Alla scoperta di Brennan, l’ultimo talento targato Visma

10.03.2024
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Due gare, due vittorie. Il team Visma-Lease a Bike continua a coltivare talenti e non sono certo solamente i due successi in terra croata a dire che Matthew Brennan è uno di questi. Per lui parla il suo curriculum, su strada ma ancor più su pista, con due titoli mondiali e soprattutto il record del mondo dell’inseguimento individuale. Risultati che hanno solleticato i dirigenti dello squadrone olandese, che lo ha subito messo sotto contratto nel loro devo team.

Brennan ha subito risposto presente aggiudicandosi le due classiche croate d’inizio stagione, a Umago e Porec, mettendo in fila velocisti molto più esperti in un consesso che non sarà quello di una classica WT, ma per un diciottenne è già abbastanza probante. A dispetto dei risultati dello scorso anno, finora raramente i fari dell’attenzione si erano puntati su di lui, forse anche per questo ha accettato di buon grado di raccontarsi.

A Porec l’inglese ha replicato il successo di Umago, battendo Conforti e Pedersen (foto organizzatori)
A Porec l’inglese ha replicato il successo di Umago, battendo Conforti e Pedersen (foto organizzatori)
Hai iniziato la tua stagione con 2 vittorie, ti aspettavi un debutto così straordinario?

No, non proprio. Sapevo di avere delle buone gambe e una buona forma all’inizio della stagione, ma ovviamente cose del genere devono essere tradotte in risultati in gara, il che è la parte difficile.

Fino allo scorso anno eri conosciuto più per i tuoi grandi successi su pista. Stai cambiando pelle, vuoi dedicarti più alla strada?

Sì, penso che l’attenzione per questa stagione sia sicuramente sulla strada. Voglio sviluppare le mie qualità nei prossimi anni con il team. Quindi penso che sia davvero importante soprattutto sfruttare questi anni giovanili per imparare tutto quel che significa essere un professionista. Ad esempio, è davvero importante che io esegua questi passaggi di categoria con attenzione per acquisire il giusto background.

Il britannico insieme ai compagni del devo team della Visma, con i quali ha corso a Umago (foto team)
Il britannico insieme ai compagni del devo team della Visma, con i quali ha corso a Umago (foto team)
Qual è la tua storia, come hai iniziato il ciclismo e come riesci a conciliarlo con lo studio?

Beh, mio padre era un ciclista e ogni sabato facevamo un giro di gruppo con 20-30 persone. Giri di 50-60 miglia o 100 chilometri e poi correvamo sempre al bar. Io ho iniziato a partecipare a circa 12 anni e vedevo che settimana dopo settimana miglioravo, andavo meglio di questo e poi di quel partecipante. Alla fine ci ho preso gusto e mi sono unito a un club nella mia zona chiamato Stockton Wheelers Cycling Club e abbiamo fatto un sacco di esperienze in pista. Devo dire grazie a Paul Curran, un ciclista degli anni Ottanta che mi ha insegnato molte cose facendomi allenare dietro la sua moto.

Quando hai iniziato a fare gare nazionali?

A 15 anni. Ho partecipato a quelle che da noi chiamano “risorse di settore”, una sorta di gare a tappe di 6 giorni, ci sono andato con alcuni amici ed è stata un’esperienza molto bella, anche perché in campeggio ne abbiamo combinate… Ma per me è stato un grande punto di svolta in termini di ciò che volevo fare per iniziare a correre. Durante il periodo del Covid ho potuto andare in bicicletta senza alcun tipo di pressione e soprattutto ho potuto avventurarmi in posti dove non avevo mai guidato prima da casa mia con corse più lunghe. Così quando sono approdato fra gli juniores avevo già un bel bagaglio di esperienze e di chilometri, anche se per me era difficile conciliare gli studi con le trasferte, eravamo spesso in gara in Belgio, era complicato. Ma da lì ho imparato il sacrificio e capito che era questo che volevo fare.

Con il Fensham Howes-Mas Design Brennan ha vinto lo scorso anno 3 corse internazionali, tutte in Belgio
Con il Fensham Howes-Mas Design Brennan ha vinto lo scorso anno 3 corse internazionali, tutte in Belgio
Proprio a proposito del Belgio, come ti trovi su quei percorsi?

Mi ci trovo bene, soprattutto quelli nelle Fiandre Occidentali. Conosco tutte le salite come Kwaremont, Paterberg, arrampicate del genere penso che siano adatte a me.

Che cosa è cambiato per te entrando nel team Visma e che cosa significa correre nel team di campioni come Van Aert e Vingegaard?

Ci sono stati alcuni allenamenti fatti in comune che mi sono stati molto utili. Cose che impari quando entri nel team, anche il semplice modo in cui fai le cose o i processi che attraversi e penso che sia stato davvero importante condividerli per sviluppare la mia abilità di ciclista. Soprattutto dal punto di vista nutrizionale, è davvero molto importante e un’evoluzione nel mio modo di essere. Ho già imparato molto lì e lo sto facendo partendo dalle basi. Sono entrato nella squadra e non sapevo nulla, andavo avanti molto per sentito dire, ora è tutto diverso. Penso che sia davvero vantaggioso per il nostro sviluppo a lungo termine, mio e degli altri giovani, vedere come lavorano questi ragazzi.

Brennan in azione durante i mondiali dove ha stabilito il nuovo record di categoria, 3’07″092
Brennan in azione durante i mondiali dove ha stabilito il nuovo record di categoria, 3’07″092
Quanto è stato importante il record mondiale nell’inseguimento dello scorso anno?

Abbastanza, era un obiettivo che inseguivo in pista da molto tempo. La mia prima stagione era stata sfortunata per molti problemi fisici, per me era un riscatto. Ma penso che non durerà a lungo, anche nel mio Paese ci sono già ragazzi in grado di far meglio.

Hai vinto il mondiale madison con Wiggins, ma molti media si sono concentrati più su di lui per il suo cognome. Questo ti ha dato fastidio?

Davvero non mi dispiace, conosco Ben da molto tempo ormai e capisco come funzionano i media. Quando abbiamo vinto quella gara insieme, sapevamo che avremmo avuto tanta attenzione su di noi, ma soprattutto lui perché figlio di un grande campione anche della pista. Quindi non mi importava davvero. Io ero contento di avere due maglie iridate, una individuale e una a coppie. E’ come se avessi bilanciato le cose, dimostrato di essere forte da solo ma anche in team.

Con Wiggins sul podio di Cali. I due sono grandi amici, hanno corso insieme fino al 2023
Con Wiggins sul podio di Cali. I due sono grandi amici, hanno corso insieme fino al 2023
C’è qualche corridore britannico al quale ti ispiri e che cosa sai della storia del ciclismo inglese?

Non ne so molto, guardo soprattutto ai campioni internazionali, a quelli che ho nel mio team. Se dovessi fare un nome, ma non è britannico, direi Kwiatkowski, perché è uno che ha vinto tanto ed è molto rispettato nel gruppo.

Qual è il tuo sogno per il futuro?

Vincere. Che cosa non lo so ancora, penso di aver bisogno di vedere come mi sviluppo e penso di dover fare tanti passi in avanti. Vado avanti ogni giorno, magari un domani risponderò “il Tour de France”, ma per ora è presto.

Il peso del cognome. Axel Merckx sa cosa significa

26.09.2023
6 min
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Nella sua intervista/confessione, Ben Wiggins, uno degli astri nascenti del ciclismo mondiale aveva parlato della fortissima pressione derivante dal fardello del suo cognome. Per gestirla aveva scelto appositamente di accettare l’invito dell’Hagens Berman Axeon per lavorare con Axel Merckx, che più di ogni altro sa che cosa significa confrontarsi con un passato importante.

Per questo abbiamo voluto sentire il manager belga, considerando che nel suo team militano molti prospetti di grande interesse, dei quali ci siamo anche occupati e che ha una grande capacità nel gestire situazioni difficili ma con tante prospettive interessanti come quella del britannico iridato su pista e protagonista della stagione juniores su strada.

Axel Merckx, 51 anni, bronzo olimpico nel 2004 e dirigente all’Hagens Berman Axeon dal 2012
Axel Merckx, 51 anni, bronzo olimpico nel 2004 e dirigente all’Hagens Berman Axeon dal 2012
Il prossimo anno arriverà Ben Wiggins: che idea ti sei fatto del britannico?

La prima cosa che mi ha colpito è che in fatto di esperienza è molto più giovane, direi quasi acerbo rispetto alla sua età. E’ solo il terzo anno che interpreta il ciclismo in maniera convinta, ma la sua anche per questo è una bella storia. Non è mai facile fare lo stesso mestiere del padre, nel ciclismo ancora meno. Ne abbiamo parlato a lungo, io con la mia esperienza personale posso sicuramente aiutarlo a trovare la propria strada.

Ben ha detto ripetutamente di essere stato attratto dalla possibilità di lavorare con te perché sai bene che cosa significa avere il peso di un cognome tanto importante.

La pressione negativa c’è, inutile negarlo. Ogni volta che il risultato non arriva – afferma Merckx facendo riferimento al proprio passato – è normale che tutti dicano “non è come suo padre”. Fa parte dei rischi del mestiere. E’ importante che trovi la sua strada, che riesca piano piano a far capire di essere diverso, un altro corridore rispetto a suo padre. Deve riuscire a emergere per quello che è, senza guardare a chi c’era prima, a dimostrare quel che vuole e può fare. Capisco che senta la pressione, cercherò di aiutarlo a sentirla sempre meno.

Wiggins è stato protagonista su strada e su pista. Ma sente la pressione legata al suo nome
Wiggins è stato protagonista su strada e su pista. Ma sente la pressione legata al suo nome
Come si lavora con un corridore che ha avuto un genitore campione?

Non è più difficile, è solo diverso perché bisogna confrontarsi con una pressione mediatica differente rispetto a qualsiasi altro corridore, una pressione che c’è a prescindere dai risultati. Ben sa che senza quel cognome non avrebbe i giornalisti che si interessano a lui, le tante interviste, i tanti articoli. Con quel cognome sarà sempre sotto i riflettori dei media ma soprattutto della gente. E’ un fastidio certe volte, lo so bene, ma se vai forte diventa qualcosa di molto meno impattante.

Come giudichi questa stagione per il tuo team?

Una buona stagione – risponde Merckx – abbiamo fatto 7 vittorie, conquistato una corta importante come il Giro della Val d’Aosta, una tappa al Giro Next Gen. La nostra è una squadra molto giovane, sapevamo che avere la stagione perfetta è praticamente impossibile, ma possiamo dirci soddisfatti perché nel complesso i nostri ragazzi sono cresciuti.

Per Morgado una prima stagione da U23 ricca di impegni e soddisfazioni. Ora approda all’Uae Team Emirates
Per Morgado una prima stagione da U23 ricca di impegni e soddisfazioni. Ora approda all’Uae Team Emirates
A inizio stagione avevamo parlato con te dell’ingresso di Herzog e Morgado nel team. Come sono andati finora?

Morgado è partito subito bene, con la vittoria al Tour of Rhodes e da lì ha vissuto un’ottima stagione a dispetto di un problema al ginocchio che gli è costato in pratica quasi tutto aprile e maggio. E’ tornato in forma per il Giro ed è stato molto importante per la vittoria di Rafferty in Val d’Aosta, andando poi a conquistare l’argento ai mondiali che per un primo anno fra gli U23 è una gran cosa. Ora farà il salto nel WorldTour, avrà bisogno di tempo ma penso che potrà fare molto bene anche in tempi brevi.

L’impressione che si è avuta è che Morgado si sia ambientato più in fretta nella nuova categoria. Merito suo o Herzog ha avuto più problemi?

Il tedesco non ha avuto una buona stagione – sottolinea Merckx – ma certamente non per colpa sua. Ha sempre avuto problemi di salute che gli hanno impedito di raggiungere la miglior forma. Infatti ha corso molto meno e si è fermato a fine luglio. Anche questo fa parte del mestiere, io credo che sia stata da questo punto di vista una stagione utile perché ha imparato tanto. Non penso che abbia sofferto la tanta pressione derivante dal fatto di essere un campione del mondo juniores, ha solo bisogno di tempo per trovare la sua dimensione. Anche lui passerà nel WorldTour, sono sicuro che alla Bora Hansgrohe gli daranno il tempo necessario.

Annata difficile per Emil Herzog, ma in Germania credono molto in lui e passa già nel WorldTour
Annata difficile per Emil Herzog, ma in Germania credono molto in lui e passa già nel WorldTour
La vittoria di Rafferty al Giro della Val d’Aosta ti ha sorpreso, lo ritieni un corridore con un futuro nelle corse a tappe?

Sicuramente per le corse brevi è già un ottimo prospetto. E’ un corridore che ha grinta, non ha paura di attaccare, ha vinto il Val d‘Aosta proprio perché ha corso d’istinto, ha preso la corsa di petto, senza aspettare le fasi finali. Ha un modo di interpretare le gare che mi piace tanto, ma si vede che da un paio d’anni l’irlandese è in netta crescita e trova nelle corse a tappe la sua dimensione. Andrà all’Education EasyPost e credo che proprio nelle brevi stage race potrà già distinguersi.

Nel tuo team non ci sono corridori italiani, come mai?

La storia dice così, ma dal prossimo anno ne avremo due, provenienti dall’attività junior, che vogliamo far crescere e che annunceremo nei prossimi giorni.

Rafferty protagonista assoluto al Giro della Val d’Aosta. Anche lui entra nel 2024 fra i grandi
Rafferty protagonista assoluto al Giro della Val d’Aosta. Anche lui entra nel 2024 fra i grandi
L’ingresso di Jayco nel vostro team che cosa cambierà?

Non molto, se non il nome della società. E’ una collaborazione con il loro team WorldTour che non ci trasforma in un Devo team, continuiamo ad avere rapporti anche con altre squadre. Servirà però ai ragazzi per avere una strada privilegiata verso la massima serie, ci confronteremo spesso con i direttori sportivi della Jayco AlUla ma la squadra continua ad essere completamente in mano mia. E’ un investimento per crescere, noi come struttura ma soprattutto i ragazzi.

Wiggins, l’oro e l’eredità. La confessione del figlio d’arte

09.09.2023
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Dire che le medaglie e i titoli sono la miglior medicina per sciogliere la tensione di un ciclista può sembrare cosa scontata, ma basterebbe avere vissuto l’ultimo mese sull’ottovolante di Ben Wiggins per capire che cosa significa, soprattutto quando sulle spalle ti porti un peso come quel cognome. Dopo l’oro conquistato nella madison ai mondiali juniores, tutto è sembrato più leggero, tanto che si è sentito libero di aprirsi di più.

Appena tornato dalla Colombia, Wiggins ha rilasciato un’intervista a Global Cycling Network nella quale emerge molto del carattere del 18enne figlio dell’ex vincitore del Tour de France. Anche perché quell’oro conquistato con il neodetentore del record del mondo dell’inseguimento, Matthew Brennan, lo associa fortemente al ricordo di quanto fece Bradley, iridato due volte nella specialità insieme a Cavendish.

Per il britannico un bellissimo argento a cronometro a Glasgow, a 25″ dall’australiano Chamberlain
Per il britannico un bellissimo argento a cronometro a Glasgow, a 25″ dall’australiano Chamberlain

Un oro contro la depressione

«Era un mio sogno da sempre – ha esordito il giovane Wiggins – non riesco quasi a descrivere quello che ha rappresentato per me, mi sembrava di vivere in un’atmosfera surreale. Avevo chiuso 8° l’omnium e 4° nell’individuale a punti dove avevo mancato l’ultimo sprint vedendo sfumare la medaglia. Ero molto depresso, mi sembrava che tutto quel che avevo fatto non aveva avuto alcun senso».

Si parlava all’inizio di un “ottovolante” e il britannico spiega bene che cosa si intende: «E’ stato molto difficile rimanere sul pezzo, finire la crono di Glasgow al secondo posto e il giorno dopo già lavorare in funzione di Cali. La sequenza di eventi mi ha un po’ frastornato, era dura restare concentrati. Diciamo che l’oro nella madison ha salvato il mio mondiale e svoltato in positivo tutta la mia stagione.

«Se guardo all’indietro, a quello che mi prefiggevo a inizio anno, posso dire di aver centrato tutti gli obiettivi salvo la Roubaix, ma quello è un terno al lotto, fallire devi metterlo in conto… Volevo vincere una corsa a tappe e l’ho fatto (il Trophée Centre Morbihan, ndr), volevo una medaglia su strada e l’ho presa, volevo diventare campione del mondo su pista e ci sono riuscito. Sono contento per questo e perché mi sento ora molto più ciclista di quanto ho iniziato da junior».

Bradley Wiggins ha appena vinto il Tour 2012, il piccolo Ben lo segue sulla sua bici (foto Getty Images)
Una foto d’epoca, Bradley Wiggins ha appena vinto il Tour 2012, il piccolo Ben lo segue sulla sua bici (foto Getty Images)

L’approdo all’Hagens Berman Axeon

In questo suo cammino, Ben Wiggins ha trovato vari mentori: «Giles Pidcock innanzitutto, che ha avuto un ruolo importante, ma anche il mio allenatore Stuart Blunt che ha seguito tutta la mia crescita negli ultimi due anni al Fensham Howes-Mas Design, il mio team. Ora però è tempo di cambiare».

Ben il prossimo anno correrà con l’Hagens Berman Axeon di Axel Merckx. Una scelta sull’onda di altri giovani di grande avvenire come Herzog e Morgado, ma nel suo caso, considerando anche le offerte arrivategli da svariati team Devo del WorldTour, un po’ stupisce.

«Per me correre su strada e su pista è una priorità – ha ammonito Wiggins con parole che dovrebbero risuonare nella mente a tanti ragazzi, ma soprattutto a tanti diesse italiani – con Axel parlo da oltre un anno, ma crescendo la cosa è diventata più seria. Loro hanno avuto dozzine di corridori approdati nel WorldTour, per me è il miglior team di sviluppo, ma poi è contato il suo background».

Ben Wiggins con il padre nei box di Glasgow. Bradley si tiene lontano dall’attività del figlio, non vuole influenzarlo
Ben Wiggins con il padre nei box di Glasgow. Bradley si tiene lontano dall’attività del figlio, non vuole influenzarlo

Il peso di un cognome

E’ qui che Wiggins riserva alcuni concetti per certi versi sorprendenti, che risuonano come una sua totale messa a nudo: «Con il padre che aveva, ha vissuto tutte le pressioni che vivo io, ma amplificate perché suo padre era “the greatest”. Chi meglio di lui può guidarmi? Non volevo un team Devo, non volevo entrare in una squadra come un semplice ingranaggio, cambiando tutto nella mia vita, andando a vivere chissà dove. L’Axeon è più flessibile, è il team giusto per me».

E’ chiaro che a questo punto il tema del rapporto con il padre Bradley emerge in maniera prepotente: «Il nome è qualcosa di difficile da portare addosso quando tuo padre ha vinto tutto quello che ha vinto il mio – ammette Wiggins – so che cambiando categoria, l’anno prossimo si tornerà al punto di partenza, a nuove sfide, a nuovi raffronti. Mio padre è molto esplicito nel volerne stare fuori, la gente mi chiede che consigli mi dà, ma la verità è che non lo fa e per questo gli sono grato. So che è orgoglioso di me e questo mi basta. Io voglio farmi un nome con le mie forze, magari un giorno non diranno che sono il “figlio di”, ma diranno che lui è il padre di…».

Il podio della madison agli europei juniores 2023. Wiggins e Brennan sono d’argento, si rifaranno a Cali
Il podio della madison agli europei juniores 2023. Wiggins e Brennan sono d’argento, si rifaranno a Cali

Alla Ineos da vincitore

Ben Wiggins ha le idee chiare sul prossimo anno: «Ammetto che mi piacerebbe se già alla fine della prima stagione da U23 arrivasse una chiamata da un team WT, ma altrimenti un altro anno non potrebbe che farmi bene. So che sta tutto a me, a quel che farò per meritarlo. Io ho segnato nella mia agenda il Giro Next Gen e il Tour of Britain come cardini del nuovo anno, solo questi perché non voglio mettermi troppa pressione addosso».

Giustamente il collega della testata britannica ha chiesto alla fine perché Ben non ha scelto di passare direttamente dalla Ineos, seguendo le orme del padre: «Per ogni ciclista britannico Ineos è qualcosa di particolare, quasi una nazionale – ha risposto Wiggins – anche per me vista l’esperienza di mio padre, ma molto è cambiato da allora. Io vivevo nell’autobus della Sky da ragazzino, nessuno più di me conosce quell’ambiente. A me però interessa un team dove possa farmi un nome. Se andrò alla Ineos lo farò da vincitore, non come uno qualsiasi. D’altronde Axeon ha un legame anche con Jayco AlUla, dove il diesse è Matt White che lo era anche per mio padre. Staremo a vedere».

Wiggins Pidcock 2022

Papà Pidcock, figlio Wiggins: che incontri in Belgio…

05.04.2022
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Nel gran bailamme delle classiche belghe, soprattutto in quelle medio-piccole dove non c’è la calca che le squadre WorldTour riescono sempre a destare, possono anche saltar fuori incontri particolari, addirittura abbinamenti inconsueti. Ecco così che alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne di qualche domenica fa è capitato di vedere insieme due “parenti famosi”. I loro cognomi riassumono la grandezza passata e presente del ciclismo britannico. Il papà è Giles Pidcock, il figlio Ben Wiggins, il primo team manager della Fensham Howes-Mas Design, l’altro suo allievo prediletto. Papà Sir Bradley, al seguito delle classiche in veste di commentatore tivù, si fida molto del suo connazionale. La gara in sé non ha portato risultati, complice una caduta di Ben, ma a quei livelli non è poi così importante.

Pidcock team 2022
Giles Pidcock è molto amato dai suoi ragazzi, lasciati liberi di esprimersi in gara (foto NB)
Pidcock team 2022
Giles Pidcock è molto amato dai suoi ragazzi, lasciati liberi di esprimersi in gara (foto NB)

Nel team dal 2019

Papà Pidcock gestisce il team dal 2019, un’iniziativa presa sull’onda dell’entusiasmo destato, anche nel suo animo, dalle imprese del figlio. «Ma non c’è solo Tom – ha tenuto a sottolineare in una lunga intervista concessa al giornalista olandese Werner Bourlez – l’altro figlio Joe sta correndo nel team Development della Groupama FDJ e spero che anche lui approdi in una WorldTour. Stanno mettendo in pratica gli insegnamenti appresi in età giovanile, hanno precorso quello che mi aspetto dai ragazzi presenti in Belgio (alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne erano in sei, ndr)».

Il manager britannico ha un’idea molto particolare del modo di correre a quell’età – stiamo parlando di juniores – prescindendo da ogni dettame tattico: «Non voglio sentir parlare di squadre, strategie, men che meno di capitani e gregari. Non prendiamoci in giro, è a quest’età che i talent scout vengono a vederti e ti prendono per i grandi team. Se aiuti qualcun altro non ti notano. Devi correre per te stesso, pensando prima di tutto a divertirti e, certo, senza danneggiare il compagno di squadra. Do loro molti consigli su come interpretare ogni gara, poi però se la devono vedere da soli, imparando volta per volta. Per questo, anche quando le cose vanno male come qui, non sono mai esperienze negative, perché serviranno in futuro».

Joe Pidcock 2022
Joe Pidcock, anni 20, quest’anno ha già corso tra i pro’ a Le Samyn (foto Groupama FDJ)
Joe Pidcock 2022
Joe Pidcock, anni 20, quest’anno ha già corso tra i pro’ a Le Samyn (foto Groupama FDJ)

Un passato da buon dilettante

Pidcock, appena approdato alla leadership del team britannico, si è messo subito alla ricerca di uno sponsor. Lo ha trovato in uno studio di architettura e ora ha a disposizione un budget di 24 mila euro. Può sembrare tanto, ma bisogna considerare che l’attività viene svolta prevalentemente all’estero: «I ragazzi, per imparare, hanno bisogno di correre e in Gran Bretagna ci sono poche gare e di livello troppo basso. Per questo cerco sempre ingaggi all’estero, soprattutto nel Nord Europa e devo dire che il mio cognome aiuta. Certamente non per mio merito…» afferma con un sorriso beffardo.

In realtà anche Giles Pidcock è stato corridore, arrivando in nazionale da dilettante: «Ero a un buon livello, vincevo spesso ma non ho mai trovato spazio in una squadra professionistica. Avevo iniziato a 15 anni, poi dopo aver conseguito la laurea ho smesso, per riprendere a livello amatoriale dopo 15 anni. E il vizio di vincere non l’avevo perso, sono sempre stato un buon velocista… Guardandomi, a Tom e Joe è venuta la voglia di provarci, si sono innamorati della bici e il resto è lì, sulle cronache.

«Per loro è stato fondamentale quel che hanno imparato nelle categorie giovanili. Hanno appreso che cosa significa fare questo mestiere, che cosa comporta, dove si può arrivare. E quel che hanno fatto loro, potranno fare anche altri. Anche Ben, in fin dei conti in lui scorre sangue di un vincitore del Tour de France e pluricampione olimpico. Le occasioni per mettersi in mostra verranno. Potreste pensare che dipenda tutto dal nome: beh, lo scorso anno Max Poole si è messo in evidenza vincendo anche una tappa a La Philippe Gilbert, ora corre nel Team Development DSM».

Pidcock famiglia 2017
La famiglia Pidcock: Giles, Joe, Tom, vincitore del titolo britannico 2017 e mamma Sonia (foto Allan McKenzie)
Pidcock famiglia 2017
La famiglia Pidcock: Giles, Joe e Tom, vincitore del titolo britannico 2017 (foto Allan McKenzie)

In cerca di casa in Belgio

Quando non è impegnato con i suoi ragazzi, Giles spesso si unisce allo staff dell’Ineos Grenadiers per stare vicino a suo figlio Tom. Non è tanto e solo un discorso legato all’aspetto tecnico. L’iridato di ciclocross spesso ha lamentato le difficoltà che l’attività comporta dal punto di vista umano, stare tanto lontano dalla famiglia è per lui un handicap come anche quello dalla ragazza: nel periodo della gara in questione, era stata costretta in ospedale per un piccolo intervento chirurgico e per quanto volesse, Tom non era molto concentrato sulla corsa.

A tutto ciò Giles Pidcock pensa spesso e sta considerando l’idea di acquistare una casa nelle Fiandre, in modo da rimanere vicino al figlio anche d’inverno, durante la stagione del ciclocross: «Non sarebbe un gran sacrificio per me e mia moglie Sonia, che mi dà una grande mano anche nella gestione del team. Amiamo il Belgio, amiamo la sua gente e la sua cucina. Ci sentiremmo sempre a casa, questo è certo…».