Giro d'Italia 1998

Ecco perché farebbe tremare anche la Ineos: parla Velo

13.01.2021
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Velo non ha dubbi: «Anche oggi, con l’organizzazione di squadre come il Team Ineos, uno come Marco li farebbe morire. C’è riuscito Contador, figuratevi il Panta».

Il fruscio di fondo non lascia spazio a dubbi: Marco è in bici. Dice che ci sono due gradi, ma anche un timido sole. E in attesa di tempi migliori, quei due raggi tra le nuvole sono stati un invito irresistibile.«Ma ho gli auricolari – dice anticipando la domanda – parliamo pure».

Freccia Vallone 1998
Per Marco Velo nel 1998, le Ardenne e il Giro d’Italia
Freccia Vallone 1998
Per Marco Velo nel 1998, le Ardenne e il Giro d’Italia

Al Trentino del ’97

E allora partiamo in questo allenamento blando fra ricordi e pensieri con l’ex corridore che proprio Pantani andò a cercare, disegnando la Mercatone Uno per l’anno successivo, e che oggi fa parte dello staff di Rcs e corse e tappe nella memoria inizia ad averne tante.

«Eravamo al Giro del Trentino – racconta – e avevo appena vinto la tappa di Lienz, che era dura impestata, battendo Zaina, Piepoli, Belli e Faresin. Mi venne vicino durante la corsa e mi disse che stava pensando di rinforzare la squadra. Buttò lì due parole per capire se mi interessava venire via dalla Brescialat. Io non avevo tanto da pensarci perciò dissi di sì, anche se per sentire tutto parlai anche con Martinelli e Pezzi. Ai tempi funzionava così. Il capitano era libero di avvicinare i corridori che avrebbe voluto ingaggiare. Purtroppo adesso non va così. C’era un rapporto molto più umano e senza tanti filtri. Vuoi mettere come mi sentii gratificato a ricevere una proposta come quella? E questo fece sì che si creasse sin da subito un legame fortissimo».

Il treno del Panta

Ne abbiamo parlato nei giorni scorsi con Sabatini e Guarnieri prima, con Tiralongo poi. Il treno per il velocista e il treno per lo scalatore. La squadra di Marco a partire dal 1998 diventò una corazzata.

Tour de France 1998
Scherzi con Borgheresi nell’ultima tappa del Tour 1998
Tour de France 1998
Scherzi con Borgheresi nell’ultima tappa del Tour 1998

«Marco era ed è il ciclismo – prosegue Velo – essere il suo ultimo uomo ti metteva su un altro pianeta di responsabilità. Sono stato anche l’ultimo uomo di Petacchi, ma era diverso. Sapevi che a parte qualche imprevisto, dovevi fare solo il finale. Con Marco c’erano molte più variabili. E quando però arrivavi al dunque, eri quello che faceva l’ultimo passaggio, l’assist per Maradona o Messi nella finale di Champions League. Mi sentivo partecipe, era la causa comune. Anche se magari ti trovavi a gestire situazioni tattiche completamente diverse, rispetto a quelle che avevamo studiato e condiviso. Se l’istinto gli diceva di andare, raramente non lo assecondava. E di solito aveva ragione lui. Mai visto un attacco a vuoto del Panta».

Tutto sul gruppo

La Mercatone Uno raggiunse livelli di potenza e affiatamento che negli anni successivi, attorno a uno scalatore, avrebbero raggiunto la Saxo Bank di Contador e l’Astana di Nibali.

Davide Dall'Olio 1997
Dall’Olio in squadra dopo l’incidente del 1995: fu Marco a volere lui e Secchiari
Davide Dall'Olio 1997
Fu Marco a volere Dall’Olio (sopra) e Secchiari dopo l’incidente del 1995

«Per questo dico – prosegue – che ne avrebbe avuto per far saltare anche gli schemi Ineos. Perché non era un solista contro tutti, era la nostra corsa e gli altri a inseguire. Eravamo forti. Partivamo prima di Natale da Madonna di Campiglio, mentre gli altri erano alle Canarie. Non andavamo a perdere tempo, a casa ci eravamo allenati già tutti. Si andava su quei tre giorni a fare una cosa che ora va tanto di moda. Il team building, che in italiano si dice fare gruppo. Ed è vero che ai tempi si parlava tanto dei percorsi troppo facili a favore dei cronoman, ma quelli dopo Indurain iniziarono a sparire e tutto sommato a Marco per vincere bastavano le salite. Di tutti i tipi, quelle lunghe, ma anche quelle corte da fare a tutta con le mani sotto».

La tattica giusta

Velo ragiona ad alta voce e intanto pedala. «Avendo una squadra come la Mercatone Uno del 1999 e avendo ovviamente anche il Panta – dice – si potrebbe davvero far saltare la Ineos. Loro corrono a sfinimento, facendo un ritmo che impedisce gli scatti, ma si potrebbe sorprenderli tatticamente.

«Potresti fare il ritmo alto, rischiando di perdere i tuoi uomini. Loro hanno per gregari dei vincitori di Giro e di Tour, noi avevamo Garzelli, che aveva vinto il Giro ma singolarmente non eravamo così forti. Ma se c’è spirito di squadra, e noi ne avevamo da vendere, si può fare. Se tiri forte per fargli fuori sulla prima salita gli uomini delle pianure, quando Marco attacca e si porta dietro qualcun altro, nella valle successiva, loro devono far tirare gli scalatori. E allora magari sulla salita successiva il leader è un po’ più solo. Ma queste sono cose che potevi fare soltanto con un Marco in condizione, oppure il Contador degli ultimi anni».

Gli urli di Oropa

Secondo Velo, che intanto continua a pedalare accrescendo la voglia di farlo anche di qua dall’apparecchio, il capolavoro di squadra lo fecero a Oropa. Che sarebbe anche facile da dire, se non fosse che dopo l’arrivo Marco prese fiato e li mise tutti sugli attenti.

«Esatto – conferma – è facile dire Oropa, anche perché la fanno vedere spesso. In realtà prima di allora ci sono state tante situazioni, come tutto l’avvicinamento al Giro del 1999 dove Marco raggiunse un livello di condizione eccezionale. E comunque quel giorno avevamo fatto tanto lavoro per prendere la salita davanti e pensai che per uno stupido problema meccanico, rischiavamo di perdere tutto. Marco era dietro di me, ma io non avevo capito niente. Mi girai con la coda dell’occhio per controllare che fosse tutto a posto e non lo vidi. Fu uno della Saeco, mi pare Petito, a dirmi che si era fermato. Avrei voluto girare per tornare indietro, ma è vietato, così lo aspettammo. La rimonta l’avete vista, ma dopo l’arrivo si arrabbiò con me e con Zaina perché ci eravamo messi a tirare con troppa foga, volendo riportarlo sotto. Non c’erano le radioline. Lui urlava probabilmente per dire di andare regolari e io, in piena trance agonistica, continuavo ad aumentare. Ci disse che, ogni volta che uno di noi si spostava, lui doveva aumentare. E così avevamo rischiato di mandarlo fuori giri. A parte quella volta, che c’era una sola salita e anche durissima, Marco non ti metteva in difficoltà soltanto nei finali. Quando trovi uno così che ti va via a 30 chilometri dall’arrivo dopo averti tirato il collo, hai poco da controllare. Certo sarebbe difficile, ma sarebbe ancora uno spettacolo».