua) che il mondo del professionismo sia affetto da gravi disordini alimentari. Anche fra coloro che conquistano i podi dei grandi Giri.

Fino al 2020 Brajkovic è stato tesserato con la continental Adria Mobil. La sua ultima corsa è stata il Giro del Friuli, chiuso all’ottavo posto in classifica generale. Noi di bici.PRO siamo voluti andare oltre quel testo e a Brajkovic ci siamo rivolti, in questo viaggio nei disordini alimentari del gruppo iniziato da un’intervista a Laura Martinelli. Un percorso costruttivo che coinvolge tutti, ma soprattutto dovrebbe portare una diversa consapevolezza negli atleti e in chi li… maneggia con troppa disinvoltura.

Nel 2007, Brajkovic vince il Tour of Georgia
Nel 2007, Brajkovic vince il Tour of Georgia
Perché a un certo punto hai sentito il bisogno di parlare della tua situazione?

Mi sono accorto che qualcosa non andava nella mia testa quando ho fallito ai campionati nazionali nel 2019. Una settimana prima ero capace di fare 6,2 watt/kg per 35 minuti dopo 4 ore di bici e 2.500 m di dislivello, mentre il giorno della gara non ero riuscito a mantenere 5,5 watt/kg per 20 minuti. Dovevo sistemare questa cosa, dovevo dire la verità, tutta la verità.

Quando ti hanno detto per la prima volta che per andare più veloce dovevi essere magro?

Non ho mai avuto problemi di peso, la bulimia per me non era perdere peso. Si trattava di far uscire abbastanza energia da me, in modo che le mie emozioni fossero sempre più piccole… Così piccole da poterle trattenere dentro di me, senza esprimerle.

Allora perché pensi che i tuoi insuccessi siano stati in qualche modo legati all’alimentazione?

Ho sempre pensato che la bulimia stesse rovinando la mia carriera, perché comunque ho studiato e sapevo cosa significasse. Sapevo cosa provoca nel corpo, in che modo influisce sulle prestazioni e quale sarebbe stato lo scenario peggiore… Scenario che in alcuni momenti della mia vita ho davvero creduto mi avrebbe portato alla morte

Nel 2008 arriva 2° al Lombardia, ma non sa che davanti Cunego ha già vinto
Nel 2008 arriva 2° al Lombardia, davanti Cunego ha già vinto
Credi che l’ambiente delle squadre, le battute e le pressioni dei manager ti abbiano spinto verso questo problema?

Nel mio caso no, ma per alcuni corridori ne ho la certezza.

Alcuni corridori hanno detto di parlare spesso di questi argomenti, ma di non avere il coraggio di affrontarli con i capi dei team: cosa ne pensi?

Ne parlano fino a un certo punto. Non parlerebbero quasi mai di bulimia o anoressia. In quelle condizioni, una persona prova così tanta vergogna, che fa di tutto per nasconderlo.

E’ possibile che nelle squadre in cui hai corso nessuno abbia notato nulla?

Certo che l’hanno capito. E una volta che te ne rendi conto, non puoi più essere onesto. Smetti di parlare con loro in modo rilassato. Alla fine, sapevo che stavo mentendo. All’Astana, un medico si avvicinò e cercò di parlare della mia bulimia. Ovviamente dissi che stavo bene e non c’era niente che non andasse. Non ero pronto per affrontarlo. Perché? Perché sapevo che se avessi detto di avere un problema, un minuto dopo l’intera squadra avrebbe saputo cosa stava succedendo… e non potevo gestirlo. Ma è successo comunque, il dottore lo disse a tutti.

Come fai a saperlo?

Alla fine della stagione firmai con il team United Healthcare. Al primo ritiro, un tecnico italiano mi chiese se avessi la bulimia, come gli aveva detto quel medico dell’Astana. Non c’è fiducia o riservatezza nel ciclismo. Finché questo andrà avanti, i disturbi alimentari e i problemi di salute mentale rimarranno argomenti tabù

Perché c’è vergogna nel parlarne?

Perché sai che stai facendo qualcosa di brutto, qualcosa di innaturale, in un certo senso stai barando… Pensi di avere il controllo, ma in effetti è il cibo che controlla te. La soluzione è molto semplice: semplicemente non mangiare, ma non puoi fermarti. E in questo modo continui a tradire te stesso ogni giorno, più volte al giorno…

Nel 2017 corre con il Team Bahrain, qui ad Abu Dhabi
Nel 2017 corre con il Team Bahrain
Ti sei mai sentito debole in corsa per questo problema? Pensi che i tuoi risultati ne siano stati condizionati?

Sì, in ogni corsa che abbia fatto dal 2005 al 2020, con l’eccezione del Castilla Leon 2006, del Tour de France 2012 e il Delfinato del 2010 (ad eccezione del prologo).

Hai mai pensato che la sola soluzione per uscirne fosse smettere di correre?

Mai, correre e andare in bici non erano un problema. Il problema era molto più profondo… il mio passato, la mia infanzia.

Hai scritto di molti corridori con lo stesso problema: hai parlato con loro oppure li riconosci dai comportamenti?

Molti, uomini e donne. Corridori che non avevo incontrato mai prima. Per loro è un sollievo incredibile poter parlare con qualcuno che capisce, non giudica, si limita ad ascoltare. Questo è il motivo per cui non mi fermo, ne parlerò finché non diventerà accettabile, finché se ne potrà discutere. Finché le cose non saranno fatte bene e i corridori saranno in grado di ottenere aiuto all’interno delle squadre

Credi che il tuo carattere e i tuoi comportamenti siano stati condizionati?

La bulimia era solo un sintomo, non il problema principale. Ma sì, il mio comportamento era molto diverso da quello che è adesso.

Pensi che la tua carriera ne sia stata condizionata?

Sì.

Brajkovic cade davvero molto spesso, qui al Polonia 2014
Cade davvero molto spesso, qui al Polonia 2014
Credi che la gente dall’esterno si renda conto di cosa significhi oggi vivere come un ciclista professionista?

Più o meno, ma non del tutto.

Pensi di averla superata?

Credo di stare meglio, non penso mai al cibo, non penso più che devo vomitare. Mangio in modo sano, ma ora il cibo non è più il centro della mia vita.

C’è un consiglio che vorresti dare ai giovani corridori sul tema dell’alimentazione?

Mangiate per andare forte, non per perdere peso. Non ascoltate ogni idiota che pensa di sapere tutto sulla nutrizione. Io sono sempre qui per parlarvi e anche se non avrò sempre una risposta, vi ascolterò. Essere ascoltati, significa già molto.

C’è un consiglio che vorresti dare ai direttori sportivi sull’alimentazione dei loro atleti?

Non sapete quasi niente. Sapete molto poco di psicologia e di come parlare ai corridori. Restate nella vostra corsia, siate gentili e non feriteli. Ascoltateli.

Jani, cosa fai oggi?

Da alcuni anni mi occupo di preparazione, ho sempre avuto parecchie conoscenze, ma non ero abbastanza sicuro di condividerle con gli altri. Ora lo sono. E i risultati sono visibili con i miei atleti. Stanno migliorando velocemente, sono più felici. Sto anche lavorando a un progetto a Dubai, con giovani corridori degli Emirati Arabi Uniti. Avevo un grande desiderio e ce l’ho ancora: correre un’altra stagione. Perché sarebbe la prima stagione in cui sarei completamente in salute e sono sicuro che potrei ottenere molto. Non grandi vittorie, sono realista, ma di sicuro qualche piazzamento tra i primi dieci. Purtroppo le squadre non sono rimaste colpite da quello che ho proposto…

Per vedere un sorriso di Brajkovic occorre tornare al 2006, quando vestì la maglia di leader alla Vuelta
Per vedere un sorriso occorre tornare al 2006, quando vestì la maglia di leader alla Vuelta
Cosa hai proposto?

Aiutare i corridori con problemi mentali e disturbi alimentari. Ho visto i risultati in prima persona, lavorando l’anno scorso con un corridore del WorldTour che voleva tornare a casa da un grande Giro nella prima settimana e poi nella terza andava in salita con i migliori 8 della classifica. I nostri limiti sono prevalentemente mentali, non fisiologici.

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«Oggi ho parlato con Laura – dice Marino Rosti – quello dei disordini alimentari è un argomento che rientra nelle mie competenze. Ma questa è una roba… brutta. La prima cosa che dicono: “Io non ho problemi”».

Laura Martinelli lo ha detto chiaramente: ad accorgersi che il corridore potrebbe avere disordini alimentari sono coloro che hanno il maggior contatto fisico: il preparatore e il direttore sportivo. Marino Rosti non è l’uno né l’altro, però nei suoi anni alla Liquigas e poi al team Bahrain-McLaren, era colui che, in sintonia con il preparatore Slongo, curava le sedute di ginnastica a corpo libero e di allungamento. Avendo anche un master in Psicologia dello Sport, gli è capitato spesso di notare comportamenti insoliti da parte di alcuni suoi atleti. Ma non ci sta a focalizzare tutto su di loro, come invece fa comodo in questi casi.

«Discende tutto dall’esasperazione – dice – dalla ricerca del massimo e dalla necessità di dare l’immagine dell’atleta sempre tirato. Accade in tutti gli sport e come in tutti gli sport, l’alimentazione è fondamentale. Se non mangi il giusto, non vai avanti. Bisognerebbe trovare le persone giuste, il nutrizionista capace di guidarti. E non lasciare che, soprattutto i giovani, vadano su internet e facciano le cose in modo sbagliato. Soprattutto perché, non ottenendo risultati all’altezza dei sacrifici, cosa fanno? Continuano con la privazione. E allora ti accorgi che anche un semplice gelato diventa il frutto proibito. Ecco fate caso ai corridori che davanti al gelato fanno un passo indietro…».

Qual è il confine fra magrezza sana e ossessione?
Qual è il confine fra magrezza sana e ossessione?
La letteratura del ciclismo è ricca di direttori sportivi che chiedono ai gelatai di segnalargli l’arrivo dei corridori.

Certo, perché a un certo punto lo fanno di nascosto e subito dopo li coglie il senso di colpa. Ma vi assicuro che è un regime insostenibile, dopo un po’ sbotti.

Quanto è diffuso nei team questo problema?

Ne ho conosciuti tanti che mangiavano e poi si mettevano il dito in gola. Solo che i campioni vengono seguiti, il problema colpisce soprattutto i giovani e quelli che sono in cerca di una dimensione. Conta l’immagine, come per le modelle. Alcune sono magre naturalmente, le altre non mangiano. Il corridore deve essere magrissimo. Braccia come grissini e gambe da superman.

Secondo Davide Cimolai il tema è molto discusso fra corridori, come ne parla lo staff del team?

Se ne parla tanto, come tanto si parla della necessità di avere il peso a posto, ma in modo sbagliato. Le parole dette a mezza bocca, le battute, il dire continuamente che sono grossi. A un soggetto debole questo martellamento fa effetto. Così arriva alla privazione e in men che non si dica diventa una malattia. I disordini alimentari non nascono a caso. Ne ho conosciuti. Quelli che si sentono a disagio per questi temi sono già una bella fetta. Alcuni lo superano. Ho conosciuto corridori robusti che se ne fregavano.

L’ossessione della magrezza attacca i giovani e gli scalatori
L’ossessione della magrezza attacca giovani e scalatori
Le parole dette a mezza bocca, le battute…

Il dire a qualcuno che deve essere magro è deleterio, semmai digli che deve essere forte. E’ come quando inizi la salita e dicono al corridore: «Non ti staccare». Che cosa metti nella sua testa? Che è destinato a staccarsi, che non ci credi. Allora digli: «Stai davanti e controlla», andrà certamente meglio. E se pensi che debba dimagrire, visto che parliamo di professionisti al massimo livello, mettigli accanto un esperto, non chiedergli di fare da sé. Il martellamento non funziona, soprattutto perché una volta lo sportivo era più forte dal punto di vista caratteriale, oggi i giovani sono mediamente più fragili e di conseguenza a rischio in situazioni che possono diventare patologiche e diventano di competenza di un medico, spesso lo psichiatra.

Il Team Ineos ne ha uno in organico.

Non uno qualunque, è Steve Peters, l’autore del “Paradosso dello Scimpanzè”. La sua tesi è che in ognuno di noi convivano l’umano e lo scimpanzè e lo sforzo quotidiano deve essere quello di tenere a bada l’istinto, mantenendo sempre l’autrocontrollo. L’appetito è fra gli istinti da controllare? Quando andavamo sul Teide, già dai primi tempi, erano sempre per i fatti loro, non salutavano, lo sguardo basso, a tavola non li sentivi. Tanto che noi facevamo quasi apposta a salutarli, abbracciarli, per capire a che punto arrivassero. Ora pare che un po’ anche loro stiano cambiando.

Indurre l’eccesso in soggetti già magri è una pratica a rischio
Rischioso indurre l’eccesso in soggetti già magri
Da cosa ti accorgi che un atleta ha disordini alimentari?

Hanno mille fissazioni, diventano quasi maniacali. Suscettibili sui dettagli. Sono i primi segnali del disagio, se hai l’occhio attento, lo sai cogliere. A tavola, prima mangiano e poi vanno in bagno. Hanno sempre una mela in mano, si guardano intorno. Carezzano spesso la gamba controllando che si veda la vena. In corsa non prendono il rifornimento, perché si fanno bastare la barretta. Il corpo manifesta quello che hai dentro.

Come si aiutano?

Con una persona all’interno che gli dia una mano, oppure cercando fuori un punto di riferimento. Anche loro si rendono conto di non andar bene, ma non sempre riescono a reagire in modo razionale.

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Fra chi ha letto interessato e chi ha commentato che si tratta solo di banalità, in calce all’intervista con Laura Martinelli sui disordini alimentari è spuntato il “mi piace” di Cimolai, professionista dal 2010 e attualmente alla Israel Start-Up Nation. La cosa non è passata inosservata, per cui il primo passo è stato mandargli un messaggio chiedendogli il perché di quel giudizio, cui Davide ha risposto quasi immediatamente.

« Perché a mio avviso – ha scritto – tanti ragazzi soprattutto giovani vivono male il problema alimentazione. Purtroppo la “vecchia generazione” insegna ancora metodologie a mio avviso sbagliate».

Frank e Andy Schleck, entrambi magrissimi. Anche Andy ha smesso di colpo come Dumoulin
Frank Schleck esempio di magrezza estrema

Il mito leggerezza

Il passo successivo è stato chiedergli di parlarne e anche questa volta “Cimo” ha acconsentito.

«Il problema non è nato ieri – dice – l’ho vissuto io 12 anni fa quando sono passato. Basta guardarsi intorno, come vanno ancora le cose. Se chi ti guida ha la mentalità vecchia, se dopo cinque ore di allenamento ti danno una mela o un frutto, capisci che qualcosa non va? Così passi professionista e pensi che essere leggero sia l’unica cosa che conta, mentre magari quel chilo in più è la differenza tra andare forte e smettere di correre. Io l’ho imparato a mie spese».

Perché succede?

Ci sono due aspetti da scindere. Avrei preferito trovare sulla mia strada qualcuno che mi insegnasse a mangiare bene. Se non avessi capito da me, avrei davvero smesso di correre. Nelle squadre servirebbe qualcuno in grado di spiegarlo ai neopro’. All’estero ormai certe figure le trovi anche nelle categorie giovanili, in Italia c’è ancora troppa incompetenza. E poi c’è l’altro lato.

Che sarebbe?

Adesso come adesso, avere uno in squadra che si mette dietro di te a tavola a controllare quello che mangi, uno che non fa il nutrizionista, mi starebbe sulle scatole. Chi sei per dirmi certe cose? Ma questo succede prevalentemente in ambito italiano.

Capisci bene che se parli di un neopro’, è dura che possa gestirla da sé…

Devi avere carattere e la fortuna di ascoltare tanto i compagni più esperti. Se un giovane mi chiedesse di queste cose, io sarei ben contento di aiutarlo. Sapete che cosa davvero mi scoccia di questi ragazzi che arrivano e nemmeno ti guardano? Più ancora del poco rispetto in corsa, proprio il fatto che pensino di sapere tutto.

Fra corridori si parla dei disordini alimentari?

Sono l’argomento più importante. C’è stato chi per questo ha smesso di correre e per fortuna ce ne sono altri che hanno buttato via gli anni migliori, ma almeno si sono ripresi e sono ancora in gruppo. Uno era con me, un bel talento, e ci ha messo sei anni per tornare in sé. Un altro è passato con risultati eccezionali sulle spalle e a 19 anni già era al punto che non si concedeva nemmeno una pizza, ma dopo 4-5 anni si è messo a posto. Il discorso è: chi te lo dà tanto tempo?

Eneco Tour 2010, Cimolai è al primo anno da professionista
Eneco Tour 2010, Cimolai neoprofessionista
Hai detto che anche tu hai avuto disordini di questo tipo?

Ho buttato via 2-3 anni di carriera, i primi da professionista, poi ho cominciato ad emergere.

Ci sono squadre che hanno messo la magrezza estrema alla base di tutto.

E magari i risultati gli danno ragione. Spremono così tanto i corridori, che quando cambiano squadra, poi non vanno avanti.

Quando ricominci a correre?

Dovevo partire dalla Spagna, ma hanno cancellato. Per cui debutto nel weekend del 27-27 febbraio, con la  Royal Bernard Drome Classic e poi  Faun-Ardèche Classic, entrambe in Francia. E poi speriamo che a marzo si possa andare avanti normalmente.

Disordini alimentari, male oscuro di cui nessuno parla

11.02.2021
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I disordini alimentari. I corridori non ne parlano, soprattutto per paura di mostrarsi deboli agli occhi dei team manager e di non essere confermati. In questo quadro di ciclismo estremizzato, la pressione sugli atleti è spasmodica. Allenamenti monitorati. Spostamenti da dichiarare. Social cui rendere conto. Interviste. Il peso forma che non ti concede scampo. Quel numerino infernale che esprime il rapporto fra potenza e peso è l’asticella di una gara che si rinnova ogni giorno. Se più di tanto non si possono aumentare i watt, la convinzione che diminuendo i chili tutto andrà meglio rischia di diventare patologica e in parecchi casi lo è già. Per questo si smette di correre e tanti lo hanno fatto. Forse quando un pezzo da 90 come Dumoulin parcheggia la bici, dovremmo chiederci se non sia stato piuttosto il contesto a spingerlo.

I corridori a tavola hanno spesso dei bei problemi, soprattutto i più fragili: la pasta è un monte da scavalcare. In questo viaggio nell’argomento, ci siamo affidati a Laura Martinelli, nutrizionista del team Novo Nordisk, che per l’ennesima volta ha avuto la pazienza di ascoltarci e ci ha fornito argomenti estremamente interessanti.

Clement Chevrier ha smesso di correre, ha raccontato di aver sofferto di anoressia
Chevrier ha raccontato di aver sofferto di anoressia
Ci conferma che il problema dei disordini alimentari c’è davvero?

Purtroppo sì. In letteratura è sempre più legato alla sfera femminile, ma è presente anche in ambito maschile. Fra gli sport più soggetti, c’è sicuramente il ciclismo per il discorso già fatto sul rapporto fra potenza e peso. Poi gli sport con suddivisione in base a categorie di peso e gli sport estetici.

Perché non se ne parla?

Perché spesso una delle soluzioni è smettere di correre.

Esiste un regime alimentare minimo per un ciclista professionista?

Certo che esiste, ma non credo sia quello il focus. Se parliamo di apporto calorico minimo, quello c’è. Ciò che fa la differenza è la durata di certi regimi alimentari. Le scorte di grasso sono preziose risorse di energia. Se calo l’apporto calorico per un periodo breve, gestendo la situazione, non accade nulla di compromettente. Se invece la cosa si prolunga, avvengono cambiamenti nel metabolismo basale che si riduce. Mangio sempre uguale, ma l’organismo consuma meno e allora mangio meno, cadendo nell’anoressia. Altrimenti un’altra forma di compensazione è il vomito. E allora si parla di bulimia.

I corridori più fragili hanno un rapporto conflittuale con l’alimentazione, soprattutto con la pasta
Tanti corridori hanno un rapporto conflittuale con l’alimentazione
A chi capita di incorrere nei disordini alimentari?

La fascia più a rischio è quella dei giovani, che sono più suscettibili alle informazioni fuorvianti. E gli scalatori, per cui la leggerezza è un imperativo.

Parlando con alcuni corridori che non hanno voluto essere citati, la sensazione è che il problema sia più urgente nelle squadre piccole.

Forse perché c’è una certa ignoranza di base. Più scendi di categoria, più ti ritrovi con figure professionali che ricoprono più ruoli. Il manager, il direttore sportivo, il nutrizionista…

Lo stesso per uomini e donne?

Anche qui, le giovani sono sempre le più esposte. Spesso queste mancanze derivano dall’insicurezza e da un deficit di autostima. Gli atleti più esperti riescono a gestirsi meglio. E poi il passare degli anni rallenta il metabolismo e rende certi passaggi meno delicati.

Nei team si riesce ad affrontare il problema?

Soltanto se c’è buona collaborazione. Il professionista che in un team può accorgersi di queste cose è colui che è a più stretto contatto con l’atleta, quindi il preparatore o il direttore sportivo, che fisicamente rileva il problema. Una volta che lo si è individuato, va affrontato con il medico e lo psicologo o lo psichiatra esterno al team.

Brajkovic è sempre stato magrissimo e ha parlato della sua bulimia
Brajkovic, sempre magrissimo, ha raccontato della sua bulimia
Perché esterno?

Perché i team non hanno simili figure. Si trova uno specialista che viva vicino casa dell’atleta e si avvia un cammino di recupero.

Pisicologo o psichiatra?

Entrambi, ma dipende dalla storia della malattia. Perché di malattia si tratta.

Qual è la percentuale di riuscita?

Sembra brutto dirlo perché in ambito scientifico andrebbe valutata la possibilità di recupero, ma di solito l’insorgenza di simili problemi comporta la fine dell’attività.

Visto che il problema è così grave, nei team si fa attività di formazione sul tema?

Sì, ma dal nostro punto di vista, quindi con un approccio legato all’attività nutrizionale. Diciamo che si adotta una metodica preventiva. Se non si procede con la giusta periodizzazione, si crea un processo ossessivo che poi non si recupera. E’ qualcosa che si fa soprattutto nei ritiri e soprattutto con i giovani. Per fortuna sul tema c’è una sensibilità crescente. Dieci anni fa nel gruppo eravamo in due, oggi ogni squadra ha un nutrizionista di riferimento.

Gambe scavate pubblicate su Instagram, così come la foto di apertura
Gambe pubblicate su Instagram, come la foto di apertura
In una recente intervista, Moscon che corre alla Ineos ci ha detto: «E’ cambiato molto sul piano dell’alimentazione, dove si era arrivati a livelli un po’ ossessivi. Tra corridori ci si spinge spesso al limite e si arriva al punto quasi di patire la fame ». 

Meno male! Sono in contatto con il collega di Ineos e la sensazione che si fossero spinti un po’ all’estremo si aveva. Sembra brutto dirlo, ma al di là dell’aspetto etico, in certi ambienti la facilità di ricambio dei corridori rende la questione meno urgente. Se invece hai un solo leader e pochi altri atleti di vertice, sei anche spinto a tutelarli di più.

Perché non se ne parla?

Forse perché è una situazione sottostimata e tuttora non compresa. E’ un rischio per il ciclismo, perché fa perdere talenti buoni. Nella fase di passaggio al professionismo, ci sono delle fragilità che non andrebbero sottovalutate. Poi da grande, una volta che sei entrato nel sistema, capisci come gestirti e ti salvi. Ma se ci cadi…

Se ci cadi?

Se ci cadi e continui a correre, non ne esci più