Dario Pieri

Nel mondo di Pieri, fra ricordi, pensieri e risate

30.12.2020
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Quasi scherzando a proposito di Bettiol, giorni fa Leonardo Piepoli disse che a lasciarlo troppo da solo, in certi giorni gli ricordava Dario Pieri, ma che di Pieri ce n’è uno solo poi hanno buttato lo stampo. E qua s’è accesa la lampadina: dov’è finito Dario? E cosa sta facendo? E’ sorprendente come le vite si separino e ragazzi con cui condividevi ore e chilometri di colpo spariscano dai radar. La cosa migliore, più che mandare dei messaggi, è sollevare la cornetta e chiamare. Perciò amici di bici.PRO curiosi di avere sue notizie e amici che non sapete chi sia, riecco a voi il Toro di Scandicci.

A uso di chi non l’ha visto correre, vale la pena ricordare che Pieri, classe 1975, è stato professionista dal 1997 al 2006 e pur avendo vinto appena quattro corse, è ritenuto il più grande talento italiano del pavé dopo Franco Ballerini soprattutto per due secondi posti. Al Fiandre del 2000 e alla Roubaix del 2003. Tutto intorno, la sua figura si tinse di colori leggendari legati all’amore per la tavola e alle abitudini non sempre da atleta. Una reputazione cui oggi si ribella con decisione.

Dario Pieri, Tre Giorni di La Panne 1998
La vittoria di tappa a Zottegem alla Tre Giorni di La Panne 1998, primo acuto al Nord
Dario Pieri, Tre Giorni di La Panne 1998
Zottegem, De Panne 1998: primo colpo al Nord

«Non era tutto vero – dice a un certo punto, si impunta poi si rilassa – ma ho le spalle grandi e me la sono fatto scivolare addosso. E’ vero che mi piaceva mangiare e non ero un fissato come Bartoli e Casagrande. Ma se vengono certi risultati, vuol dire che mi allenavo».

A un certo punto si parlava di te come dell’erede di Franco Ballerini.

Lui me lo diceva sempre. «Se avessi il tuo fisico e la mia testa, non ce ne sarebbe per nessuno». Il paragone per la prima volta lo fece Marcello Perugi, un vecchio direttore sportivo che purtroppo è morto lo scorso settembre. «Te sei come Franco – disse – ma con un po’ più di classe». Perché Franco quando andava a tutta, un po’ stantuffava. Così me lo fece conoscere e uscimmo anche insieme, solo che ai tempi io ero un ragazzino e lui un professionista, sempre in giro. Poi quando passai anche io, divenne una figura da seguire.

Cosa fai oggi?

Ho il mio tiro al piattello, più ho un B&B con il ristorante sotto, “Il boschetto”, che gestisco con la mia compagna Samanta. Quest’anno ho dato anche una mano alla griglia, per non dover pagare una persona in più. Al tiro si è lavorato fino a settembre, poi s’è aperta la caccia e hanno smesso di venire. Vivo a Montemiccioli, un borghetto medievale di tre anime fra Volterra e Colle Val d’Elsa.

Segui ancora il ciclismo?

Poco per via del lavoro. Com’è stato seguirlo dal vivo con tante transenne? In televisione sembra lo stesso, però si capisce che non è uguale. Mi tiene aggiornato Balducci e qualche volta anche Alberto Bettiol. Simpatica questa cosa di Piepoli! E’ vero che a volte deve essere spronato, ma Gabriele fa un buon lavoro. Alberto ha vinto il Fiandre da giovane, se fa un’annata regolare, combina sicuro qualcosa di buono.

In bici ci vai qualche volta?

Zero. Ma sapete che proprio in questi giorni mi sta venendo voglia di allenarmi? Ma prima dovrei rimettermi in forma.

E al periodo delle corse ci pensi qualche volta?

Ci penso sì, normale. E’ stata la mia vita, sono cose che rimangono e che rifarei. Ho visto il mondo, sono maturato. Ho eliminato dai ricordi le situazioni spiacevoli e le discussioni inutili. Ho smesso perché il Pieri a un certo punto non era più una persona, ma solo un gran motore. Mi accorsi che nonostante tanta gente, ero da solo. Quando mi feci male alla Roubaix, mi ci portò Balducci all’ospedale. Due giorni dopo. Avevo un foruncolo che si era gonfiato troppo e rischiava di esplodere all’interno. Mi operarono, mi misero dei punti.

Quella fu l’ultima Roubaix, nel 2004. Poi ci fu il progetto di rifarla con la Lpr nel 2007, con tanto di troupe della Rai che voleva seguirti.

Ma alla fine rinunciai, perché pensavo di aver trovato persone di un certo tipo, che invece alle spalle dicevano altro. Ho sempre avuto accanto la mia famiglia, gli amici veri e Balducci, il solo nel mondo del ciclismo.

Quali corse ricordi?

La prima vittoria a De Panne, quando presi la maglia. Mi dissi: «Allora sei buono per davvero!». Ma il vero rammarico ce l’ho per la volata di Roubaix. Ero in giornata eccezionale, ma trovai Aldag che non tirava e non si staccava. Se fossi riuscito ad andare via da solo, non mi prendevano. Invece arrivammo allo sprint e vinse Van Petegem. A quello sprint ammetto che ci penso spesso. Il secondo al Fiandre fu diverso. Feci un po’ il succhiaruote, sapevo di non avere tante banane e poi venni fuori bene all’ultimo chilometro.

Una vittoria avrebbe cambiato la tua carriera?

Ne sono certo, avrei corso ancora a lungo, perché non ero davvero un corridore spremuto.

Dario Pieri
Un gigante buono che si è sempre fatto in quattro per gli altri, non sempre ricambiato
Dario Pieri
Dario Pieri, un gigante buono
Hai detto che Bartoli e Casagrande erano fissati, come si troverebbe Pieri nel ciclismo di oggi dove quello è lo standard?

Dipende. Sono epoche diverse. Adesso nascono con tutto a portata di mano e se sanno sfruttare le opportunità, sono avvantaggiati. Io passai nel 1997, l’epoca dei grandi cambiamenti, del controllo dell’ematocrito, un periodo differente. Mi dispiace che ho smesso quando si sono ritirati Boonen e Van Petegem, magari trovavo spazio.

Sei felice?

Vivo con Samanta e le sue due figlie di 11 e 20 anni, Irene e Sara. Ho il mio lavoro e vado a caccia, stamattina sono rientrato prima per fare questa chiacchierata. Di cosa posso lamentarmi? Sì, sto bene così.

Leonardo Piepoli, figlio Yanis, #NoiConVoi2016

Piepoli ci porta nei pensieri di Bettiol

28.12.2020
4 min
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Che cosa intendeva Alberto Bettiol quando ha detto che non sarà mai autonomo e avrà sempre bisogno di un supporto? Lo abbiamo chiesto a Leonardo Piepoli, che da anni ne segue la preparazione. E che, a detta del toscano, lo supporta anche sul piano psicologico, essendo uno dei due pilastri sportivi che gli sono rimasti dopo la morte del procuratore Mauro Battaglini. Il terzo è Gabriele Balducci. Quando parla del pugliese, Bettiol ama parlare di lui come del suo “stalker”.

Piepoli ormai fa base fissa in Puglia, dove ha la sua squadra di bambini e dove a sua volta 20 mesi fa ha avuto una bimba, Zoe. Leo ha un altro figlio, che si chiama Yanis e ha 13 anni, ma vive in Francia con la mamma ed è il motivo per cui Leo conserva un punto d’appoggio in Liguria, dove è cresciuto ciclisticamente. I due, padre e figlio, sono appena arrivati in Puglia per passare qualche giorno insieme (nella foto di apertura, sono insieme alla pedalata di solidarietà #NoiConVoi2016 nelle zone del sisma del Centro Italia). La fine di quel matrimonio e gli ultimi 13 anni passati tra l’inferno e il purgatorio sono il conto che Piepoli ha pagato per la positività al Tour del 2008. Una pena che in Italia non si sconta per aver ucciso due ragazze guidando da ubriachi, per aver falciato 8 ciclisti nelle stesse condizioni e tantomeno per stupro.

Damiano Caruso, Alberto Bettiol, Tour de France 2020
Caruso e Bettiol, storia in comune alla Mastromarco, poi alla Bmc
Damiano Caruso, Alberto Bettiol, Tour de France 2020
Caruso-Bettiol: due ragazzi di Mastromarco

Benedetta umiltà

Il corridore non è una macchina, non si risolve tutto trovando la tabella giusta e avviando il motore. Bettiol ne è la prova.

«E’ stato malato per 15 giorni, ve lo ha detto – spiega Piepoli – quindi avendo ricominciato da poco ad allenarsi, era come se ripartisse da zero. Perciò, visto che in Toscana si annunciava tempo brutto, gli ho mandato un messaggio. Gli suggerivo di organizzarsi per andare magari a far visita a Caruso in Sicilia, con cui so che si trova bene. Mi sarei anche potuto aspettare che ci pensasse da solo, invece…».

Cosa ti ha risposto?

Mi ha chiesto se fossi diventato matto. Il ruolo di scardinare questa sua inerzia lo dividevamo in tre, appunto con Battaglini e Balducci. Lo facevamo a rotazione, per non essere troppo invadenti.

Per questo dice che Piepoli è il suo “stalker”? 

Esatto. Per fortuna è ancora nella fase in cui risponde positivamente agli stimoli. Ricordo invece quando lavoravo con Pozzato, che se ne fregava di certi richiami e faceva a modo suo. Bettiol se non altro mantiene l’umiltà. Balducci da un po’ gli va ripetendo che anche Pieri aveva un grandissimo talento, ma che di Pieri ne basta uno.

Forse per questo tipo di stimoli vivere da solo a Lugano non va tanto bene?

Non crediate, ha bisogno di cambiare. Se sta troppo con Balducci, gli prende le misure. A Lugano trova gente super mentalizzata, come Pozzovivo e Nibali e un po’ lo mettono alle strette. Bettiol vale tanto. Nelle giuste condizioni di gara, può vincere una Liegi e anche un mondiale come quello di Imola. Siamo ancora lontani dai suoi limiti e forse non li scoprirà mai. Almeno se non smette di essere lui l’ostacolo.

Dice che allenarsi in gruppo è lo stimolo per stare sotto l’acqua in allenamento.

Perfetto, è esattamente così. Se va liscio, non ha problemi. Se c’è bel tempo, esce, si allena, fa tutto alla perfezione. Il maltempo invece gli rende tutto difficile, resterebbe volentieri in casa. Neanche a me piaceva allenarmi da solo oppure quando pioveva, ma il vero professionista è quello che si organizza. Sta tutto a farlo uscire.

Leonardo Piepoli, Giro d'Italia 1997
Piepoli passò professionista nel 1995 con la Refin. Qui al Giro d’Italia del 1997
Leonardo Piepoli, Giro d'Italia 1997
Piepoli professionista dal 1995 con la Refin
Ha detto che Imola era troppo duro per lui.

E’ vero, ma avrebbe potuto vincerlo in diverse circostanze di corsa. Come la Liegi. Se aspetti l’ultimo strappo, Alaphilippe ti fa fuori. Ma se la corsa esplode e giochi di anticipo, sei vincente. Come Mollema ha vinto il Lombardia, insomma. A volte più della percentuale di forma, conta la qualità del corridore.

Difficile da far capire?

Nell’ultimo anno ha imparato a stringere i denti più di quanto abbia mai fatto. Ha capito che vince chi sa soffrire di più e reagisce meglio alle situazioni di gara. Che vince di sicuro con il 110 per cento della forma, ma deve provarci anche al 90.

Perché dopo il Fiandre per un po’ è sparito?

Perché si è sentito un supereroe e ha cominciato a correre con il chip di non fare fatica. Dieci giorni dopo, c’era la Freccia del Brabante. Ha esitato e la fuga è andata via. Quando si è accorto che non rientravano, è partito da solo e ha staccato il gruppetto in cui si era ritrovato. Ha cominciato a dire che non stava bene e che era troppo dura, anche davanti all’evidenza che era uscito da solo facendo un numero. Era il più forte di tutti, avrebbe vinto anche quel giorno. Lo scorso inverno è servito per chiarirsi, tanto che a inizio stagione ha vinto subito.

Come hai vissuto questi 13 anni di esilio?

Male, a volte la vivo male ancora oggi. Quando sono andato ad Aigle per fare il corso Uci ero a disagio, sentivo di non essere al mio posto. Solo che mentre ero in auto che aspettavo, sono arrivati Basso, Julich, Sorensen, che non erano certo meglio di me, così mi sono rilassato. Ho fatto ammenda. Ho partecipato e tenuto seminari contro il doping. Sono andato alla Cadf, la commissione antidoping. Sono andato all’Mpcc. Ho fatto e parlato con tutti quelli con cui dovevo parlare. Forse è arrivato il tempo di chiudere quella porta e aprirne un’altra.

Jonathan Vaughters

Ef Pro Cycling, quella mail per fermare il Giro…

24.12.2020
3 min
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A margine della splendida chiacchierata con Alberto Bettiol, il discorso è caduto sul giorno (15 ottobre, tappa di Cesenatico) in cui la Ef Pro Cycling propose di fermare il Giro al secondo giorno di riposo. All’indomani dell’arrivo di Piancavallo.

Erano giorni convulsi e confusi. Sui siti di un paio di quotidiani era stata amplificata la notizia secondo cui 17 poliziotti in moto del Giro fossero positivi al Covid. E quando si era capito che si trattava della scorta del Giro per bici elettriche, che nulla c’entrava con quello “vero”, era stato necessario un lavoro titanico di rettifiche per riaffermare la verità. Due giorni prima la Jumbo-Visma si era ritirata in blocco per la positività di Kruijswijk e così pure la Mitchelton per quella di Simon Yates. Anche Michael Matthews aveva lasciato la corsa, rivelandosi poi un falso positivo al pari di Gaviria di lì a poco. Il Giro era scosso da una vena di comprensibile isteria. E la proposta di Vaughters aveva inasprito gli animi.

«Le cose sono abbastanza chiare – dice Bettiol, che al Giro non c’era ma ha vissuto tutto in diretta – anche se poi sono state interpretate un po’ dalla rabbia e dalla frustrazione, perché eravamo tutti sotto pressione».

Simon Clarke, EF Pro Cycling, Giro d'Italia 2020
Per la Ef Pro Cycling al Giro, due tappe e la maglia azzurra della montagna
Simon Clarke, EF Pro Cycling, Giro d'Italia 2020
Per la Ef al Giro, 2 tappe e la maglia dei Gpm
Che cosa è successo?

Noi tutti della Education First abbiamo ricevuto una email da Vaughters (team manager del team, ndr), in cui si diceva che forse era più sicuro se la squadra del Giro fosse tornata a casa. Un suo consiglio, c’era scritto: uno spunto costruttivo su cui ragionare.

Perché?

Noi siamo quelli che hanno adottato più misure Covid. Facciamo il tampone ogni volta che entriamo nella bolla, ben oltre quello che dice l’Uci. Per l’Uci bastano due tamponi e sei coperto per 10 giorni. Noi lo facciamo ogni volta che usciamo dalla bolla. Abbiamo dormito sempre in camera singola, anche il personale, che forse solo la Ineos. Tamponi a casa. Non abbiamo fatto più ritiri. A tavola massimo 3-4 persone. EF come politica aziendale (EF – Education first è una società internazionale specializzata in formazione linguistica, viaggi studio, corsi di laurea e scambi culturali, ndr), non come squadra di ciclismo, ci ha fatto queste raccomandazioni. E noi ci siamo attenuti alla politica del nostro sponsor.

Quindi al Giro è suonato l’allarme?

Vaughters, vedendo che c’erano i poliziotti positivi, che andava a casa Matthews, che andava a casa Yates… ha detto che forse si poteva trovare la soluzione. Solo che Vegni l’ha presa sul personale.

Bè, alcune erano notizie false…

Infatti Guidi si è sentito di dire, il giorno dopo, che quelli che erano al Giro volevano continuare. Ma era un ordine che veniva dall’alto. Sia come tagli dello stipendio, sia come politica del Covid e di spostamenti, ci siamo attenuti a EF. Perché noi siamo EF e abbiamo ricevuto in proporzione lo stesso identico trattamento di un maestro che fa lezioni di francese.

Alberto Bettiol, Giro delle Fiandre 2020

E Bettiol apre lo scrigno dei ricordi belli

24.12.2020
6 min
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Natale con i tuoi, così quelli di Lugano hanno caricato famiglie e biciclette sulle auto e sono discesi verso le case di origine, Bettiol fra loro.

«Sono in piena ripresa – dice il toscano della Ef Pro Cycling – perché ho avuto un po’ di febbre un paio di settimane fa, quindi mi sono fermato e ora sono ripartito alla grande, perché ho già perso un bel po’ di giorni. Ma non so ancora quando comincerò a correre. Certezze ce ne sono poche. Il primo periodo vero però dovrà essere quello dalle Strade Bianche in poi…».

Alberto Bettiol, mondiali Imola 2020
Alberto Bettiol ai mondiali Imola 2020 chiusi in 18ª posizione
Bettiol ai mondiali di Imola, 18° al traguardo
Però intanto comincerai senza Fabrizio Guidi, passato alla Uae Emirates…

E per me è stato un colpo. Eravamo arrivati insieme in America a fine 2014. E’ toscano, ha fatto il mio stesso percorso da corridore, da Massini a Balducci. Quando era in Toscana, passava a vedermi sul Serra, la sua salita. Ci si scambiava un’idea, mi vedeva dal vivo invece di guardare i file. Facevamo insieme Strade Bianche, Tirreno e Sanremo, preparando le classiche. Mi dava consigli e ne dava a Klier e Wegelius che sono i direttori per il Nord. L’anno che ho vinto il Fiandre lui l’aveva visto subito. Non entro nel merito delle scelte, non le ho volute nemmeno sapere. 

Quando l’hai saputo?

Non tanto tempo fa. Me lo ha voluto anticipare di persona come si fa tra persone serie, perché sapeva che una notizia del genere mi avrebbe un po’ stranito.

Che cosa vuoi dal 2021?

Conferme. Per me ogni anno deve essere un andare avanti, migliorarsi. Ovviamente vincere, in qualunque mese, qualunque tipo di corsa. Continuare a stare bene fisicamente e psicologicamente. Preparare una gara, arrivarci in forma, interpretarla bene tatticamente.

La stagione di Bettiol era ripresa con un ottimo 4° posto alla Strade Bianche
Quarto alla Strade Bianche, prima gara post lockdown
E’ difficile trovare la condizione?

In termini di concentrazione, devi lavorare su te stesso e l’approccio alle gare. Per la condizione atletica, ci sono tante cose che si devono incastrare. Se mi venisse a marzo la febbre dei giorni scorsi, sarebbe un problema. Servono fortuna, continuità di allenamento e di prestazione. Io non ci metto tanto a Trovarla. Madre Natura mi ha dato questa dote, non ho bisogno di tanti chilometri e giorni di gara. Non a caso, alle Strade Bianche quest’anno sono andato forte (4°, ndr), venendo da poco o niente. Solo con un bel blocco di allenamento a Livigno. Poi ovviamente bisogna dare continuità. Per trovare la forma, quella bella, ci vogliono le gare.

Hai più avuto la gamba del Fiandre 2019?

Secondo me, sì. Proprio al Fiandre, ad esempio, non ero meno di allora. Anche alla Liegi, nonostante i problemi intestinali. Al mondiale, troppo duro per me, vedendo altri colleghi che hanno mollato prima di me. La Gand lo ha dimostrato (4°, ndr). Al Fiandre non mi hanno staccato in salita ma in un tratto tecnico in discesa, però era anche 30 chilometri meno. Ma quel giorno lì, l’anno scorso al Fiandre, fu più un discorso di testa. Conta la forza, ma conta anche la libertà mentale. Arrivare lì spensierato, buttare il cappello per aria, come si dice noi qua. L’Alberto Bettiol del 2019 non aveva niente da perdere. Ora è cambiata un po’ la musica, fortunatamente.

Alberto Bettiol, Jonathan Vaughters, Ef, Giro delle Fiandre 2020
Sul pullman della Ef Pro Cycling, Bettiol con Vaughters e Modolo, dopo il Fiandre 2019
Alberto Bettiol, Jonathan Vaughters, Ef, Giro delle Fiandre 2020
Con Vaughters sul pullman dopo il Fiandre 2019
Allenarsi da solo oppure in gruppo?

Per me sono importanti la banda di Lugano e quella toscana. Ieri mi sono allenato con Sbaragli e Sabatini, anche con Visconti. E’ meglio uscire in compagnia, con dei professionisti però. Si parte insieme o ci si incontra, su ogni salita ognuno fa il suo lavoro, ci si aspetta in cima, ci si ferma al bar, fai il medio… Ieri abbiamo preso 3 ore e mezza di acqua. Probabilmente da solo ne avrei fatta una e sarei tornato a casa. Con loro, ridendo e scherzando, siamo arrivati in fondo. Io non ho la forza mentale di partire e fare il lavoro in ogni condizione. Con gli amici, con i compagni di allenamento viene più facile

Avrai sempre qualcuno accanto?

Non diventerò mai autonomo, avrò sempre bisogno di persone a fianco. Adesso ho Gabriele Balducci (suo diesse da U23 alla Mastromarco, ndr) e Leonardo Piepoli. Leonardo puramente per l’aspetto della preparazione e un po’ anche psicologico, perché alla fine siamo sempre noi con i nostri problemi. Gabriele è la persona per quando sono in Toscana, che mi sa vedere, mi conosce in bicicletta come pochissimi altri. Con Leonardo s’è creato questo triangolo che funziona bene. Sono molto fortunato. Prima c’era anche Mauro Battaglini, riduttivo definirlo il mio procuratore, che purtroppo non c’è più (si è spento il 5 settembre 2020, dopo una lunga malattia, ndr).

Alberto Bettiol, Claudio Marra, FSA 2019
La Ef Pro Cycling usa ruote Vision: ecco Bettiol con Claudio Marra festeggiando il Fiandre
Alberto Bettiol, Claudio Marra, FSA 2019
Nella sede di Vision, Bettiol con Marra, a fine 2019
Perché riduttivo?

Perché mi ha lasciato una quantità di cose, di insegnamenti, di lezioni di vita, di stile… Era una delle persone più vanitose che abbia conosciuto sulla faccia della terra (ride, ndr). Gli ultimi periodi non ha mai voluto che io andassi a fargli visita, a casa o in ospedale, perché probabilmente si vergognava, per il suo pudore. Una persona tutta d’un pezzo, una persona d’altri tempi. Il più bel ricordo è quando è voluto venire l’anno scorso in Canada, alle due gare di Toronto e Montreal, perché non le aveva mai viste e mi aveva detto che prima di andare in pensione voleva fare tutte le gare del WorldTour.

Come andò?

Probabilmente lui si sentiva già dentro qualcosa e senza dirmi niente ha fissato gli stessi voli che avevo io. Mi ricordo proprio il viaggio di ritorno da Montreal, di notte. Io ero stanco, ma non abbiamo mai dormito perché mi ha raccontato tutta la sua vita. Per me, questo è un bel ricordo. Gli ultimi mesi ha sofferto tanto. Poi quella telefonata di sua moglie…

Carlo Franceschi, Alberto Bettiol, Gabriele Balducci, bici Cannondale alla Mastromarco, 2020
Grazie a lui la Mastromarco corre con bici Cannondale. Qui con Franceschi e Balducci
Alberto Bettiol, Gabriele Balducci, bici Cannondale alla Mastromarco, 2020
Grazie a lui la Mastromarco di Balducci corre con Cannondale
L’hai saputo così?

Aveva lasciato cinque numeri di telefono da avvisare. Mauro era un calcolatore, niente lo sorprendeva. Lui calcolava tutto e ha calcolato anche cosa dovevano fare sua moglie e suo figlio nel giorno in cui sarebbe morto. Per me rimarrà per sempre come un babbo. Pinuccia è molto brava. Per il Covid non l’ho potuta rivedere, non sono andato a trovarlo al cimitero, ma farò tutto (la voce si inceppa, ndr). Mauro era uno dei pilastri che sorreggeva la mia casa. E quando si butta giù un pilastro, la casa ovviamente non crolla perché ci sono gli altri due o tre. Però la botta si è sentita.

A gennaio sul Teide?

Con Keukeleire e un massaggiatore. Ormai sono un belga adottato. Si va dal 15 gennaio al 2 febbraio. Poi andrò a correre, non lo so ancora dove…

Buon Natale, ragazzo…

Buon Natale a tutti voi!