Ci sono immagini che restano stampate indelebilmente nella mente di un appassionato di ciclismo. Eddy Merckx in maglia Molteni è una di queste, anche perché con quella maglia il Cannibale vinceva tutto. Il nome Molteni grazie al belga ha fatto il giro del mondo, in una storia che dal 1958 al 1976, anno della chiusura della squadra, ha contrassegnato lo sport delle due ruote. Anche chi non ha vissuto quelle epiche stagioni sa che cos’era la Molteni. Forse di rimando sa anche che era il nome di un’azienda di salumi famosa nel mondo e che ha chiuso i battenti nel 1986.
Mario e Pierangela, per ragioni anagrafiche, hanno vissuto quell’epopea “di striscio”: «Io ricordo bene però le volte che mio padre Pietro ci portava alle gare – racconta Mario – trasmettendomi quell’amore per il ciclismo che è rimasto sempre con noi. In quel quasi ventennio abbiamo ricevuto tantissimo, era un dovere per noi restituire qualcosa a questo meraviglioso mondo: per questo è nata la Fondazione Ambrogio Molteni, in onore di mio nonno che fondò la squadra».
Serlini, storia di dolore e speranza
La Fondazione è nata nel 2018, in una lussuosa serata a Londra non solo per celebrare i 60 anni della nascita di quello storico team, ma per dare un concreto aiuto a persone che hanno vissuto di ciclismo e che per varie ragioni sono diventate deboli al cospetto della vita, bisognose di un sostegno.
«Noi siamo sempre rimasti proprietari del marchio Molteni – prosegue Mario – anche se l’azienda con quel nome non esiste più (in realtà la famiglia ha un altro piccolo salumificio a Milano, con altro nome, ndr). Da più parti ci sono sempre arrivate richieste di sponsorizzazione, ma non era quello che ci interessava. Volevamo qualcosa di diverso, teso a dare un aiuto concreto a chi davvero ha necessità».
Il primo caso, nel 2019, è stato quello di Angelo Serlini, bresciano classe 1998, campione lombardo esordienti su pista, un futuro che poteva essere radioso sulle due ruote ma che si è spezzato il 17 novembre 2012 per un terribile incidente in Mtb. Rimasto in coma due settimane, con le speranze dei familiari che si scontravano con la realtà dello stato vegetativo al quale sembrava condannato, nel 2013 Angelo ha ricominciato ad affacciarsi alla vita, riguadagnandone ogni giorno un pezzetto, ma le cure sono costose e la sua voglia di vivere aveva bisogno di un sostegno, che la Fondazione ha deciso di dargli.
Diciotto anni di grandi nomi
«Nel 2020 – riprende Mario- abbiamo aiutato un ex pro’, del quale per comune decisione abbiamo deciso di non rendere nota l’identità, che aveva problemi di cuore che gli hanno fatto perdere l’impiego. Quest’anno stiamo valutando un impegno diverso, più allargato. Chi ha un grave incidente in bici per lavoro è sostenuto e risarcito dallo Stato, ma a chi accade per altre ragioni? Noi siamo convinti che la bici sia uno stupendo strumento per fare sport, per difendere la nostra salute. Per questo vogliamo mettere in dotazione delle E-bike per coloro che ne hanno bisogno. Non passiamo per enti o associazioni, vogliamo fare del bene senza terzi, provvedendo direttamente».
La storia della Fondazione è ancora recente, ma in casa Molteni le idee da mettere in pratica sono tante: «Sempre nel segno della beneficenza, perché oggi per noi lo sport deve essere questo, le nostre soddisfazioni agonistiche le abbiamo in grande quantità, non solo con il grande Eddy: con la maglia Molteni sono passati campioni come Motta e Dancelli, Rudy Altig ci ha vinto un campionato del mondo, poi arrivò Merckx alla fine del suo rapporto con la Faema, portando il suo nucleo belga e il nome Molteni divenne famoso in tutto il mondo. Ora è il momento di dare, abbiamo ricevuto abbastanza».
La tragedia di Van Looy
C’è un caso che ha particolarmente colpito la famiglia Molteni, avvenuto dopo la nascita della Fondazione.
«Lo siamo venuti a sapere a cose fatte – spiega Mario Molteni – Frans Van Looy, gregario di Eddy, ci ha lasciato a 69 anni: aveva avuto il pignoramento della casa, non ha resistito all’umiliazione e si è tolto la vita. Lo scopo della Fondazione deve essere quello di impedire che eventi così tragici avvengano, per persone che hanno dato tanto al nostro sport e che meritano un aiuto. Noi ci mettiamo tutta la buona volontà, ma oltre ai soldi vogliamo anche dare un messaggio, perché insieme si può fare molto di più, per questo chi può darci una mano deve solo collegarsi al nostro sito».
La storia di quella squadra è stata messa nero su bianco in un libro, “Molteni, storia di una famiglia e di una squadra”, edito dalla Prima Pagina Edizioni. Il costo di 50 euro sarà interamente devoluto alla Fondazione per gli scopi sopra citati, come anche l’acquisto della storica maglia Molteni, appositamente riprodotta.
Essere sponsor oggi
Mario comunque non si è allontanato dal mondo del ciclismo attuale, che segue sempre con la stessa passione di allora, anche se le differenze sono enormi.
«E’ un altro mondo – dice – un tempo si correvano le 6 Giorni per preparare la Milano-Sanremo, poi si andava alle Classiche del Nord, al Giro d’Italia e così via. Oggi si prepara un dato appuntamento e per quello si comincia a correre già da gennaio, supportati da figure come preparatori, nutrizionisti, manager che ai tempi della Molteni non c’erano e non erano neanche ipotizzabili. Era un altro ciclismo».
Guardando le imprese dei campioni di oggi, c’è un po’ di nostalgia? «Più che altro c’è la consapevolezza che quello di oggi è un ciclismo iperspecializzato e decisamente troppo costoso non solo per le nostre tasche. Trovare sponsor in Italia è davvero difficile, considerando la situazione generale e gli altissimi costi che comporta avere una squadra di alto livello com’era la nostra. Oggi per me la bici è compagna di passeggiate all’aria aperta, nulla più e va bene così».