Giuseppe Martinelli

Pellizzari e il primo doppio Grande Giro. Parla “Martino”

21.09.2025
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La questione Giulio Pellizzari continua a tenere banco. In settimana, giustamente, se n’è parlato spesso tra compagni, tecnici ed ex corridori nei commenti post Vuelta. Oggi continuiamo a farlo con il supporto del direttore sportivo italiano più vincente dell’era moderna, l’ex Astana Giuseppe Martinelli.

Con “Martino” abbiamo affrontato in particolare il tema del primo doppio Grande Giro in stagione da parte di Pellizzari. Un doppio appuntamento che lo ha visto promosso a pieni voti: due sesti posti, entrambi arrivati senza essere leader designato al via. Al Giro d’Italia lo è diventato dopo l’abbandono di Primoz Roglic e prima aveva già speso parecchie energie per lo sloveno. Alla Vuelta, invece, è stato co-leader, ma anche in questo caso aiutando non poco Jai Hindley.

Pellizzari ha sfiorato la maglia bianca all’ultima Vuelta. L’ha persa nell’ultima tappa di salita, staccandosi a 6,8 km dalla Bola del Mundo
Pellizzari ha sfiorato la maglia bianca all’ultima Vuelta. L’ha persa nell’ultima tappa di salita, staccandosi a 6,8 km dalla Bola del Mundo
“Martino”, dicevamo di Giulio Pellizzari: due Grandi Giri nella stessa stagione, due sesti posti e una vittoria di tappa. Che impressione ti ha fatto?

Molto buona, bella nel suo insieme sia per le prestazioni che per il contesto. Un’impressione positiva dettata anche dal fatto che ho un buon rapporto con lui. E’ un rapporto di stima reciproca, niente di più, ma l’ho sempre seguito perché mi era piaciuto già al Giro dell’anno scorso. Una volta, incontrandolo, gli ho detto: «Se fai ancora un anno con Reverberi, fai un bel Giro d’Italia e poi spicchi il volo». Invece è andato via.

E il volo lo ha fatto lo stesso…

Esatto, e devo dire che sono stati bravi. E’ andato in una squadra importante come la Red Bull-Bora-Hansgrohe che gli ha fatto correre il Giro. E questa è stata la svolta per lui. Fare il Giro non era scontato. Con la corsa rosa Giulio si è reso conto di essere un buon corridore per davvero. E alla Vuelta, oltre al sesto posto, ha conquistato una vittoria di tappa. E quando vinci significa che batti tutti, non importa chi ci sia al via: li batti tutti. Punto. Non solo…

Cos’altro ti ha colpito di quella vittoria?

Non è stata la vittoria di una fuga da lontano, ma quella di un arrivo ristretto con i migliori della generale che si giocavano tappa e classifica. Se guardiamo l’ordine d’arrivo di quel giorno, ci sono nomi come Jonas Vingegaard o Joao Almeida. Quel sesto posto nella generale gli va forse stretto, ma la vittoria contava più di tutto. Credo che se non avesse vinto, avrebbe lottato molto di più per la maglia bianca.

Cosa ti porta a dire questo?

Perché quando vinci, spesso sei sereno con te stesso. Non parlo di appagamento, ma quella sensazione inconscia di “il mio l’ho fatto” ti resta. La testa, tante volte, fa la differenza.

Volta Catalunya: Giulio Pellizzari, svolgendo un gran lavoro per Roglic, si sta guadagnando la convocazione per il Giro
Volta Catalunya: Giulio Pellizzari, svolgendo un gran lavoro per Roglic, si sta guadagnando la convocazione per il Giro
Quindi se non avesse vinto la tappa, avrebbe portato a casa la maglia bianca?

Secondo me sì. L’ho detto anche a casa durante la corsa: era una questione di testa.

E in chiave futura, che lezione può trarne?

Gli ho scritto: “Ricordati che dalle sconfitte nascono le grandi vittorie. Questa non è una sconfitta, ma qualcosa che dovrai analizzare”. Lui ha apprezzato molto.

Prima hai sottolineato che la cosa buona è stata farlo debuttare al Giro. Non era scontato al primo anno in Red Bull-Bora: perché secondo te hanno deciso così?

Perché hanno visto che andava forte. Quella è una squadra che non lascia nulla al caso. L’arrivo di Red Bull ha dato un valore aggiunto, alzando il livello di tutto il movimento. Al Catalunya Pellizzari era già andato bene. E poi, secondo me, anche Roglic avrà espresso un suo parere. E quello che dice il campione della squadra conta. I tecnici avranno avuto i loro dati certo, ma il corridore lo vede su strada, in corsa. Primoz gli avrà detto: «Guardate che questo va forte, meglio magari tenerlo un po’ tranquillo e fargli fare il Giro d’Italia». E infatti gli hanno cambiato un po’ i programmi.

Quanto ha inciso la presenza di Enrico Gasparotto, tecnico italiano, che aveva un ruolo importante in squadra nel far sì che Pellizzari facesse il Giro?

Tanto, anche ai fini del parlare la stessa lingua. Ti confronti di più e in modo diverso, anche prima della partenza o subito dopo l’arrivo. Gasparotto, per Pellizzari, è stato un riferimento importante. Io non ho mai parlato bene l’inglese e quando provi a comunicare con un corridore usando parole che non rispecchiano completamente ciò che vuoi dire, è tutta un’altra cosa. Nella tua lingua, invece, basta dirgli: “Oggi ti aspetto all’arrivo”, mentre lo guardi negli occhi e gli dai una pacca sulla spalla. Vai a farlo in inglese… E’ diverso.

Come tutti i corridori moderni, Pellizzari si alza poco sui pedali. Eccolo sulle pendenze estreme dell’Angliru
Come tutti i corridori moderni, Pellizzari si alza poco sui pedali. Eccolo sulle pendenze estreme dell’Angliru
Come dovrà essere gestito adesso, con Roglic, Lipowitz, Hindley e l’arrivo di Evenepoel? Pellizzari sarà destinato ad un gregariato di lusso?

Adesso si divideranno un po’ i ruoli. Io penso che Roglic sia arrivato al capolinea e non avrà più i gradi di capitano. Giulio potrebbe davvero prendere il suo posto. Remco secondo me, farà altre cose a partire dal Tour dove non andrà solo per vincere le crono, quindi non andrà a togliere spazio a Pellizzari. Lo spazio per Giulio ci sarà, anche perché resta il più giovane di quel gruppo e immagino avranno anche interesse sotto questo punto di vista.

Però, Giuseppe, questo è un grande attestato di stima nei suoi confronti…

A me Pellizzari piace tantissimo. Ci siamo visti poche volte, però c’è stima reciproca. Se gli mando un messaggio risponde subito. Ed è bravo nella sua normalità di campione come lo è in questo momento, o meglio da come lo sta diventando. Ora per lui diventa tutto più complicato.

Tecnicamente hai notato differenze in Pellizzari tra Giro e Vuelta?

Ho visto che sa rimontare facilmente e non resta sempre a ruota. Sa anche prendersi il vento. Corre davanti senza spendere troppo. Non è come Roglic o Remco, che soffrono nel tenere la posizione. E questo è un bel vantaggio fisico e mentale.

Facendo un’analisi tecnica di Pellizzari sulle pendenze più dure, Pozzovivo ci diceva che Giulio dovrebbe stare di più sui pedali, fermo restando non è un scalatore di un metro e 60 per 50 chili. Sei d’accordo?

E’ la tendenza moderna quella di stare più seduti e girare agile. Ogni tanto alzarsi sui pedali fa recuperare meglio. Lo vedo anche tra gli juniores: vanno su a 80-90 pedalate al minuto e non mollano mai il rapporto agile. A volte gli dico: «Buttate giù un dente e alzatevi. Magari rilanciate meglio, usate altri muscoli per un attimo…», ma è così. Alla fine è il ciclismo moderno: altri metodi, altri rapporti. Tecnicamente andando così agili alzarsi diventa un cambio di posizione non facile da eseguire. Pozzovivo ha occhio, guarda i dettagli come pochi altri, pertanto come potrei non essere d’accordo con lui?

Nei Grandi Giri precedenti Pellizzari si era sempre trovato bene nella terza settimana. Stavolta invece ha ammesso di aver sofferto. Perché?

Primo, perché era il suo secondo Grande Giro in stagione. Poi perché la Vuelta è stata lunga e stressante, anche con le proteste che hanno inciso. Non sapere ogni giorno se si correva o come, i trasferimenti… ormai un Grande Giro dura quasi quattro settimane tra fasi preliminari, partenze all’estero… I ragazzi vivono sotto pressione continua, in una sorta di bolla, dalla mattina quando si svegliano alla sera quando vanno a letto. Tutto questo alla fine presenta un conto.

Vuelta 2025 proteste

La Vuelta delle proteste, ne parliamo con Berruto  

20.09.2025
6 min
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L’ultima Vuelta è stata fortemente influenzata dalla proteste in favore della causa palestinese e contro quello che sta succedendo a Gaza. Ogni giorno si sono viste centinaia di bandiere palestinesi lungo il percorso, diverse frazioni sono state modificate per motivi di sicurezza e addirittura l’ultima tappa di Madrid è stata annullata. Qualcosa che non si era mai visto nella storia del ciclismo.

Questo cortocircuito tra sport e politica ha fatto molto discutere. C’è chi comprende le ragioni dei manifestanti e chi invece sostiene che le due cose, sport e politica, debbano sempre rimanere distinte. Per approfondire questo tema abbiamo contattato di nuovo Mauro Berruto, ex commissario tecnico della Nazionale maschile di pallavolo, oggi deputato e responsabile dell’area Sport del PD. Berruto è anche autore del libro “Lo sport al potere – La cultura del movimento e il senso della politica”, pubblicato a fine maggio da add editore.

Mauro Berruto
Berruto è deputato e responsabile dell’area Sport del Partito Democratico
Mauro Berruto
Berruto è deputato e responsabile dell’area Sport del Partito Democratico
Mauro, che idea ti sei fatto di quello che è successo alla Vuelta? 

L’ho seguita da molto vicino. La prima cosa che mi viene da pensare e chiedermi è: la società civile in che modo può esprimere il suo dissenso nello sport? Gli sport che si svolgono al chiuso, in uno stadio o in un palazzetto, sono ipercontrollati. Quindi ovviamente è molto più efficace farlo nel ciclismo che è democraticamente accessibile a tutti, perché passa nelle strade, non serve il biglietto. Ovviamente, e qui parlo da sportivo, occorre sempre protestare senza mettere a rischio gli atleti.

Qualcosa, dunque, di connaturato al ciclismo.

E’ il bello e il rischio di questo sport, che mantiene in qualche modo la sua purezza. Gli amanti del ciclismo dovrebbero essere orgogliosi di questa accessibilità e democraticità che resta immutata, non è un caso che sia sempre stato uno sport letterario e popolare. Ripeto: credo che si debba esserne orgogliosi, le difficoltà e le proteste fanno parte del rischio, appunto perché è uno sport che quando c’è qualcosa per cui protestare offre il suo essere così, aperto al mondo. E credo sia una cosa bella.

Vuelta 2025 proteste Madrid
Le proteste a Madrid hanno obbligato gli organizzatori ad annullare l’ultima tappa della Vuelta
Vuelta 2025 proteste Madrid
Le proteste a Madrid hanno obbligato gli organizzatori ad annullare l’ultima tappa della Vuelta
Quindi credi che le proteste viste alla Vuelta, quelle pacifiche, fossero e siano giustificate?

Mi sono espresso molto esplicitamente sul fatto che non esiste una ragione per la quale Israele non debba essere bannato dalle competizioni internazionali. Non esistono ragioni perché sono descritte nella carta olimpica, gli articoli sono lì, basta leggerli. La doppia morale di fondo è evidente dal fatto che quando la Russia invase l’Ucraina il CIO ha messo 4 giorni a decidere. E infatti anche la Gazprom è stata esclusa dalle corse. Ora siamo ad oltre 700 giorni di guerra unilaterale, genocidio, chiamiamolo come vogliamo, e ancora ci stiamo ponendo la domanda su cosa fare. Anzi nemmeno, perché giusto due giorni fa il CIO ha detto che entrambi, Palestina e Israele, rispettano la carta olimpica.

Perché infatti i precedenti non mancano…

L’esempio più aderente a questa situazione è quello del Sudafrica, che è stato escluso dai Giochi Olimpici dal 1964 al 1992 a causa delle politiche razziali dell’apartheid. Lo sport è uno degli strumenti di pressione internazionale e qui è in atto un’evidente doppia morale.

Anche la tappa con arrivo a Bilbao ha subito delle modifiche a causa delle manifestazioni, con la neutralizzazione a 3 chilometri dal traguardo
Anche la tappa con arrivo a Bilbao ha subito delle modifiche a causa delle manifestazioni, con la neutralizzazione a 3 chilometri dal traguardo
La sensazione dall’interno del mondo del ciclismo è che molti, anche tra i tifosi, si siano indispettiti perché i manifestanti hanno interrotto lo show.

E’ comprensibile, ma è anche inaccettabile. Chi dice che lo sport e la politica devono restare separati dice una sciocchezza, perché non è mai stato così. Certo, l’intreccio a volte è una carezza, altre volte invece può essere soffocante e fastidioso, ma c’è sempre stato e bisogna essere abbastanza maturi da comprenderlo. Uno sport fuori dal mondo è totalmente irrealizzabile e secondo me anche sbagliato, perché alla fine tutto è politica. Per esempio non c’è dubbio che la Israel-Premier Tech abbia tra i suoi obiettivi la promozione di Israele, e quell’incongruenza rimane irrisolta. 

Al termine della Vuelta l’UCI ha diramato una comunicazione in cui critica il governo spagnolo, dicendo inoltre che “L’UCI condanna fermamente lo sfruttamento dello sport per scopi politici in generale, e in particolare da parte di un governo. Lo sport deve rimanere autonomo per svolgere il suo ruolo di strumento di pace. E’ inaccettabile e controproducente che il nostro sport venga distolto dalla sua missione universale”. Sembra un bel cortocircuito.

Resto allibito. Non accetto un pensiero così banale, perché è fuori dalla storia e puzza profondamente di sport washing. Frasi del tipo “lo sport faccia il suo mestiere e non si occupi del resto” però non mi stupiscono, perché è quello che mi sono sentito ripetere per decenni, cioè: «Non rompere le scatole e continua a giocare». Ma è un pensiero che io contesto, come anche ha fatto Renzi Ulivieri, il presidente dell’Associazione Italiana Allenatori Calcio. Perché è contrario: per essere un bravo atleta devi anche pensare al mondo ed essere informato.

Bernal ha vinto davanti a Landa l’11ª frazione, anche questa accorciata però di 8 chilometri
Bernal ha vinto davanti a Landa l’11ª frazione, anche questa accorciata però di 8 chilometri
Quindi non credi che Sanchez abbia sbagliato ad appoggiare le proteste ?

Quella dichiarazione dell’UCI mi sembra infelice da qualunque parte la si guardi. Ripeto che, anzi, credo che si debba essere orgogliosi che il ciclismo sia così democratico, nel bene e nel male. Invece ho molto apprezzato la presa di posizione del Primo Ministro spagnolo. Non credo che abbia fomentato nulla, ha solo ricordato chi sta dalla parte giusta della storia.

Mettiamoci però dal punto di vista di uno sportivo. Se avessero annullato la finale per il terzo posto con cui avete vinto il bronzo olimpico, come avresti reagito?

Dal punto di vista dell’atleta e dell’allenatore è dolorosissimo, non c’è dubbio. So bene cosa significa prepararsi anni, decenni, per un obiettivo. E’ brutto e doloroso che un atleta venga privato di un evento importante, ma il fatto è che – fuori di retorica – è molto più brutto e doloroso che vengano uccise migliaia di vittime innocenti. Credo che Gaza in questo momento sia un po’ il termometro della coscienza del mondo, quindi anche degli sportivi.

Vingegaard Vuelta 2025
Anche le premiazioni sono state annullate, e Vingegaard ha dovuto accontentarsi di una parata lungo la prima parte del percorso
Anche le premiazioni sono state annullate, e Vingegaard ha dovuto accontentarsi di una parata lungo la prima parte del percorso
Anche gli atleti, insomma, devo essere nel mondo e non fuori?

Certo. E aggiungo che il ban sportivo si applica alle squadre e non agli atleti singoli. Se sei un atleta e non hai appoggiato in maniera esplicita il tuo governo puoi comunque gareggiare, ci sono stati molti esempi anche recenti in questo senso. Il problema è tapparsi le orecchie, come hanno fatto il CIO, la Uefa e l’UCI. Altro è capire come applicare la norma, lì se ne può parlare. Bisogna comunque ricordare che uno sportivo di alto livello ha mille privilegi e quindi deve mettere in conto che la sua figura non è indifferente, ha un peso specifico diverso da quello delle persone comuni.

Abbiamo parlato della Vuelta e della Spagna. L’Italia invece cosa potrebbe fare?

In questo momento l’Italia ha un tema aperto, la partita di calcio che tra meno di un mese si giocherà contro Israele ad Udine. A riguardo sento un silenzio assordante da parte della FIGC. La cosa più sbagliata è tacere, mi piacerebbe che anche solo simbolicamente partisse un messaggio da parte dei calciatori, anche se non mi faccio molte illusioni a riguardo. L’unica cosa da non fare, ripeto, è stare zitti. Noi abbiamo lanciato una raccolta di firma della società civile che ha raccolto oltre 25 mila adesioni di persone che chiedono che quella partita non si disputi. La FIGC potrebbe fare come la Federazione norvegese che destinerà i ricavati della partita ad aiuti a Gaza. Sarebbe già qualcosa, un gesto non solo simbolico ma anche pratico. Caspico che non possano autonomamente decidere di non giocare, però farsi portavoce di un messaggio quello sì, si può e si deve fare

Elia Viviani, Vuelta 2025

Viviani: «La Vuelta mi ha dato tanto, ora punto a un gran finale»

19.09.2025
7 min
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Quando lo intercettiamo, Elia Viviani è appena sceso dall’ennesimo aereo. Sta facendo la spola tra casa e il Belgio, dove correrà molte gare di un giorno, come il Memorial Schotte di qualche giorno fa e come sarà oggi per il Kampioenschap van Vlaanderen.

Il corridore della Lotto sta vivendo un buon momento, nonostante il futuro non sia così ben definito. Quel che invece non sembra intaccarsi minimamente, e lo si percepisce nel corso dell’intervista, è la sua testa. Viviani, classe 1989, è ancora uno schiacciasassi, corridore al 101 per cento. Dopo questo blocco di gare in Belgio, avrà due settimane in cui conta di andare in pista a Montichiari, prima del finale di stagione in Veneto.

Viviani vince il Memorial Schotte e mette a segno la sua 90ª vittoria da pro’ (foto Bart Vandenbroucke)
Viviani vince il Memorial Schotte e mette a segno la sua 90ª vittoria da pro’ (foto Bart Vandenbroucke)
Elia, partiamo un po’ dalla fine, dalla Spagna al Belgio, al Memorial Schotte che hai vinto. Come ci sei arrivato? E’ stata una sorta di rivincita?

Sicuramente. Ho sofferto tanto la Vuelta, che era una corsa dura. So che esco sempre bene dai Grandi Giri perché il volume di lavoro che si mette insieme mi dà tanto. La gara di martedì era molto vicina, però con la domenica senza gara e il lunedì di riposo già avevo buone sensazioni.

Quindi l’obiettivo adesso è?

Correre e vincere il più possibile da qua a fine stagione con la Vuelta nelle gambe, sapendo che un Grande Giro mi dà sempre tanto. Sono felice di essere tornato a farne uno, nonostante la sofferenza e le poche occasioni, però un Grande Giro è sempre bello. Era dal 2021 che non ne disputavo uno.

Non poco, in effetti…

Infatti, un po’ di timore iniziale ce l’avevo. Sapevo di essermi preparato bene, però alla fine non era semplice. Sono contento. Le occasioni sono state poche: un quarto posto iniziale, poi il secondo (nella tappa di Saragozza, Elia è stato retrocesso per una deviazione, ndr). Peccato non aver sprintato a Madrid. Lì avevo bei ricordi: nel 2018 ho colto una delle mie vittorie più belle, l’ultima tappa in una città come Madrid è stata fantastica. Per questo non aver sprintato è stato brutto.

Com’è stato tenere duro sulle montagne… pensando a Madrid?

Sapere che c’era l’opportunità di Madrid ha aiutato non poco. Certo, la tappa è stata eliminata. Si sapeva già da Novara che le occasioni sarebbero state poche, ma la prima e l’ultima frazione erano ghiotte. La Maglia Rossa a Torino, in Italia, e l’ultima a Madrid: so cosa vuol dire vincerla, è qualcosa di grande. Per noi velocisti non aver potuto disputare l’ultima frazione è stata una grande mancanza.

Quanta fatica per Viviani sulle salite della Vuelta. Una grande motivazione per tenere duro è stata la tappa finale di Madrid. Poi annullata per le manifestazioni pro Palestina
Quanta fatica per Viviani sulle salite della Vuelta. Una grande motivazione per tenere duro è stata la tappa finale di Madrid. Poi annullata per le manifestazioni pro Palestina
Perché?

Soffri per venti giorni sapendo di avere quell’ultima occasione. Arrivare a Madrid e non sprintare non è stato bello. Ma non solo per noi velocisti: penso anche a Pidcock, al suo primo podio, o ai giovani in squadra al primo Grande Giro. Ti svegli la mattina con la soddisfazione di aver finito e invece ti ritrovi a pensare se i tuoi familiari all’arrivo sono al sicuro o se sono finiti nel caos dei manifestanti. E’ stato brutto, umore sotto i piedi. Rientrato in hotel, mi sono cercato immediatamente un volo e sono tornato a casa la sera stessa. Umore sotto i tacchi.

Umore sotto i tacchi: però sei stato bravo a switchare subito. Una reazione da campione…

Quella è la reazione che devi avere quando sai di aver fatto tanti sacrifici, di aver sofferto tanto, e dici: «Datemi qualche gara, datemi uno sprint!».

Raccontaci della tua vittoria al Memorial Schotte. Che corsa è stata?

Era una corsa in circuito, 145-150 chilometri. Non lunghissima, però le gare nazionali qui in Belgio, le chiamano Kermess Course, hanno sempre grande intensità. Noi eravamo in cinque, altri persino solo in due. C’erano corridori importanti, alcuni reduci dalla Vuelta come me. La prima selezione ci ha lasciati in una trentina, poi sul circuito, tra vento e curve, si è fatto il resto. Alla fine siamo arrivati in tre, io, Jonas Rickaert e Dries De Bondt. C’è stato un attacco di De Bondt, che quel giorno era indemoniato, e siamo arrivati allo sprint ridotto.

Uno sprint ridotto?

Sì, prima eravamo io e De Bondt, poi è rientrato Rickaert e l’ho battuto in volata. Mi ricordava un po’ la gara dell’Europeo che ho vinto: selezione dal vento e dalle curve, finché rimani in pochi. In pianura me la cavo ancora bene!

Per Viviani il feeling con la squadra è stato subito buono. Elia ha sentito la fiducia e ha ripagato la Lotto con un buon treno
Per Viviani il feeling con la squadra è stato subito buono. Elia ha sentito la fiducia e ha ripagato la Lotto con un buon treno
Sentirti parlare con entusiasmo fa piacere. Che dire: questi vecchietti vanno ancora forte. Okay l’esperienza, ma servono anche le gambe, no?

Sì, servono le gambe e l’energia. E’ stato bello vedere anche Alaphilippe vincere in Canada, è un bel segnale. Ho ricevuto tanti complimenti anche dai corridori che venivano come me dalla Vuelta e mi dicevano: «Non sappiamo come hai fatto». In effetti dopo solo due giorni dalla fine della Vuelta, la stanchezza si sente ancora. Ma ho sempre pensato che dopo un Grande Giro, se recuperi bene, riesci a far buone cose.

Questa è testa, Elia…

Alla fine di un Grande Giro puoi buttarti sul divano per due settimane e basta, ma perdi tutto. Se sei affamato, invece, aspetti qualche giorno e poi vuoi correre… E vincere.

Com’è correre in questa Lotto? All’inizio, quando è uscita la notizia “Viviani alla Lotto”, non sembrava la tua squadra. Invece?

Invece bene. E’ una squadra organizzata con tanti giovani. Anche alla Vuelta non è mai mancato niente, staff al completo: massaggiatori, fisioterapisti, nutrizionista, lo chef, i materassi portati ogni mattina, le vasche del ghiaccio dopo l’arrivo. Non ci è mancato nulla. Ho fatto i complimenti alla squadra. A tutti gli effetti è una WorldTour e io sono stato in squadre grandi come Quick Step o Ineos Grenadiers, squadre super organizzate. E poi la fiducia che mi hanno dato: era qualche anno che non trovavo qualcuno che credesse in me.

Cosa intendi?

Ho trovato uomini in grado di fare quel lavoro lì. Da Jasper De Buyst, una garanzia, a Milan Fretin, giovane motivato, passando per Segaert che in testa al gruppo tirava per chilometri. Gente che ti rende orgoglioso e ti permette di fare risultati.

Nella testa di Elia ci sono già i mondiali su pista
Nella testa di Elia ci sono già i mondiali su pista
Immaginiamo faccia piacere vedere che, pur arrivando in ritardo a stagione iniziata, ti hanno dato le chiavi del team…

Vero! La Lotto è una super squadra. Credono nel devo team e hanno tanti giovani talenti. Widar, Van Eetvelt, Segaert… tra qualche anno sarà un gruppo ancora più competitivo.

Visto come sta andando, ci puoi dire qualcosa sul futuro?

Come ho sempre detto, ero arrivato qui per restare. Adesso c’è questa situazione della fusione (con Intermarché-Wanty, ndr) e sto aspettando notizie sui nuovi incastri fra le due squadre.

Da come parli hai ancora fame. E’ così?

Al 100 per cento. Altrimenti mi sarei già fermato. Aspettiamo notizie, ma intanto voglio aggiungere vittorie e corse. Poi c’è il mondiale su pista, dove punto all’eliminazione e alla corsa a punti. Ho parlato con Dino Salvoldi e vedremo in base alla condizione dopo Montichiari. Ma vorrei fare quelle specialità che non faccio alle Olimpiadi o che non ho potuto fare in questi anni dovendo preparare l’omnium.

Prima parlavi della Ineos: Geraint Thomas ha smesso. Che ricordi hai di lui e del team?

Geraint Thomas è un grande amico oltre che una leggenda. Lo guardavo con ammirazione già nei velodromi, quando giravo le piste per il mondo da solo insieme a Marco Villa. Allenarsi insieme, vivere entrambi a Monaco, essere in squadra: è stato speciale vederlo crescere e vincere. Per lui massimo rispetto, anche per come ha affrontato gli ultimi anni di carriera e il Giro d’Italia in particolare: ci è andato molto vicino, ha indossato la maglia rosa…

Viviani è stato in Ineos per tre stagioni: 2022-2024 e in precedenza per altre tre al Team Sky (2015-2016-2017)
Viviani è stato in Ineos per tre stagioni: 2022-2024 e in precedenza per altre tre al Team Sky (2015-2016-2017)
Però ora questo squadrone è in transizione…

Devono ricostruire un’identità. Per i Grandi Giri servono quei tre o quattro corridori speciali, e ora non li hanno. Probabilmente devono concentrarsi più sulle tappe che sulla generale. Ma con atleti come Ganna, Tarling, Turner e un Bernal ritrovato, almeno per le tappe non credo per la generale, possono vincere tanto. E poi il ritorno di Brailsford e magari l’ingresso di Thomas nello staff potrebbero essere la chiave giusta.

Perché?

Perché Geraint è sempre in stato in quel team. Conosce ogni piccola cosa, lo staff ed è fresco di gruppo, cosa che conta moltissimo in questo ciclismo. Lui sa come prepararsi e come arrivare pronti agli appuntamenti

Torniamo a te, Elia. C’è qualche gara in Belgio o in Veneto che ti piacerebbe vincere?

In Belgio sono tutte piatte e non ho una corsa preferita. L’importante è che possa disputare lo sprint. Poi cosa dire: correre in Veneto ha un sapore speciale. Mi piacerebbe il Giro del Veneto. Correre in casa, con i tifosi, sarebbe bello. Pippo Pozzato le fa dure per i velocisti, ma è il Giro del Veneto e soprattutto è una corsa in cui vorrei fare bene.