EDITORIALE / De Rosa e l’italiano che non ci basta più

27.03.2023
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Anche se ormai sembra impossibile fare un discorso privo di termini inglesi, quasi che il ricchissimo dizionario di italiano improvvisamente non basti più, c’è stato un tempo in cui tutto ciò che fosse tricolore era vanto e ispirazione. Nel ciclismo soprattutto. La scomparsa di Ugo De Rosa, che se ne è andato ieri a 88 anni (in apertura, foto De Rosa), è diventata l’occasione per ripercorrere gli ultimi 30 anni di storia della bicicletta, intensi come una lunga volata.

L’azienda è ora sulle spalle di Cristiano e Danilo De Rosa e dei loro figli (foto De Rosa)
L’azienda è ora sulle spalle di Cristiano e Danilo De Rosa e dei loro figli (foto De Rosa)

Sette giorni in officina

Era il 1992 quando ebbi l’occasione di vivere per una settimana a Cusano Milanino, nell’officina del signor Ugo, accanto a sua moglie Maria e ai suoi figli, per un’intuizione del mio direttore di allora. I colossi taiwanesi e di riflesso quelli americani non erano ancora diventati così predominanti. Si ragionava sullo sviluppo dell’acciaio, si cominciava a saldare il titanio, l’alluminio era la scelta dei corridori e si respirava l’arrivo potente del carbonio. Sapevamo bene che sotto la vernice di alcune bici d’altra marca in mano a grandi campioni, ci fosse una De Rosa. Ancora si poteva e veniva fatto regolarmente.

Il signor Ugo indossava un camice azzurro, ne percepivi la severità e insieme la passione per il suo lavoro: non puoi avere cura di un’azienda, se non riesci ad essere severo nel pretendere la stessa cura dai tuoi collaboratori.

Attorno a lui operavano i tre figli. Cristiano, che già allora possedeva le chiavi del marketing. Danilo, figura trasversale e primo tester delle biciclette. Doriano, bravissimo a saldare il titanio. Le De Rosa erano e sono bici di lusso. Eppure nelle sue parole traspariva una concretezza un po’ perplessa.

«Una decina di anni fa – raccontò in uno di quei giorni del 1992 – la bicicletta più bella costava poco più di un milione, che era lo stipendio medio di un operaio qui in Lombardia. Oggi una bella bici costa tre milioni e mezzo, quindi tre volte quello stipendio che nel frattempo è rimasto uguale. Ho sempre osservato chi veniva a comprarsi una De Rosa. Se veniva un operaio, capivi che aveva risparmiato e si stava facendo un regalo bellissimo. Oggi tanti hanno il cappotto con le toppe sui gomiti, perché soprattutto se hanno famiglia, quel risparmio non è più così semplice».

Alta gamma regina

Raccontiamo di biciclette bellissime, che costano come e più di automobili di medio livello. Eppure gli stipendi degli operai sono rimasti identici, seppure convertiti in euro. Ci mancherà non poterne ragionare con Ugo De Rosa, per dare una nuova dimensione allo sport della bicicletta, diventato negli ultimi anni un movimento di elite. Basta parlare con chi le vende, per sentirsi dire che dopo la fiammata del Covid, le gamme medie ormai sono ferme, mentre si vendono tantissimo le bici di altissima gamma.

Prevedendo ciò che forse sarebbe successo, perché Ugo De Rosa aveva le mani d’oro e il naso sopraffino, una volta ci confidò di aver chiesto a suo figlio Cristiano di verificare sulle riviste gli annunci di bici usate.

Ugo e Maria sono stai compagni di tutta la vita. Dal loro matrimonio sono nati tre figli: Danilo, Doriano e Cristiano
Ugo e Maria sono stai compagni di tutta la vita. Dal loro matrimonio sono nati tre figli: Danilo, Doriano e Cristiano

«Sono sempre curioso – disse – di capire quali sono le bici che la gente dà indietro e dopo quanto tempo. Divento anche più curioso quando vedo che un nostro cliente ha messo in vendita una bici De Rosa. Vorrei sapere perché lo ha fatto. Tutto serve per migliorare. Sono convinto che la bicicletta abbia enormi margini di miglioramento e mi piace ancora far parte del suo futuro».

Un allievo di nome Eddy

Una sera, alla fine di quella settimana, il signor Ugo mi invitò a cena a casa sua. E prima di sederci a tavola, mi portò al piano terra dove tutto lasciava pensare a un’officina. Era stata quella infatti la prima sede dell’azienda e aveva preferito lasciare tutti gli attacchi pronti, perché chi può sapere come andranno le cose? Là sotto aveva passato giorni interi Eddy Merckx, che per le bici con il suo nome aveva chiesto supporto al vecchio amico.

La sua presenza in azienda non è mai venuta meno (foto De Rosa)
La sua presenza in azienda non è mai venuta meno (foto De Rosa)

Di quell’artigianato così curioso e prezioso forse De Rosa è rimasto l’ultimo esponente che ancora non sia stato acquistato da fondi o magnati da altre parti del mondo. Prima Bianchi. Poi Pinarello. Più di recente è toccato a Colnago. Non si tratta di fare i romantici: sappiamo bene che le iniezioni di capitali permettono di investire in tecnologia e sviluppo. Resta da capire se questo sia necessario anche per restare nella nicchia dell’artigianato di alta gamma, resistendo alla tentazione di inseguire i colossi sulla via di un livellamento pazzesco verso l’alto. I campioni hanno bisogno di mostri da competizione, gli amatori potrebbero volersi accontentare di un gioiello. Anche di questo ci sarebbe piaciuto parlare con il signor Ugo, nostro maestro di ciclismo.

De Rosa, come si conquistano i ciclisti post lockdown?

04.02.2021
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Quello che è successo negli ultimi mesi, il lockdown e l’impossibilità di fare programmi attendibili è servito a schiodare un meccanismo e un modo di pianificare il lavoro che secondo Cristiano De Rosa non apparteneva alla cultura italiana.

«A marzo si presentava la collezione – dice – a giugno si facevano gli ordini e a settembre eravamo nei negozi. Un cliché molto americano o tedesco, che risente del fatto che per i telai in carbonio c’è bisogno di una pianificazione più lunga. Ma per noi che abbiamo anche quelli di metallo e li costruiamo in casa, significava avere le mani legate. Per cui è stata una soddisfazione poter presentare qualche modello al di fuori da questi schemi. Parlo dell’Hera Gravel in titanio e l’Anima. Quanto durerà? Non credo si possa parlare di un’onda destinata a calare. Piuttosto, vista la quantità di persone che hanno scoperto la bicicletta dal lockdown in avanti, parlerei di un mercato in crescita».

Cristiano De Rosa con suo padre Ugo, che fondò l’azienda nel 1953
Cristiano De Rosa con suo padre Ugo, che fondò l’azienda nel 1953

Seconda puntata

Prosegue la galleria di incontri che bici.PRO dedica agli attori protagonisti nel mercato delle biciclette del WorldTour. Nel post lockdown si sono trovati a fronteggiare una situazione certamente inattesa, che ha proposto loro una sfida estremamente stimolante. Quella di allargare subito e in modo quasi violento il proprio bacino di utenti, cercando di accontentare tutti senza venir meno al proprio ruolo di riferimento. Dopo aver parlato ieri con Ermanno Leonardi di Specialized, è oggi la volta di Cristiano De Rosa dell’omonima azienda milanese, che equipaggia la francese Cofidis.

Singolare e un po’ triste che per lanciare così forte la bici sia servito un periodo così buio…

E’ quello che stavo per dire, cerchiamo almeno di prendere il buono. Negli ultimi sei mesi, abbiamo consegnato quello che normalmente era previsto fino a metà 2021. Quello che è poco simpatico è trovarsi a consegnare a 6 mesi perché mancano ad esempio i componenti. Non è rispettoso nei confronti del cliente.

In che modo questo nuovo mercato incide sulla vita di De Rosa?

Il lato della mobilità dolce non ci compete, ma il bello dell’andare in bici è affar nostro. Dipenderà da come sapremo organizzarci anche sul piano della comunicazione. Dovremo essere bravi a dare sempre il prodotto giusto senza farci prendere dall’entusiasmo di cavalcare l’onda. Lontani da dichiarazioni che sembrino un po’ ridondanti. Ieri per la prima volta da tempo sono andato a farmi una salita di 20 chilometri. E il piacere di uscire dopo il periodo in zona rossa è qualcosa che dobbiamo essere capaci di trasmettere.

Il neofita post lockdown, prima va da Decathlon e poi semmai arriva nella vostra boutique…

Sicuramente, si sta componendo una base di praticanti che va osservata. Ci saranno sicuramente quelli che vorranno fare il passo successivo, perché magari avranno apprezzato la bici bella in mano a un compagno di uscita, oppure il gusto della velocità. Di sicuro, proprio in riferimento alle belle bici e alla velocità, non ci meritiamo le brutte strade su cui pedaliamo.

Christophe Laporte ha vinto con De Rosa la prima tappa dell’Etoile de Besseges a Bellegarde
Laporte ha vinto su De Rosa la 1ª tappa dell’Etoile de Besseges
Come si fa a intercettare il nuovo pubblico?

Ci sono due modi, a mio avviso. I social, di cui si deve fare un uso accorto. E poi i negozi, che devono sempre più convertirsi in una community. Luoghi in cui si facciano interventi meccanici, ma dove i meno esperti possano entrare in contatto con chi va in bici da più anni e può raccontare di percorsi, strumenti, metodi di allenamento, come vestirsi, quali rapporti scegliere. Il ciclismo è passato dall’essere uno sport di sola fatica a essere figo e contemporaneo. Se si riesce a portare questa percezione nei negozi, ecco il secondo canale di cui parlavamo.

Eppure De Rosa sta riducendo i punti vendita sul territorio italiano, come mai?

La rete vendita si è molto assottigliata, perché ci piace interagire direttamente con i consumatori. Nel nuovo sito c’è la possibilità di dialogare quotidianamente con noi, creare anche appuntamenti virtuali. Parlare con l’utilizzatore è il modo più giusto, poi tutto passa alla rete vendita. La nostra Newsletter ha 45 mila iscritti e questo ci permette di valutare l’impatto delle azioni che facciamo, che cosa vogliono sapere, che cosa possiamo dire e con quali persone farlo. Ieri ero con il direttore di un grande negozio e mi diceva che arrivano persone confuse, che fanno domande che ti spiazzano. Il negoziante deve essere bravo a gestirle.

L’Anima (nella foto) e la Hera gravel in titanio sono state presentate al di fuori delle fiere
L’Anima in titanio è stata presentata al di fuori delle fiere
La mobilità dolce non è affar vostro, ma siete arrivati anche voi sull’e-bike.

All’inizio non ero troppo favorevole, ma ci siamo tutti resi conto che la pedalata assistita ha portato un gran numero di persone nuove, soprattutto dopo il lockdown, meritevoli di attenzione come tutti gli altri. Lo stesso si può dire ad esempio per la Gravel. Bisogna essere sul pezzo, la durata di questo fenomeno dipende da noi.

Come la mettiamo con la fornitura di gruppi dall’Oriente?

E’ ancora pesante, con un’aggravante supplementare. Shimano sta per uscire con i nuovi modelli e la gente fra un po’ vorrà il nuovo Dura Ace e non saprà cosa farsene del vecchio. Sono componenti costosi, per cui non si può prendere in giro il cliente, proponendo i gruppi vecchi. Anche le nostre bici costano parecchio ed è facilmente immaginabile che se qualcuno riesce ad affrontare il sacrificio per comprarne una, ha il diritto ad avere tutto il meglio.

VIDEO/In De Rosa, per scoprire la bici di Viviani

11.12.2020
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Un caffè nella sede dell'azienda milanese con il signor Ugo De Rosa e i figli Cristiano e Danilo. Giusto al mattino erano partite le ultime bici per la Cofidis. E bici.PRO si è fatto spiegare perché la bicicletta di Elia Viviani in realtà non è uguale alle altre.

Tutte le mattine alle 7,45 Cristiano De Rosa apre i cancelli dell’azienda e aspetta l’arrivo degli operai. Cusano Milanino è sospesa tra un filo di paura e la necessità di lavorare. Il signor Ugo, fondatore nel 1953 della Cicli De Rosa, si affaccia quando capita e sempre avendo cura di proteggersi al meglio. Sua moglie Mariuccia invece esce come se nulla fosse, va in ufficio e si fa carico come sempre delle fatture.

Stamattina sono partiti gli ultimi furgoni della Cofidis, con le bici per i dieci nuovi arrivati. E la curiosità di questa immersione in azienda è proprio capire in che modo l’esperienza di un team si traduca in vantaggi tecnologici per chi le bici le produce. Partiamo da qui, ma il discorso prenderà le direzioni più disparate.

«Oggi i rapporti con le squadre – dice Cristiano – sono diversi da una volta. Ci sono i direttori sportivi e i capi meccanici. Alcuni lasciamoli stare, per fortuna ci sono quelli che studiano le caratteristiche dei prodotti e si documentano. E poi ci sono i corridori come Elia Viviani, cui potrei chiedere tranquillamente consulenze sui materiali, certo che me le darebbe. Lavoriamo quotidianamente per corridori come lui, per cercare l’evoluzione e la performance del carbonio ad alto modulo e delle resine. La bici di un professionista, che poi è la bici che va in produzione, deve essere sicura, guidabile e leggera. Una volta non era così».

De Rosa, 2020
Cristiano De Rosa, nel suo ufficio al primo piano di via Bellini
De Rosa, 2020
Cristiano De Rosa nell’ufficio al primo piano
Perché, com’era una volta?

C’è stata una fase storica da cui tutti noi siamo nati in cui, grazie all’immensa sapienza di alcuni artigiani fra cui mio papà, si puntava unicamente alla leggerezza. Oggi abbiamo parametri che ci consentono di valutare la flessione e la deformazione di ogni parte del telaio. Un po’ come le Superbike, che sono le stesse moto di produzione. Noi qui produciamo soltanto biciclette del servizio corse, con un approccio diverso rispetto ad allora. Le bici di oggi vanno forte e non è un caso che i terreni in cui si decidono tante corse siano la discesa e le crono, cioè le fasi in cui le bici sono spinte al limite.

Un atleta come Viviani entra anche nel discorso delle geometrie della sua bici?

Il discorso non è legato tanto ad angoli e misure, quanto piuttosto al bilanciamento del telaio e al fatto che non disperda potenza. Elia fa 1.500 watt, ha bisogno che la sua bici vada dritta anche quando lui dà il massimo. Ci sono software che permettono di capire come rinforzare le scatole del movimento centrale. Una volta mio padre per la bici di un velocista metteva un tubo più grande. Noi oggi ragioniamo sull’aumento della quantità di carbonio e di conseguenza della resina, che fa aumentare il peso.

Rigidità contro leggerezza?

Per uno come Viviani serve qualcosa di più nella scatola. Quindi qualche pezza in più di carbonio ad alto modulo e resina leggera. Abbiamo uno stampo solo per lui, anche se una bici così me la sono fatta anch’io. Certe cose sarebbe quasi meglio non dirle in squadra, per evitare che si creino gelosie. Abbiamo scoperto grazie a Pininfarina che differenza ci sia fra una bici bella e una bici performante.

Qual è?

Ci sono dei software ideati per altri contesti che permettono di valutare in modo completo l’efficienza di una bici. Veniamo da abitudini sanissime, dettate dall’esperienza, ma quando si punta sulla performance serve conoscenza. Fra la prima SK e la seconda, io preferivo la prima, perché mi piaceva di più la sezione del tubo orizzontale. Eppure, dati alla mano, ci hanno dimostrato che per prestazioni vince la seconda. E a quel punto non c’è stato più nulla di cui parlare.

Hai detto: veniamo da abitudini dettate dall’esperienza…

Per fare le bici oggi devi avere un background da… metallaro. L’acciaio, l’alluminio e il titanio. Costruire telai con i tubi e con i vari materiali ci ha permesso di capire tante cose, arrendendoci davanti al fatto che soltanto il carbonio ha permesso di cambiare il disegno dei tubi.

De Rosa Sk, Elia Viviani, Cofidis 2021
Sul lato destro, il ricordo del campionato europeo
De Rosa Sk, Elia Viviani, Cofidis 2021
A destra, il ricordo del titolo europeo
De Rosa Sk, Elia Viviani, Cofidis 2021
Sul fianco sinistro il richiamo alla vittoria del tricolore
De Rosa Sk, Elia Viviani, Cofidis 2021
A sinistra il ricordo del tricolore
Il peso ha smesso di essere l’unica bussola in De Rosa?

Il peso va ragionato e dipende da come viene ripartito. Possiamo fare un telaio da 300 grammi e arrivare a 6,8 chili soltanto con i componenti. Oppure un telaio da 3 chili e arrivare al peso con tutto il resto. Abbiamo la fortuna di lavorare con aziende molto preparate. In Campagnolo sono maniacali per l’affidabilità di ogni parte che producono, per cui sappiamo che quello è il peso necessario perché il componente non si rompa. Detto questo, non è scritto da nessuna parte che 6,8 sia il peso giusto. Una bici può andare bene anche a 7-7,1 chili, ma trovi corridori e manager fissati che per prima cosa la sollevano. Preferirei atleti consapevoli dei vantaggi che una bici può dargli. Non è nemmeno bello avere la bici leggera e doverci mettere dentro i pesi. Di sicuro la bici di Pozzovivo non dovrebbe pesare come la bici di Ganna, giusto per fare due nomi a caso.

Quante bici date alla Cofidis?

Lo scorso anno 212. E se si pensa che i produttori di componenti faticano a consegnare e che le bici di scorta non le hanno mai toccate, per alcuni il 2021 comincerà con le bici intatte del 2020. Di fatto la prossima stagione durerà 15 mesi. Questi ultimi tre del 2020 e i 12 del 2021. Piuttosto, avete visto che bella annata è venuta fuori? Okay che il lockdown ha stravolto la preparazione degli atleti più esperti, ma Tour, Giro e Vuelta sono stati spettacolari come non succedeva da un po’. Belli tutti questi giovani. C’è chi dice che potrebbero durare di meno, ma è così importante che arrivino a 40 anni?

Si è anticipato un po’ tutto. Basta che non si scateni la caccia ai ragazzini, che per arrivare prima al top, magari smettono di studiare…

Sono d’accordo. Le squadre satelliti dei team WorldTour dovrebbero investire sulla formazione dei giovani. Perché se non studiano, non sono neanche in grado di svolgere la loro funzione di personaggi pubblici e testimonial. Lo fanno in altri sport, dovremmo farlo anche noi.

Avete vantaggi dalla presenza nel WorldTour?

Non esiste uno strumento che possa dirlo esattamente. Era stato fatto uno studio secondo cui soltanto due o tre squadre garantivano un ritorno. Noi siamo contenti di Cofidis e della collaborazione con un tecnico come Damiani. Abbiamo aumentato le vendite in Francia, ma anche in Indonesia. Questo per dire che in alcuni mercati il messaggio del professionismo non arriva e neppure serve. In Giappone, ad esempio, in cui vendiamo da 50 anni, conta il modo in cui ti sei comportato. Dovrebbe essere sempre così, in fondo…