Se fossimo stati dei corridori probabilmente avremmo detto che stavolta al Giro d’Italia hanno esagerato in quanto a durezza del percorso. Ma siccome non lo siamo e prima ancora che giornalisti siamo appassionati, non possiamo far altro che fregarci le mani e sognare già la prossima corsa rosa. E questo Giro lo commentiamo con il suo direttore, Mauro Vegni, colui che al netto delle esigenze commerciali dettate dalle (tante) località che richiedono il passaggio della corsa, disegna il percorso. Sceglie quali strade e quali salite affrontare.
Un Giro unico
Di fatto oggi si è svelato (quasi) definitivamente il tracciato della corsa rosa numero 105. Domani avremo la planimetria definitiva, comprese le crono della seconda e dell’ultima tappa. E’ un percorso davvero bello, nell’accezione più semplice di questo aggettivo. C’è tutto: tappe piatte, tappe ondulate e tappe di alta montagna. E non a caso proprio così è stata suddivisa questa “presentazione spezzatino”. Una presentazione di certo innovativa ma che ha un po’ segato la “botta di adrenalina” dello scoprire la corsa tutta insieme.
«Cerchiamo – dice Vegni – di proporre qualcosa di nuovo tutti gli anni. Poi magari a bocce ferme ci sarà un momento di riflessione per capire se la cosa ha funzionato oppure no. Ma non diteci che non ci abbiamo provato.
«Quale Giro mi ricorda? In quanto a durezza e dislivello direi quello del 2011, ma per il resto non lo paragonerei a nessun altro. E sì che io li seguo dal 1995. Ci sono tante salite evocative. La bellezza delle Dolomiti è un pregio naturalistico e sportivo. E anche nel mezzo c’è tanta roba».
Budapest – Visegrad, 195 chilometri e 900 metri di dislivello Kaposvar – Balatonfured: 201 chilometri e 890 metri di dislivello Catania – Messina: 172 chilometri e 1.200 metri di dislivello Palmi – Scalea: 192 chilometri e 900 metri di dislivello Sant’Arcangelo di Romagna – Reggio Emilia: 201 chilometri e 480 metri di dislivello Sanremo – Cuneo: 157 chilometri e 1.450 metri di dislivello
Le frazioni per velocisti
Si parte dall’Ungheria e lo si fa subito con una lunga frazione. Tappa piatta, ma l’arrivo è su un dentello di quarta categoria tanto per smuovere le acque in vista della prima rosa da assegnare. Una breve crono di 9,2 chilometri e poi ecco una tappa “biliardo”. E questo è uno spunto molto importante. Le tappe per i velocisti tornano ed essere per velocisti. In questi ultimi anni, in tutte le corse a tappe, gli arrivi in volata spesso gli sprinter se li sono dovuti sudare.
Stavolta invece, a parte il primo arrivo, Visegrad, e quello di Messina con Portella Mandrazzi (comunque lontanissima dall’arrivo), sono tutti abbordabili. Arrivare o no in volata spetta ai team e alle tattiche che decideranno di attuare. E non a caso Elia Viviani lo ha detto subito: «Quest’anno c’è tanto spazio per noi ruote veloci».
«Su carta è un bel Giro e tutti gli anni ci proviamo, speriamo che venga anche bene – commenta Vegni – Per quanto riguarda le tappe per velocisti non credo siano assolutamente così piatte. Guardando le altimetrie dovrebbero esserlo, ma c’è sempre un qualcosa che può complicare le cose. Inoltre abbiamo inserito tappe di media montagna e altre di vera salita. E’ un Giro equilibrato per me. La sequenza delle frazioni concede spazio a tutti».
Diamante – Potenza: 198 chilometri e 4.490 metri di dislivello Napoli – Napoli: 149 chilometri e 2.130 metri di dislivello Pescara – Jesi: 194 chilometri e 1.730 metri di dislivello Parma – Genova: 186 chilometri e 2.840 metri di dislivello Santena – Torino: 153 chilometri e 3.470 metri di dislivello Marano Lagunare – Santuario di Castelmonte: 178 chilometri e 3.230 metri di dislivello
Diamante – Potenza: 198 chilometri e 4.490 metri di dislivello Napoli – Napoli: 149 chilometri e 2.130 metri di dislivello Pescara – Jesi: 194 chilometri e 1.730 metri di dislivello Parma – Genova: 186 chilometri e 2.840 metri di dislivello Santena – Torino: 153 chilometri e 3.470 metri di dislivello Marano Lagunare – Santuario di Castelmonte: 178 chilometri e 3.230 metri di dislivello
Su e giù, ma duri
Si passa poi alle frazioni definite di “media montagna”. E ci sta, ma alcune sono davvero toste. Prendiamo per esempio la Diamante-Potenza: 198 chilometro e ben 4.490 metri di dislivello. O la Marano Lagunare – Santuario di Castelmonte: 178 chilometri e 3.230 metri di dislivello, il cui arrivo per di più è in salita.
Sono frazioni dure da sole, figuriamoci nel bel mezzo di un grande Giro. Intervallate anche da tappe di montagna. Lo scopriremo solo domani con certezza, ma per esempio la Diamante-Potenza dovrebbe precedere una durissima tappa, quella che da Isernia porta al Blockhaus: salita tremenda.
«Trabocchetti? Di certo – dice Vegni – non ci sono nella tappe di salita. Lì o hai le gambe o non le hai. Piuttosto penso che possano essere molto insidiose le frazioni della prima settimana. Mi vengono in mente quella di Potenza o quella di Napoli col circuito dei Campi Flegrei che è molto impegnativo. In questi casi se non ci si fa trovare già in condizione si rischia di perdere subito secondi se non minuti».
Avola – Etna (Rifugio Sapienza): 166 chilometri e 3.590 metri di dislivello Isernia – Blockhause: 187 chilometri e 4.990 metri di dislivello Rivarolo Canavese – Cogne: 177 chilometri e 4.030 metri di dislivello Salò – Aprica: 200 chilometri e 5.440 metri di dislivello. E’ la tappa in Memoria di Pantani Ponte di Legno – Lavarone: 165 chilometri e 3.740 metri di dislivello Belluno – Marmolada (Passo Fedaia): 167 chilometri e 4.490 metri di dislivello
Avola – Etna (Rifugio Sapienza): 166 chilometri e 3.590 metri di dislivello Isernia – Blockhause: 187 chilometri e 4.990 metri di dislivello Rivarolo Canavese – Cogne: 177 chilometri e 4.030 metri di dislivello Salò – Aprica: 200 chilometri e 5.440 metri di dislivello. E’ la tappa in Memoria di Pantani Ponte di Legno – Lavarone: 165 chilometri e 3.740 metri di dislivello Belluno – Marmolada (Passo Fedaia): 167 chilometri e 4.490 metri di dislivello
Quanta salita
Oggi la squadra di Mauro Vegni ha presentato le sei frazioni dedicate ai pesi leggeri, agli scalatori. Anche in questo caso si tratta di sei tappe, sei tappe di alta montagna che sono un crescendo rossiniano nel corso del Giro. Etna, Blockhaus e Cogne (il finale ricalca la tappa finale del Val d’Aosta di quest’anno). E ancora Lavarone, Aprica e dulcis in fundo la Marmolada.
Ma tutte queste salite non sono le sole delle varie frazioni. Prima di Cogne si scala Verrogne. Prima di arrivare a Lavarone, si affronta il Vetriolo, il cui nome è tutto un programma, e prima della Marmolada si affronta il Pordoi.
Peccato solo che nella frazione dell’Aprica il Mortirolo sia posto parecchio lontano dall’arrivo. Però si raggiunge il traguardo passando dal Santa Cristina, che non è propriamente una salita “delicata”.
«Quando disegniamo un Giro dobbiamo pensare anche alla sequenza finale – dice Vegni – la gente vorrebbero il Mortirolo tutti i giorni. Non puoi “ammazzare” i corridori già al martedì dell’ultima settimana. Perché vieni dalla frazione di Cogne e poi hai Lavarone, la Marmolada e la crono finale, quelle sequenze che oggi chiamano “monster”.
«E poi è anche un modo per cambiare. Non c’è il Gavia? Prima però abbiamo inserito un’altra salita molto dura e anche simbolica, il Santa Cristina. Una salita che ricorda Marco Pantani, quando nel 1994 staccò tutti. Questa e anche altre salite sono evocative».
La sfida ai tre tenori
Infine a Vegni chiediamo se gli piacerebbe avere al via i tre grandi interpreti delle corse a tappe attuali: Bernal, Pogacar e Roglic. Domanda che può sembrare banale, ma che porta con sé temi importanti. Temi che sanno di sfide e che sono strettamente sportivi.
«Certo che mi piacerebbe averli al via – ribatte Vegni – ma nel ciclismo moderno è difficile fare delle grandi competizioni e delle grandi performance una dietro l’altra. Però si possono fare quando si ha la freschezza atletica. E vedo che i grandi di oggi potrebbero averla visto che sono giovani, Roglic un po’ meno.
«Oggi a 23 anni un corridore è compiuto nelle sue capacità, a quanto pare. Non è come una volta che iniziava ad andare bene dai 28 anni in su. Quindi se qualcuno di loro tre avesse lo stimolo per tentare un qualcosa di diverso, per puntare l’accoppiata Giro-Tour, questo è il momento giusto. Anche perché alla gente piace. L’anno scorso Bernal ha vinto il Giro, Pogacar il Tour. In tanti si domandano: ma chi è più forte? Sarebbe difficile rispondere in uno scontro diretto figuriamoci così».
L’argomento interessa a Vegni che rilancia: «L’ultimo a riuscire in questa performance è stato Marco Pantani. E poi mi chiedo: ma che senso ha vincere 3-4 Tour e poi sparire per mezza stagione o non fare altro?
«Prendiamo Armstrong, che ha vinto sette Tour, al netto che poi glieli abbiano tolti, ma cosa gli cambiava se ne avesse vinti sei? Per me già il fatto che non abbia provato a vincere i tre grandi Giri è una “diminutio”. E lo stesso il non aver tentato l’accoppiata Giro-Tour. L’ultimo a provarci è stato Contador. Solo che Alberto lo ha fatto in un momento della sua carriera in cui non era più all’apice».