Vuoi o non vuoi, il nome del fratello rispunta sempre. Davide Bais vive una carriera parallela a quella di Mattia (insieme nel 2020 nella foto di Remo Mosna in apertura): entrambi professionisti, entrambi in una squadra professional (Davide alla Eolo Kometa, Mattia alla Drone Hopper), entrambi con spiccate caratteristiche di fuggitivo della prima ora. Con licenza di cambiare e Davide questa licenza se la sta prendendo sempre più spesso.
Le ultime settimane sono state davvero positive. Certo, non stiamo parlando di vittorie internazionali, ma quando cogli due top 10 a breve distanza di tempo e ti mostri sempre propositivo, alla fine brilli di luce propria come avvenuto alla Coppa Bernocchi, terminata all’8° posto in mezzo a tanti corridori con palmares stagionali ben più corposi: «Ma anche al Giro di Slovacchia ero andato bene con un 6° posto parziale, anzi in quell’occasione più che la soddisfazione per il risultato mi era rimasto un po’ di rammarico perché si poteva fare ancora meglio».
Come nasce questo picco finale di stagione?
Devo dire che dopo il Giro d’Italia ho recuperato abbastanza bene e le cose sarebbero potute andare ancora meglio se non avessi avuto un piccolo inconveniente sotto forma della puntura di un insetto che mi ha fermato per una settimana. Ho recuperato bene a casa, ripartendo con le gare a metà agosto e la crescita di condizione ha portato anche ad avere un po’ più di libertà in squadra.
Anche tu sei uno di quelli votato alle fughe d’inizio gara?
Certamente non come Mattia che ne ha fatto un marchio di fabbrica, ma certamente attacco spesso. Nella prima parte di stagione ho lavorato molto per la squadra e i miei attacchi servivano anche per preservare i compagni, ma ho portato anche a casa qualcosa. Ad esempio il 4° posto nella classifica degli scalatori alla Tirreno-Adriatico è stato qualcosa di molto importante per me, avendo anche tenuto la maglia. Da inizio anno ho già fatto 62 giorni di gara che non sono pochi, ma la condizione attuale mi ha permesso di prendermi qualche chance in più.
Che differenze ci sono con tuo fratello?
Siamo piuttosto diversi a dire il vero, soprattutto nell’interpretare le corse anche in base a quel che ci chiedono le nostre squadre. Lui è più portato a gare d’attacco, cerca sempre la fuga e ha una rara capacità nel trovarla, infilandosi negli attacchi giusti. Io cerco se possibile di preservarmi per le fasi finali, di risparmiare anch’io, ma se la tappa lo permette come anche le particolari condizioni tattiche e il percorso, non disdegno la fuga da lontano, anzi ho un piccolo progetto in mente…
Quale?
Non mi dispiacerebbe centrare la fuga di giornata al Giro di Lombardia, perché con quel percorso potrebbe anche uscirne qualcosa di buono. Anticipare il gruppo mi consentirebbe di giocare qualche carta importante, magari rimanere con i più forti nelle fasi cruciali.
Anche tu stai contribuendo al buon finale di stagione della Eolo-Kometa: com’è stata quest’annata per il tuo team?
Sicuramente ci si aspettava di più, anche noi speravamo di far meglio soprattutto al Giro, visto che venivamo da una vittoria di tappa e avevamo aspirazioni importanti. A ben guardare però non è che siamo rimasti alla finestra, visti i podi di Albanese o la maglia blu portata da Diego Rosa. Noi siamo andati avanti per la stessa strada che ci ha contraddistinto, in ogni corsa cerchiamo di fare selezione, di trovare un modo per emergere, di portare a casa il risultato e in questo siamo tutti coinvolti.
Che cosa ti aspetta ora?
Il Lombardia e poi le corse in Veneto. Ne farò un paio prima di andare finalmente in vacanza e rifiatare. Ma sono contento di finire la stagione con questa condizione, perché dà una grande spinta a ripartire, soprattutto mentalmente.
Avete mai corso insieme, tu e Mattia?
E’ capitato da under 23, nelle file del Cycling Team Friuli, io ero al 2° anno e lui al 4° e non nascondo che era molto bello, riuscivamo a compensarci e a gestirci al meglio. Spero davvero che possa ricapitare da professionisti, io sono convinto che aiuterebbe entrambi.