Il San Luca di Marangoni, una bolgia gialla e chiassosa

08.07.2024
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La seconda tappa del Tour De France, con la doppia ascesa al San Luca sul finale, fin dalla presentazione è stata sicuramente la più attesa delle tre frazioni italiane. Vuoi per la durezza dello strappo, vuoi per i portici monumentali che lo accompagnano per tutta la sua lunghezza, vuoi per la storia che si porta dietro. Dall’epica cronoscalata di Magni con il tubolare tra i denti fino alle più recenti sfide tra i big al Giro dell’Emilia. Oramai da mesi, quindi, un’infinità di appassionati si era data appuntamento lì, quel giorno. Tra loro c’era anche Alan Marangoni, ex professionista e ora volto di GCN Italia.

Alan è rimasto tutta la giornata in quella bolgia di tifo, passione, rumori e colori che abbiamo visto tutti in televisione. Ci siamo fatti raccontare da lui l’atmosfera che ha vissuto aspettando per ore, assieme a migliaia di persone, lo storico passaggio del Tour De France su una delle più celebri salite italiane.

Alan Marangoni, la compagna Lisa e il pubblico del San Luca
Alan Marangoni, la compagna Lisa e il pubblico del San Luca
Alan, intanto ti chiediamo in quale punto della salita ti sei piazzato per vedere il doppio passaggio dei corridori.

Io ero a tre quarti del drittone che c’è dopo la curva delle Orfanelle, un punto in cui spesso si fa la differenza e i corridori si vedono molto bene. Pogacar invece stavolta è scattato un po’ dopo, approfittando della fine del rettilineo dove la strada spiana leggermente.

Come ti è sembrato il San Luca “francese” rispetto ai passaggi al Giro d’Italia e dell’Emilia?

La cosa che ho notato subito è stata la densità, in senso proprio fisico, del pubblico. Al Giro dell’Emilia anche, ovviamente, c’è sempre parecchia gente, ma il giorno del Tour era tutto ad un altro livello. Dietro le transenne c’erano ovunque file e file di persone assiepate una dietro l’altra, incredibile. E poi soprattutto il rumore. Non avete idea della quantità di casino che c’era, impossibile da capire guardando dalla tv… Secondo me perché tanti erano lì anche solo per essere presenti all’evento, per poter dire in futuro dire “Io c’ero” e passare una giornata di festa e sport.

Il pubblico non entra dietro le transenne: alcuni sono sulla strada
Il pubblico non entra dietro le transenne: alcuni sono sulla strada
Dovessi quantificare, a spanne, quanta gente c’era in più rispetto alle altre volte in cui ci sei stato?

Bella domanda, ci ho pensato anch’io. Quello che ho visto per certo è che all’Emilia nella prima parte della salita onestamente non c’è molta gente. Tutti di solito si piazzano nella seconda metà, quella più dura e spettacolare. Al Tour invece era tutto pieno, “murato di gente” già dai primi metri dopo l’Arco del Meloncello. Direi che forse c’era il doppio della gente rispetto al Giro dell’Emilia.

Per quanto riguarda invece il tipo di pubblico hai notato delle differenze?

Sicuramente ho visto molti più stranieri. Belgi, colombiani, francesi, sloveni, come è normale che sia in una manifestazione del calibro del Tour, che quando arriva moltiplica tutto, anche le nazionalità.

Marangoni in bici sul San Luca: per tre volte nello stesso giorno
Marangoni in bici sul San Luca: per tre volte nello stesso giorno
Ci racconti qualche nota di colore che ti ha colpito?

Per il nostro canale abbiamo fatto un esperimento, cioè salire sul San Luca tre ore prima del passaggio della corsa per registrare un video lasciando solo i suoni ambientali, senza commento. Beh, quando sono passato sulla curva delle Orfanelle c’era una quantità di tifo, rumore, casino generale che quasi mi faceva cadere per terra. Pazzesco, quasi mai ho visto una cosa del genere. E la cosa bella era che non c’era una tifoseria particolare, come invece a volte capita al Tour e al Giro, con le varie fazioni. Quel giorno tutti incitavano tutti, in continuazione. Poi ho notato anche un’altra differenza, rispetto all’Emilia…

Cioè?

Il flusso continuo di gente che saliva in bici. Per ore e ore fino a che non hanno bloccato la strada, è stata una processione senza fine di persone in bici. Di tutti i tipi: dalla mamma con la bici elettrica con i bambini, al papà che trainava con una corda il figlio, fino ovviamente agli amatori. Ma quelli che facevano scattare l’ovazione generale erano i bambini piccoli che salivano da soli, lì c’era proprio un tifo da stadio.

La vista dal drone dà l’idea della distribuzione di pubblico sul San Luca
La vista dal drone dà l’idea della distribuzione di pubblico sul San Luca
Quindi nonostante il caldo l’attesa dei corridori non è stata troppo lunga e faticosa.

Per niente, anzi. Ero lì fin dal mattino e, anche se in effetti il clima non era dei più miti e c’era appunto tantissima gente, quelle ore sono passate molto velocemente. Perché davvero quel giorno è stata una festa continua, per la città, per l’Italia, per tutti i tifosi di ciclismo.

Marangoni: «Attesa, lavoro, umiltà: così è esploso Van Baarle»

01.05.2022
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Alan Marangoni è stato compagno di squadra di Dylan Van Baarle per due stagioni al Team Cannondale. Dopo la sua vittoria alla Parigi-Roubaix l’ex pro’, ora in forza a GCN, aveva scritto che non era stupito del fatto che l’olandese avesse vinto. “Dylan ha avuto bisogno di tempo. Si è messo sotto e alla fine ci è arrivato. Non tutti sono Pogacar ed Evenepoel”.

E ancora: “Mi riempie di gioia – si leggeva sulla pagina Instagram di Marangoni – vedere un corridore che, resosi conto di non essere un fenomeno nonostante le pressioni, ha saputo aspettare lavorando sodo”. Parole non banali e che in qualche modo si legano anche all’articolo di ieri con i diesse degli U23. 

Alan marangoni (classe 1984) è oggi una delle voci e dei volti di GCN
Alan marangoni (classe 1984) è oggi una delle voci e dei volti di GCN
Alan, qual è il tuo primo ricordo di Van Baarle?

La percezione che si aveva di lui quando arrivò in squadra. Era preso molto in considerazione dai tecnici. Quando lo conobbi aveva 21 anni. Se ne parlava un gran bene. Aveva vinto subito il Giro di Gran Bretagna alla Garmin da neoprofessionista.

E lui?

Nonostante fosse iper-pompato è sempre rimasto con i piedi per terra. Non è mai stato arrogante, sempre sorridente. Un ragazzo rispettoso. Sempre pronto a dire grazie.

Qual era il vostro rapporto?

Si era legato parecchio a me. Diceva che si divertiva. Lo scorso autunno, nell’evento BeKing di Montecarlo, quando ci siamo visti mi ha fatto una gran festa. La realtà è che si rischia di perdere dei talenti. Si mettono subito pressioni e se un ragazzo è debole mentalmente il rischio è quello di perderlo. Ci possono essere delle fragilità in quel periodo della carriera e non tutti sono già formati. E poi c’è una cosa che mi fa un po’ rabbia.

Cosa?

Oltre al fatto che in questo momento non ci sono italiani forti, è il vedere certi commenti sui social. Commenti spesso cattivi e infondati che non capisco. Ma di chi è la colpa se un corridore non va? Perché ce l’hanno con un ragazzo che non va forte? Perché se la prendono con il sistema? Okay, allora iniziassero a mettere su una squadra di giovanissimi. Noto che sta crescendo una dialettica calcistica.

Van Baarle ha corso alla Cannondale nel biennio 2015-2016. Da notare la sua massa muscolare
Van Baarle ha corso alla Cannondale nel biennio 2015-2016. Da notare la sua massa muscolare
Com’era Van Baarle in corsa?

Preciso. Ho avuto modo di correre con lui nel Fiandre del 2016 in cui arrivò sesto. Di quel Fiandre ricordo bene che Klier, il diesse, fece una precisa tattica a tavolino. E gli disse: prima di questo punto – mi sembra il secondo passaggio sul Kwaremont, adesso di preciso non ricordo – devi attaccare forte. Vedrai che i big si controlleranno e non ti seguiranno. Però quando esploderà la bagarre tu già sarai davanti“. Ebbene Dylan eseguì quell’ordine al dettaglio. Quindi, soprattutto se ha la gamba, è molto preciso, non sbaglia nulla. Un computer. E infatti in Ineos-Grenadiers non hai mai sbagliato. Ci sta bene: con la testa e con le gambe.

Hai detto che è un ragazzo rispettoso: queste sue qualità sono emerse subito?

Quando andavamo alle classiche del Nord lui e Langeveld erano due colossi. Stavano sempre insieme. Langeveld era il più esperto, Dylan il più giovane. Ma Langeveld era più sbruffoncello, più saccente e spesso quando un giovane è affiancato ad un capitano così tende a prendere l’atteggiamento del leader. Non Van Baarle. Lui è rimasto sulla sua linea.

C’è un qualcosa che ti ha colpito di Van Baarle?

Come si presentò al primo ritiro del 2016. Rispetto all’ultima corsa del 2015 era un’altra persona. Era diventato molto più magro, aveva perso peso. Il corridore massiccio e potente non c’era più. Tuttavia in quel ritiro andava piano. E lo stesso nei primi mesi dell’anno. Forse doveva adattarsi al suo “nuovo” fisico. Quel sesto posto al Fiandre fu un po’ una sorpresa. 

E in allenamento? Era uno che si staccava o un coriaceo?

Era preciso, seguiva le sue tabelle. Ma in realtà poi in allenamento l’ho visto poco perché noi di ritiri ne facevamo pochissimi in Cannondale: 7-8 giorni a gennaio e stop. Magari ci organizzavamo noi in autonomia. Andavamo sullo Stelvio con Formolo, Bettiol, Moser

L’olandese, oggi più filiforme, è un buon gregario anche per la salita
L’olandese, oggi più filiforme, è un buon gregario anche per la salita
Il motore quindi ce lo ha sempre avuto Van Baarle?

E alla grande direi! Vinse molto da junior e fu un ottimo under 23 tanto che passò nella continental della Rabobank. Di certo da giovane era più esplosivo, più veloce, proprio perché ancora non aveva perso peso. Ricordo che vinse una piccola corsa tappe in cui c’erano quasi tutti arrivi in volata. Però dopo quella trasformazione si è messo giù, con calma e tanto lavoro e alla fine è arrivato in alto. Non avrei mai pensato però che sarebbe potuto diventare un “gregarione” anche per i tapponi dei grandi Giri.

Alan, come mai secondo te Dylan ci ha messo un po’ di più ad esplodere nonostante il motore grande?

Spesso non si considera che quando un corridore passa non è per forza pronto. O che se passa e vince subito sia scontato che poi vinca sempre di più. No, non è matematica. Ogni anno ha le sue dinamiche. Per me Dylan ha sofferto il momento del passaggio alla Cannondale. Lì era il “Dio” e nonostante tutto ha fatto bene. Però aveva delle pressioni. Poi cambiando squadra si è dovuto mettere al servizio degli altri e non ha avuto più certe pressioni. Doveva lavorare da A a B, pressioni da gregario. Nel frattempo ha fatto esperienza, è maturato e quando ha avuto i suoi spazi è riuscito a vincere.

Aveva bisogno dei suoi tempi insomma…

Come ho scritto anche nel mio post: lui non è un fenomeno. Quelli si contano sulla dita di una mano. Dylan è un ottimo corridore che è maturato più lentamente. Ripeto, il fatto di vincere subito, non significa che poi crescendo si continui a vincere a valanga come Merckx.

Da corridore a comunicatore: la seconda vita di Marangoni

30.11.2021
4 min
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Tra le definizioni di “divulgare” c’è: “Rendere accessibili ad un maggior numero di persone nozioni scientifiche e tecniche, con un’espressione semplice e chiara”. E’ una dote, che non tutti possiedono. E’ una dote che si può pensare appartenga a chi è un profondo conoscitore di un determinato settore, ma così non è. C’è il medico che sa guarire dal cancro, ma non sa insegnare e c’è il corridore che vince centinaia di corse, ma non riesce a comunicare al meglio l’essenza del ciclismo.

Seconda vita

Il divulgatore nel mondo del ciclismo… mediatico è un ruolo più che mai ricercato, soprattutto dagli amatori, che – sempre di più e sempre più volti ad emulare i professionisti alla ricerca di super prestazioni – vogliono capire come allenarsi per rendere al meglio, come alimentarsi, come vestirsi, quali biciclette acquistare. E’ in questo filone che si è inserita la seconda carriera di Alan Marangoni, che in dieci anni da pro’ ha vinto una sola volta (nell’ultima gara della carriera, al Tour de Okinawa), ma che sul canale web Gcn Italia è riuscito a trovare una sua dimensione, insieme a Giorgio Brambilla, anche lui professionista dal 2010 al 2014.

Con Marangoni a Gcn c’è Giorgio Brambilla, anche lui corridore professionista dal 2010 al 2014
Con Marangoni a Gcn c’è Giorgio Brambilla, corridore dal 2010 al 2014

Semplicità vincente

Il loro ruolo è proprio spiegare agli amatori tutti i segreti di un corridore attraverso dei video, girati quasi sempre in sella, spesso insieme proprio ad alcuni big del gruppo. Una sorta di corso di formazione che piace e che fa bene, in un certo senso, anche a livello di educazione stradale.

«Ai nostri seguaci – spiega Marangoni – non gliela racconti. Bisogna essere precisi, puntuali, esaustivi perché hanno sete di conoscenze e ci guardano già da grandi intenditori. Ci sono i “fissatoni”, ma vedo anche tanti per fortuna che pedalano per divertirsi. Nel raccontare, comunque, la differenza la fa la semplicità».

Lo stesso entusiasmo

Un ruolo che gli riesce bene anche perché lui stesso è uno che ha sempre vissuto di ciclismo.

«C’è chi finisce la carriera che ha il “vomito” della bicicletta – dice il Maranga – c’è chi smette ancora giovane e esce da questo mondo perché ce l’ha con il sistema. E poi ci sono quelli come me, che ho sempre vissuto il ciclismo da appassionato. Osservavo tutto, guardavo tutte le gare, amavo gli amatori e adesso pedalo ancora con lo stesso entusiasmo».

Con Belletti e Montaguti al Giro del 2014, promuovendo il Passatore Bike Fay
Con Belletti e Montaguti al Giro del 2014, promuovendo il Passatore Bike Fay

Troppi watt

Anche per questo Giorgio Brambilla è quello più “tecnico” del duo, mentre Marangoni intrattiene e spazia con la sua esuberanza tutta romagnola. Curioso, dunque, conoscere il suo punto di vista sul ciclismo di oggi.

«Vedo troppi watt e poco romanticismo – confessa – non vedo più raduni perché ognuno ha una sua tabella da seguire, so di professionisti che sono vicini di casa, ma non possono allenarsi insieme perché hanno valori diversi».

Numeri e freddezza che si riflette in corsa e fuori dalla corsa: «Tanti corridori, ormai, fanno il loro compitino – spiega – mettono un numero per la gara, tirano, finiscono, vanno in hotel, si attaccano allo smartphone. C’è poco affiatamento e in gruppo c’è troppo stress e quindi tante distrazioni e tante cadute che rovinano una corsa. Penso, ad esempio, alla caduta banale di Roglic al Tour».

«Nel raccontare – dice Marangoni con concretezza da corridore – la differenza la fa la semplicità»
«Nel raccontare – dice Marangoni con concretezza da corridore – la differenza la fa la semplicità»

Arriva il gravel

Non ci sorprende che Marangoni non veda di buon occhio il boom dei rulli “tecnologici”, utilizzati anche d’estate così come non sorprende che per lui la bici da corsa sia ancora la regina.

«Inizieremo a fare alcuni video anche per il gravel – rivela – che insieme alle e-bike creano curiosità, ma io penso che non avranno mai il fascino di una bici da corsa e le gare di quel mondo non arriveranno mai a livello di un Fiandre o di un Roubaix. Forse sono chiuso io, ma la penso così».

Guarnieri, il ciclismo è come la vita: nessuno si salva da solo

29.11.2021
4 min
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C’è un tempo per fuggire e uno per restare, nella vita come nel ciclismo. E’ un istante, che in una tappa dura un millesimo di secondo a consentirti di vincere o perdere una corsa e in una carriera può essere un giorno, un episodio, una scelta sbagliata. Per Jacopo Guarnieri, 34enne della Groupama-Fdj, la scelta di smettere di fuggire e iniziare a restare è sopraggiunta in due momenti. Agli esordi da pro’, quando ha provato ad inserirsi in due fughe ma si è sentito «come Fantozzi alla Coppa Cobram». Poi quando ha provato a vestire i panni di velocista di punta di una squadra, ma ha capito che non avrebbe potuto primeggiare. E così, ha scelto di restare, accanto al proprio capitano, che da quattro anni si chiama Arnaud Demare.

Assieme a Marangoni

La sua trasformazione l’ha raccontata in una serata al Bikefellas di Bergamo dal titolo “L’insostenibile leggerezza della fuga” introdotto dalla redazione di Bidon che ha presentato il suo ultimo libro “Vie di fuga”. In una sorta di cronometro a coppie, con l’imprevedibile ex pro’ Alan Marangoni come spalla, Guarnieri ha raccontato dei suoi tentativi di fuga.

«La prima volta a De Panne. Correvo nella Liquigas – ha detto – e in fuga mi ci ero ritrovato, così dall’ammiraglia mi hanno preso a male parole, ordinandomi di tornare in gruppo per aiutare il nostro velocista, Chicchi. L’ho fatto, ma nel tirargli la volata ho tamponato Cavendish e abbattuto Leif Hoste, idolo di casa.

«Mi ero detto che in fuga non ci sarei più andato e invece l’ho rifatto qualche anno dopo, sempre in Belgio. Fu una fuga composta da corridori “pazzi” e infatti il gruppo ci riprese a 100 chilometri dall’arrivo. Lì, mi sono detto che il mio posto era rimanere in quel ventre materno che è il gruppo».

Fra Demare e Guarnieri c’è ormai un grandissimo rapporto di stima iniziato nel 2017 (foto Instagram)
Fra Demare e Guarnieri c’è ormai un grandissimo rapporto di stima iniziato nel 2017 (foto Instagram)

Aiutare chi è più forte

Giusto qualche volata in proprio per capire poi una cosa: «Il mio posto nel mondo – spiega – era aiutare chi era più forte di me. Arriva un punto nella carriera che devi decidere chi essere e cosa fare, serve grande onestà con se stessi. Ora, io rimpiango di non aver preso prima quella decisione, perché provo una grande emozione nell’aiutare Demare. Sono privilegiato perché sono il suo ultimo uomo, quello che lo vede più da vicino quando alza le braccia al cielo al traguardo e il primo a poterlo abbracciare». 

La tensione del gregario

Lo sguardo e la voce di Guarnieri, a questo punto, si incrinano, quasi commosso abbandona la goliardia che lo contraddistingue e che ha reso la serata frizzante come una volatona di gruppo, e veste i panni del gregario modello, quale è.

Guarnieri e Marangoni sono amici dagli anni assieme alla Liquigas
Guarnieri e Marangoni sono amici dagli anni assieme alla Liquigas

«Il gregario è il simbolo del ciclismo – osserva – al di là di ogni retorica. Gregario lo sei dal primo all’ultimo chilometro, ci sono momenti della corsa che dalla tv sembrano noiosi, ma in gruppo bisogna sempre sgomitare, la tensione è altissima. Penso a quando bisogna portare le borracce. In gruppo c’è una legge non scritta che quando si risale dalle ammiraglie dal rifornimento, si grida “service” e si ottiene una corsia preferenziale ai lati, ma mica sempre ti fanno passare. E se stai prendendo una salita e non riesci a servire il tuo capitano, hai perso».

Nessuno si salva da solo

Ma fare il gregario è molto di più, è anche convivere col proprio capitano fuori dalle corse, conoscersi, capire le difficoltà da uomo e da corridore e fare di tutto per porvi rimedio. Guarnieri è gregario anche sul divanetto del Bikefellas quando preferisce esaltare le doti umane di Demare, evidenziando come sia uno che ringrazia sempre e che si prende tutte le colpe quando le cose non vanno al meglio.

Sono passati 10 anni esatti, dal 31 marzo 2011, dall’ultima vittoria di Guarnieri a La Panne
Sono passati 10 anni esatti, dal 31 marzo 2011, dall’ultima vittoria di Guarnieri a La Panne

Oppure raccontando della sua ultima vittoria, quando fu proprio Marangoni – compagno di squadra alla Liquigas – ad aiutarlo più che nel sostenerlo in gara e raccogliergli «i copriscarpe che avevo deciso di togliermi in una giornata tremenda» standogli vicino in un periodo in cui i rapporti col team erano naufragati.

«Questo è lo spirito del gregario, questo è il ciclismo», che ci piace tanto perché è metafora della vita: nessuno si salva da solo.