Roberto Chiappa, Pechino 2008

Quando in pista c’erano i giganti. Chiappa racconta…

01.01.2021
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Quando in pista scendevano i giganti della velocità, il pubblico sgranava gli occhi. Hubner era una montagna. Al confronto Fiedler sembrava più esile, ma era anche lui un colosso. Nothstein era un lottatore di wrestling, Rousseau ti agitava in faccia il suo essere francese. Finché un giorno in mezzo ai quei bestioni spuntò un giovane umbro di nome Roberto Chiappa. Le Olimpiadi di Barcellona erano state inaugurate da Freddy Mercury e Monteserrat Caballé, l’Italia della strada avrebbe presto applaudito l’oro di Fabio Casartelli, mentre in pista sarebbe toccato a Giovanni Lombardi e a quel… ragazzino di Terni, 1,84 per 90 chili, che l’anno prima aveva vinto il mondiale juniores nella velocità.

«Quel mondiale e il record del mondo di 10″200 – ricorda – non me l’aspettavo. Terza prestazione di sempre. Ma il bello doveva ancora venire. Mi portarono alle Olimpiadi che dovevo ancora compiere 19 anni. Mi buttai dentro e finii quarto, battuto in semifinale da Fiedler che poi avrebbe vinto l’oro».

Roberto Chiappa, Federico Paris, bronzo mondiali di Palermo 1994
Chiappa e Paris, equipaggio collaudato nel tandem. Nel 1993 vinsero il mondiale ad Hamar
Roberto Chiappa, Federico Paris, bronzo mondiali di Palermo 1994
Con Paris coppia fissa nel tandem

Chiappa è stato l’ultimo grande velocista italiano. Carabiniere forestale, dopo le Olimpiadi di Atlanta si trasferì a Bergamo e di quel suo accento umbro restano appena poche inflessioni. Ve lo raccontiamo in questo primo giorno dell’anno, sperando porti l’ispirazione a chi guiderà il prossimo quadriennio federale. E lo facciamo partendo da una frase di Ivan Quaranta.

«Per ricreare un Roberto Chiappa – disse il cremasco, a sua volta iridato juniores della velocità – serve prenderli da giovani, mentre sognano di essere Viviani o Nizzolo».

Roberto, ha ragione Quaranta?

Sono stato l’ultimo a fare certi risultati. La Fci ha investito e ha dato la possibilità di riaprire il settore velocità, però forse si sono sbagliate le tempistiche. Bisognerebbe chiederlo al presidente Di Rocco. Ora che vivo il ciclismo da fuori, vedo chiaramente che i velocisti non hanno prospettive. I campionati italiani si fanno, ma i ragazzini veloci vengono dirottati nel quartetto. Perché Villa ha un futuro, mentre per le discipline veloci non c’è un tecnico.

Michael Hubner, mondiali Palermo 1994
Michael Hubner, gigante tedesco, ai mondiali di Palermo 1994. Chiappa è a sinistra
Michael Hubner, mondiali Palermo 1994
Contro Hubner ai mondiali di Palermo 1994
Si dice che la strada richiami di più…

E’ un discorso sbagliato. Fino agli allievi in Toscana incontravo spesso e battevo Petacchi e Bettini, dato che ho solo un anno di più. Facevo anche pista e un giorno il tecnico di categoria venne a cercarmi, proponendo borsa di studio, un lavoro in Forestale per quando avessi smesso e un bel calendario. Se non avessi avuto questi incentivi, sarei passato su strada, dove potevo smettere o diventare Cipollini. Oggi se vai da un ragazzo di 18 anni, gli offri la borsa di studio, la possibilità di fare mondiali e Olimpiadi e un posto di lavoro, pensi che la famiglia dica di no?

Avrebbe senso reclutare qualcuno del gruppo degli inseguitori per le discipline veloci?

No, perché sono inseguitori. Il velocista devi prenderlo da esordiente e capire di che colore sono le sue fibre. Velocista si nasce e noi ne abbiamo avuti di buoni. Guardini. Mareczko. Lo stesso Quaranta.

Ma sono tutti passati su strada.

Senza grandi risultati, perché oggi per fare le volate devi andare bene in salita e se vieni dalla pista, resti sempre un velocista. Viviani fa le volate, ma non viene dal settore veloce. Guardini era un Chiappa, ma ha vissuto gli anni in cui si investiva poco. Con il suo oro europeo nel keirin, avrebbe potuto continuare e fare le Olimpiadi.

Velocisti si nasce…

Devi avere fibre bianche e avere da 2.200 a 2.600 watt. In Italia certi numeri non ci sono. Vanno cercati forse nella Bmx o nel pattinaggio. Io sono curioso e sono in contatto con Theo Bos, che ha 10 anni meno di me e ancora corre. Mi dice che Hoogland secondo agli ultimi due mondiali, fa 2.600 watt. Non voglio immaginare Lavreysen che quei mondiali li ha vinti. 

Roberto Chiappa, Apeldoorn 2011
Agli europei di Apeldoorn 2011 come accompagnatore delle ragazze di Salvoldi
Roberto Chiappa, Apeldoorn 2011
Roberto Chiappa agli europei 2011 con le azzurre
Tu come eri messo?

Io ne facevo 2.300, ero un gran velocista, ho vinto la Coppa del mondo, ma non ero il migliore. E’ cambiato tutto. Mi dicono che adesso si sprinta con il 60×13 a 120 pedalate. Noi usavamo il 49×14 e solo nel 2008 passai al 52×13, grazie ai francesi che mi spiegarono il loro metodo di lavoro. Oggi Miriam Vece usa il 62×15.

A quante Olimpiadi hai partecipato?

Barcellona, Atlanta, Sydney e Pechino. Saltai Atene 2004 perché il presidente Ceruti chiuse il settore velocità, paragonandoci agli omini Michelin. E io che nel 2001 avevo vinto la Coppa del mondo della velocità, non potei qualificarmi. Poi tornarono Di Rocco e Martinello e mi fecero rientrare. Nel 2008 vinsi la prova di Coppa del mondo di Los Angeles e mi qualificai per Pechino nella velocità e nel keirin. Pechino fu l’anno in cui mi sentii più forte.

Vai ancora in bici?

Dopo aver smesso, ebbi 3-4 anni di fatica mentale. Quattro Olimpiadi e 21 mondiali, oltre a tutto il resto, ti logorano. Ora mi è tornata la passione.

Sei sempre un gigante?

Qualcosa ho perso, ma le gambe sono sempre quelle. Seguivo un sistema di lavoro per cui sulla pressa spingevo 580 chili di massimale. Prima evitavo le salite, sono cresciuto con il lavaggio del cervello che facessero male. Le usavo per i lavori specifici, sui Colli Euganei. Facevo 2-3 minuti a fiamma con l’occhio sull’Srm, a 800 watt. Ora vado sulla Roncola o sul Selvino per staccare con la testa. E una cosa la dico. Mi piacerebbe prendere tutta questa esperienza e metterla a disposizione dei giovani.

Miriam Vece, Migle Marozaite, velocità, europei Plovdiv 2020

Vece, valigia, risate e gambe d’acciaio

17.11.2020
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Parlare con Miriam Vece è uno spasso. Forse perché è abituata all’esilio svizzero e non vedeva l’ora di parlare un po’ italiano. Oppure perché come ogni velocista che si rispetti, ha in circolo la giusta dose di follia. La sua storia è singolare e qualcuno l’ha gia raccontata. Ma un po’ di compagnia non guasta, per cui dopo gli europei abbiamo bussato alla sua porta, trovandola in Italia, prima che sparisca nuovamente in Svizzera.

Miriam Vece, bronzo 500 mt, europei pista 2020
Miriam Vece, un bel sorriso dopo il bronzo nei 500 metri
Miriam Vece, bronzo 500 mt, europei pista 2020
Il bronzo nei 500 metri vale un bel sorriso

Le cose vanno così. Miriam vive a Romanengo, provincia di Cremona. E quando inizia a correre, si rende conto che la salita non fa al caso suo. In più dicono che la mischia delle volate la renda nervosa e così pensa di passare alla pista. Non immagina ancora che cosa significhi in Italia essere una velocista, ma lo scopre alla svelta. Infatti nel 2018, anno in cui vince due titoli europei U23 nei 500 metri e nella velocità, il cittì Salvoldi le propone di entrare nel centro Uci di Aigle. Qua non avrebbe compagne con cui allenarsi, ad eccezione di Elena Bissolati con cui divide i ritiri azzurri. Lassù migliorerà di certo. Il dado è tratto e a fine 2018 scatta il piano. I risultati iniziano a vedersi. Ai Giochi Europei di Minsk 2019 arriva il bronzo nei 500 metri. Agli europei dello stesso anno, l’argento nei 500 metri e il bronzo nella velocità. Ai mondiali di Berlino 2020 il bronzo nei 500 metri. Mentre ai recenti campionati europei di Plovdiv, Miriam è rimasta fuori d’un soffio dalla semifinale della velocità e ha preso il bronzo nei 500 metri, a 50 centesimi dall’argento.

Perché sei una velocista?

Correvo su strada e ho visto che la salita non mi piaceva. Non ci ho messo tanto, giusto tre gare da junior (ride di una risata contagiosa, ndr).

Così hai scelto la specialità meno affollata d’Italia…

Quella è proprio la parte più dura. Sei da sola. In palestra. In pista. Un mondo completamente diverso. Stando in Svizzera almeno c’è un gruppetto di 5-6 ragazzi con cui scambiare due parole.

Miriam Vece, 500 mt, europei pista 2020
E’ il momento di lanciarsi, una spinta e si va…
Miriam Vece, bronzo 500 mt, europei pista 2020
Pronta a scattare, una spinta e si va
Come funziona la settimana lassù?

Di solito tutte le mattine, rulli o wattbike (una bici statica su cui fare potenziamento, ndr). Poi due sessioni a settimana in palestra. Due o tre sessioni in pista. Il sabato uscita su strada e la domenica riposo.

Sembra divertente quanto un corso ufficiali! Certo immaginando gli stradisti che escono e fanno ripetute all’aria aperta…

A volte è divertente anche un allenamento durissimo (sorride, ndr), ma il caffè al bar ci tocca soltanto il sabato.

A cosa pensi vedendo il vuoto di vocazioni nella tua specialità?

Penso che se faccio risultato, si crea movimento, ma la vedo dura. Penso che in Italia non ci sia la mentalità, perché si tratterebbe di abbandonare la strada. E poi le ragazzine hanno l’esempio della Paternoster e del quartetto. E da quest’altra parte ci siamo soltanto Elena ed io.

Di recente Daniela Isetti, candidata alle elezioni federali, ha detto di voler potenziare il settore velocità perché assegna parecchie medaglie olimpiche.

Ci sono tre medaglie, non poche. Ma c’è anche l’adrenalina e l’emozione. L’ansia prima della gara, la concentrazione. Non sono discipline banali.

Si percepisce il cambio di passo. Sulla logistica si può scherzare, ma la passione è una cosa seria. La fatica quotidiana per andare più forte è un fronte su cui non si transige. Ed è giusto così.

Serve tanta forza. Con quali rapporti gareggi?

Nei 500 metri, uso il 56×15, che è il più agile e i permette di guadagnare nel primo giro. Nei 200 invece passo al 62×15.

Su strada si guarda al rapporto potenza/peso: nella velocità?

Il peso non incide tanto, ti agevola solo nelle partenze da fermo. Ma sono altre le cose da guardare, fra tecnica e forza.

Gli scalatori sognano Pantani, i velocisti vanno appresso a Sagan. E tu?

Per me c’è solo Miriam Welte, anche se ha smesso. Un po’ perché si chiama come me. Un po’ perché nella velocità olimpica fa il primo giro come me. E poi perché ha vinto il mondiale nei 500 metri che sono la mia specialità.

Ti senti con Salvoldi o sei completamente in mano agli svizzeri?

E’ stato Dino a darmi la possibilità di andare su e ci sentiamo spesso, anche se il lavoro lo impostano i tecnici di Aigle.

Miriam Vece, Elena Bissolati, europei pista 2019, velocità olimpica
Due velociste azzurre: Miriam Vece ed Elena Bissolati
Miriam Vece, Elena Bissolati, europei pista 2019, velocità olimpica
Elena Bissolati e Miriam Vece, poi quasi il vuoto…
Torni spesso a casa?

Poco, prima delle gare o un weekend al mese.

Corri mai su strada?

Non farebbe male, ma vanno forte e anche solo stare in gruppo sarebbe una faticaccia.

Com’è la sistemazione di Miriam Vece nella… caserma Uci?

Stanza singola per tutti e da quest’anno il bagno in camera. Il bagno in corridoio era proprio brutto (risata argentina, ndr).

E dove si mangia?

Per fortuna adesso si mangia nel dormitorio, grazie al Covid (sospiro di sollievo, ndr). Prima si faceva tutto in pista e non era proprio simpatico. Adesso almeno mi sveglio coi miei tempi, faccio colazione, mi preparo…

A che ora ti svegli?

Alle 8 per essere in pista alle 10.

E la sera cosa si fa?

Gran vita (scoppia a ridere, ndr). Giochiamo a carte, Play Station, internet, televisione. Nei weekend si fa magari un giro sul lago. Praticamente è come essere in ritiro a vita.

E quest’inverno?

Non sappiamo molto, non si sa quando si faranno gli europei ed è certo che non ci saranno gare di classe 1 e 2. Starò un po’ a casa, poi tornerò a Aigle. Meglio non perdere tempo.

Questa intervista è stata davvero uno spasso…

Non sono una delle più forti, ma almeno sono divertente.

Ma la domanda a questo punto è la seguente: la permanenza di Miriam Vece in Svizzera finirà dopo Tokyo oppure è un… ergastolo?

Da una parte spero sia un ergastolo. Sono arrivata su che stavo già facendo dei buoni tempi grazie alla preparazione con Dino, poi da quando son lì sono in continuo miglioramento. E francamente credo sia uno dei pochi modi per vedere fino a dove posso arrivare.