Non si muove niente senza la benedizione di Matxin. Il UAE Team Emirates è una squadra molto strutturata. Gianetti è l’ammiraglio. Agostini opera fra logistica, marketing e comunicazione. Ma se c’è da parlare di corridori, non c’è nessuno come il basco di Basauri.
“Macho” è stato per anni capo di se stesso, nella veste di talent scout e conoscitore del ciclismo. Ha compiuto 52 anni il 20 dicembre e nella sua carriera ha portato fior di corridori in fior di squadre. Non faceva il procuratore: i team manager sapevano che, parlando con lui, al centro c’era l’atleta e non l’interesse di qualcuno che fosse interessato a venderlo. Gianetti lo ha tolto dal mercato e ha dato al team un valore aggiunto pazzesco. Nel frattempo Matxin ha continuato a tessere la rete dei contatti e nella sua scuderia si contano alcuni dei talenti più forti e meno conosciuti al mondo.
Lo abbiamo incontrato nel media day del UAE Team Emirates, quando è stato evidente che lo squadrone si sia rinforzato per reggere l’urto della Jumbo Visma.
Avete fatto le cose in grande…
Cresciamo, ci rinforziamo. Prendiamo il corridore più forte per bilanciare la squadra. Non è che prendiamo quattro corridori forti senza sapere dove metterli. Li prendiamo per metterli dove crediamo di averne bisogno. Cerchiamo di farli crescere a livello individuale, come ha dimostrato Pogacar. Con tutto il rispetto per i rivali, vogliamo diventare la squadra numero uno al mondo.
Ti ha sorpreso più che Tadej non abbia vinto il Tour o che Ayuso sia arrivato sul podio della Vuelta?
Sinceramente mi ha sorpreso più che Tadej non abbia vinto il Tour, nel senso che non mi aspettavo una sua giornata no, perché non ne aveva mai avute. Però può succedere. Come il primo anno che abbiamo vinto il Tour, quando lui ebbe una giornata super e Roglic una completamente negativa. Può accadere. Ovviamente quando viene a nostro vantaggio, sembra tutto più bello, quando accade al contrario fa male (ride, ndr). Ma il ciclismo non è matematica. Abbiamo un corridore che fa cose normali, non straordinarie. Tadej non fa cose straordinarie: fa cose normali straordinariamente bene.
Invece Juan?
Rispetto ad Ayuso… Sapete l’amicizia che c’è e i passi che gli lo ha fatto fare. Lui ha sempre ascoltato i consigli, ci ha sempre creduto. Sapevo che poteva essere molto avanti, ma nel professionismo tante volte non sai dove puoi arrivare: non per il tuo livello, ma perché fai fatica a capire quello dei rivali. Per quello c’è da rispettarli sempre. Poi ovviamente ci sono le tante variabili. E’ successo che è caduto e magari poteva non fare il podio. Per questo siamo partiti con Almeida leader e con Ayuso dietro, coprendolo e non mettendogli pressione. Volevamo vedere quello che avrebbe fatto, giorno per giorno, soprattutto dopo la decima/dodicesima tappa. Il suo limite di tappe era il Giro U23, che dura 10 giorni. Non si può chiedere a un ragazzo di 19 anni nient’altro che non sia fare il meglio di se stesso.
Hai parlato di Almeida: come valuti il suo percorso?
Joao lo conosco da quando era junior e ho vissuto la sua progressione. Mi ricordo quando è andato alla Trevigiani, perché aveva bisogno di una squadra come quella, in cui ha fatto un passo di qualità vincendo due corse. Poi abbiamo capito che aveva bisogno di andare con Axel Merckx alla Hagens Berman Axeon. Quindi l’ho aiutato a passare alla Quick Step e poi qui alla UAE. Il problema è che se pure un corridore sta crescendo in modo perfetto, quando prende per 15 giorni la maglia rosa, sembra condannato a vincerla l’anno dopo. Invece Joao sta facendo i passi giusti, molto giusti. Sono veramente contento, però in questi anni ha avuto anche sfortuna.
Quando?
Senza il Covid al Giro d’Italia 2022, sono convinto che faceva almeno terzo. Non so se di più, ma un terzo lo faceva (il portoghese si è fermato dopo la 14ª tappa quando era in quarta posizione, ndr). Poi ha preparato la Vuelta, ma è rientrato tardi per fare un buon recupero. Ha corso a Burgos, è andato in altura e nella prima settimana di corsa ha sofferto tanto. E’ andato migliorando e ha chiuso quinto. Ha avuto due momenti precisi – il Covid al Giro e la Vuelta in cui è partito con il piede sinistro – ma per il resto sono contento di come si è mosso. E’ andato al Catalogna e ha dimostrato che poteva battere i migliori al mondo, è andato nelle corse più importanti ed è stato ad altissimo livello. Sono convinto che il prossimo anno Almeida farà un altro passo in avanti.
Secondo te quei 15 giorni in maglia rosa sono diventati un peso?
No, non li ha sofferti. Era e sarà ancora il nostro leader al Giro d’Italia, senza dubbi. Ma ha vissuto quello che nel 2023 succederà probabilmente, con tutto il mio rispetto, a Juanpe Lopez. Dopo i suoi 10 giorni in maglia rosa e il decimo posto finale, se l’anno prossimo arriverà dodicesimo, sembrerà che non abbia fatto niente. Ma non è una questione matematica.
Cioè?
Almeida sta facendo i suoi passi in modo progressivo. Nessuno si aspettava che fosse vincente quest’anno o l’anno scorso quando è arrivato sesto, oppure due anni fa quando ha preso per 15 giorni la maglia rosa. Però va sempre in crescendo e per questo sono veramente contento. E’ professionale e rispettoso. Al UAE Tour ha tirato per Tadej come una ventola e lo stesso è arrivato quinto. Se non avesse tirato tanto il giorno in cui Tadej ha vinto, avrebbe fatto secondo o terzo al massimo. Questo significa che ha un cuore grande. E’ facilissimo lavorare con ragazzi intelligenti e svegli come Tadej e Joao. C’è un’atmosfera bellissima, la vedete anche qua. Fra loro c’è rispetto, sono intelligenti, sanno che insieme possono essere più forti che da soli. Per questo sono soddisfatto.
Nel frattempo intorno sta crescendo la squadra…
Credo che debba essere tutto bilanciato, per lo stesso motivo per cui non prendiamo corridori a caso. Se dobbiamo chiedere a ognuno il 120 per cento, dobbiamo dargli il 120 per cento. Anzi, tante volte è importante darlo prima, per poi chiederlo. Per questo anche come squadra cerchiamo di dare sempre il massimo. Possiamo farlo dando il miglior staff, il miglior materiale, i migliori alberghi, i migliori preparatori, il recupero. Dobbiamo scegliere solo quello che sia il top. Non dobbiamo solo trovare il miglior corridore del mondo, dobbiamo essere la miglior squadra al mondo per trovare il migliore al mondo.
Si studiano anche gli avversari?
Sì, tanto. Due anni fa chi vinceva sempre la classifica a squadre era la Quick Step, ora su chi scommettereste? Come per i giovani. Mi chiedono tutti se il Tour sarà nuovamente una lotta fra Tadej e Vingegaard, ma voi siete convinti che non ci sarà qualcun altro? Si aspettavano Remco Evenepoel e Ayuso e adesso bisogna credere che non salterà fuori nessuno? Arriverà, ve lo garantisco. Per questo dobbiamo guardare non solo al fianco, ma al più esterno possibile. Perché nessuno va indietro, stanno arrivando da tutti i lati. Questa non è solo una competizione a livello sportivo, è la gara per diventare la migliore squadra del mondo a 360 gradi.