Da Levitan a Prudhomme, ricordi gialli di Jeanie Longo

08.08.2022
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Felix Levitan era a suo modo un genio. Giornalista parigino classe 1911, fu il terzo organizzatore de Tour de France, dopo Desgrange e Goddet e fu il primo a portare nella corsa il concetto di business. Fu anche colui che nel 1984 creò il Tour de France delle donne. L’operazione di ASO nel rilanciarlo è stato più un riprendere il discorso che iniziarne uno nuovo. Perché delle potenzialità del ciclismo femminile si era accorto anche quel giornalista visionario con la fronte alta e il fiuto per gli affari.

Levitan fu il terzo organizzatore del Tour. Nel 1984 lanciò la versione femminile (foto Wieler Revue)
Levitan fu il terzo organizzatore del Tour. Nel 1984 lanciò la versione femminile (foto Wieler Revue)

A ruota delle americane

«Negli anni ’80 in Francia – ricorda Jeanie Longo, sul podio della Tour Eiffel con Marion Rousse per lanciare il Tour Femmes (foto Le Monde in apertura) – c’erano gare interregionali in abbondanza e alcune internazionali che stavano nascendo. Negli Stati Uniti erano più avanti di noi, le donne avevano già squadre sponsorizzate. Il Tour of Colorado era la gara più importante e soprattutto c’erano buoni premi anche per le donne. Ci andai nel 1981. Correvamo sugli stessi percorsi degli uomini, con la stessa copertura mediatica. Non so se fu per caso, ma proprio nel 1981 Levitan portò il primo americano al Tour de France e nel 1984 creò il Tour de France femminile. Fu l’esplosione del nostro ciclismo».

La francese, classe 1958, ha una bacheca piuttosto affollata. L’oro olimpico su strada di Atlanta davanti a Imelda Chiappa. Nove mondiali su strada (6 in linea, 3 a crono). Nove mondiali su pista. Tre Tour de France.

Nel 1996, Jeanie Longo vince per distacco l’oro di Atlanta. Seconda Imelda Chiappa (foto Profimedia)
Nel 1996, Jeanie Longo vince per distacco l’oro di Atlanta. Seconda Imelda Chiappa (foto Profimedia)

Campi Elisi per due

La prima edizione del Tour donne andò a un’americana, Marianne Martin: ottimo per il flusso degli sponsor. Poi ne vinse due l’azzurra Maria Canins, proprio davanti a Jeanie Longo. E a partire dal 1987 e per tre anni, i ruoli si invertirono. Per tre anni infatti, la francese precedette l’italiana.

«Penso che il signor Levitan fosse un innovatore – ricorda Longo – forse anche un visionario. Come direttore del Tour de France, sapeva come fare le cose al momento giusto. Non appena lanciò il Tour femminile, fu un’esplosione. All’epoca, i vincitori sfilavano sui Campi Elisi per salutare il pubblico. Io lo feci con Roche, Delgado e Lemond. Sono momenti straordinari, scolpiti nella mente».

Nel 1987 sui Campi Elisi, Roche e Longo: la gloria di Parigi per due (foto Profimedia)
Nel 1987 sui Campi Elisi, Roche e Longo: la gloria di Parigi per due (foto Profimedia)

«Ma non erano solo gli Champs Elysées – prosegue – anche i passi di montagna, tutto… Ricordo che negli angoli più sperduti, c’era gente che mi incitava. La gente si abituò presto ad avere il Tour femminile prima di quello maschile. Ho avuto la maglia verde per due anni, poi la gialla per tre di seguito. I duelli con Maria Canins. La gente ci aspettava, il pubblico era enorme. Un anno, nella tappa dell’Izoard, mio marito era sull’ammiraglia con le due porte anteriori aperte come uno spazzaneve».

Resistenze superate

Il ciclismo forse non era pronto per tutto questo, tanto che dal gruppo stesso si levarono alcune voci di dissenso. Marc Madiot, che oggi ha una delle squadre femminili WorldTour più importanti accanto a quella degli uomini, fu autore di un battibecco proprio con Longo.

«Marc però cambiò presto parere – sorride – anche se quell’episodio mi viene spesso ricordato. All’epoca aveva delle idee preconcette sul ciclismo femminile, le stesse che aveva Fignon. Si sbagliavano, ma erano influenzati dall’idea generale che il ciclismo professionistico fosse solo per uomini. Le cose però cambiarono in fretta. Il fatto che io fossi una donna e avessi preso una maglia gialla che normalmente era riservata ai gentiluomini, fece sì che le persone abbiano preso coscienza di tutte le lotte che conducemmo per farci ascoltare. Per questo fu un colpo molto duro quando nel 1989 il Tour si fermò. Ancora oggi ci sono atlete che mi ringraziano per l’ispirazione. E’ questa immagine che mi piace, perché non è solo quella del ciclista che ha vinto, ma in qualche modo va oltre lo sport».