Corno alle Scale

Ritorno a Corno alle Scale: la salita e il duello Cunego-Simoni

10.12.2025
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Il Giro d’Italia torna a Corno alle Scale e, come spesso accade, è l’occasione non solo per rivedere l’arrivo, in questo caso la salita, da un punto di vista tecnico, ma anche per riaprire l’album dei ricordi. E l’album dei ricordi ci riporta immediatamente al primo scontro tutto “made in Saeco” fra Damiano Cunego, poi vincitore di quel Giro d’Italia (era il 2004), e Gilberto Simoni, che quella tappa la vinse.

E il tutto lo rivediamo con Claudio Corti, che all’epoca era il team manager di quella Saeco dalle maglie rosso fiamma, piena zeppa di campioni. Una Saeco che proprio quel giorno a Corno alle Scale visse forse il momento più bello di quell’edizione della corsa rosa, come vedremo.

Corno alle Scale
Claudio Corti (classe 1955) era il general manager della Saeco che dominava in salita, ma anche in volata con Cipollini
Corno alle Scale
Claudio Corti (classe 1955) era il general manager della Saeco che dominava in salita, ma anche in volata con Cipollini
Claudio, partiamo dalla salita: che scalata è Corno alle Scale?

Non è una salita impossibile e arriva dopo una tappa abbastanza veloce, però resta impegnativa nel finale, soprattutto dopo il paese di Gaggio Montano e ancora di più dopo l’ultimo borgo (Madonna dell’Acero, ndr). Comunque si arriva oltre i 1.400 metri, è una località sciistica, e si parte dal basso. E’ una montagna vera. Per noi quel giorno fu una festa.

Perché?

Perché Gaggio Montano è il paese della Saeco. E’ lì che ci sono parte degli stabilimenti, almeno una persona per famiglia ci lavora e quindi vedere i nostri due ragazzi vincere fu una grande festa, una gioia per tutti. La tappa la volle proprio il nostro patron Sergio Zappella. Simoni era maglia rosa uscente… Cunego aveva vinto il giorno prima a Pontremoli, dunque l’entusiasmo era alle stelle.

Ma in quella tappa cosa successe? Primo Simoni, secondo Cunego: furono i primi screzi tra i due?

No, quel giorno forse no. Ripeto: c’era un clima bellissimo. Noi correvamo in casa. Cunego aveva vinto il giorno prima e Simoni conquistò tappa e maglia. Semmai, col senno di poi, ci fu un primo “segnalino” della condizione di Simoni. Gilberto infatti scattò e prese un certo vantaggio, ma non fece il vuoto. Anzi, nel finale Cunego gli rosicchiò del terreno. Era Gilberto ad essere calato o Cunego ad andare forte? Ma sul momento non demmo troppa importanza a questo dettaglio, con tutta l’euforia che c’era.

Quando cambiarono le cose?

Chiaramente nella tappa di Falzes. Ma anche quel giorno bisogna raccontare bene come andarono le cose. Sul Furcia ci si marcava con Yaroslav Popovych, ma l’ucraino non partiva, i due si guardavano. Scattò Cunego e Simoni fu addirittura contento di quell’attacco. Lui stava a ruota, faceva lavorare Popovych e andava bene così. Semmai forse si aspettava di perdere un minuto in meno a fine tappa. O anche che nelle ultime tappe Cunego calasse un po’.

Cosa che si aspettavano tutti: era un giovane al primo grande Giro…

Invece Damiano fu bravissimo e fortissimo per tutto il Giro.

Corno alle Scale
L’arrivo di Simoni a Corno alle Scale. Il trentino vinse con 15″ su Cunego e andò a prendersi la maglia rosa
Corno alle Scale
L’arrivo di Simoni a Corno alle Scale. Il trentino vinse con 15″ su Cunego e andò a prendersi la maglia rosa
Il problema dunque quando avvenne, se a Corno alle Scale e a Falzes erano ancora uniti?

Dopo la tappa di Bormio 2000. Gilberto attaccò da sotto, ma di nuovo, come a Corno alle Scale, non guadagnò molto. Nel finale, se ben ricordo ai due chilometri, lo riacciuffarono. Fu Gontchar che spingeva forte. Cunego andò poi a vincere la volata e quindi la tappa, rafforzando la sua maglia rosa. Lì Simoni si rese conto che non avrebbe vinto il Giro e chiaramente era arrabbiato per aver perso la tappa.

Per di più da un compagno di squadra…

Simoni dopo l’arrivo andò via da solo. Era arrabbiato. Per fortuna quella sera in hotel c’era il patron Zappella. Parlammo io, lui, i ragazzi… e tutto sommato la cosa rientrò. Poi chiaramente ognuno in cuor suo aveva il proprio stato d’animo. Il giorno dopo c’era ancora una tappa tosta.

Quella della Presolana…

Ormai si era deciso: bisognava correre in difesa e portare la maglia a casa. Alla fine noi in Saeco eravamo messi bene. E invece succede che attacca presto Garzelli e Simoni gli piomba sopra. I due scappano. Magari era ferito nell’orgoglio, era il campione uscente. Per fortuna per noi si mise a tirare la squadra di Gontchar.

Corno alle Scale
Cunego, Simoni e nel mezzo patron Zappella, sul podio finale di quel Giro 2004
Corno alle Scale
Cunego, Simoni e nel mezzo patron Zappella, sul podio finale di quel Giro 2004
Perché per fortuna?

Perché così facendo non ci ha posto nell’antipatica situazione di dover scegliere su chi puntare. Lasciare andare Simoni o chiudere su di lui per salvare Cunego? Non sono belle scelte. Poi non ci siamo ritrovati davvero in quella situazione anche perché il vantaggio di Cunego era ampio. Però ci terrei a dire che, tolti alcuni momenti più tesi, per noi della Saeco quello fu un bel Giro. A rivederli quei tempi! Avevamo vinto tanto, avevamo la maglia rosa dell’anno prima e quella di quell’edizione. Fu un Giro piacevole, ecco…

Oggi, Claudio, come si gestirebbe una situazione simile? Come si gestirebbero due capitani, uno dei quali così giovane? Pensiamo, per esempio, ad Almeida e Del Toro…

Quella che si verificò nel nostro caso in quel Giro è stata una particolarità. Quando si era mai visto un ragazzo giovanissimo andare così forte, crescere in quel modo e soprattutto vincere il Giro? Poi mettiamoci anche che forse l’altro non era nella super forma dell’anno prima. E c’è anche un altro elemento: quello non fu un Giro d’Italia con grandissimi nomi… Insomma, è difficile dire cosa accadrebbe oggi. Ma anche se un Del Toro o un Almeida dovessero trovarsi a contendersi la leadership, sarebbe più un’occasione dettata dal momento che una superiorità netta dell’uno sull’altro.

Corti

Parlando con Corti di campioni e promesse mancate

16.05.2022
6 min
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A 67 anni, Claudio Corti si gode il meritato riposo e la bici la usa solo per tenersi in forma («Ho ripreso a pedalare dopo trent’anni, per tenermi un po’ in esercizio…»). Una storia la sua durata qualcosa come 45 anni, prima da corridore e poi da diesse, girando il mondo e scoprendo campioni. Ne avevamo parlato poco tempo fa a proposito di Daniel Martinez, ultimo prodotto di una lunga esperienza vissuta in Colombia, in quella che è stata l’ultima tappa del suo girovagare: «Quando nel 2016 il ministro dello sport è cambiato mi hanno rimosso dall’incarico, anche perché il budget che avevamo a disposizione era molto esiguo e non ci si stava più con le spese per girare il mondo per le gare».

A quel punto, Corti ha provato a sondare il terreno in giro, fatto progetti, sentito sponsor, ma senza una squadra rientrare in carovana si è rivelato impossibile.

«Provate a guardare quanti sono rimasti fuori come me: Ferretti, Stanga, lo stesso Amadio prima della chiamata della Federazione… Un patrimonio di esperienze gettato via, se sei senza team non hai possibilità di trovare spazi. A quel punto mi sono deciso a mettermi tutto alle spalle e godermi la pensione. D’altronde con quello che ho fatto, non me la sentivo di rimettermi in gioco per qualcosa di piccolo».

Corti Moser 1977
Corti con Moser, entrambi iridati nel 1977. In carriera ha vinto 10 gare, con 2 titoli italiani e un argento iridato da pro’ nell’84
Corti Moser 1977
Corti con Moser, entrambi iridati nel 1977. In carriera ha vinto 10 gare, con 2 titoli italiani e un argento iridato da pro’ nell’84

L’importanza di lasciare casa

Non che Claudio si sia allontanato da quel mondo che è stato la sua vita. Intanto è presidente onorario della società ciclistica giovanile nel suo paese, Capriolo e un occhio ai più giovani lo getta sempre volentieri. Poi guarda alle gare ciclistiche vedendo in gara tanti che hanno iniziato con lui.

«Ad esempio Esteban Chaves . dice – viveva vicino casa mia a Bergamo, lo portai in Italia che non lo conosceva nessuno e finì per sfiorare un Giro d’Italia. Lo perse solo perché Nibali s’inventò un’azione delle sue quando ormai sembrava spacciato. Ma Esteban ha avuto un ruolo importante, ha fatto da traino ai suoi connazionali».

Questo è un concetto importante che Corti vuole sviluppare: «Il problema per molti colombiani era che rimanevano confinati nel loro mondo, soffrivano di nostalgia nel lasciare casa ed evitavano di farlo. Ma solo così puoi emergere. Chaves ha aperto la strada, i giovani hanno capito che se volevano vivere di ciclismo dovevano trasferirsi e guadagnando bene potevano portare con sé la famiglia».

Esteban Chaves fu 2° al Giro e 1° al Lombardia nel 2016. Un esempio per i suoi connazionali
Esteban Chaves fu 2° al Giro e 1° al Lombardia nel 2016. Un esempio per i suoi connazionali
Chaves Lombardia 2016
Esteban Chaves fu 2° al Giro e 1° al Lombardia nel 2016. Un esempio per i suoi connazionali

Martinez, cresciuto nei sacrifici

Di Corti avevamo parlato a proposito di Martinez: «Rispecchia quanto ho detto. Agli inizi non era un fuoriclasse, ma rispetto agli altri aveva una determinazione inconsueta. Voleva essere pro’ a tutti i costi e si è sacrificato per questo, è cresciuto e ora è uno dei candidati alla vittoria del prossimo Tour. Ma a fronte di corridori che hanno investito e ottenuto, ce ne sono altri che avevano grandi mezzi e sono rimasti lì, come ad esempio Fabio Duarte che secondo me poteva essere un campione, quando vinse il titolo mondiale U23 nel 2008 sembrava destinato a grandi cose, ma era debole di carattere».

La scoperta di Froome

La storia di Corti non è legata solo ai colombiani. A lui ad esempio si deve la scoperta di un talento come Chris Froome.

«Eravamo andati a fare una gara in Sud Africa, nel 2007 – racconta – il Giro del Capo, avevamo la squadra Barloworld incentrata su Felix Cardenas (che finì 2° dietro il compagno di team russo Efimkin, ndr) e noto questo spilungone che in salita teneva botta con agilità. Al tempo aveva ancora il passaporto kenyano, la cosa mi colpì e decisi di portarlo nel team. L’anno dopo decisi di provarlo al Tour de France: il penultimo giorno, nella cronometro vinta da Cancellara, finì 14°. Era la prima volta che affrontava una corsa di 3 settimane, aveva lavorato tanto per i compagni eppure aveva ancora forza e voglia di lottare, capii che c’era davvero del buono in quel ragazzo e lo presi sotto la mia custodia».

Duarte
Fabio Duarte, un colombiano molto promettente ma che non ha mantenuto le attese
Duarte
Fabio Duarte, un colombiano molto promettente ma che non ha mantenuto le attese

Froome e l’auto in prestito…

Il loro rapporto andava anche oltre quello legato al ciclismo: «Viveva vicino casa, spesso mi chiedeva la macchina in prestito e gli davo quella di mia moglie per uscire la sera. Aveva grandi mezzi, ma doveva trovare la sua dimensione. In una tappa del Giro, con la scalata del San Luca era andato in fuga con 15 corridori e quel giorno aveva la gamba per vincere, ma finì 4°. Aveva bisogno di maturare anche mentalmente, non solo nel fisico.

«Si vedeva che poteva fare tanto, certo non avrei mai pensato allora che avrebbe vinto così tanto nei grandi Giri. A ben guardare il meglio della Ineos è passato per le mie mani, come Thomas. Nessuno pensava che un pistard come lui potesse avere una grande carriera da stradista, ma Geraint è sempre stato uno che ha avuto piacere di andare in bici e questo lo si vede anche adesso, nella fase discendente della carriera».

Torniamo a Froome, potrà tornare a emergere? «Dubito, ha preso troppe legnate in questi ultimi anni. La ripresa da un infortunio come il suo è già difficile, ma sopra ci si sono aggiunte tante delusioni che hanno fiaccato la sua autostima. Sono stati anni troppo difficili, ha perso l’abitudine a lottare con i migliori. Un corridore per emergere deve crederci al 100 per cento, lui prima che i compagni di squadra o i dirigenti o chiunque gli sia intorno. I risultati nascono dal di dentro».

Froome Corti 2009
Froome alla Roubaix, con Corti a rimettere a posto la ruota. Il loro legame è stato molto stretto
Froome Corti 2009
Froome alla Roubaix, con Corti a rimettere a posto la ruota. Il loro legame è stato molto stretto

La mancanza degli italiani

Guardando questo ciclismo da fuori, Corti non può che considerarlo lontano dai suoi schemi.

«Sono sempre stupito e meravigliato – dice – da quel che fanno i giovani attuali, ma io credo che sia generato anche dal fatto che prima dei giovani alla Evenepoel e Pogacar di oggi c’è stato un vuoto generazionale. Campioni c’erano, ma si sono consumati presto: uno come Quintana nei suoi primi tre anni, nelle corse a tappe non finiva mai fuori dal podio, ma poi non ha retto. Io vedo in questi ragazzi una forza e un entusiasmo che quelli di prima non avevano, forse neanche la mia generazione. Io i primi anni da pro’ facevo fatica, ci ho messo anni per trovare la mia dimensione. Mi dispiace solo che fra questi giovani campioni che stanno segnando un’epoca non ci sia un italiano…».