Quando sul traguardo di Torino è passato l’arcobaleno, la gente è esplosa in un boato. Sì, la gente. Tanta e contenta, con la mascherina e la voglia di applaudire tutti i corridori del Giro, ma soprattutto Filippo Ganna. Perché quando un nome lo senti circolare lungo la strada e lo senti ripetere quando sta per passare, come in un colossale passaparola di 9 chilometri, significa che il ragazzo con la maglia iridata è ormai entrato nei cuori.
Pippo guarda un punto fisso e racconta. La sbornia del podio è alle spalle, le interviste in inglese sono finite. Questo è il momento delle riflessioni più intime.
«Non era facile partire con tante sconfitte alle spalle – dice – per questo ero nervoso e cattivo. La volevo davvero. Sentire tanta gente che urla il tuo nome ti spinge anche oltre».
Primo, come l’anno scorso a Palermo…
Tornare a vincere non è facile. Sono riuscito a recuperare bene dopo tanto lavoro in altura. Erano già cominciate le polemiche. Ganna non va più, Ganna non sa più vincere. Ragazzi, facciamo una stagione con 70 giorni di corsa e non si può essere sempre competitivi. E se lo sei, allora c’è un problema. Oggi è venuto il risultato all’inizio di un Giro che sarà più duro dell’ultimo. I nostri direttori ci hanno mostrato le salite, ci sarà da stringere i denti.
Hai parlato di tante sconfitte.
Nelle ultime tappe del Romandia ero gonfio di liquidi e fatica. In questi giorni in Italia con il nostro bellissimo gruppo sono riuscito a mettere a posto il peso. Poi è chiaro che nelle ultimissime ore io fossi teso, vi invito a salire su pullman di chiunque puntasse alla crono per vedere in che condizioni fosse.
Il vostro bellissimo gruppo è lo stesso che lo scorso anno dominò il Giro?
Quel gruppo si creò dopo cinque giorni, dopo che Thomas finì fuori per il suo incidente. Questa volta forse avremo bisogno di più tempo. Gli ultimi due giorni sono stati noiosi, fatti di ore in camera, allenamento e cena. Ora si comincia. Ci sarà da supportare e anche sopportare i capitani. Di sicuro avremo momenti di tensione, ma so che qualunque cosa diranno, sarà dettata dalla tensione. Siamo qua per vincere, non per fare secondi. Se riusciamo a switchare la testa e a divertirci, le cose verranno anche meglio.
Supportare i capitani è nell’ordine delle cose, quanto spazio ci sarà per la tua maglia rosa?
E’ chiaro che dovrò guardare alla squadra, ma cercherò di tenerla più a lungo che posso. Penso che il primo arrivo in salita mi sarà fatale, a meno che quel giorno non mi venga fuori il coraggio del leone e la forza della formica che solleva cento volte il suo peso. Sono qua per la squadra, abbiamo dei grandi leader. Spero di cominciare qui come ho finito nel 2020.
Ti chiedono come tu faccia a sopportare tante pressioni. Le crono, la pista, il ruolo alla Ineos, le Olimpiadi…
Un atleta sa dove può arrivare e dove no. A volte siete voi giornalisti, che fate ottimamente il vostro lavoro, a tirare fuori certi aspetti cui noi non avevamo neanche pensato. Abbiamo bisogno di staccare. E’ tutto collegato. Se non avessi fatto quei lavori lattacidi in pista e la preparazione in palestra e se non fossi andato sul Teide, al Romandia sarei stato più pronto. Ma io ho questo sogno delle Olimpiadi, con due medaglie in palio. Lasciate che possa coltivarlo, sperando che il prossimo luglio ci divertiremo insieme.
Come credi che Affini abbia vissuto la sconfitta?
Di sicuro anche lui sognava la maglia rosa, come tutti noi alla partenza. Io ed Edo (Edoardo Affini, ndr) abbiamo un bellissimo rapporto, siamo cresciuti insieme. A volte ho preso io le randellate, a volte lui. Quando ci siamo incrociati gli ho chiesto di lasciarmi la maglia rosa per almeno tre giorni e lui ridendo mi ha chiesto chi potrebbe avere la forza di togliermela. So che in fondo è contento per me, come io lo sarei stato per lui.
Tu saresti stato contento se non avessi vinto?
E’ stata una vittoria voluta. Sono partito da casa con l’unico intento di vincerla. Se non ci fossi riuscito, non nego che nei prossimi giorni il mio umore sarebbe stato peggiore…