C’è stato un momento, mentre gli italiani erano avviliti per l’opaco omnium di Viviani, in cui un’azzurra si è alzata dalla tribuna, saltando al collo del nuovo campione olimpico francese. Sarebbe stato strano, se non fosse che Alzini e Thomas sono compagni nella vita e Martina ha vissuto accanto al suo “Ben” una rincorsa impegnativa come poche. Il tempo di un tramonto e l’indomani era nuovamente in lacrime ai piedi del podio di Guazzini e Consonni, sue… sorelle dai giorni della Valcar. Emozioni diverse che hanno dato alla trasferta olimpica di Martina un sapore diverso.
Da lunedì e fino a ieri, Alzini è stata al Tour Femmes e il passo non è stato breve. Ha dovuto trovare nuove motivazioni, resettare la mente e passare dalla bici da pista a quella da strada. Dice però che certi passaggi appartengono alla routine di ogni atleta. Si è fermata ieri perché le alture della Liegi si sono rivelate troppo ripide per un’atleta che ha svolto la preparazione più recente su pista.
«Dipende dalla tua personalità e dall’esperienza – dice – io da questo sport ho imparato che la testa per il cambiamento devi averla tu. Ogni giorno possiamo svegliarci, trovare scuse, lamentarci delle cose che non vanno bene. Qualunque cosa ti succeda, devi essere capace di fare lo switch. Sta a te cambiare, rimboccarti le maniche e ripartire. Che sia stata una caduta, una sconfitta, un contrattempo, una malattia… Qualsiasi cosa».
Che esperienza è stata per te Parigi?
Mi ha insegnato tanto. Nonostante non abbia corso, mi ha dato più di Tokyo. Il bello della pista è che ogni giorno puoi provare un’emozione diversa, perché le gare sono tante. Un giorno ti va male e sei deluso, quello dopo ti va bene o vedi vincere qualcun’altro cui vuoi bene. Poi è chiaro che personalmente non posso essere soddisfatta, però non ho alcuna recriminazione.
Perché?
A gennaio mi sono messa in testa di affrontare questo percorso a tutto gas e senza mai guardarmi indietro. O meglio, sperando che nel momento in cui mi fossi guardata indietro, non avrei avuto recriminazioni. Ce l’ho messa tutta. Ad Adelaide ho provato la mia prima madison. In Canada volevo fare un bel quartetto per dimostrare a Villa che ho il livello delle altre e penso di esserci riuscita perché abbiamo fatto dei bei tempi. Poi ci sono state le Olimpiadi e io non ho gareggiato, ma le parole di Marco mi hanno fatto piacere.
Che cosa ti ha detto?
Che per colpa dei regolamenti ha dovuto fare delle scelte a malincuore. Io non posso dire nulla, le scelte vanno accettate. Non ho alcuna critica da fare o lamentela. Spesso appaio un po’ insicura o metto in dubbio tante cose di me stessa. Questa volta però so che, essendomi allenata con le ragazze fino all’ultimo, mi sentivo al loro stesso livello. Sono delle individualità forti che fanno parte di un gruppo fortissimo e io sono come loro. Ecco, questo mi sento di dirlo.
Non hai recriminazioni, ma resta il fatto che avresti voluto gareggiare, no?
Mi è dispiaciuto tantissimo. Quando mi è stata data questa notizia, tremavo. All’inizio ti passano davanti il percorso e i sacrifici fatti. E’ una scelta che va accettata, ma quando in cuor tuo sai di essere arrivata davvero pronta e di avere basato tutta la stagione su quel momento, il cuore non può che essere spezzato. Mi reputo una ragazza solare. La prima quando c’è da scherzare a tavola, da fare la risata in più. E per farvi capire quanto tenga al gruppo, in quella giornata mi sono sentita di stare chiusa il più possibile nella mia stanza.
Perché?
Non volevo mandare onde negative alle altre ragazze. Non volevo che si vedesse intorno a me quell’aura di delusione e di tristezza. Il giorno dopo invece mi sono ripresa, ho iniziato a fare il tifo per le altre e dare il mio supporto.
Hai parlato di cuore e in due giorni hai festeggiato due ori diversi: uno di Ben e uno delle tue sorelle…
Non ci sono grandi differenze. Ho la fortuna di allenarmi nel quotidiano con la “Vitto” e con la “Conso”, così come di vivere nel quotidiano Ben quando siamo a casa. So cosa abbiamo passato. Di solito non metto bocca nelle situazioni che toccano ad altri, ma in questo caso posso permettermi di parlare. So cosa c’è dietro alla medaglia di ognuno di loro e le varie emozioni.
Che cosa c’è dietro?
Per quanto riguarda Ben, lo definisco un oro costruito. A Tokyo sembrava che avesse perso tutto, ne è uscito distrutto, anche se con la medaglia di bronzo. Non era quella la sua aspettativa e l’ho visto fare un percorso psicologico enorme. Per me non c’è da vergognarsi a parlare di questo, perché dimostra l’importanza della mente. E’ un oro che ha preso con la testa, nel momento in cui aveva addosso una pressione pazzesca. E come se non bastasse quella degli altri, c’era quella che si è messo da sé.
Come ne è uscito?
Ha lavorato. Ha intrapreso un percorso per capire come arrivare lì il più tranquillo possibile. E ha sacrificato tanto. E’ stato a lungo via da casa. Ha disinstallato i social dal telefono fino al giorno della gara. Dopo Tokyo era stata una delle cose che gli aveva fatto più male. La cattiveria della gente, gli insulti pesanti. Gli hanno scritto che non meritasse di andare in bici e che fosse la vergogna della Nazione. Cose anche più gravi. Ed è vero che vengono da persone che non conosci e non te ne frega nulla, però lasciano il segno. Anche perché magari sono gli stessi che ora gli dicono che è un eroe.
Si spiega così la tua commozione?
Molti mi hanno fatto notare quanto io abbia pianto. Ragazzi, se aveste passato la metà di quello che ho passato io con lui dai giorni peggiori ai giorni di gloria… Quelle erano lacrime di sfogo. In questi tre anni ho visto la dedizione, il sacrificio e i momenti no. Mi auguro che questa medaglia sia d’ispirazione per le tante persone che non si sentono mai al posto giusto e non perché lo siano davvero, ma perché qualcuno le fa sentire così. E’ possibile cambiare e ottenere quello che vuoi dalla vita. Secondo me il messaggio che deve passare dall’oro di Ben è questo. Non è solo una medaglia olimpica, è il lieto fine di un lungo percorso. C’è una frase di Viviani della sera dopo l’omnium che mi dà ancora i brividi.
Che cosa ha detto?
Stavamo tornando in macchina verso l’hotel e lui ha raccontato che le prime parole dette a Ben sono state che lo capiva e capiva cosa significasse vincere un oro dopo una caduta. Perché a Rio gli era successa la stessa cosa e io lo ricordavo perché ero una ragazzina (aveva 19 anni, ndr) e lo avevo visto alla televisione. Mi sono resa conto di quanto sia stata grande e meritata la vittoria di Ben. E’ caduto, si è rialzato pieno di adrenalina ed è andato a prendersi quello che voleva. E’ bello, molto toccante.
Hai pianto anche per le ragazze il giorno dopo…
Ho cominciato appena le ho viste mettere i piedi sul podio. Ho letto diversi articoli secondo cui sarebbe un oro venuto a caso o inaspettato. Magari è vero che non se lo aspettavano nemmeno loro, ma non c’è stato niente di casuale. Per me Vittoria Guazzini è uno dei più grandi talenti che abbiamo in Italia e Chiara Consonni uno dei più grandi motori. Se guardiamo quello che hanno fatto fino ad oggi, niente è per caso. Hanno vinto diversi titoli mondiali. Hanno vinto tappe al Giro e anche crono. Un risultato casuale è un’altra cosa, quella è stata una bella sorpresa, una bella rivelazione che secondo me in futuro ci farà ancora divertire.
Perché?
Perché secondo me adesso hanno più consapevolezza di cosa possono fare. E il messaggio che deve passare è anche che si sono anche divertite. Vedi che si conoscono, dove non arriva una arriva l’altra. Il giorno prima scherzavamo con la Conso. Mi diceva se la Vitto avesse attaccato, l’avrebbe ammazzata. Così appena è partito l’attacco, ho pensato a cosa fosse passato nella testa di Chiara e mi sono messa a ridere. E’ stato super emozionante. Sono stati giorni indimenticabili da cui spero prendano la giusta consapevolezza.
Invece Martina cosa prende da quei giorni?
La consapevolezza che prima mi mancava. Zero rabbia, quella no. Fino a qualche anno fa mi guardavo attorno e vedevo Balsamo, Paternoster, Consonni, tutti grandi nomi che stravincono su strada oppure hanno sempre fatto un numero in qualche gara importante. E io tante volte non mi sono sentita a quel livello. Sono andata avanti in punta dei piedi. Già il mondiale di due anni fa mi diede la consapevolezza di non essere da meno.
Mentre adesso?
Sono ripartita da Parigi con questa certezza: sono come loro. Me l’ha detto Marco (Villa, ndr), l’ha detto Diego (Bragato, ndr), l’ha detto il cronometro. Ma soprattutto l’ho detto io a me stessa. Ho dimostrato che quando voglio e ho un appuntamento importante, anch’io so costruirmi il percorso, la forma fisica, la mentalità giusta e veramente forte. Quindi spero che questa mentalità mi aiuterà in primis per i mondiali pista che verranno, perché ovviamente il mio riscatto deve iniziare da lì.