Dalla corsa al ciclismo, la metamorfosi della Venerucci

30.09.2025
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Un podio inatteso, ma che racconta tante cose. E’ quello di Valentina Venerucci all’ultimo Giro Mediterraneo in Rosa. Portacolori sanmarinese dell’Aromitalia 3T Vaiano, già precedentemente nel corso della stagione si era messa in bella evidenza, ma la particolarità è data dalla sua storia. Perché Valentina va in bici solo dallo scorso anno, e facendo balzi da triplista ha saltato a pié pari tutta la gavetta, approdando al suo primo anno già alle gare contro le WorldTour.

D’altro canto allo sport di vertice la Venerucci è abituata, perché viene dall’atletica, o meglio dalla corsa in montagna dove anno dopo anno era diventata un riferimento assoluto, capace di mettersi in luce anche a livello internazionale. Poi la folgorazione, come racconta lei…

Valentina Venerucci, nata nel settembre 1993, è entrata nel mondo del ciclismo solo quest’anno (foto Instagram)
Valentina Venerucci, nata nel settembre 1993, è entrata nel mondo del ciclismo solo quest’anno (foto Instagram)

«Ho preso la bici da corsa in mano l’anno scorso, a seguito di un infortunio che ho subìto correndo un trail. Per la riabilitazione e il recupero mi hanno consigliato di praticare un po’ di bicicletta alternandola alla corsa in modo da non aver troppe sollecitazioni. E’ stato un colpo di fulmine, mi sono appassionata alla bici da corsa. Mi piaceva tanto, mi divertivo, ma andavo anche abbastanza bene, diciamo che ero portata. Per cui mi hanno proposto di fare una prima gara amatoriale che è andata bene, ne ho fatta una seconda ed è andata anche meglio».

E come sei arrivata al ciclismo agonistico?

Visti i piazzamenti grazie alla Federazione Ciclismo sammarinese, quindi al Presidente e al mio allenatore, mi hanno fatto entrare nella squadra di A.R. Monex Pro Cycling, la formazione messicana di stanza nel nostro Paese, ma ben presto mi sono arrivate altre offerte tra cui quella di Aromitalia che mi permetteva di alzare il livello dell’attività. E’ stato tutto molto veloce, accelerato al massimo.

In nazionale nella corsa in montagna, difenderà i colori di San Marino agli europei di sabato prossimo (foto Masini)
In nazionale nella corsa in montagna, difenderà i colori di San Marino agli europei di sabato prossimo (foto Masini)
Tu hai un passato importante nella corsa in montagna, quando avevi iniziato e quali sono stati i tuoi risultati più importanti?

Ho fatto diverse gare, prima nelle mie zone tra San Marino e la parte di Romagna sul Rubicone, progredendo via via fino a arrivare anche ai campionati mondiali ad Innsbruck, dove nella vertical, ossia percorsi non troppo lunghi ma con alto dislivello, mi sono piazzata piuttosto bene. Lo scorso anno ho fatto gli europei di corsa in montagna, poi sono passata al ciclismo.

Ti è servita l’esperienza che hai accumulato nella corsa in montagna per il ciclismo?

Sì, perché comunque la corsa in montagna aiuta a migliorare a livello fisico, nella forza, nella potenza ma anche nella resistenza. Perché comunque fare pochi chilometri, ma con tanto dislivello implica incentivare la muscolatura, specialmente degli arti inferiori, delle gambe e anche il fiato, perché si passa appunto da pochi metri a un’elevata altitudine, per cui il fiato lo si migliora tanto. La corsa è molto simile e vicina alla bicicletta.

Nella corsa in montagna Venerucci ha partecipato a mondiali ed europei correndo il Vertical (foto Instagram)
Nella corsa in montagna Venerucci ha partecipato a mondiali ed europei correndo il Vertical (foto Instagram)
Quest’anno hai mostrato una predilezione per le corse a tappe, sia al Tour de Pyrénées che al Mediterraneo in Rosa. E’ un po’ quella la tua dimensione?

Sì, diciamo che le gare a tappe sono abbastanza nelle mie corde. Non è tanto che pratico il ciclismo, quindi non ho avuto ancora la possibilità e l’opportunità di fare tante gare, però ho notato che riesco a resistere e a portare a termine anche competizioni che prevedono più tappe in giorni consecutivi, quindi probabilmente ho la fortuna di migliorare col passare dei giorni e dei chilometri.

Come riesci a coniugare la tua attività con il lavoro di farmacista?

Non è certamente facile perché non ho mai mollato la professione. E devo dire grazie ai miei colleghi di lavoro che mi danno la possibilità di allenarmi attraverso la turnazione. Faccio molti pomeriggi, affinché io la mattina possa poi allenarmi.

Quest’anno la sanmarinese ha colto 6 Top 3 con il podio finale al Giro Mediterraneo in Rosa (foto Instagram)
Quest’anno la sanmarinese ha colto 6 Top 3 con il podio finale al Giro Mediterraneo in Rosa (foto Instagram)
E’ più facile conciliare il tuo lavoro con il ciclismo o prima con l’atletica?

Sono due mondi un po’ diversi. Il ciclismo richiede molto più tempo, era più semplice con l’atletica, perché comunque l’atletica prevede allenamenti più corti e quindi incastrarli era più semplice. Il ciclismo prevede tante ore in bicicletta e anche in palestra, porta via tanto tempo, ma riempie di soddisfazioni. Quindi è un sacrificio che faccio molto volentieri, non mi pesa farlo.

Tu guardi un po’ il mondo del ciclismo con gli occhi della neofita, avendo iniziato quest’anno. Quali sono le cose che noti di più nel mondo del ciclismo femminile?

Il livello delle ragazze, avendo potuto anche partecipare al Giro d’Italia Women, è altissimo. Ho incontrato atlete che sono di un livello straordinario, non solo delle persone fantastiche, perché alla fine sono molto umili e non hanno problemi ad aiutarti se hai necessità. Io dico che ho incontrato campionesse sia in gara che fuori. C’è tanto da lavorare e non posso sicuramente equipararmi a loro che sono anni che lo fanno, quindi a me manca tanto la pratica, ma spero che con l’impegno e probabilmente anche con le persone che credono in me e che ho accanto, andrò lontano divertendomi.

Sesta ai Giochi dei Piccoli Stati, dove aveva colto un bronzo nei 5000 nella sua fase atletica
Sesta ai Giochi dei Piccoli Stati, dove aveva colto un bronzo nei 5000 nella sua fase atletica
Si dice sempre che chi non ha esperienza giovanile, ha difficoltà nello stare in gruppo. Tu come ti sei trovata con questo particolare tecnico?

Hanno ragione! Non avendo esperienza, il gruppo intimorisce. Diciamo che ci sto lavorando. Quello forse è il punto in cui sono molto più carente rispetto anche alle mie compagne di squadra. Ho più difficoltà nel muovermi in gruppo, nel risalire, magari anche più timore. Non so fino a che punto si potrà sopperire alla mancanza del non averlo fatto prima, però sicuramente un passettino alla volta magari si riesce a prendere confidenza.

Continuerai con il ciclismo, ma pensi anche di fare qualche rentrée nella corsa in montagna?

No, attualmente mi dedicherò al ciclismo, perché preferisco fare bene una cosa e cercare di lavorare su quella per il momento. Poi si vedrà anche quali saranno le prospettive future, ma per ora voglio dedicarmi a questa nuova e grande passione.

La cura per il ciclismo. Vanotti parte dal suo progetto

18.07.2025
6 min
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L’analisi che ha messo a confronto ciclismo e atletica, le ricette che hanno portato la “regina degli sport” a svettare nel panorama sportivo italiano riapplicabili al mondo delle due ruote, hanno destato molto rumore nel sonnacchioso ambiente ciclistico. Nessuno nega più che il ciclismo italiano viva un momento buio, certamente non all’altezza della sua tradizione, ma l’establishment fatica ad aggiornarsi e vede le proposte di ”cura” come un fastidio, un disturbo al normale tran tran. Fra questi sicuramente non c’è Alessandro Vanotti.

Storico aiutante di Vincenzo Nibali in molte delle sue imprese, Vanotti oggi ha lanciato un proprio progetto dedicato al ciclismo giovanile che sembra rispecchiare abbastanza fedelmente quei dettami che nell’atletica sono stati seguiti riportandola in auge dopo molte stagioni di zero assoluto. Le sue idee, dopo aver letto l’articolo, prendono spunto proprio dalla “tesi”, il giudicare la vittoria tricolore di Filippo Conca come un momento negativo.

Alessandro Vanotti, storico gregario di Nibali, ha al suo attivo ben 19 grandi giri
Alessandro Vanotti, storico gregario di Nibali, ha al suo attivo ben 19 grandi giri

«Io non la penso così, credo anzi che sia stata una ventata di novità, il premio a un progetto, quello dello Swatt Club, che dovrebbe solo essere incoraggiato perché propone qualcosa di nuovo. E’ un ciclismo visto dai giovani, che fa i conti con un mondo che sta profondamente cambiando. In completa evoluzione, con una nuova mentalità, un diverso modo di vivere il ciclismo, mettendosi agonisticamente in gioco in maniera diversa. E’ preparazione applicata a un obiettivo e perché questo nuovo modello di vedere il ciclismo non va accettato? E’ vero, siamo a un punto basso, dobbiamo rimboccarci le maniche sapendo che per lunghe stagioni non vinceremo, ma dobbiamo investire sul futuro».

Importante è l’insegnamento del mestiere, di quel che il ciclismo significa al di là dei successi
Importante è l’insegnamento del mestiere, di quel che il ciclismo significa al di là dei successi
Perché allora c’è tanta ritrosia verso nuove idee?

Perché rimaniamo preda di idee vecchie e diatribe che non portano nulla, come quella tra Fci e Lega. Guardiamo avanti, guardiamo a noi, le istituzioni invece di litigare dovrebbero aiutare strutture innovative come quella dello Swatt Club e anche la mia. Perché c’è un tessuto culturale da ricostruire. Io con il mio progetto giovanile sono andato dagli sponsor, Santini in primis, facendo presente che da me non troveranno vittorie, non troveranno titoli sui media, ma troveranno serietà, dedizione, soprattutto un lavoro che porterà frutti. E questi frutti non saranno solo corridori professionisti perché in quest’ambiente emerge solo chi davvero ce la fa, uno su mille come diceva la canzone. Ma per il resto forgeremo tanti uomini che saranno poi i dirigenti delle aziende di domani perché lo sport è scuola di vita. Daremo un futuro, ciclistico e non solo.

Le aziende accettano, si adeguano?

Se sai che il progetto è valido, che porterà risultati ciclistici ma non solo, sì. Ma serve calma, soprattutto non correre dietro ai facili entusiasmi, serve soprattutto insegnare che cos’è il ciclismo, che cosa c’è dietro una vittoria. Io su un foglio bianco ho creato un progetto giovanile come quello dell’atletica, mi sono fatto la squadra da me come volevo io, senza interferenze. Ho creato lo staff con la gente che dico io, siamo in 15 e alla fine si decide collegialmente, non c’è un capo assoluto e soprattutto ci coinvolgiamo tutti ma giriamo tutti, non sono sempre gli stessi a seguire i ragazzi. Ma so già che è un progetto a lungo termine, ci vogliono minimo 10 anni per avere risultati.

I giovani che passano per il suo team acquisiscono anche competenze tecniche, utili per il loro futuro
I giovani che passano per il suo team acquisiscono anche competenze tecniche, utili per il loro futuro
Che cosa bisogna insegnare ai ragazzini?

Bisogna far capire a loro il senso di appartenenza alla squadra. Lo spirito di sacrificio. Soprattutto che ci sono tante cose da imparare prima di andare forte in bici. Fare una squadra significa lavorare 7 giorni su 7. Alzarti alle 5 del mattino per caricare il furgone per la gara.

L’errore che probabilmente molti fanno nel ciclismo giovanile è inseguire subito il risultato per appagare gli sponsor. Questo veniva fatto anche 10 anni fa nell’atletica e si scopriva che poi quei ragazzi che vincevano magari da junior o da under 23, poi sparivano. Come li si accompagna ai massimi livelli, non li si disperde?

E’ un problema di cultura. Di appoggio a un progetto umano prima ancora che sportivo. Quel famoso uno su mille non lo troverai se appunto non ci sono i “mille” che vengono messi in condizione di crescere, di diventare uomini. Ma se sai che fra loro ci sarà, forse, un campione, ci saranno altri che andranno a lavorare nella tua o in altre aziende perché avranno imparato qualcosa d’importante. Partiamo da questo. Dallo spirito, dall’obiettivo, l’abnegazione per la maglia, lo spirito di sacrificio, l’etica. Bisogna trovare il giusto equilibrio e noi formeremo questi ragazzi. Ci sarà un piano B per loro se non passeranno professionisti.

La struttura di Vanotti punta innanzitutto alla crescita valoriale dei ragazzi, per farne uomini, e poi, forse, campioni
La struttura di Vanotti punta innanzitutto alla crescita valoriale dei ragazzi, per farne uomini, e poi, forse, campioni
Ma nell’ambiente secondo te c’è abbastanza pazienza?

Non lo so, certamente siamo in un’epoca dove il ciclismo giovanile è alle soglie dell’abbandono, non lo sponsorizza più nessuno. Quindi a monte deve esserci un progetto. Sapendo di lavorare in un mondo in continua evoluzione. E poi liberiamoci dal troppo stress, ce n’è molto di più di quando correvo io. Sono ragazzini, basta con tutte queste pressioni, anche da parte dei genitori. E’ ovvio che i miei ragazzi li cresco per fare il risultato. La performance. Ma con calma, perché lavorando bene arriva. Bisogna essere più smart, integrare il ciclismo alla semplicità, rendersi conto (come ha fatto la nuova riforma dello sport che io approvo) che il mondo dello sport è una professione, non può più affidarsi al volontariato.

C’è anche un problema secondo te di aggiornamento dei tecnici rispetto a quello che emerge dall’estero?

Sì, per questo serve una nuova generazione, più pronta a raccogliere gli impulsi. Noi abbiamo un buco generazionale enorme anche a livello tecnico, per troppi anni si è andati avanti con gente di generazioni passate ma dietro non arrivava nessuno. Ora paghiamo dazio. Con me sono tutti giovani e tutti si aggiornano di continuo. Perché il ciclismo cambia a vista d’occhio. Anche la multidisciplina, ad esempio, è un bene se la si sa fare, ma far correre i ragazzi sempre, oggi nel ciclocross, domani in mtb, dopodomani su strada non va sempre bene, non si può correre sempre. Usiamo criterio. Bisogna rispettare la crescita muscolo-scheletrica, il suo sviluppo, parliamo di ragazzini.

Vanotti è convinto che per avere risultati servirà molto tempo, come per l’atletica…
Vanotti è convinto che per avere risultati servirà molto tempo, come per l’atletica…
Ci sarà da aspettare per rivivere i tuoi tempi?

Sicuramente, ma se sapremo farlo, il ciclismo italiano tornerà quello che era. Ma è tempo di agire, ora, lavorando in profondità. Oggi comandano i Pogacar e i Van der Poel, noi guardiamo. Facciamo in modo che siano loro a guardarci un domani, perché non possiamo aver dimenticato che cos’è il ciclismo, quel che ha dato al nostro Paese. Ma dobbiamo darci una mossa, ora…

Ciclismo italiano malato? La cura può venire dall’atletica…

06.07.2025
6 min
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Nella domenica della vittoria tricolore di Filippo Conca è successa una cosa curiosa. In quasi contemporanea con il successo del corridore dello Swatt Club, giudicato su molti media (senza nulla togliere alla sua valorosissima impresa) come la certificazione del grave stato di crisi del ciclismo italiano, l’Italia di atletica si confermava sul trono continentale degli europei a squadre, il trofeo che definisce lo stato di salute dell’intero movimento.

Perché la cosa è curiosa? Perché se guardiamo solamente a una decina di anni fa la situazione era esattamente opposta. Il ciclismo italiano era ancora un riferimento internazionale, dall’altra parte nell’atletica ogni manifestazione internazionale era un pianto, dalla quale si tornava a casa a mani vuote. Qual è stata allora la ricetta che ha permesso alla “regina degli sport” di scalare le gerarchie e tornare un riferimento assoluto? Ed è una ricetta esportabile anche alle due ruote?

Daniele Bennati ha lasciato il suo ruolo quest’anno, dopo aver vissuto un quadriennio azzurro difficile
Daniele Bennati ha lasciato il suo ruolo quest’anno, dopo aver vissuto un quadriennio azzurro difficile

Lo scollamento tra vertice e territorio

Per trovare qualche risposta abbiamo messo di fronte due personaggi che, in tempi diversi, hanno vestito i panni del cittì nei rispettivi ruoli, Massimo Magnani per l’atletica e Daniele Bennati per il ciclismo. Dieci anni fa c’era proprio Magnani alla guida della nazionale di atletica e ricorda bene la situazione che si trovò davanti: «Mi accorsi che il problema principale era un completo scollamento fra l’atletica di vertice e la base. C’era da rifondare completamente il sistema tecnico, quello degli allenatori di periferia che scoprono i giovanissimi talenti e iniziano a farli crescere con il lavoro. Era necessario decentrare creando poli di lavoro più vicini al territorio, in modo che i tecnici potessero anche confrontarsi».

Questo è un primo aspetto fondamentale: lavorare sull’impianto tecnico. «Bisogna che ci sia un continuo e importante approfondimento culturale di chi lavora vicino ai ragazzi. I tecnici devono avere la possibilità di aggiornarsi, di confrontarsi con il mondo che li circonda. Nel mio periodo alla guida della nazionale ho portato ben 429 tecnici in giro per le gare internazionali, ho spinto molto sull’aggiornamento di ognuno perché il mondo dello sport cambia continuamente e non si finisce mai di aggiornarsi. Quei ragazzini che erano seguiti allora, hanno potuto beneficiare del lavoro dei loro tecnici e sono diventati i campioni di oggi che tutto il mondo c’invidia».

Massimo Magnani, che alla guida della nazionale di atletica ha lanciato il progetto sui tecnici locali (foto Benini)
Massimo Magnani, che alla guida della nazionale di atletica ha lanciato il progetto sui tecnici locali (foto Benini)

Un sistema esportabile, ma non è semplice farlo

Un sistema del genere è esportabile? «La ricetta può funzionare – risponde Bennati – ma dobbiamo tenere conto, fra le varie differenze fra i due sport, di una in particolare. L’atletica si svolge negli impianti, in assoluta sicurezza. Il ciclismo paga un prezzo pesantissimo alle tragedie che, purtroppo a ritmo quasi quotidiano, si svolgono sulle nostre strade con ciclisti investiti. Non si fa abbastanza in questo senso e i genitori sono preoccupati, poco propensi a mandare i loro figli ad allenarsi sulle strade. Stiamo passando un periodo di magra anche per questo.

«Il sistema evocato da Magnani però è giusto e sicuramente serve un rinnovamento a livello tecnico. Nel mio periodo azzurro mi sono confrontato con tecnici che svolgevano questo compito già quand’io ero ragazzino, applicando teorie che andavano bene allora ma nel frattempo le cose sono cambiate, il ciclismo si è evoluto. Se dici a un ragazzino “ai miei tempi si faceva così” non ti sta neanche ad ascoltare…».

L’attività juniores è ora centrale, il problema reale sono gli scarsi numeri giovanili
L’attività juniores è ora centrale, il problema reale sono gli scarsi numeri giovanili

Un processo a lungo termine

Magnani sottolinea come questo processo può funzionare se non si ha fretta: «E’ a lungo termine, i risultati si vedranno dopo anni. E’ un sistema virtuoso, nel senso che porta risultati ma anche a ricambi dietro i campioni. Oggi abbiamo tante stelle a livello internazionale, ma sappiamo che dietro ci sono altrettanti ragazzi che stanno crescendo e che potranno fare altrettanto se non di più. Proprio perché si è agito non sui singoli casi e specialità, ma riformando l’intera struttura».

«Nel ciclismo il discorso è complesso – ribatte Bennati – perché è una disciplina dove si fatica ad aspettare. Quando correvo io avevi la categoria U23 che era davvero un periodo di apprendistato, oggi vedi corridori di 20 anni che vincono grandi gare e si cercano talenti sempre più giovani. Ma per trovarli, per creare corridori capaci servono tecnici con una mentalità aperta, che sappiano andare di pari passo con i cambiamenti del mondo che li circonda».

Il lavoro sulle generazioni più giovani è fondamentale, ma fare proselitismo non basta
Il lavoro sulle generazioni più giovani è fondamentale, ma fare proselitismo non basta

Rivedere il rapporto con le società giovanili

E’ anche importante chi cura il rapporto con questi ragazzi, a cominciare da società e procuratori: «Due figure importanti, che meritano particolare attenzione – sottolinea Magnani – nel primo caso, quando un atleta ottiene risultati a livello assoluto e cambia società, parte della cifra va al club dove il suo talento è sbocciato e questo aiuta la società a proseguire nella sua opera di proselitismo. Per quanto riguarda i procuratori, anche lì è un lavoro in prospettiva: cercare talenti giovani e metterli sotto contratto può andar bene, a patto che non si punti al guadagno immediato, ma si aiuti chi lavora per farli migliorare, poi con la loro affermazione arriveranno anche le ingenti commissioni».

«Per quanto riguarda i procuratori nel ciclismo – interviene Bennati – normalmente avviene già così. E’ vero che ormai si contrattualizzano ragazzi addirittura nella categoria allievi, ma inizialmente non ci si guadagna nulla e neanche quando un corridore approda in un devo team. Se e quando riuscirà a passare professionista, allora il contratto inizierà a funzionare. Il discorso relativo alle società è più complesso.

Il ciclismo paga un prezzo altissimo alla sicurezza stradale. Questo non invoglia i genitori a far fare attività ai figli…
Il ciclismo paga un prezzo altissimo alla sicurezza stradale. Questo non invoglia i genitori a far fare attività ai figli…

Cambiare la cultura e… saper aspettare

«Bisogna considerare che bisogna stravolgere un sostrato culturale ma anche una situazione effettiva, perché una società giovanile vive sugli sponsor e questi vogliono vedere risultati. Per questo si punta, anche troppo, ai risultati in ambito giovanile e chi vince avanza, mentre bisognerebbe guardare più ad ampio spettro, le possibilità di crescita di un ragazzo. Il sistema a percentuale per la firma del contratto potrebbe funzionare, ma lì è la Federazione che deve metterci mano e non è facile».

Su un argomento i due ex cittì concordano: per avere riscontri serve tempo. «Da appassionato – afferma Magnani – posso dire che nel ciclismo è fondamentale che ci sia un aggiornamento culturale che segua l’evoluzione del tempo, perché i ragazzi di oggi sono profondamente diversi da quelli di vent’anni fa. L’aggiornamento tecnico, la loro crescita attraverso il confronto con altre scuole, la stessa progressiva responsabilizzazione anche come dirigenti dei team è un passo fondamentale, che porterà benefici se si saprà aspettare».

«L’ambiente ciclistico deve oggi dimostrare di avere questa capacità – ribatte Bennati – ma rendiamoci conto che oggi il ciclismo ha, per le ragioni dette prima, meno appeal rispetto ad altre discipline anche se le cifre che girano non sono quelle dei miei tempi. E’ chiaro comunque che ha bisogno di uno scossone, per tornare quello che era un tempo…».

Notizia bomba: rinasce con Scotti il Giro delle Regioni

24.12.2022
5 min
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Dopo il gran finale del Giro d’Italia di ciclocross a Gallipoli, Fausto Scotti è già proiettato verso il futuro e si tratta di un futuro denso di prospettive, perché l’ex cittì della nazionale italiana ha tirato fuori dal cassetto un grande progetto: la rinascita del Giro delle Regioni.

Va chiarito subito: rispetto alla creatura del compianto Eugenio Bomboni, la corsa a tappe che portava in Italia tutti i migliori talenti del dilettantismo mondiale, i punti in comune, salvo il nome, sono pochissimi. L’idea di Scotti va molto più in là, arrivando a toccare tutte le discipline ciclistiche e coinvolgendo addirittura altre discipline sportive in una sinergia che, in un futuro abbastanza prossimo, vada addirittura a solleticare un mondo tanto fondamentale per la pratica sportiva quanto purtroppo attualmente lontano da essa: la scuola.

Il Giro delle Regioni avrà vita diversa dal Giro d’Italia, che ha già chiuso l’edizione 2022 (foto Paletti)
Il Giro delle Regioni avrà vita diversa dal Giro d’Italia, che ha già chiuso l’edizione 2022 (foto Paletti)

La spiegazione del progetto è abbastanza complessa. Scotti prende spunto proprio dal ciclocross perché sarà la prima delle discipline coinvolte: «Intanto abbiamo brevettato l’idea, era un passo necessario perché non ci venisse copiata e già in questa stagione lanceremo una sorta di sua sperimentazione attraverso le altre due gare nazionali da noi organizzate, le prove di Noci (BA) disputata ieri e di Roma, il Memorial Scotti che torna finalmente a Capannelle l’8 gennaio».

Non c’è il rischio di un doppione del Giro d’Italia?

Il Giro vive di luce propria e andrà avanti per la sua strada, ha una propria formula consolidata negli anni. L’idea del Giro delle Regioni nel ciclocross ha basi diverse, dev’essere qualcosa che funzioni come rilancio di sport e turismo insieme e che coinvolga anche altre realtà sportive. Negli anni, girando per trovare località per il Giro, sono entrato in contatto con molti sindaci e presidenti regionali tutti alla ricerca di iniziative rivolte alla comunità. Ho pensato a un progetto, ma doveva essere molto di più rispetto a quanto fatto finora. Ho contattato consiglieri federali di altri sport, ho anche parlato con Abodi prima che diventasse Ministro dello Sport e ho dato forma all’idea di costruire un contenitore aperto anche ad altre discipline sportive.

L’ippodromo romano delle Capannelle ospiterà la seconda tappa, domenica 8 gennaio
L’ippodromo romano delle Capannelle ospiterà la seconda tappa, domenica 8 gennaio
In che forma?

La mia idea è che ogni tappa del Giro delle Regioni debba coinvolgere varie discipline. Faccio un esempio: se organizziamo alla domenica il ciclocross, perché non abbinare al sabato una corsa campestre, dando così linfa anche a quel movimento? L’atletica sta vivendo un grande periodo di rinascita, ma nel cross, soprattutto in ambito nazionale, c’è ancora bisogno di sostenere l’attività. Possiamo farlo insieme e altre discipline possono abbinarsi con loro iniziative. Ogni gara diverrà una sorta di festival sportivo aperto a tutti.

Sarà già in questa forma il Giro che prenderà vita?

Non ci sarebbe il tempo materiale. Intanto iniziamo mettendo un punto fermo, ricordando ad esempio che Capannelle ha una grande tradizione anche nell’atletica, avendo ospitato campionati italiani e addirittura un mondiale negli anni Ottanta. Saranno due tappe sperimentali, per far vedere che siamo già operativi e che il cammino è stato intrapreso: avremo classifiche, maglie da assegnare come in ogni challenge, ma l’idea va molto oltre di essa.

Il logo del Giro delle Regioni, un marchio che dovrebbe comprendere varie discipline
Il logo del Giro delle Regioni, un marchio che dovrebbe comprendere varie discipline
Si tratta di sforzi organizzativi non da poco…

Infatti un principio alla base del Giro, per qualsiasi disciplina sia coinvolta, è che si deve lavorare in sinergia tra varie società. Unire ciclocross e atletica significa unire realtà organizzative diverse ma con tanto in comune, significa ammortizzare molte spese, significa anche coinvolgere più sponsor e soprattutto smuovere varie zone del Paese.

Veniamo alla strada…

Il Giro delle Regioni su strada ha una storia prestigiosa, Bomboni lo conoscevo bene, ha lavorato molto anche con mio padre – spiega Scotti – Ripetere la sua esperienza non è possibile perché – e lo abbiamo verificato direttamente – i costi per una gara a tappe sono insostenibili. E’ invece più fattibile allestire una challenge che colleghi 4-5 classiche nazionali, ad esempio fra gli junior. Anche in questo caso però bisogna pensare a sinergie da mettere in atto, con gare podistiche su strada ma anche con altre discipline sportive e soprattutto bisogna incentivare l’attività giovanile, quindi prevedendo iniziative per i più piccoli. Un’idea che sarebbe interessante mettere in pratica sarebbe ad esempio collegare queste classiche mettendo come premio borse di studio, magari coinvolgendo Poste Italiane o una banca.

Enrico Battaglin, ultimo vincitore del Giro delle Regioni nell’ormai lontano 2010
Enrico Battaglin, ultimo vincitore del Giro delle Regioni nell’ormai lontano 2010
Hai parlato di un progetto che deve coinvolgere anche le scuole…

Bisogna smuovere l’attività nei plessi scolastici, collegandoli alle società sportive, facendo svolgere iniziative che li mettano in sana competizione. Parlando con Abodi è tornata alla luce l’idea dei Giochi della Gioventù che è stata la base del boom sportivo italiano. Rimettiamoli in gioco, partendo però dalle basi, iniziando con manifestazioni locali, che in questo modo uniscano anche i più piccoli e coloro che stanno diventando o sono già diventati campioni. Sempre unendo le forze e pensando anche a coinvolgere la Tv, ma non in diretta. Meglio una differita intera e ben confezionata, capace di coinvolgere di più.

Storia di Woods, l’uomo forgiato dal dolore

24.06.2022
6 min
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La Route de l’Occitanie, chiusa con la vittoria di Bonifazio nell’ultima tappa, ha premiato Michael Woods, il canadese che a 35 anni ha conquistato così la sua prima corsa a tappe dopo una carriera a essere descritto come uno specialista delle corse in linea, delle classiche nello specifico. Woods sta preparando il Tour de France, nel quale sarà in una compagine di “vecchietti terribili”, da Fuglsang a Froome, alla ricerca di squilli più che mai necessari, perché la Israel Premier Tech è in piena lotta per non retrocedere. Il WorldTour del prossimo anno avrà ugualmente 18 licenze, ma per l’ammissione faranno fede i punteggi. Si potrà perdere il titolo a vantaggio di team professional che ne avranno conseguiti di più, con evidenti ripercussioni su budget e sponsor.

Il canadese in proposito non ha mai perso il suo ottimismo: «Abbiamo gente davvero forte, se siamo in questa situazione è colpa solamente della sfortuna. Ora però il vento sta girando dalla nostra parte, vedi i risultati di Impey in Svizzera o dello stesso Fuglsang. C’è quindi da essere ottimisti, al Tour faremo bene».

Woods Tokyo 2021
Woods a Tokyo, dove perse la volata per il podio contro Van Aert e Pogacar. Ci riproverà a Parigi 2024
Woods Tokyo 2021
Woods a Tokyo, dove perse la volata per il podio contro Van Aert e Pogacar. Ci riproverà a Parigi 2024

In atletica è ancora un nome…

Relegare il successo ottenuto in Francia a una delle tante vittorie che ogni settimana il mondo ciclistico offre agli appassionati è però troppo poco, perché dietro quel successo c’è una storia fatta di sacrifici, di riscatto dai colpi della vita, per alcuni versi anche originale. Perché Michael Woods non è un personaggio come gli altri.

Pochi sanno ad esempio che da 17 anni Woods detiene ancora il record nazionale juniores del miglio, ben sotto il famoso muro dei 4 minuti (3’57”48 per la precisione). Già, perché inizialmente il ciclista di Toronto non era… un ciclista.

«L’atletica è sempre stato il mio grande amore», ha raccontato nello scorso inverno a una troupe giunta appositamente dal Canada nella sua residenza ad Andorra. «Nel 2005 quel tempo mi permise di entrare nella Top 50 mondiale dei 1.500 metri, ma soprattutto di guadagnarmi una borsa di studio per l’università dello Utah. Avevo una carriera davanti e sognavo di competere per il Canada a Pechino 2008, ma le cose andarono diversamente».

Woods corsa
2005, Woods trionfa ai Giochi Panamericani junior sui 1.500 metri (foto Tyler Brownbridge)
Woods corsa
2005, Woods trionfa ai Giochi Panamericani junior sui 1.500 metri (foto Tyler Brownbridge)

Un altro sogno in frantumi

La sua carriera infatti ha una brusca interruzione quando Michael si rompe un piede. La sentenza dei medici è implacabile: ben difficilmente riuscirà a riprendere i livelli di prima, troppo stress per il suo arto. Per lui è una doccia fredda, dopo che da bambino aveva già dovuto mettere da parte il suo primo amore sportivo, che per un canadese non potrebbe essere altro che l’hockey su ghiaccio. Troppo gracile avevano detto, ma almeno aveva trovato qualcosa per tirarsi su…

Il destino a volte prende vie tortuose. Nel cammino di rieducazione Woods inizia ad andare in bici, il movimento ciclico della pedalata aiuta l’articolazione e col tempo non solo migliora la situazione fisica, ma sente crescere dentro di sé anche la passione. In fin dei conti – pensa – non sono poi tanti i campioni canadesi in questo sport, c’è stato Bauer, poi Hesjedal, ma potrebbe essere una strada giusta per arrivare dove voglio, ossia alle Olimpiadi

Woods figlio
Michael Woods con il piccolo Willy, nato dopo Tokyo 2021 (foto David Powell/Rouleur)
Woods figlio
Michael Woods con il piccolo Willy, nato dopo Tokyo 2021 (foto David Powell/Rouleur)

La rinascita dal dolore estremo

Woods fa il suo esordio tra i pro’ in una squadra continental nel 2013, a 27 anni e ripensandoci viene da ridere, considerando come nel ciclismo attuale sei considerato “vecchio” neanche passata la soglia degli under 23. Fa subito vedere di che pasta è fatto, tanto che nel 2016 viene ingaggiato dalla Cannondale-Drapac e si dimostra subito corridore molto adatto a certi tipi di corse in linea, quelle mosse dove scompaginare le tattiche altrui oppure nelle tappe. Nel 2017 finisce 7° alla Vuelta, l’anno dopo è secondo a Liegi e terzo ai mondiali, in quello che è l’anno più bello e nel contempo più brutto.

Dopo pochi giorni dalla sua nascita, il primo figlio Hunter muore e la coppia di genitori è attonita. Non c’è tempo per il ciclismo, c’è da condividere un dolore: Michael e sua moglie vivono giorni, settimane in continua altalena, ma parlando, confrontandosi si fanno forza l’un l’altro e pian piano iniziano a ricostruire le fondamenta della famiglia.

Woods Tour 2021
Il 35enne di Toronto ha già vestito la maglia a pois nel 2021, ma ora vuole portarla a Parigi
Woods Tour 2021
Il 35enne di Toronto ha già vestito la maglia a pois nel 2021, ma ora vuole portarla a Parigi

La famiglia prima di tutto

Di fronte a ciò, anche la frattura del femore del 2020 sembra uno scherzo: «In questi anni – dice – attraverso colpi così duri ho accresciuto la mia resilienza e questo si ripercuote anche nella mia attività ciclistica, perché faticare mi fa ancora meno paura».

Anche il lockdown non lo ferma anche perché la famiglia comincia a popolarsi. Nel gennaio 2020 è arrivata Maxine e nel 2021 tocca a Willy. I tempi del suo arrivo avevano messo in pericolo la partecipazione a Tokyo, il coronamento del suo sogno olimpico, ma conoscendolo sua moglie Elly gli aveva dato il permesso di partire. Appena chiusa la corsa, quinto a un passo dal podio, Woods è ripartito e ha rinunciato alla Vuelta per stare vicino a sua moglie.

Oggi Woods è un uomo nuovo, ma non è assolutamente appagato e i suoi risultati dipendono da questo. Intanto vuole con tutte le sue forze correre a Parigi 2024, anzi vuole vincere quella medaglia sfuggitagli un anno fa per imitare Steve Bauer che fu argento a Los Angeles 1984. Poi vuole essere il primo canadese a conquistare una Monumento e magari anche il primo a vincere la maglia a pois al Tour. Tutti obiettivi che ha sfiorato e che sa essere a portata di mano.

Woods attività
Il canadese con la divisa della sua impresa di abbigliamento per il ciclismo (foto David Powell/Rouleur)
Woods attività
Il canadese con la divisa della sua impresa di abbigliamento per il ciclismo (foto David Powell/Rouleur)

Solamente pedalare fa bene?

Ora il ciclismo lo vede in maniera diversa: «Mi ha insegnato un principio fondamentale: quando cadi, devi rialzarti e questo vale per tutto. Nessuno si offenda però se il mio grande amore resta la corsa. Quando posso, metto le scarpette e vado a correre. Al Tour des Alpes Maritimes dello scorso anno ero in stanza con Vanmarcke: piano piano, senza svegliarlo, mi preparai e andai a correre. So che molti non vedono di buon occhio questa mia attività, ma fa parte di me e non ci rinuncio».

Sul tema Woods ha anche dato una sua interpretazione che merita una riflessione: «Se sei sempre in bici, in realtà stai facendo solo un range di movimento davvero ridotto. Così influisci male sul tuo corpo. Alcuni esperti mi hanno detto che molti ciclisti professionisti finiranno con problemi di densità ossea, perché semplicemente non corrono né camminano mai».

Chiusa la carriera, Woods ha già detto che si dedicherà alla sua fondazione Mile2Marathon, per dare un indirizzo di allenamento a chi vorrà, ma produce anche attrezzatura per ciclisti e ha anche un altro intento: quello di promuovere il ciclismo fra i bambini e trasmettere gli insegnamenti che ha appreso grazie a quelle strane due ruote…