In qualche modo si scambiarono il testimone sull’Etna. Mentre Juan Pedro Lopez indossava la prima maglia rosa della carriera, l’altro Lopez – il Miguel Angel dell’Astana – si ritirava per gli effetti di un’infiammazione. Per l’andaluso della Trek-Segafredo, 25 anni, che puntava a vincere la tappa ma dovette arrendersi a Kamna, si aprirono dieci giorni di scuola di ciclismo. Lo stesso intervallo di tempo, poco meno, che due anni prima aveva lanciato le quotazioni di Almeida. E proprio parlando con Matxin, tecnico della UAE Emirates e mentore del portoghese, giorni fa il discorso è caduto sullo spagnolo e su come quei giorni in rosa, terminati nel giorno di Torino (foto di apertura), potrebbero condizionare anche la carriera di “Juanpe” Lopez.
«Non lo so – dice Lopez – per ora è un bel ricordo, perché sono stati i 10 giorni più belli della mia vita. Questo però è un anno nuovo e vediamo che obiettivo possiamo raggiungere. Lo so che quando un corridore prende la maglia rosa o qualunque altra maglia di leader, nelle gare dopo ha sempre un po’ di responsabilità in più. Però per me è un bel ricordo, un bellissimo ricordo e basta…».
La scuola della Vuelta
“Juanpe” Lopez si muove e parla a scatti, come il personaggio di un cartone animato. E’ la personificazione della simpatia, con gli occhi che a tratti roteano e il gesticolare delle mani molto latino.
«Se mi ricordo quel giorno sull’Etna? Madre mia, certo – sgrana gli occhi – mi ricordo tutto. La salita. Quando ho attaccato a 9 chilometri dall’arrivo ho pensato che non sarei arrivato mai. Volevo vincere la tappa, non prendere la maglia. Ma alla fine forse è convenuto a me, perché dieci giorni in maglia rosa sono tanto. Una scuola. Ho imparato a soffrire un po’ di più per tenerla, ma conoscevo già la sofferenza nel ciclismo. Alla Vuelta l’anno prima avevo la sinusite. Non respiravo e ho lottato ogni santo giorno per arrivare. Chiedevo sempre via radio al direttore quanto fosse il ritardo dal primo perché pensavo che non sarei arrivato e quelle tappe mi hanno insegnato tanto a soffrire. Invece quando hai la maglia rosa va tutto sopra le nuvole, tutto come un sogno…».
Vittoria al Val d’Aosta
Chiusa quella porta, si lavora adesso per aprirne un’altra, cercando di individuare i margini e i limiti di un ragazzo di 54 chili che nella vita, prima della gloria sportiva, ha conosciuto la fatica del lavoro e sa apprezzare i vantaggi della sua posizione.
«La mia idea ogni anno – dice Lopez – è andare un po’ più avanti. La squadra mi darà ancora l’opportunità di fare classifica come è stato al Giro d’Italia. Ma non so dire dove potrò arrivare. Se ancora decimo o anche meglio. Il mio obiettivo di quest’anno però è alzare le mani al cielo. Vincere. Perché va bene che sono stato 10 giorni in maglia rosa, ma ancora non ho mai vinto. La mia ultima vittoria arrivò proprio in Italia, al Giro di Val d’Aosta nel 2019, quando correvo con la Kometa.
«Vincere da professionista è molto più difficile. Quando giocano due squadre di calcio, una vince e l’altra perde. Ma noi siamo 200 e la percentuale non è più cinquanta e cinquanta. Per questo non si fa tutto al 100 per cento, ma al 300 per cento, curando ogni tipo di dettaglio, anche il più piccolo. E’ pesante? A me piace. E se qualche corridore dice di soffrire la pressione, io gli rispondo che c’è in tutti i lavori. Nel nostro, riceviamo soldi per andare in albergo, per viaggiare, per farci un massaggio e per correre. Siamo privilegiati. Io quando vado in bici, sono il ragazzo più felice del mondo perché a me piace».
Debutto al Tour
Come un pugile molto leggero al centro del ring, “Juanpe Lopez” fissa gli obiettivi senza paura, infilandosi nella faretra delle nuove frecce spagnole e annunciando il debutto al Tour.
«Quando ho il numero sulla schiena, è bellissimo. Mi piace l’adrenalina, anche se le corse sono complicate e si rischia di cadere. Per questo è bello anche stare tutti insieme ad allenarsi, oppure farlo da solo. In Spagna adesso c’è un bel ricambio. Hanno smesso Valverde e Contador, ma alla Vuelta abbiamo visto Carlos Rodriguez e Juan Ayuso. Tanti si allarmavano perché non vedevano gli eredi dei grandi campioni, io ho sempre detto che serve pazienza e quest’anno abbiamo iniziato a raccogliere. Non sono più giovane, perché arriva uno come Ayuso che a 19 anni anni fa il primo grande Giro e va sul podio. Ma è sicuro che nei prossimi 5-6 anni la Spagna avrà un ciclismo meraviglioso.
«E io lì in mezzo posso fare lo scalatore, con 54 chili non mi vedo come sprinter. Per l’inizio di stagione, penso alla Vuelta Valenciana e all’Algarve. E da scalatore andrò a debuttare in Francia. Del resto, ho fatto la Vuelta, poi ho fatto il Giro, ora voglio andare al Tour. Ho parlato con la squadra e hanno detto che è una bella idea. Farò Tour e Vuelta, niente male come programma, no?».