La foto degli occhi chiari e arrossati di Katia Ragusa all’arrivo dei campionati italiani, assieme al sorriso di Elisa Longo Borghini sul traguardo, è l’immagine di un giorno che sembra lontano anni luce. Risucchiato indietro dalla frenesia del 2020 che è finito direttamente in bocca al 2021. Si correva su un percorso disegnato da suo padre, che la ragazza dell’Astana conosceva come le sue tasche. Ma nulla aveva potuto nell’ultimo giro, dopo essersi opposta nei primi quattro, quando Elisa aveva mollato gli indugi.
Nuovo sponsor
Il nuovo anno ha il cambio di nome della squadra e la consapevolezza di aver salito un altro gradino. Perché contrariamente a quanto Marta Cavalli ha detto a bici.PRO un paio di giorni fa, Katia è fra coloro che il passaggio di categoria ha dovuto sudarselo (con orgoglio) chilometro dopo chilometro. La Astana, che già fra gli uomini ha allentato la presa acconsentendo all’ingresso della canadese PremierTech, non si dedicava poi molto alle ragazze. E Maurizio Fabretto si è rimboccato le maniche lanciando la A.R. Monex Women’s Pro Cycling Team, parte di un progetto ben più articolato.
«E io intanto dall’ultima settimana di novembre ho ricominciato ad allenarmi – spiega la ragazza nata a Schio nel 1997 – alla fine di un’annata davvero stravolta. Per me era un’ambizione venirne fuori a testa alta e ho l’orgoglio di aver raggiunto certi traguardi. Forse con qualche piccolo rimpianto, ma davvero poca roba».
Dall’Australia a Breganze
Il suo 2020 era iniziato prima del Covid sulle strade del Tour Down Under e già si era visto che fra le migliori riusciva a starci quasi bene. Il terzo posto fra le più giovani si riallacciava idealmente con il terzo nella classifica della montagna al Giro d’Italia e il quarto posto in crescendo nell’ultima tappa, sette mesi dopo, con la glaciazione del lockdown nel mezzo a riscrivere la storia. Non un ritiro e un crescere di risultati che dall’ottavo posto alla Freccia del Brabante l’hanno portata al secondo nel campionato italiano.
«Si sapeva che quel percorso fosse adatto a Elisa – dice con il timbro di voce allegro dopo l’allenamento e una bella doccia – ma in realtà era adatto anche a me. Sono le strade di casa, la salita quasi l’ho asfaltata io, ma per quel giorno ho raccolto il massimo. Nel quarto giro mi aspettavo che attaccasse e sono riuscita a restarle a ruota. Ma quando è andata via di progressione nel quinto, non ho potuto farci niente. Lo sapevo che non avrebbe aspettato il finale».
Inizio precoce
La sua storia in bici inizia da piccolina e per giunta in anticipo, senza che il padre e lo zio corridori avessero pensato che le potesse interessare correre in bicicletta.
«Ho fatto tutto da me – ride – e ho persino chiesto di cominciare un anno prima. Però lo ammetto che qualche momento di “chi me l’ha fatto fare” negli anni mi è passato. Soprattutto quando da junior sono passata fra le elite. Un salto che all’inizio non capisci dove sei finita. E quando lo capisci, ti viene quasi voglia di scappare. Confrontarsi con le grandi a 19 anni è stato difficile, ma nel 2020 sento di aver fatto il primo passo di un salto di qualità. Certo, c’è tanto da lavorare, però è bello rendersi conto che sto crescendo un po’ ogni anno. E se Marta (Cavalli, ndr) parla di questa generazione di giovani che si adatta subito alla categoria, a me tocca ammettere che forse faccio parte di quella precedente. I primi due anni ho fatto fatica, ma adesso ci sono».
Comanda la testa
Sulla bici non si smette mai di lavorare, se ne accorgeranno presto anche le più giovani. Ma intanto la consapevolezza di aver trovato la chiave di lettura dell’enigma è diventata per Katia la spinta più forte.
«Devo lavorare sullo spunto finale – dice Ragusa – cui si arriva migliorando la resistenza per ritrovarsi davanti a giocarsela in determinate situazioni di gara. Serve fare esperienza. E togliersi dalla testa ogni giorno un pezzetto di quella convinzione che non puoi farcela. Sto iniziando a capirlo e questo è importante. E allora ho deciso di crescere ancora in questa squadra, per essere pronta semmai a proseguire in uno squadrone all’estero. Che penso sia l’ambizione di tutte».
Montagne e libri
Giù dalla bici rivendica una vita normale e abbastanza semplice. Negli scatti che capita di incontrare sui social, la si vede camminare in montagna nella giusta compagnia.
«Niente di troppo strano – ammette Ragusa e sorride – mi piace andare in montagna e leggere qualche libro. Non sono la più assidua delle lettrici, l’ultimo che ho letto è il terzo dell’Amica Geniale e magari adesso attaccherò il quarto. Però quando sono alle gare più che un libro, preferisco seguire una serie tivù. Ma prima della gare temo che passerà un po’. Intanto non faremo ritiri prima di Natale, per il Covid e anche perché siamo solo quattro italiane e ritrovarci con le sudamericane sarebbe un problema. Si pensa di farlo a febbraio. E a quel punto avremo anche il nostro bel calendario».
Una risata. Un saluto. Gli auguri di Natale. E la chiamata si chiude come era iniziata. Con la sua voce cristallina. E il ricordo di quegli occhi chiari e arrossati all’arrivo dei campionati italiani.