Qualche giorno fa, parlando con Caucchioli, l’ex pro’, oggi stabilitosi in Florida, sottolineava come al suo tempo, a cavallo del secolo, le scuole che dominavano erano quelle classiche (Italia, Spagna, Belgio), mentre i Paesi che oggi vanno per la maggiore quasi non esistevano e fra questi menzionava anche la Gran Bretagna e il ciclismo britannico.
Quella Gran Bretagna che sappiamo essere ormai un riferimento assoluto. Dai Tour di Wiggins e Froome alle volate anche iridate di Cavendish, dai successi dei fratelli Yates al nuovo che avanza attraverso Pidcock e Hayter. Com’è riuscito il Paese britannico a diventare così forte sulle due ruote?
Ripercorrere la sua storia recente può essere anche di buon esempio per l’Italia. Tenendo però in considerazione un fattore: parliamo di un sistema che è stato messo in piedi per supportare tutto lo sport e da questo punto di vista, pur considerando i britannici una delle nazioni guida del movimento sportivo come anche Tokyo 2020 ha dimostrato, dall’altra parte non possiamo non considerare il fatto che l’Italia sta vivendo stagioni davvero floride in ambito sportivo, con un numero di successi mai visto.
Il problema è che il ciclismo, che una volta era uno degli sport di riferimento, ora è confuso nella massa. Si affida quasi esclusivamente alle straordinarie imprese delle ragazze e dei pistard.
Da Atlanta a Tokyo
La Gran Bretagna, oggi quasi dominante nello sport, è figlia di una debacle clamorosa, del suo punto più basso raggiunto alle Olimpiadi di Atlanta 1996: proprio mentre l’Italia chiudeva al sesto posto nel medagliere con 13 ori, 10 argenti e 12 bronzi e le imprese di Chechi, Vezzali ma anche di Collinelli, Bellutti e Pezzo.
La Gran Bretagna invece scivolava addirittura al 36° posto con un solo oro, quello del “due senza” di canottaggio grazie a Redgrave e Pinsent. Solamente in sei sport gli albionici erano saliti sul podio e fra questi c’era già il ciclismo, ma si trattava ancora di presenze sporadiche.
Le edizioni precedenti non erano state eccezionali, ma certamente non si era mai toccato un punto così basso e la cosa destò enorme scalpore. Al punto che il governo dovette prendere in mano la situazione: c’era un sistema da rifondare. Allora premier era John Major, che diede tempo sei mesi per pensare a qualcosa in grado di rilanciare lo sport nel suo complesso.
Nel maggio 1997 venne così presentato l’UK Sports World Class Performance Programme: si trattava di una porta di accesso a un sistema di professionismo mascherato. Gli atleti considerati di punta in ogni disciplina, papabili per una medaglia olimpica, sarebbero stati seguiti con uno staff di primo livello. Con un regolare stipendio commisurato alle prestazioni. Per finanziare il sistema che necessitava di un fiume di denaro si è attinto a una lotteria pubblica. Essa ha garantito qualcosa come un miliardo di sterline per ogni quadriennio olimpico.
Accademia divisa in due livelli
La crescita dei risultati è stata netta: già quattro anni dopo a Sydney gli ori da 1 sono diventati 11. Poi sono continuati a crescere e il programma si è cementato nel sistema sportivo inglese. Oltretutto c’erano da preparare le Olimpiadi casalinghe del 2012, dove si è arrivati a 29 ori e quel trend non si è più invertito.
Il sistema, come detto, è andato perfezionandosi, vediamo come è applicato nel ciclismo. Ogni anno vengono selezionati un gran numero di corridori e inseriti nelle accademie di base a due livelli, junior e senior, in base all’età.
Si lavora in previsione di Parigi 2024 ma anche di Los Angeles 2028, dando tempo ai più giovani di potersi avvicinare gradualmente ai vertici della specialità prescelta. Interessante è il criterio: i ragazzi devono inviare una domanda di accettazione (quest’anno il termine era posto per il 21 luglio) e la risposta, positiva o no, arriverà entro il 18 agosto per i senior e il 31 per gli junior.
Quasi come gli Usa
La scelta viene fatta in base a tre discriminanti: 1) le performance e i risultati degli ultimi tre anni. 2) Test e dati considerati degni di attenzione. 3) Analisi soggettiva dell’allenatore in base a criteri concordati con il responsabile tecnico nazionale della disciplina e il Performance Pathway Manager, che sovrintende al lavoro di tutto il gruppo.
A quel punto l’atleta può essere inserito nell’accademia in pianta stabile oppure considerato “sub judice”: gli verrà accordato un periodo di 3 mesi in un programma di conferma, al termine del quale si stabilirà se sarà idoneo per salire di livello. In questo secondo caso però l’atleta non è finanziato e deve dare la sua disponibilità nei fine settimana. Chi non viene preso può presentare domanda l’anno successivo.
Chi è accettato farà vita simile a quella degli studenti-atleti americani, abbinando lo studio alla pratica sportiva in bicicletta per ottenere il massimo in entrambi i settori. Il programma è molto intenso e competitivo, performante e responsabilizzante.
Non basta avere grandi capacità tecniche, ma serve anche avere un carattere forte, capace di gestire la vittoria come la sconfitta, esattamente come avviene oltreoceano.
Vincere e guadagnare
Il programma è dedicato prevalentemente alle specialità della pista, del bmx e della mtb che rientrano nel programma olimpico.
L’accademia junior va dai 16 ai 18 anni (ma per il bmx si parte dai 14), quella senior fino ai 22. Chi nel frattempo mostrerà davvero progressi al punto di scalare il ranking internazionale e dare sufficienti garanzie di poter lottare per il podio olimpico approderà all’Olympic Podium Programme, che garantisce un lauto stipendio.
Che il sistema funzioni lo dicono i risultati nei vari campi: la sfida d’oltremanica per i britannici è già iniziata…