Abbiamo ancora negli occhi le immagini dell’ultimo Giro di Lombardia, con la gente impazzita ai bordi della strada per fare il tifo per Fausto Masnada. Non un italiano qualsiasi, perché il corridore della Deceuninck-QuickStep correva sulle strade di casa, quelle nelle quali è vissuto e su cui ha sentito crescere dentro la passione viscerale per il ciclismo. Vivere un grande evento come il Giro di Lombardia sulle strade abituali, con il vicino di casa o l’amico del bar lì sul ciglio che si sgola per incitarti, ha un sapore speciale.
“L’enfant du pays”: un’espressione resa famosa, nel mondo delle due ruote, da Adriano De Zan, che spesso la citava non solo nel citare i vincitori, ma anche semplici gregari che sfruttavano l’occasione del passaggio del Giro d’Italia o di qualsiasi altra manifestazione nel paese natio, chiedendo il permesso al gruppo per avvantaggiarsi, di quel tanto da permettergli un rapido saluto. Vestigia di un ciclismo che non c’è più, ora si è professionali sin dal via e certe deroghe non sono permesse quasi più…
Mondiali, “nemo propheta in patria”…
E’ pur vero però che vincere in casa propria ha un sapore speciale. Ai mondiali, ad esempio, questo evento è successo solamente 12 volte e parliamo non di atleti che vincono nella propria città, ma nella nazione di appartenenza, un abbinamento riuscito per 4 volte al Belgio (ma la quinta alla quale tanto ambivano quest’anno non si è avverata…) e per 3 all’Italia, nel 1932 con Learco Guerra, nel 1968 con Vittorio Adorni e nel 2008 con Alessandro Ballan, ultimo in assoluto a riuscirci.
Citavamo Guerra, la storica “locomotiva umana” che la soddisfazione di vincere davanti ai suoi concittadini l’ha assaporata nel 1931: la prima tappa del Giro d’Italia arrivava quell’anno a Mantova e Guerra ci teneva tantissimo a conquistare la vittoria davanti alla sua gente, poter ripartire il giorno dopo con il simbolo del primato. Dopo 206 chilometri si mise alle spalle allo sprint Alfredo Binda e Michele Mara e non contento di ciò vinse anche il giorno successivo a Ravenna. Quel Giro per lui finì con 4 successi di tappa ma con il rammarico della brutta caduta a La Spezia che lo costrinse al ritiro.
Giro d’Italia, altra storia…
Giro d’Italia. Spesso corridori hanno cercato e anche trovato la vittoria sulle strade di casa, ma se dovessimo cercare un simbolo di queste immagini?
La mente non può che tornare a qualche anno fa, a Gilberto Simoni che sul Pordoi costruì le sue vittorie rosa, in uno stretto corridoio lasciato libero dai tifosi, spingendo sui pedali per infliggere un ritardo sempre maggiore agli avversari. Non è un caso se la carriera del trentino sia legata a doppio filo alla corsa rosa, che aveva un sapore assolutamente speciale proprio quando si transitava sulle salite di casa, quelle dove da bambino aveva lasciato vagare la fantasia vedendo i campioni dell’epoca compreso lo zio di sua moglie, un certo Francesco Moser…
Che dire poi di Stefano Garzelli, che nel 2005 vinse la Tre Valli Varesine? Attendeva da 15 mesi di riassaporare il gusto dolce della vittoria, il finale della classica di casa lo aveva studiato nei minimi particolari percorrendolo e ripercorrendolo in allenamento, soprattutto gli ultimi 500 metri dove si mise alla ruota di Mazzoleni gregario di Cunego e anticipando la prevedibile mossa del veronese scattò per precedere Bernucci. La gara arrivava a Campione d’Italia, città nativa della madre e di residenza delle sorelle. Come poteva non vincere?
Di casa e di cuore
Un po’ lo stesso discorso che vale per Fabio Ulissi. Nel 2017 il nativo di Cecina, appena approdato al Uae Team Emirates, voleva subito impressionare i suoi nuovi “datori di lavoro” e sulle strade di casa, teatro della sua preparazione invernale, sfruttò proprio la conoscenza del percorso e in particolar modo della discesa verso Donoratico.
«La conosco a menadito – affermò dopo la premiazione – sono nato qua e potrei farla a occhi chiusi, sapendo dove rilanciare».
Due volte era finito sul podio senza cogliere il risultato al quale teneva di più: per la gente del luogo, quell’edizione è rimasta nel cuore. E poi, parlando di discesa, non è lo stesso principio che ha applicato Masnada?
Se si parla di “enfant du pays”, c’è un’immagine recente che si fa strada nella memoria. Per Vincenzo Nibali quelle lacrime versate all’arrivo della conclusione dell’ultimo Giro di Sicilia contengono infiniti significati. Immaginate che cosa significa tornare a vincere, dopo tutto quel che ha passato in questi ultimi due anni, quello che ha letto e sentito su di lui, quei dubbi esasperanti nel proprio animo, davanti alla propria gente, quella stessa gente lasciata tanti anni fa, lui come tanti siciliani, per trovare fortuna nel Continente? Non c’era posto migliore per tornare ad azzannare il successo per lo Squalo. Certe volte anche i grandi uomini piangono…