Biagio Conte, Eolo Kometa

Fra il lavoro e la Padovani, riparte anche Conte

11.12.2025
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«Forse la mia soddisfazione maggiore – dice Biagio Conte senza mezza esitazione – sono stati gli anni passati come gavetta alla Marchiol, che era la squadra vivaio della Liquigas. Lì ho avuto modo di crescere ragazzi che poi hanno conosciuto tutti. Viviani, Cimolai, Guarnieri, Sagan. Insomma, ho avuto veramente grossissime soddisfazioni. Come poi il passaggio alla Liquigas. Ricordo la prima gara in ammiraglia, con accanto Mariuzzo che mi faceva da tutor. Il Giro del Friuli del 2010, che si concludeva qui a Sacile. Prima corsa e prima multa. Lui mi strillava di passare, io gli dicevo che c’erano i giudici. E la sera mi ricordo Amadio furibondo, anche perché arrivammo secondi con Guarnieri, dietro a Roberto Ferrari».

Biagio Conte è a casa malato, così ha dovuto prendersi dei giorni di malattia dal suo lavoro nelle macchinette da caffè automatiche. A breve ripartirà anche dall’ammiraglia del Team Padovani, cui ha offerto disponibilità a giornate. Dallo scorso anno, dato che forse a molti è passato inosservato, il suo nome è sparito dall’organico del Team Polti-Visit Malta. C’era arrivato quando si chiamava Eolo-Kometa, lasciando la Work Service di cui era direttore sportivo e in cui aveva ritrovato Davide Rebellin che era stato suo compagno fra i dilettanti. Nonostante il suo ruolo, non aveva saputo resistere alla chiamata di Basso e Zanatta, in una sorta di ricostruzione della vecchia Liquigas. Poi però per motivi economici, così ci racconta, il suo nome è stato tolto dal mazzo. Non gli chiediamo quanto guadagnasse.

Elia Viviani in una delle sue prime vittorie, al Giro delle Tre Province, ancor prima di passare professionista
Viviani vince il Giro delle Tre Province, sulla sua ammiraglia c’è Biagio Conte, ex pro’ classe 1968
Elia Viviani in una delle sue prime vittorie, al Giro delle Tre Province, ancor prima di passare professionista
Viviani vince il Giro delle Tre Province, sulla sua ammiraglia c’è Biagio Conte, ex pro’ classe 1968
Hai già avuto modo di unirti alla Padovani?

Non ancora. Quando hanno fatto i primi ritiri per le visite, ero a trovare i parenti in Sicilia, ma conto di esserci per il prossimo. Cercherò di essere presente nei weekend, perché con il lavoro non posso prendermi troppi giorni, soprattutto in previsione di eventuali corse a tappe. Lavoro sempre sulle macchinette del caffè, giro tutto il giorno col furgone. Dopo la fine con Polti, mi ha chiamato un amico e mi ha offerto un contratto a tempo indeterminato, che ho accettato subito. Ho bisogno ancora di raggiungere i contributi per la pensione, così quando Ongarato mi ha proposto di unirmi alla Padovani, ho offerto la disponibilità che posso. Dovrebbero mancarmi due anni alla pensione, ma devo verificare bene.

Ti aspettavi che la tua carriera nel professionismo si fermasse così?

So che hanno inserito Gavazzi e che Maini è andato alla MBH Bank, dove magari gli avranno fatto una proposta migliore, perché quella che aveva in Polti era la stessa che io ho rifiutato. Ci sono rimasto abbastanza male, perché eravamo partiti con un progetto cui ho voluto credere e partecipare, ma alla fine mi pare che le cose non stiano andando come si era pensato.

Con Pellizotti e Basso, nel ritiro invernale di Passo San Pellegrino 2009-2010 con la Liquigas: Conte è un diesse al debutto
Con Pellizotti e Basso, nel ritiro invernale di Passo San Pellegrino 2009-2010 con la Liquigas: Conte è un diesse al debutto
Con Pellizotti e Basso, nel ritiro invernale di Passo San Pellegrino 2009-2010 con la Liquigas: Conte è un diesse al debutto
Con Pellizotti e Basso, nel ritiro invernale di Passo San Pellegrino 2009-2010 con la Liquigas: Conte è un diesse al debutto
Troverai facilmente le motivazioni per ripartire da una continental?

Credo che alla fine se sei appassionato del tuo lavoro, vuoi farlo per bene. Che sia una continental o uno squadrone, ci tieni a portare la tua esperienza, quello che hai imparato in questi anni. Così penso che la motivazione sia al massimo, ne sono certo.

L’obiettivo è tornare nel professionismo?

Onestamente? Non lo so. Mi sono reso conto che il professionismo è una parte importante della mia vita, tutto quello che vuoi, però mi ha portato via anche parte della vita in famiglia. Mi sono reso conto che quest’anno, rimanendo a casa e lavorando, mi sono goduto i weekend con mia moglie. Ho potuto riassaporare la vita familiare. Ma a monte di tutto, l’obiettivo è raggiungere la serenità da pensionato. E poi può darsi che mi venga la voglia di rimanere nell’ambiente e continuare questo tipo di lavoro. Magari per allora avrò anche più tempo e disponibilità, anche se alla Padovani ho detto che farò tutto al 100 per cento. Non faccio mai le cose a caso, mi piace fare tutto bene.

Conte è arrivato alla Padovani per la chiamata di Alberto Ongarato. Affiancherà Dimitry Konychev (photors.it)
Conte è arrivato alla Padovani per la chiamata di Alberto Ongarato. Affiancherà Dimitry Konychev (photors.it)
Hai già un calendario per la prossima stagione?

Abbiamo un calendario in generale e naturalmente stiamo aspettando la risposta da parte degli organizzatori. Io ho dato disponibilità i sabati e le domeniche, perché nei giorni feriali sarò a casa a lavorare e magari prenderò le ferie per qualche corsa a tappe cui dovessimo partecipare. Penso alla Coppi e Bartali, al Giro di Sardegna o quello della Magna Grecia. Ci sono tante corse.

Sei stato nel WorldTour, poi nella professional, ora torni in continental: quale può essere il ruolo di queste squadre?

Qualche regola è cambiata, quindi può darsi che le continental del 2026 possano aspirare a più spazi grazie ai quali contrastare meglio i devo team. Ci sono continental che lavorano bene, come la Padovani e la Colpack che è salita al professionismo con MBH Bank. Dobbiamo fare il massimo perché i ragazzi crescano. Certo non si ha il budget di una WorldTour, però si cerca ugualmente di fare tutto al meglio. E devo dire che mi piace tanto l’idea di farne parte.

Il pranzo della Liquigas, ritorno alle origini del ciclismo di oggi

05.12.2024
5 min
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E’ ormai un decennio che a fine stagione ciclistica i “vecchi” del Team Liquigas si rivedono a un pranzo per confrontarsi, raccontare le reciproche esperienze e lasciarsi andare ai ricordi. Un appuntamento fisso, al quale ogni componente non vuole mai rinunciare, nonostante ci siano ancora impegni e già il telefono è rovente per preparare la nuova stagione. Perché non è un caso se molti di loro sono rimasti nel mondo del ciclismo e sono andati a spargere esperienza in altri team del WorldTour.

Il Team Liquigas ha corso dal 2005 al 2012, poi altri due anni come Cannondale
Il Team Liquigas ha corso dal 2005 al 2012, poi altri due anni come Cannondale

Un gruppo ancora unito

Chi ha fatto una scelta diversa, ma solo sotto certi aspetti è Roberto Amadio, attuale team manager delle squadre nazionali ma per 8 anni alla guida del team, che a questo evento tiene in maniera particolare.

«Abbiamo deciso di rivederci praticamente appena abbiamo chiuso le nostre carriere – spiega – ma è stato un fatto conseguente a tutto quello che avevamo stretto in quegli anni. Infatti sin da subito si era creato un gruppo unito che ci ha portato a rimanere legati negli anni. Nel corso della stagione ci sentiamo spesso, ci messaggiamo, fra chi è nell’ambiente e chi ne è uscito. Quest’anno poi abbiamo deciso di rivederci a Cellatica per andare in visita alla Casa Museo della Fondazione Paolo e Carolina Zani, è stato un momento intenso e carico di ricordi».

Una delle sale della bellissima Casa Museo di Cellatica (foto Mariotti)
Una delle sale della bellissima Casa Museo di Cellatica (foto Mariotti)
Che cos’è che ha reso quell’esperienza così importante, radicata nel tempo?

Io credo che la risposta sia da cercare nel come quell’esperienza è nata. Venne creata una struttura che era alla base del team, fatta di dirigenti e professionisti seri e molto competenti nel loro settore. Per avere tutto al massimo, dal punto di vista meccanico, logistico e non solo. Era stato formato un personale altamente qualificato e quello è fondamentale, perché i corridori vincono e passano, ma la gente che lavora nel team resta. Ed è lì che si è formato il nocciolo duro del team e che era alla base dei successi.

Sembra la ricetta ideale del ciclismo moderno, dove le prestazioni nascono dall’impegno del preparatore, del nutrizionista, dello psicologo…

E’ vero, si può dire che abbiamo precorso i tempi con la nostra esperienza. Ricordo ad esempio che allora venne introdotto proprio dal nostro team il concetto dell’allenamento in quota, allora ancora nessuno lo faceva. L’idea di base era di mettere il corridore nelle condizioni di rendere al 100 per cento. Era un bel gruppo, solido, profondamente legato, infatti in quel decennio che ho trascorso in squadra le persone che facevano parte dello staff erano pressoché le stesse. Questo contribuiva perché si formasse un gruppo di amici per il quale andare alle corse era una festa e questo valeva per gli stessi corridori.

Roberto Amadio con Jonathan Milan, è la festa per il bronzo olimpico del quartetto, una delle perle della sua gestione
Roberto Amadio con Jonathan Milan, è la festa per il bronzo olimpico del quartetto, una delle perle della sua gestione
Quel metodo si è tramandato nel tempo?

Sicuramente e noi, ognuno nel proprio ambito, ognuno nel proprio cammino abbiamo contribuito a diffonderlo. Se guardate bene ci sono tanti aspetti che si rivedono in tutti i team di oggi: la cura del calendario, la crescita graduale di un atleta sia nelle sue prestazioni ma anche a livello umano. Sono cose che oggi sono nella prassi, allora no, era una metodologia in fieri.

Hai cercato di metterla in pratica anche in un ambito completamente diverso come quello della nazionale…

E’ vero, ma è un processo lento, graduale perché parliamo di qualcosa di profondamente differente, non c’è quella quotidianità che vivi in un team, dove anche quando non corri insieme, non sei in ritiro, comunque attraverso il telefono e gli altri strumenti sei collegato. La Federazione è poi un sistema a comparti chiusi, ognuno lavora nel suo ambito con il suo staff, ma io ho pensato che si poteva portare intanto quella mentalità famigliare e al contempo professionale. Il concetto che si fa parte di una squadra unica, a prescindere da quale sia la disciplina in esame. Tutti ne facciamo parte e credo che le soddisfazioni che abbiamo vissuto in molte occasioni, in qualsiasi categoria, siano figlie di quel lavoro comune.

Che atmosfera c’è in quei momenti conviviali?

Sembra che non ci siamo mai lasciati e che torniamo i ragazzi di allora. Poi il tempo passa, c’è chi va in pensione ma viene comunque spesso chiamato in causa, chi invece dopo aver chiuso con il lavoro vuole giustamente dedicarsi ad altro, vedi Dario Mariuzzo e Luigino Moro che sono andati in pensione quest’anno. Così si finisce che chi ha chiuso prende in giro chi invece deve ancora tirare la carretta… E immancabilmente si finisce con il brindisi a suon di «Zigo-Zigo, Zigo-Zigo! Mi no pago, mi no pago! Hey hey hey – Hey hey hey!». Ora lo fanno in tanti team perché lo abbiamo esportato noi, ad esempio Sagan lo aveva inculcato nella Bora Hansgrohe e quando vincono festeggiano con il canto mutuato da noi. Ma è meglio la versione veneta inventata da Dario…

Se riguardi indietro alla tua esperienza in Liquigas quale giorno ti viene in mente come il più felice?

E come si fa a sceglierne uno? Abbiamo vissuto e partecipato a tante vittorie, tante imprese, basti pensare la Vuelta di Nibali, ma anche le vittorie al Tour di Sagan. E’ come se fossero tutte foto ricordo da mettere assieme in un album immaginario, che io custodisco gelosamente nella mia memoria perché quando vinceva uno, vincevamo tutti e ognuno di noi le sente come vittorie proprie.