Appena poche ore fa si sono tolti i veli sul Tour de France numero 109 ed già è scattata la giostra dei commenti. E’ facile, è duro, è il solito Tour, è diverso… Ognuno dice la sua, specie sui social. Noi invece un commento lo chiediamo a Massimo Ghirotto, che di percorsi e di grandi Giri se ne intende, per averli fatti da corridore e dalla moto come commentatore Rai.
Ma prima una panoramica. Da Copenaghen (Danimarca) a Parigi. Si parte con una crono e si affrontano prima le Alpi e poi i Pirenei. Si corre quasi esclusivamente nella metà orientale della Francia. Poche volte si è visto un tale sbilanciamento geografico, ma questo poco conta ai fini tecnici.
Tappe sempre più corte. Pensate solo due frazioni toccano i 200 chilometri: la sesta tappa (Binche-Longwy di 220 chilometri, la più lunga), e la quindicesima (Rodez-Carcassone di 200 chilometri spaccati). Il totale dei chilometri è di 3.328 per una media di 158,5 chilometri a frazione, quattro in meno della passata stagione
Vento e pavè
«Ho guardato bene tappa per tappa – dice Ghirotto – e ho anche preso appunti. Per me è un Tour duro. Davvero. Più duro della sua linea normale e di quella vista negli ultimi anni. Bisogna stare sempre molto attenti, a parte la porzione centrale in cui ti puoi rilassare un po’. Anche se al Tour non ti puoi mai rilassare.
«Si parte da Copenaghen e più che la cronometro di 13 chilometri che è un po’ più lunga di un prologo, starei attento al fatto che si è vicini al mare e il vento può fare danni, ma tanti danni. E poi è la partenza: c’è la lotta per stare davanti, la paura di perdere terreno, il nervosismo. Tutto questo ti porta ad essere ancora più attento. E vale anche per la prima tappa in terra francese, la Dunkquerque-Calais».
Sulle tracce di Nibali
«Nella quinta tappa c’è il pavé. E questa può sconvolgere la classifica. Lo abbiamo visto con Nibali nel 2014. E vedendo la mappa sono quasi tutti settori nuovi, il che peggiora le cose. Non c’è nessuno che te li spiega. E se è brutto tempo? Siamo sempre al Nord. Senza contare che c’è anche la Foresta di Arenberg: una bestia. Lì sai che entri ma non sai se esci! Mi ricordo quando facevamo la riunione prima della Roubaix. Il direttore sportivo ci diceva: state davanti, te Massimo stai vicino a Bontempi… Sì, si ma poi devi anche uscirci bene e devi farle certe cose, perché tutti vogliono stare davanti! Questa per me è una delle tappe da cinque stelle.
«Per il resto poi inizia una parte centrale che invece è più da Tour classico. Frazioni nelle quali va via la fuga e le squadre dei velocisti aspettano gli ultimi chilometri per andarli a prendere. O magari arriva la fuga. Ma gli sprinter non se le lasciano scappare certe occasioni. Almeno non a questo punto di un grande Giro, perché poi con le salite in vista ogni tappa potrebbe essere ultima».
«Attenzione però in questa fase a non dimenticare la Planche de Belle Filles, se non altro perché ci ricorda i nostri successi italiani. Per me infatti, questo muro non segnerà grosse differenze».
Il pavè, la Planche e più avanti Hautacam… sembra di essere al Tour di Nibali e chissà che non sia di buon auspicio per qualche nostro corridore.
Alpi decisive
La prossima estate si affronteranno prima le Alpi e poi i Pirenei. Sono entrambi molto impegnativi, ma forse le Alpi lo sono di più. Si scalano arrivi impegnativi e giganti come il Galibier. E infatti Ghirotto non lesina giudizi netti.
«Per me il vincitore del Tour uscirà dalla doppietta alpina delle tappe 11 e 12. Si scalano salite lunghe e dure tra cui Telegraphe, Galibier ad oltre 2.600 metri, Granon, durissimo. Poi di nuovo Galibier e Croix de Fer, che se fa caldo è micidiale. Infine c’è l’Alpe d’Huez. Questa salita è forse la più impegnativa del Tour, ma in assoluto. Non dà respiro, a parte una brevissima spianata. Il finale è appena più dolce, ma a quel punto i giochi sono fatti. Queste due tappe sono di quelle che quando ti svegli sai che dovrai fare tanta, ma proprio tanta, fatica. Le vere differenze si faranno qui».
Pirenei e cronometro
Secondo l’ex pro’ veneto dunque, gran parte della torta ce la si gioca sulle Alpi. I Pirenei sono sì impegnativi, ma potrebbero incidere meno. E Ghirotto fa un discorso molto interessante. Una volta le differenze maggiori si facevano nel finale, adesso invece sembra avvengano prima.
«La 18ª tappa, quella di Hautacam è durissima – spiega Ghirotto – ma a quel punto ognuno ha il “suo posto”. Ci saranno fatica e stanchezza che livelleranno i valori in campo. Se guardiamo bene, l’anno scorso Pogacar il Tour lo ha vinto nella prima parte. E’ lì che ha fatto i distacchi grandi. Poi sì, era forte, ma non ha più fatto le stesse differenze. E lo stesso discorso vale per Bernal al Giro. Per me dopo quelle tappe alpine non vedremo più grandi distacchi. Anche perché Hautacam me la ricordo. La presi davanti con un gruppetto e vinse LeBlanc, sì può fare la selezione, ma non per i primissimi, quanto piuttosto per coloro che lottano dal quinto al terzo posto».
«E lo stesso discoro vale per la crono. Questa penultima frazione prima di Parigi inciderà molto meno per chi dovrà guadagnarsi la vittoria. Anche perché oggi poi questi uomini di classifica vanno tutti forte a crono. Si potrebbe dire: okay ma due anni fa Pogacar ci ha ribaltato il Tour. Ma quella è stata un’eccezione (anche per il percorso con arrivo sulla Planche, ndr). Tadej quel giorno ha fatto un qualcosa di straordinario, una prestazione fuori dal comune. E se poi andiamo a vedere gli altri che ha battuto erano gente come Dumoulin, Van Aert, dei super specialisti»
Infine un occhio, rapidissimo, ai favoriti. Salvo novità, i tre migliori uomini per i grandi Giri attuali, Roglic, Bernal e Pogacar, faranno rotta sulla Grande Boucle.
«Beh – conclude Ghirotto – Pogacar è fortissimo, ma se io fossi il diesse della Ineos porterei Bernal a questo Tour. Dopo la vittoria al Giro credo che Egan non abbia altri sbocchi che ripartire dalla corsa francese».