Il primo italiano della Freccia Vallone è stato Domenico Pozzovivo, che ha 39 anni e corre con la Intermarché-Wanty-Gobert, esattamente come Pasqualon, miglior italiano alla Roubaix, che ne ha 34. Si è piazzato 15° a 7 secondi da Dylan Teuns, ma se fosse stato appena più avanti, sarebbe entrato nei primi 10, per quel gioco di distanze sul Muro d’Huy di cui ha parlato tanto bene ieri Enrico Gasparotto. E’ vero che secondo s’è piazzato Valverde che ne ha 42, però nel bilancio del ciclismo italiano, che immette nel professionismo decide di corridori ogni anno, qualcosa non torna.
«Non è come sembra – dice Pozzovivo, in apertura nella foto IntermarchéWG – abbiamo buoni prospetti, mi viene in mente Bagioli che però corre in una squadra in cui è difficile trovare spazio. Quest’anno tanti hanno avuto problemi di salute, però è evidente che le cose stiano cambiando. Gli uomini che lottavano per i Giri e magari venivano qua con il freno tirato per non compromettere il loro avvicinamento stanno diventando dei bravi limatori. Vengono a prendersi dei rischi e questo rende tutto più complicato».
Ricognizione in anticipo
La Intermarché-Wanty-Gobert, che l’ha accolto quando la Qhubeka ha alzato bandiera bianca, ha fatto giovedì la ricognizione sul percorso della Liegi. Gli allenatori hanno considerato che essendoci stata la Roubaix domenica scorsa (e non l’Amstel come d’abitudine) e nessuno dei corridori qui presenti l’abbia corsa, la Freccia Vallone è stata un bell’allenamento robusto. Con la ricognizione il giorno dopo, si è aggiunto un altro lavoro importante, lasciando poi il tempo per recuperare fino alla Liegi.
Pozzovivo ci raggiunge dopo massaggi e trattamento osteopatico. Ha un bel colorito dato dall’altura dell’Etna e lo sguardo di quando le cose iniziano a girare nel modo giusto.
«Nella mia carriera – dice – ho sempre fatto avvicinamenti diversi alla Liegi. Mercoledì invece per la Freccia sono partito con l’idea di arrivare salvo al traguardo. E’ stata anche la raccomandazione di mia moglie. La battuta di arresto alla fine del Giro di Sicilia mi aveva lasciato qualche dubbio, mi sarebbe piaciuto uscirne con un bel piazzamento. Invece in corsa mi sono sentito meglio. Sapevo che sul Muro avrei potuto fare qualcosa del genere. Ci ho provato, ma siamo arrivati ai piedi dell’ultima scalata ancora in tanti e di riflesso la situazione era caotica. Se l’ha pagata Pogacar, che è rimasto indietro e si è seduto (arrivando 12°, ndr), mi dico che tanto male non sono andato. Però è vero, se fossi stato più avanti, magari sarei entrato nei dieci, ma ormai è fatta».
Non è più tempo di aspettare i giovani, così pare: dove sono allora?
Non sono tradizionalista. Ormai si ragiona in termini di carriere più brevi e la gradualità, che un tempo era la regola, è andata a farsi benedire. Quando ero giovane io, si puntava a una carriera di 15 anni, perciò nelle prime due stagioni da pro’, neanche ti portavano a fare i grandi Giri.
Ma non sempre buttarli dentro è garanzia di risultato…
Iniziando a lavorare da subito con cognizione di causa e con il misuratore di potenza, anche da molto giovane puoi arrivare alla grande prestazione. Più che sul fisico, mi concentrerei sull’aspetto mentale. Se fisicamente puoi avere il livello necessario, mentalmente non credo che tu sia ancora pronto. E’ un ciclismo che richiede sempre di più, per cui escludo a vent’anni si possa già essere strutturati come serve. Quindi semmai vedo il rischio che qualcuno possa bruciarsi.
Una volta ci pensavano i corridori più maturi, dando i consigli giusti…
Io sto cercando di rimodularli. Ma in ogni caso racconto a tutti i giovani che vogliono ascoltarmi la necessità della dedizione da mettere alla base del lavoro, che poi è ciò che mi riesce meglio. Da parte mia ho cercato di evolvermi sul piano della preparazione e dell’alimentazione.
Esiste un consiglio della vecchia saggezza che va ancora bene?
Ad esempio il fatto che la stagione buona la costruisci d’inverno. Staccare è una necessità, in questo ciclismo che non si fermerebbe mai. Però staccare senza eccedere con lo svago, perché poi diventa difficile recuperare.
Va bene che corridori forti da dilettanti vengano subito messi a confronto con i più forti?
E’ un nuovo mood da apprendere. Se vuoi diventare uno importante nel futuro, devi provare i tuoi limiti contro i più forti. Una volta veniva facile dire al giovane che doveva andare in fuga, oggi invece ti ritrovi con il corridore maturo mandato in avanscoperta e il ragazzino che fa il leader.
Come si fa a farsela andar bene?
Bisogna essere realisti e molto elastici mentalmente, non è un caso che questa situazione stia mettendo alla prova soprattutto i corridori più abitudinari, che non sono ancora riusciti ad adeguarsi. Tanti hanno smesso proprio per questo.
Valverde fa eccezione?
Valverde mi fa sfigurare (ride, ndr). Le sue prestazioni sono fuori dal normale ed è un fenomeno perché riesce ad andare ancora così forte. Io penso invece di non avere tantissimo da inventarmi. Cerco lo spazio quando c’è e per il resto serve tanta pazienza.
Che cosa ti aspetti dalla Liegi?
Sogno di entrare nella top 10 (Pozzovivo è stato due volte 5°, nel 2014 e nel 2018, ndr). Però mi piaceva di più l’arrivo di Ans, perché lì me la potevo giocare.
Come stai?
Ora bene. Ho fatto un bel blocco di lavoro sull’Etna, che mi ha permesso di riprendere bene dopo lo step già fatto alla Tirreno. E in questa squadra si sta bene, perché è una WorldTour che ha mantenuto i rapporti umani della professional.
E se fossi di nuovo tu il migliore degli italiani?
La mattina della Liegi e nonostante abbia 39 anni, si parte ancora con i brividi per l’emozione. Ci sarà vento, per questo l’aver tolto la Cote de Forges ha eliminato un tratto di controllo, troppo esposta per fare la differenza. Credo che l’intenzione di ASO sia sempre stata ridurre la distanza fra la Redoute e la Roche aux Faucouns e così facendo hanno di nuovo rimesso la Redoute al centro del villaggio. Prima, quando era a 45 chilometri dall’arrivo era come il Capo Berta alla Sanremo.