Gasparotto, debutto assoluto (e a sorpresa) alla Roubaix

14.04.2023
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Non senza sorpresa, la mattina del via della Parigi-Roubaix, a Compiegne ci siamo ritrovati di fronte Enrico Gasparotto. La sorpresa era reciproca, nel senso che anche il direttore sportivo della Bora-Hansgrohe non si aspettava di essere lì. Lo avevamo lasciato in ritiro al seguito della squadra.

Enrico era “teso”, ma anche incuriosito dal suo debutto assoluto nell’Inferno del Nord. Non aveva mai fatto neanche da corridore la corsa del pavè.

Enrico Gasparotto (classe 1982) non aveva mai preso parte alla Roubaix in 17 anni da pro’
Enrico Gasparotto (classe 1982) non aveva mai preso parte alla Roubaix in 17 anni da pro’
Insomma, Enrico, come è andato questo battesimo di fuoco?

Dico che c’è il ciclismo e c’è la Roubaix. E’ uno sport a parte. Era la prima volta che salivo sul pavé francese. Avevo fatto tutte, ma proprio tutte, le classiche del Belgio, ma mai la Roubaix, né avevo saggiato il pavé francese. E ora posso dire che è un livello di tutt’altra difficoltà, più duro, più complicato… E adesso ho un rispetto infinito per chi finisce questa corsa e ancora di più per chi va forte.

In realtà, non avevi fatto neanche la ricognizione…

No, ero in altura col gruppo Giro a Sierra Nevada. E poiché il Giro d’Italia per noi è un obiettivo primario, mi hanno detto di restare lassù con i ragazzi fino all’ultimo. Mi hanno avvertito il martedì prima della corsa, ma sono rimasto lì fino al venerdì. «Vieni a Roubaix per guidare», mi hanno detto. In pratica ho toccato il pavé per la prima volta direttamente in corsa.

E come è andato questo ingresso?

Dopo le prime “botte” ho chiesto subito: «Quanti settori mancano?». E poi sapendo che quello messo peggio di tutti era il Carrefour de l’Arbre ho chiesto: «Quanto manca al Carrefour?». 

Intervenire sui tratti in pavè era davvero complicato. Qui Marco Haller con una ruota bucata
Intervenire sui tratti in pavè era davvero complicato. Qui Marco Haller con una ruota bucata
Un bello stress…

Mentre andavamo verso il primo settore, ho fatto mille domande. Ho chiesto molti consigli, anche per la guida, per la macchina. Molti team hanno cambiato le ammiraglie, prendendo modelli più alti, noi invece abbiamo solo inserito la placca di ferro sotto la scocca per proteggere il motore e alcune parti meccaniche. E dovevo stare attento. Era un’auto abbastanza pesante: tre persone (Gasparotto, il primo diesse e il meccanico, ndr), ruote, bici, frigo pieni di borracce… Abbiamo cercato di togliere peso eliminando qualche attrezzo e altre cosine, ma era davvero poca roba.

Come si guida sul pavè?

Con tanti sobbalzi! Al primo settore riesci a stare sulla sinistra, poi però i corridori iniziano a staccarsi e quindi vai a destra. Chiaramente serve attenzione, molta attenzione. Io per esempio della corsa non ho visto nulla, ero concentratissimo a guardare la strada e gli specchietti. Solo negli ultimi 10 chilometri, quando il pavé era finito ho dato un paio di occhiate alla tv. Ma in Francia è pieno di quei dissuasori di velocità: ne ho preso uno e per poco dal tetto non perdo una bici!

Un bel jolly!

Devo dire che è stata un’esperienza davvero speciale e sono contento di averla fatta. Marco Haller prima del via, mi ha detto: «Gaspa è più sicuro correrla che guidarci dentro».

In seguito alla grande caduta avvenuta ad Arenberg, Gasparotto e la sua ammiraglia sono stai fermi 5′. Poi un vero show per recuperare
In seguito alla grande caduta avvenuta ad Arenberg, Gasparotto e la sua ammiraglia sono stai fermi 5′. Poi un vero show per recuperare
E tu che cosa ne pensi?

Adesso dico che preferisco guidare! Anche perché col mio peso avrei fatto molta fatica. Ma lo dico adesso, a 41 anni. A 25 se mi avessero detto: «Fai la Roubaix», sarei stato contento. E sarebbe stato giusto così. Ma sono orgoglioso di averla fatta… E di aver riportato intera all’arrivo proprio quella ammiraglia che guidavo.

Perché “proprio quella”?

Perché so che l’ha presa il nostro team manager, Ralph Denk. La sera prima mi ha detto: «Gaspa, attento che quella è l’ammiraglia che avevi al Giro sulla Marmolada, quando Jay (Hindley, ndr) ha preso la maglia rosa. Quella verrà a casa mia per ricordo». Insomma, una pressione in più!

Passiamo ad aspetti più tecnici. E’ tanto diverso che guidare in altre corse?

Parecchio diverso. Quasi tutti i team hanno molto personale a terra con ruote, borracce e qualche altra cosa, ma la bici per regolamento non può essere fornita da terra: solo l’ammiraglia può. E così nel convoglio delle auto spesso vedevo le seconde ammiraglie dei team che puntavano alla vittoria che ci sorpassavano o che ripassavamo noi. E noi eravamo la vettura numero 13.

E la giuria lascia correre?

La giuria non vede tutto. Impossibile. Non ci sono abbastanza occhi. E questo in parte succede anche al Fiandre.

Come si fa nel caso un atleta chiami l’ammiraglia?

Non è facile. O li trovi fermi a bordo strada o li raggiungi fuori dal settore di pavè. E infatti su asfalto devi guidare un po’ come un killer. Per esempio ad Arenberg siamo stati fermi 5 minuti, ma 5 minuti veri, e quando siamo usciti siamo andati a più di 100 all’ora per recuperare. 

Alla fine una bella esperienza, un’esperienza che ti ha arricchito: si percepisce anche dal tuo tono…

Sì, sì vero. Mi è piaciuto. Ho visto la Roubaix e adesso capisco perché è considerata in questo modo: bellissima. Prima del via che c’è un po’ di stress, ma poi le cose le fai. Di certo devi avere un po’ di abilità nella guida e ti deve piacere.

Besseges, il terzo giorno a Baroncini s’è accesa la riserva

08.02.2022
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L’altra faccia giovane dell’Etoile de Besseges, complementare a quella di Johannessen e Tiberi raccontata stamattina, è il debutto di Baroncini. Filippo è un neoprofessionista e, come il norvegese, lo scorso anno ha lasciato il segno fra gli U23 vincendo il mondiale di Leuven. Ha però un anno in meno e uno più di Tiberi, con cui condivide la maglia della Trek-Segafredo.

Il suo inverno era cominciato con una tendinite al ginocchio che lo ha bloccato per due settimane e alla corsa francese non doveva neppure andarci. Poi la positività di un compagno al Covid ha costretto la squadra a rivederne i piani. E il battesimo, originariamente previsto il 10 febbraio al Tour de la Provence, è stato anticipato di otto giorni. Ugualmente in Francia. La risposta alla prima domanda dà l’idea del clima di festa…

La squadra ha lavorato per Skujins dopo che Pedersen ha ceduto sul Mont Bouquet
La squadra ha lavorato per Skujins dopo che Pedersen ha ceduto sul Mont Bouquet
Come è andato il debutto?

Bene, a pecora per tutto il tempo (ride, ndr), però me lo aspettavo. Un po’ perché il livello era comunque alto, un po’ perché sono stato chiamato all’ultimo e mi sono mancati quei 10 giorni di rifinitura prima del debutto. Ma va bene così, sono contento di aver rotto il ghiaccio. Il ginocchio è a posto, si guarda avanti.

Livello tanto alto?

Abbastanza, per questo sono soddisfatto di me. Il primo giorno mi sono mosso bene nel ventaglio con Pedersen e gli altri. Il secondo ho tirato tutto il giorno perché Mads ci teneva a conservare la maglia e nel finale un po’ ho sofferto. Il terzo giorno ho tirato meno, ma più intensamente e si è accesa la riserva. Non sono al top. D’inverno soffro sempre un po’ a trovare la condizione. Ma poi quando carburo, mi dura a lungo.

Credi che il problema al ginocchio ti abbia rallentato?

Ho perso due settimane di allenamento che in un periodo di un mese e mezzo si sentono. Poco male, vorrà dire che avrò forze fresche più avanti.

In squadra come va?

Mi trovo molto bene, c’è tranquillità anche fra compagni, ma al contempo si lavora davvero al massimo livello. Il mio obiettivo principale di questa parte di stagione saranno le prime classiche del Belgio, dove non ci saranno Pedersen e gli altri, che entreranno in azione più avanti.

Stai parlando di Het Nieuwsblad?

Quelle lì e tutte le classiche fiamminghe che portano al Fiandre. Per allora dovrò tirare fuori un po’ di gamba e sono sicuro che arriverà. Andrò all’Algarve e troverò caldo e tappe lunghe che mi torneranno utili, anche per la Strade Bianche in cui mi piacerebbe farmi vedere.

Baroncini e Tiberi, due italiani giovani che hanno scelto la Trek-Segafredo per crescere
Baroncini e Tiberi, due italiani giovani che hanno scelto la Trek-Segafredo per crescere
Come è cambiata rispetto allo scorso anno la quotidianità alle corse?

Mi sembra tutto molto più rilassato. Le tappe partono più tardi, quindi la sveglia è tranquilla. Troviamo tutto pronto sul bus, possiamo lasciare su le scarpe e il casco che da dilettanti dovevamo portarci in albergo. Il bus è davvero una seconda casa, ha tutti i comfort…

Che effetto fa arrivare ai raduni e vedere la gente che vi aspetta?

E’ divertente, ci pensavo l’altro giorno. Li vedi sotto che fanno quelle facce di ammirazione e incuriosite. Ci fa sentire importanti.

I francesi sanno presentare bene i corridori, quante volte hanno raccontato del tuo mondiale?

Ogni giorno alla partenza, nell’intervista, e questo viene davvero apprezzato molto dal pubblico. Io sono un freddo, certe cose fanno piacere, ma per fortuna non si trasformano in pressione. Mi fanno sorridere, però.

Sul bus si fa anche la riunione prima di partire?

L’abbiamo fatta tutti i giorni tranne l’ultimo. Tatticamente ci siamo giocati la doppia opzione di Pedersen all’inizio e poi di Skujins che è stato bravo a rimanere in classifica. Sapevamo che nell’arrivo in salita Mads non avrebbe retto.

A proposito di crono, l’hai fatta forte o per portare la bici al traguardo?

L’ho fatta forte, non avevo mai spinto tanto forte con la nuova bici. Ho avuto buone sensazioni e buoni wattaggi, certo non al livello di Ganna (Filippo ha chiuso a 1’15” dal piemontese che ha vinto, ndr), ma sapevo che avrei sofferto perché 5 chilometri per me sono pochi. Distanza da prologhi, in cui soffro sempre. Ma voglio lavorarci, dedicarmi ad aumentare la capacità lattacida. Invece nelle crono lunghe per ora posso difendermi meglio e quella dell’Algarve sarà lunga 32 chilometri e sono curioso di provarci.

Nella crono, Baroncini ha pagato dazio a Ganna, ma i 5 chilometri erano pochi per le sue qualità
Nella crono, Baroncini ha pagato dazio a Ganna, ma i 5 chilometri erano pochi per le sue qualità
Come va sulla bici?

Bene, ho riportato le misure e non ho pensato di cambiarle, perché mi sembrano a posto così.

C’è stato un giorno di crisi vera?

Il terzo. Ho tirato e poi sono stato il primo a staccarmi. Mancavano 25 chilometri e ancora due salitelle. Ho sudato freddo. Ho continuato. E poi per fortuna ho incontrato Oliveira e Lawless e ho capito che con loro sarei rimasto nel tempo massimo. Anzi, mi dicevano di andare più piano, che non serviva tirare tanto…

Ti sei rimboccato le maniche?

C’è da lavorare, ma c’è anche una buona base. So in cosa devo migliorare. Nella sfiga di aver anticipato il debutto, sono contento perché ho rotto il ghiaccio. E adesso ho i primi riferimenti e le idee più chiare.

Zana-Mazzucco debuttanti, Rossato cosa dici?

28.10.2020
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La Bardiani Csf Faizanè era la squadra più giovane del Giro d’Italia. L’età media dei suoi otto ragazzi era la più bassa tra le 22 formazioni presenti. E tra questa infornata di giovani Fabio Mazzucco e Filippo Zana erano al debutto. Entrambi classe 1999 ed entrambi provenienti dalle fila della storica UC Trevigiani.

In questa nuova avventura tra i pro’ hanno avuto la fortuna di avere al loro fianco Mirko Rossato, direttore sportivo che li seguiva quando erano dilettanti.

Mirko Rossato, è tornato quest’anno alla Bardiani
Mirko Rossato, è tornato quest’anno alla Bardiani
Squadra di giovani, Mirko: più un limite o uno stimolo?

Da parte mia posso dire che è uno stimolo. Questi ragazzi hanno affrontato in 21 giorni, 21 tappe di esperienza. Ogni volta una cosa nuova. Bisognava gestirli in tutto e per tutto. Dalla gara all’alimentazione, dalla tattica al recupero… perché tempo per recuperare non ce n’era. Però il loro sogno era il nostro entusiasmo. Poi è chiaro che dall’altro lato non puoi pretendere molto. Sì, in qualche tappa intermedia cerchi di fargli prendere la fuga, ma pensando anche al giorno dopo. Se la tappa successiva è dura devi farli stancare il meno possibile, altrimenti rischiano di tornare a casa, di non stare nel tempo massimo.

Hanno vissuto dei momenti di crisi?

Mazzucco moralmente è sceso parecchio in alcune tappe. Fare una fatica tremenda solo per restare attaccato al gruppo non è facile. Dopo 7-8 giorni è sceso molto anche fisicamente. Ha avuto un calo non da poco. Il che ci stava, perché alla fine non aveva mai fatto gare coì lunghe. Al massimo aveva fatto la Tirreno. Poi un po’ si è ripreso. Con Roberto (Reverberi, ndr) ad un certo punto credevamo che non ce la facesse. Invece è stato bravo a tenere duro. 

E Zana?

Anche per lui non è stato facile. Filippo ha provato diverse azioni interessanti. Nella tappa di San Daniele del Friuli è entrato nella fuga ed era convinto di poter fare risultato. Poi però quando hanno davvero aperto il gas si è staccato. A fine tappa c’è rimasto male. E mi ha detto: cavolo, devo lavorare di più, tanto di più. E lui è un montanaro vero, parla poco. Rispetto a Mazzucco era un po’ più continuo. Ha mostrato un buon recupero. Inoltre è un ragazzo meticoloso.

Fabio Mazzucco, padovano, aveva vinto una tappa al Giro U23 2019
Mazzucco, padovano, aveva vinto una tappa al Giro U23 2019
Sono stati bravi alla fine…

Una cosa bella era proprio questa: sentirli parlare in prospettiva. La parola lavoro è stata la più usata da loro due. Non è facile ritrovarsi nella mischia, spingere al massimo solo per restare agganciati, tanto più se come loro due eri abituato a vincere tra i dilettanti. E questo è quel che è successo a Fabio Mazzucco nella tappa di Piancavallo. Una frazione che prima dell’ascesa finale prevedeva altre quattro salite. Quel giorno Fabio è arrivato con il gruppetto ad oltre 40′. Dopo l’arrivo, stremato, è scoppiato in una crisi di pianto.

Come mai?

Era sconfortato, ma sono situazioni che ti servono per crescere. Oggi per molti giovani può essere più facile, ma anche più difficile. Alcuni passano e vanno forte, vediamo chi ha vinto il Giro e il Tour. Per altri non è così. Però un grande Giro fa crescere il tuo motore ed averlo fatto in autunno crea più di altre volte una solida base di lavoro. In un paio di mesi non perdi tutto ciò che hai fatto. 

Tu e Reverberi insistevate sul riscaldamento. A Castrovillari notammo che li riprendeste. Perché? 

Oggi si parte sempre a tutta e cerchiamo sempre di far scaldare i ragazzi, soprattutto quando poi si inizia con una salita. Sono fasi in cui se resti dietro rischi molto. Non a caso uno dei giorni in cui erano più preoccupati era per la tappa dello Stelvio. Qualcuno di loro non ha neanche dormito la sera prima. Faceva freddo, si partiva in salita, la tappa era lunga e durissima. Quella mattina li ho visti scaldarsi per bene.

A Brindisi come è andata con i ventagli?

Hanno cercato di stare davanti, ma quella era una tappa in cui serviva esperienza. Dopo l’arrivo li ho visti con gli occhi spalancati. Proprio Zana e Mazzucco si guardavano e continuavano a ripetersi: mai vista una cosa del genere e tu? Nemmeno io, rispondeva l’altro. Al che gli ho detto: oh guardate che avete corso insieme tre anni, ve lo dovreste ricordare! 

Filippo Zana, vicentino, l’anno scorso ha vinto il Gp Capodarco
Zana, vicentino, l’anno scorso ha vinto il Gp Capodarco
Però adesso hanno un Giro nel sacco…

Sono esperienze importanti. Si parla sempre di WorldTour ma quanti ragazzi della loro età possono dire di aver fatto la Sanremo, la Tirreno, il Giro? Guardate che nelle squadre WorldTour se non sei all’altezza certe corse non le fai, neanche per fare il gregario. Per noi Mazzucco e Zana hanno del potenziale e abbiamo deciso d’investirci schierandoli in queste corse.

Tu che li hai sentiti parlare da chi sono rimasti colpiti?

Parlavano spesso di Almeida. Joao ha un anno più di loro e anche lui era passato per la Trevigiani. Senza contare che tra i dilettanti forse loro due avevano vinto più del portoghese.

E adesso cosa gli consigli?

Di riposarsi, ma senza ingrassare perché a dicembre si ricomincia a preparare la prossima stagione in vista delle gare di febbraio. Mi spiace che non potranno farsi neanche una vera vacanza visti i tempi.