Mani sulle leve in discesa, tendenza rischiosa ma inevitabile?

13.05.2024
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Si parla molto di cadute, attribbuendole al fatto che queste siano principalmente legate a bici e materiali sempre più rigidi e veloci. Che oggi si vada veloci è cosa vera. E’ l’evoluzione. Una bici attuale, anzi un pacchetto bici + atleta attuale, a parità di sforzo e numeri antropometrici è certamente più veloce che in passato.

Ma siamo però sicuri che la colpa di queste cadute sia da scaricare integralmente su bici, ruote, freni a disco..? O ci sarà anche dell’altro? I corridori hanno delle responsabilità?

Ne parliamo con Paolo Savoldelli, uno che in bici ci sapeva andare. Le sue discese sono antologia del ciclismo. Paolo, la sua tecnica se l’era costruita da bambino e l’aveva affinata nel corso degli anni, tra le categorie giovanili e il professionismo.

Savoldelli in discesa, terreno sul quale ha spesso attaccato… pur restando in sicurezza
Savoldelli in discesa, terreno sul quale ha spesso attaccato… pur restando in sicurezza

Questione di posizioni

A Savoldelli gettiamo sul piatto una nostra annotazione basata su osservazioni reali: i corridori tengono (quasi) sempre le mani sulle leve in discesa. E anche quando in gruppo nei finali di corsa si lima a 60 all’ora. In quest’ultima circostanza la visibilità cala parecchio e se la buca di turno, con le mani sulle leve, ti fa perdere la presa finisci a terra.

Emblema assoluto di questo tipo di caduta è Jens Voigt al Tour 2009 scendendo dal Piccolo San Bernardo: mani sulle leve, velocità elevata, avvallamento, caduta (rovinosa ed inevitabile) in avanti.

Prima di parlare direttamente delle mani, Savoldelli parte però dalle posizioni in bici. Anche perché, come vedremo, le due cose sono legate.

«La posizione – spiega il Falco Bergamasco – è cambiata completamente rispetto a quando correvo io, ma anche Moser o Bugno… Oggi sono tutti più corti e avanzati. Uno dei primi a proporre queste posizioni moderne fu Alberto Contador. Sicuramente oggi hanno visto che biomeccanicamente rendono di più, vanno alla ricerca dei watt, ma certamente questa posizione molto avanzata non è ideale per guidare bene la bici».

Adam Yates la sua posizione è il simbolo di quanto oggi gli atleti siano avanzati in sella
Adam Yates la sua posizione è il simbolo di quanto oggi gli atleti siano avanzati in sella

Quei telai su misura

Il baricentro è tutto più avanzato, e questo lo sosteneva anche il meccanico della Ineos Grenadiers, Matteo Cornacchione, mentre 20 anni fa si era ben più spostati dietro. Tra le altre cose Cornacchione diceva che Pidcock era meno spostato in avanti di altri. Tenete a mente questa frase e pensate a come va in discesa l’inglese…

«Certamente – prosegue Savoldelli – i materiali incidono, i telai e le ruote soprattutto sono più rigide. Oggi i telai stessi sono standard, mentre noi avevamo quelli su misura e questo era un valore aggiunto. Ma va considerato anche il fatto che oggi ci sono più dossi, più rotonde, più spartitraffico. Non si cade solo in discesa. E c’è più stress in gruppo e si commettono più errori. Insomma, per me le cadute sono da imputare ad un insieme di fattori».

Paolo Savoldelli fa un’analisi a 360° che è difficile non condividere, resta però aperta la questione delle mani sulle leve. E’ un dato oggettivo che se si mettono sulla curva della piega manubrio, proprio in casi di dossi, buche… il palmo della mano ha un’opposizione, un punto di tenuta (il manubrio stesso). Mentre se le si mette sulle leve questo punto viene a mancare.

E’ appurato che mettere le mani sulle leve e abbassare il busto è più aerodinamico che stare in presa bassa. Ma limando a centro gruppo la sicurezza ne risente
E’ appurato che mettere le mani sulle leve e abbassare il busto è più aerodinamico che stare in presa bassa. Ma limando a centro gruppo la sicurezza ne risente

Mani sulle leve

Se si osserva bene, nella famosa caduta dei Paesi Baschi che ha messo fuori gioco Evenepoel, Vingegaard e tanti altri, i primi atleti avevano tutti le mani sulle leve. Magari con le mani sotto qualcuno si poteva salvare. Tra l’altro ad innescare la caduta di massa è stato proprio Remco che con un avvallamento (una radice ci hanno riferito) ha perso il contatto col terreno e aveva le mani sopra.

«In teoria – dice Savoldelli – stando così corti e in avanti, mettendo le mani sotto dovrebbero allungarsi, ma poi la realtà è che si ritroverebbero ancora più schiacciati. Immagino sia per questo che cerchino costantemente la presa sulle leve».

«Poi è anche vero che alcuni atleti, come Evenepoel, magari difettino delle basi in quanto non hanno corso da giovani, ma guidare bene a certi livelli è anche una dote».

Quanti ragazzi, specie giovani, scendono con le mani sulle leve…
Quanti ragazzi, specie giovani, scendono con le mani sulle leve…

Compromesso necessario

Presa sulle leve e posizioni avanzate vanno di pari passo, ma è vero che comunque molti non guidino bene.

«Io – dice Savoldelli – ho notato per esempio che spesso i corridori si alzano sulla sella prima dell’ingresso in curva: è sbagliato. E’ una cosa che non si deve fare. In quel momento alleggerisci il peso, il controllo sulla bici. Ma io credo che questo dipenda dal fatto che appunto finiscano troppo in avanti e cercano di ritirarsi indietro. E per lo stesso motivo vanno a cercare le leve e non la curva della piega manubrio».

«Noi eravamo più distesi, con meno dislivello tra sella e manubrio e la presa bassa ci veniva più naturale».

Con le mani in presa alta il controllo è meno rapido e il baricentro si alza. E qui stando a quel che ci ha detto Savoldelli, dobbiamo spezzare una lancia in favore dei corridori: mettendo le mani sulle leve è vero che un po’ si alza questo baricentro, ma è anche vero che lo si riequilibra, in quanto si cade un po’ meno sull’anteriore.

Insomma, tenere le mani sulla piega è certamente più sicuro, ma con queste posizioni non è neanche così facile. 

Mas e i problemi in discesa. Savoldelli dice la sua

03.12.2022
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Nella sua ultima intervista rilasciata a Cyclingnews ripercorrendo il suo 2022, Enric Mas si è soffermato sui problemi riscontrati in discesa, soprattutto prima e durante il Tour: «Mi sono fatto prendere dal panico – ha confessato il corridore della Movistaravevo paura a ogni curva, così frenavo entrando in curve che puoi affrontare anche a 80 chilometri orari. E non importava quanto tempo e quanto terreno perdevo, perché in alcuni momenti faticavo anche a controllare la bici».

Mas è riuscito ad affrontare il problema con l’aiuto di uno psicologo e facendo esercizi mirati per un mese. Affrontando ripetutamente alcune discese riguardandosi poi al computer e lavorando dietro motori. Tanti spunti di discussione considerando anche che Mas non è certo il solo a soffrire le discese, c’è chi ha visto la propria carriera stoppata proprio dalla paura, con fughe vanificate curva dopo curva.

Abbiamo quindi pensato di rivedere le parole di Mas al vaglio di chi è da sempre considerato un maestro della discesa, Paolo Savoldelli che entra subito nel nocciolo della discussione parlando della “cura” adottata da Mas: «Se si tratta di affrontare discese e rivedersi può avere senso e utilità, ma seguire una moto in discesa proprio no. La moto piega in maniera differente a ogni curva, non ti dà assolutamente nulla».

Per Mas la discesa era diventata un problema. Ci ha lavorato un mese senza sosta
Per Mas la discesa era diventata un problema. Ci ha lavorato un mese senza sosta
Su che cosa bisogna lavorare allora?

Credo che il primo aspetto tecnico da affrontare sia la posizione in bici. Serve una posizione idonea e tutti, con i nuovi mezzi, hanno la tendenza a essere molto avanti sulla sella, cosa che non va assolutamente bene. Poi si può certamente lavorare sull’impostazione delle curve, su come usare tutta la strada per trovare la traiettoria migliore. L’intervista a Mas sottolinea però un aspetto: la paura.

Si può vincere?

Ecco, su questo ho qualche dubbio, ma sicuramente è l’aspetto maggiore sul quale lavorare. Se hai paura sbagli, è matematico, perché non sei freddo in bici, cambi traiettoria, alla fine rischi molto di più. La discesa è qualcosa che deve venire naturale.

Nibali è stato l’ultimo veramente in grado di fare la differenza in discesa (foto Getty Images)
Nibali è stato l’ultimo veramente in grado di fare la differenza in discesa (foto Getty Images)
E’ una dote, quella di saper andare in discesa, che si acquisisce da bambini, soprattutto con i giochi sulla bici, sull’equilibrio?

Sì, se si intende vincere la paura di cadere. Ma anche chi è arrivato subito alla bici da strada può riuscire, tenendo però presente un fattore importante: saper andare in discesa è innanzitutto una dote naturale, una di quelle cose che si fa anche fatica a spiegare. Io ho sempre saputo andare in discesa: ricordo che da bambini con gli amici io andavo e alla fine aspettavo sempre gli altri che finivano… Da junior, in una delle prime gare, la strada era bagnata: presi la discesa da primo della fila, pensavo di avere tutti dietro invece alla fine ero solo e con un vantaggio enorme.

Nell’affrontare la discesa bisogna avere un pizzico d’incoscienza?

No, neanche da bambini. Bisogna solo essere attenti e sapere che cosa fare. Anch’io ho avuto le mie cadute: una volta sono scivolato a 50 metri dal cancello di casa, non ho visto un sasso sulla mia traiettoria e sono volato via. L’imprevisto è sempre dietro l’angolo. C’è poi anche un fattore legato alle bici, che rispetto a quando correvo io sono molto più rigide per essere performanti e questo porta a perdere aderenza con più facilità.

Evenepoel non ha mai negato i suoi problemi nelle discese, ma col tempo è migliorato davvero tanto
Evenepoel non ha mai negato i suoi problemi nelle discese, ma col tempo è migliorato davvero tanto
Si può migliorare?

Con l’esercizio, soprattutto se si affronta da giovani. E’ importante perché in discesa sei in fila indiana e devi stare a ruota. Quello davanti può andare più veloce e allora lo perdi, oppure va più piano e allora ti fa da tappo e devi saperlo superare. Ognuno ha un suo limite, bisogna esserne consapevoli e sfruttarlo al meglio.

C’è nel ciclismo attuale un altro Savoldelli?

Se si intende qualcuno che possa far la differenza, direi di no. Io recuperavo minuti. L’ultima vera impresa in discesa l’ha firmata Jasper Stuyven alla Sanremo 2021, scendendo dal Poggio rischiò davvero tantissimo. Gli è anche andata davvero bene in qualche tratto.

Stuyven in picchiata dalla cima del Poggio. Una scelta coraggiosa che nel 2021 gli ha dato una grande gioia
Stuyven in picchiata dalla cima del Poggio. Una scelta coraggiosa che nel 2021 gli ha dato una grande gioia
Si è sempre parlato della discesa come il tallone d’achille di Evenepoel: secondo te può migliorare?

Penso di sì perché ha iniziato molto tardi ad andare in bici, per certi versi è ancora grezzo e ci si può lavorare. In sella Remco è molto rigido. Un esempio in tal senso è Froome: anche lui aveva iniziato tardi e inizialmente in discesa proprio non sapeva andare, poi si è esercitato ed era migliorato al punto che qualche volta ha anche attaccato.

In conclusione, l’esercizio deve essere qualcosa di imprescindibile per ogni ciclista?

Assolutamente, prendendolo anche come un divertimento. Io ad esempio quando mi allenavo affrontavo la picchiata da Rosetta a Lovere. C’era un tornante a U dove era obbligatorio frenare, ma questa cosa non mi andava giù. Io smettevo di pedalare, andavo giù per forza di gravità, ma volevo fare quella curva senza toccare la leva. Prova oggi, prova domani, alla fine ci riuscii e da allora non frenai più…