Alaphilippe_Liegi2020

La maledizione iridata? Una leggenda metropolitana

12.01.2021
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Esiste davvero la maledizione iridata? Quando si parla della “maillot arc-en-ciel” sembra quasi che sia un peso tale da impedire a chi la porta di vincere qualunque gara, figurarsi i grandi appuntamenti della stagione. Se ne è riparlato sul finire del 2020, quando Julian Alaphilippe alzò le mani al cielo a Liegi, senza accorgersi che alla sua sinistra Primoz Roglic lo aveva beffato con l’ultimo colpo di reni. Il francese è tutto l’inverno che fa i debiti scongiuri, ma a ben guardare quella della maledizione sembra proprio una leggenda metropolitana.

Bugno in maglia iridata conquistò il 3° posto al Tour del 1992
Bugno in maglia iridata conquistò il 3° posto al Tour del 1992

Inizio anni 90

Di questa influenza negativa si era cominciato a parlare sul finire del secolo scorso, subito dopo la doppietta di Gianni Bugno nel 1992-93 che in maglia iridata ottenne poche vittorie. L’americano Armstrong (1993) e il francese Leblanc (1994) rimasero all’asciutto. Lo spagnolo Olano (1995) centrò il Giro di Romandia e poco altro. Lo stesso belga Johan Museeuw (1996), al tempo uno dei più grandi interpreti delle classiche d’un giorno, vinse sì 8 volte, ma senza centrare alcuno dei suoi obiettivi principali. La leggenda iniziò così a diffondersi e a poco servì il successo in maglia iridata dello svizzero Oscar Camenzind al Giro di Lombardia 1998, anche perché l’anno dopo rientrò nel gruppo senza eccellere.

Museeuw, iridato a Lugano 1996, si limita al 5° posto nella Roubaix
Museeuw, iridato a Lugano 1996, solo 5° posto a Roubaix

Vainsteins a Roubaix

I “maledizionisti” ripresero vigore nel 2001: campione del mondo era il lettone Romans Vainsteins, risultato sorprendentemente vincitore a Plouay l’anno prima. Con la sua maglia iridata era pronto a svettare alla Parigi-Roubaix, ma era in fuga con l’olandese Servais Knaven e il già citato Museeuw che erano suoi compagni di squadra. Tutto lasciava intendere che vincesse il belga, la spuntò invece Knaven e Vainsteins finì solo terzo

Servais Knaven vince la Roubaix del 2001, che sfortuna per Vainsteins trovarsi in fuga con due compagni…
Knaven vince la Roubaix 2001, Vainsteins terzo

Eccezione Boonen

Successivamente arrivarono i successi iridati di Freire, Cipollini, Astarloa (coinvolto senza colpe nello scandalo Cofidis del 2004 finendo per dover cambiare squadra di punto in bianco passando alla Lampre ma senza ottenere risultati). A smentire finalmente le dicerie ci volle Tom Boonen, un altro grande specialista belga delle corse d’un giorno, che dopo la vittoria iridata nel 2005 ottenne l’anno successivo ben 21 successi, su tutti quello al Giro delle Fiandre.

Sagan volava

Se da una parte non si può dimenticare il citomegalovirus che fece perdere ad Alessandro Ballan, nostro ultimo campione del mondo nel 2008, quasi tutta la stagione successiva, dall’altra meritano uguale considerazione la Freccia Vallone 2010 di Evans. Le 3 tappe al Giro e 3 al Tour di Cavendish nel 2011. L’Amstel Gold Race di Kwiatkowski nel 2015 per arrivare alla messe di vittorie di Sagan nel suo triennio d’oro. Nel 2016 lo slovacco iridato vinse ad esempio Gand-Wevelgem, Fiandre e titolo europeo, nel 2018 ancora Gand-Wevelgem, Roubaix e 3 tappe al Tour. Se è maledizione questa…

Evans corse il Tour 2010 in maglia iridata, chiudendo in 26ª posizione
Evans corse il Tour 2010, chiudendo in 26ª posizione

Merckx su tutti

Certo nessuno ha mai onorato la maglia iridata come Eddy Merckx. Nel 1968 conquistò Roubaix e Giro d’Italia. Quattro anni dopo, avendo vinto l’anno prima il Lombardia con la sua maglia arcobaleno in bella vista, portò a casa Sanremo, Freccia Vallone, Liegi-Bastogne-Liegi e non contento anche l’accoppiata Giro-Tour. Infine nel 1975 mise in fila Sanremo, Amstel Gold Race, Fiandre e Liegi. Ma quello era Merckx…

Mario Minervino, Marianne Vos, mondiali Firenze 2013

Il Cavalier Minervino, patron del Trofeo Binda

08.12.2020
5 min
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Mario Minervino è sulla strada. In tutti gli eventi che organizza e ha organizzato in passato, se lo cerchi non devi andare in mezzo a giornalisti e autorità. Nonostante questo o forse proprio per questo, nel 2017 è stato nominato Cavaliere della Repubblica. E nelle parole del Sindaco di Cittiglio, dove si svolgono gli arrivi delle corse della sua Cycling Sport Promotion, c’è il succo del discorso che qui preme fare con lui a proposito del Trofeo Alfredo Binda femminile (quello delle elite e prima quello delle junior).

«Mario Minervino è un uomo di eccellenti qualità, in lui si uniscono tre caratteristiche assolute; competenza, passione e solidarietà. Mario Minervino per la comunità di Cittiglio è una risorsa preziosa e sempre disponibile».

Gruppo, Trofeo Binda 2014
Il Trofeo Binda si corre sempre all’indomani della Milano-Sanremo
Gruppo, Trofeo Binda 2014
Il Trofeo Binda si corre il giorno dopo la Sanremo
Quanto è lontano il 21 marzo?

Primo giorno di primavera, data del Trofeo Binda. Non sembra, ma è già qua. Ho cominciato da un po’, mentre gli altri correvano, a fare il giro di sponsor ed Enti Locali. Amici più che sostenitori. Mi hanno sempre detto: «Se la gara si fa, noi ci siamo». La prima cosa da fare è il piano Covid.

Che cosa comporta ?

Non avremo il pubblico di sempre. Aumentano i costi. Servono più transenne, ma si compensano col fatto che non puoi fare le tribune. Serve più personale qualificato. Avremo 8 aree bianche, per le quali serviranno addetti al controllo della temperatura, degli accessi e della sanificazione. Servono almeno 50 persone in più, tra norme Covid e bolla per le atlete in partenza e arrivo. Abbiamo puntato su personale che viene dal mondo delle ambulanze e della sanità.

Quando e perché il Trofeo Binda?

Quando ci dissero che nel 2000 sarebbe saltata. Era una regionale, si correva dal 1974. Fu una scommessa. La prendemmo da un livello bassino e lavorammo per farla crescere. Divenne quasi subito una gara nazionale e poi nel 2007 internazionale. Fu necessario dal momento che l’anno prima chiedemmo di entrare nella Coppa del mondo.

Elisa Longo Borghini, Trofeo Binda 2013
Giornata di tregenda nel 2013: vince Elisa Longo Borghini (foto Flaviano Ossola)
Elisa Longo Borghini, Trofeo Binda 2013
Nel 2013 vince Longo Borghini (foto Flaviano Ossola)
Che cosa significa che la prendeste da un livello bassino?

Sul piano organizzativo, era sotto al livello dei dilettanti, oggi forse le ragazze sono più all’avanguardia. Non si lamentano, non sono viziate, hanno rispetto. Non tagliano il percorso nei trasferimenti, cosa che i dilettanti fanno regolarmente. Sono piccole cose, dovute anche al fatto che la maggior parte delle squadre viene dall’estero e loro certe furbate le fanno raramente. Cominciammo con corde e paline e un camion come palco. Oggi quando arrivano alle partenze hanno i pullman e alcune anche il camion officina.

L’immagine di una corsa vera?

L’immagine di una corsa importante. Il colpo d’occhio di un evento professionistico che ci spinge a fare sempre meglio. Nel giorno di gara, tra Forze dell’Ordine e alpini, ci sono 500 persone al lavoro. Abbiamo tutti gli incroci coperti. Non sono numeri che sparo, lo vedo dai sacchetti del pranzo che prepariamo e che consegniamo.

Lizzie Armistead Deignan, Torfeo Binda 2016
Nel 2016 è la volta di Lizzie Armitstead non ancora Deignan (foto Flaviano Ossola)
Lizzie Armistead Deignan, Torfeo Binda 2016
Nel 2016 vince Lizzie Armitstead (foto Flaviano Ossola)
Minervino, quanto costa una corsa così?

Andiamo da 120 a 145 mila euro. Per fortuna gli sponsor hanno aderito. Per un po’ abbiamo avuto anche Yamamay, ma difficile conquistarli in quel settore. Il grosso sostegno viene dalle Istituzioni, senza cui non andrei da nessuna parte. Anche perché adesso è aumentato tutto. Prima bastava dare l’ospitalità, da quando c’è il WorldTour, a ogni squadra delle prime 15 devi dare 3.000 euro e poi a scendere. E’ giusto, come è giusto l’aumento dei premi che aumentano ogni anno del 10 per cento. Solo per i costi delle tabelle Uci partono subito 60 mila euro. E poi c’è da organizzare la corsa.

Marianne Vos, Trofeo Binda 2019
Nel 2019 è la volta di Marianne Vos (foto Flaviano Ossola)
Marianne Vos, Trofeo Binda 2019
E’ il 2019: Marianne Vos (foto Flaviano Ossola)
E al mattino c’è la corsa delle junior, il Piccolo Trofeo Binda.

Questa è una storia. Si era sempre fatta, ma quando è arrivata la Coppa del mondo, l’Uci ci ha imposto di fermarla per non distogliere energie dalla gara elite. E’ stato così fino al 2012, ma non passava evento ufficiale o informale in cui non gli dicessi che sarebbe stato bello spingere tutti gli organizzatori a fare una prova per le junior. Finché nel 2013 non abbiamo guardato più in faccia nessuno e abbiamo chiesto la data. Sorpresona: un mese prima, ci è arrivata la comunicazione che il Piccolo Trofeo Binda sarebbe stata prova di Coppa del mondo juniores. Non è facile. Si tratta di… sparecchiare e riapparecchiare la tavola in due ore, come ai mondiali. Ma da quelle ragazzine sono venute fuori delle campionesse. Come Lorena Wiebes o Megan Jastrab che nello stesso anno ha vinto i mondiali di Harrogate su strada e due ori su pista.

Trofeo Binda junior 2019, Megan Jastrab (foto Flaviano Ossola)
Piccolo Trofeo Binda 2019, vince Megan Jastrab (foto Flaviano Ossola)
Trofeo Binda junior 2019, Megan Jastrab (foto Flaviano Ossola)
Nel 2019, Megan Jastrab fra le junior (foto Flaviano Ossola)
Sei di quelli tranquilli che nel giorno della gara non ha preoccupazioni perché è tutto pronto?

Nel giorno della gara è tutto pronto, ma finché l’ultima non entra nei 3 chilometri finali, io ho l’ansia. Ognuno ha il suo ruolo, io sono sulla strada, non vado a fare le interviste. Possono succedere mille cose e con la diretta tivù non deve sfuggirci niente.

Un vero lavoro, insomma…

Non è come andare tutti i giorni in ufficio, ma dopo la corsa tra fatture, bonifici, bandi pubblici e scartoffie c’è da lavorare per tre mesi. I rendiconto devono essere corretti e poi si comincia a pensare all’edizione successiva.

Quando si riposa Mario Minervino?

Dal mercoledì alla domenica dopo la corsa. Fino al martedì si mette a posto il magazzino. Poi stacco tutto per cinque giorni. E il lunedì si ricomincia. Ci vediamo il 21 marzo. Non sembra, ma ci siamo quasi…

Sven Nys (foto Bruce Buckley)

Nys un gigante e anche due azzurri piccoli e tosti

28.11.2020
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La Coppa del Mondo di ciclocross, che scatterà domenica a Tabor (CZE), è dall’ormai lontano 1993 quella collana che collega tutta la stagione sui prati. Fino alla scorsa edizione aveva anche un’appendice estiva americana, alla quale si è rinunciato considerando le grandi difficoltà che comportano gli spostamenti nell’era pandemica. Ora invece il circuito è ridotto a 5 tappe, di cui solo quella ceka esce dall’epicentro belga.

Bis azzurro

Nella sua storia la Coppa ha sempre avuto nel Belgio la nazione dominante, sia dal punto di vista organizzativo che agonistico. Non per niente ben 17 delle 26 edizioni disputate sono state vinte da corridori fiamminghi. L’Italia però ha spesso recitato un ruolo importante, con Daniele Pontoni vincitore nel 1995 e Luca Bramati che fu il suo successore. Pontoni fu anche terzo nel 1998 e secondo l’anno successivo, appena davanti a quello Sven Nys destinato a conquistare il trofeo di cristallo per ben 6 volte fra il 2000 e il 2009.

Marianne Vos, Coppa del mondo ciclocross, Namur 2019
Marianne Vos, qui a Namur nel 2019, ha vinto 24 prove di Coppa
Marianne Vos, Coppa del mondo ciclocross, Namur 2019
Marianne Vos ha vinto 24 prove di Coppa

Modello Nys

Proprio Nys (nella foto in apertura di Bruce Buckley) è stato il primo che ha provato a realizzare il Grande Slam. Che cos’è? Semplicemente la conquista di tutti i trofei nel corso dell’anno: Coppa del Mondo, Superprestige, il terzo circuito belga-olandese oggi chiamato X2O Baadkamers Trofee senza naturalmente dimenticare europei e mondiali. La caccia alle varie challenge lo ha spesso portato a correre i mondiali con le pile scariche, con conseguenti sconfitte (ma ne vinse comunque 2 edizioni da U23 e 2 da elite). Wout Van Aert, conscio dell’esperienza dell’illustre connazionale, ha preferito concentrarsi su Coppa e mondiale. Mentre Mathieu Van Der Poel, vicinissimo all’impresa nel 2018, crollò proprio nella prova iridata finendo con un terzo posto amarissimo.

Nys naturalmente è il primatista anche in fatto di successi di tappa: ben 50. VdP è lontanissimo: al secondo posto con 26. Van Aert, che pure vanta due Coppe contro l’unica del rivale olandese, ha vinto solamente 9 gare individuali. Per l’Italia 7 successi per Pontoni e 3 per Bramati.

Vos da record

In campo femminile la Coppa è iniziata più tardi, nella stagione 2002-2003. Il primato di successi assoluti è condiviso fra l’olandese Daphne Van Der Brand e la belga Sanne Cant con 3, ma quest’ultima può allungare. L’azzurra Eva Lechner, sesta ai recenti europei, vanta un secondo posto generale nel 2016 e un terzo nel 2018, conditi da 2 vittorie di tappa, ben lontana da Marianne Vos (Ned) e Katherine Compton (Usa) prime con 24.

DAvide Malacarne, Pinerolo, Giro d'Italia 2016
Davide Malacarne vinse la Coppa juniores del 2005, ma alla fine scelse la strada
DAvide Malacarne, Pinerolo, Giro d'Italia 2016
Malacarne vinse la Coppa juniores 2005

Anche il “Mala”

Organizzativamente, l’Italia compare nella storia della Coppa per 15 volte, attraverso 6 città. Bergamo (presente nell’edizione inaugurale), Fiuggi, Milano, Monopoli, Treviso e Torino. L’ultima volta che una tappa si è svolta in Italia è stata però nell’edizione 2016-17, un tempo ormai lontano. Agonisticamente, c’è poi un italiano che può vantare nella sua mensola un trofeo di cristallo. E’ Davide Malacarne, vincitore della prima edizione assoluta dedicate agli junior, nel 2005. Un successo che lasciava presagire un futuro luminoso sui prati, ma il bellunese scelse di dedicarsi anima e corpo al ciclismo su strada.

Miriam Vece, Migle Marozaite, velocità, europei Plovdiv 2020

Vece, valigia, risate e gambe d’acciaio

17.11.2020
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Parlare con Miriam Vece è uno spasso. Forse perché è abituata all’esilio svizzero e non vedeva l’ora di parlare un po’ italiano. Oppure perché come ogni velocista che si rispetti, ha in circolo la giusta dose di follia. La sua storia è singolare e qualcuno l’ha gia raccontata. Ma un po’ di compagnia non guasta, per cui dopo gli europei abbiamo bussato alla sua porta, trovandola in Italia, prima che sparisca nuovamente in Svizzera.

Miriam Vece, bronzo 500 mt, europei pista 2020
Miriam Vece, un bel sorriso dopo il bronzo nei 500 metri
Miriam Vece, bronzo 500 mt, europei pista 2020
Il bronzo nei 500 metri vale un bel sorriso

Le cose vanno così. Miriam vive a Romanengo, provincia di Cremona. E quando inizia a correre, si rende conto che la salita non fa al caso suo. In più dicono che la mischia delle volate la renda nervosa e così pensa di passare alla pista. Non immagina ancora che cosa significhi in Italia essere una velocista, ma lo scopre alla svelta. Infatti nel 2018, anno in cui vince due titoli europei U23 nei 500 metri e nella velocità, il cittì Salvoldi le propone di entrare nel centro Uci di Aigle. Qua non avrebbe compagne con cui allenarsi, ad eccezione di Elena Bissolati con cui divide i ritiri azzurri. Lassù migliorerà di certo. Il dado è tratto e a fine 2018 scatta il piano. I risultati iniziano a vedersi. Ai Giochi Europei di Minsk 2019 arriva il bronzo nei 500 metri. Agli europei dello stesso anno, l’argento nei 500 metri e il bronzo nella velocità. Ai mondiali di Berlino 2020 il bronzo nei 500 metri. Mentre ai recenti campionati europei di Plovdiv, Miriam è rimasta fuori d’un soffio dalla semifinale della velocità e ha preso il bronzo nei 500 metri, a 50 centesimi dall’argento.

Perché sei una velocista?

Correvo su strada e ho visto che la salita non mi piaceva. Non ci ho messo tanto, giusto tre gare da junior (ride di una risata contagiosa, ndr).

Così hai scelto la specialità meno affollata d’Italia…

Quella è proprio la parte più dura. Sei da sola. In palestra. In pista. Un mondo completamente diverso. Stando in Svizzera almeno c’è un gruppetto di 5-6 ragazzi con cui scambiare due parole.

Miriam Vece, 500 mt, europei pista 2020
E’ il momento di lanciarsi, una spinta e si va…
Miriam Vece, bronzo 500 mt, europei pista 2020
Pronta a scattare, una spinta e si va
Come funziona la settimana lassù?

Di solito tutte le mattine, rulli o wattbike (una bici statica su cui fare potenziamento, ndr). Poi due sessioni a settimana in palestra. Due o tre sessioni in pista. Il sabato uscita su strada e la domenica riposo.

Sembra divertente quanto un corso ufficiali! Certo immaginando gli stradisti che escono e fanno ripetute all’aria aperta…

A volte è divertente anche un allenamento durissimo (sorride, ndr), ma il caffè al bar ci tocca soltanto il sabato.

A cosa pensi vedendo il vuoto di vocazioni nella tua specialità?

Penso che se faccio risultato, si crea movimento, ma la vedo dura. Penso che in Italia non ci sia la mentalità, perché si tratterebbe di abbandonare la strada. E poi le ragazzine hanno l’esempio della Paternoster e del quartetto. E da quest’altra parte ci siamo soltanto Elena ed io.

Di recente Daniela Isetti, candidata alle elezioni federali, ha detto di voler potenziare il settore velocità perché assegna parecchie medaglie olimpiche.

Ci sono tre medaglie, non poche. Ma c’è anche l’adrenalina e l’emozione. L’ansia prima della gara, la concentrazione. Non sono discipline banali.

Si percepisce il cambio di passo. Sulla logistica si può scherzare, ma la passione è una cosa seria. La fatica quotidiana per andare più forte è un fronte su cui non si transige. Ed è giusto così.

Serve tanta forza. Con quali rapporti gareggi?

Nei 500 metri, uso il 56×15, che è il più agile e i permette di guadagnare nel primo giro. Nei 200 invece passo al 62×15.

Su strada si guarda al rapporto potenza/peso: nella velocità?

Il peso non incide tanto, ti agevola solo nelle partenze da fermo. Ma sono altre le cose da guardare, fra tecnica e forza.

Gli scalatori sognano Pantani, i velocisti vanno appresso a Sagan. E tu?

Per me c’è solo Miriam Welte, anche se ha smesso. Un po’ perché si chiama come me. Un po’ perché nella velocità olimpica fa il primo giro come me. E poi perché ha vinto il mondiale nei 500 metri che sono la mia specialità.

Ti senti con Salvoldi o sei completamente in mano agli svizzeri?

E’ stato Dino a darmi la possibilità di andare su e ci sentiamo spesso, anche se il lavoro lo impostano i tecnici di Aigle.

Miriam Vece, Elena Bissolati, europei pista 2019, velocità olimpica
Due velociste azzurre: Miriam Vece ed Elena Bissolati
Miriam Vece, Elena Bissolati, europei pista 2019, velocità olimpica
Elena Bissolati e Miriam Vece, poi quasi il vuoto…
Torni spesso a casa?

Poco, prima delle gare o un weekend al mese.

Corri mai su strada?

Non farebbe male, ma vanno forte e anche solo stare in gruppo sarebbe una faticaccia.

Com’è la sistemazione di Miriam Vece nella… caserma Uci?

Stanza singola per tutti e da quest’anno il bagno in camera. Il bagno in corridoio era proprio brutto (risata argentina, ndr).

E dove si mangia?

Per fortuna adesso si mangia nel dormitorio, grazie al Covid (sospiro di sollievo, ndr). Prima si faceva tutto in pista e non era proprio simpatico. Adesso almeno mi sveglio coi miei tempi, faccio colazione, mi preparo…

A che ora ti svegli?

Alle 8 per essere in pista alle 10.

E la sera cosa si fa?

Gran vita (scoppia a ridere, ndr). Giochiamo a carte, Play Station, internet, televisione. Nei weekend si fa magari un giro sul lago. Praticamente è come essere in ritiro a vita.

E quest’inverno?

Non sappiamo molto, non si sa quando si faranno gli europei ed è certo che non ci saranno gare di classe 1 e 2. Starò un po’ a casa, poi tornerò a Aigle. Meglio non perdere tempo.

Questa intervista è stata davvero uno spasso…

Non sono una delle più forti, ma almeno sono divertente.

Ma la domanda a questo punto è la seguente: la permanenza di Miriam Vece in Svizzera finirà dopo Tokyo oppure è un… ergastolo?

Da una parte spero sia un ergastolo. Sono arrivata su che stavo già facendo dei buoni tempi grazie alla preparazione con Dino, poi da quando son lì sono in continuo miglioramento. E francamente credo sia uno dei pochi modi per vedere fino a dove posso arrivare.

David Lappartient

Lappartient si toglie un sassolino

29.09.2020
3 min
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David Lappartient non ha peli sulla lingua. Il presidente dell’Unione Ciclistica Internazionale ha salutato la stampa presenta ai mondiali di Imola, togliendosi qualche sassolino dalle scarpe. Troppo e troppo caldi alcuni fronti perché potesse fare finta di niente. Dalle tematiche ambientali alla squalifica del direttore sportivo della Jumbo-Visma in occasione di un controllo sulla bici di Roglic, fino al protocollo per la sicurezza in corsa, passando per la spaccatura (da sanare) in seno al Cpa.

«C’è il sentore di un tentativo di destabilizzazione intorno al CPA – ha detto il presidente – come parte di una strategia globale per destabilizzare l’Uci e gli altri organi esistenti. Ovviamente ci sono alcuni aspetti da migliorare nel sindacato, tuttavia circolano molte notizie false. Ho visto il documento inviato ai corridori da persone che volevano creare un nuovo sindacato. Era chiaramente tutto falso, una manipolazione, per fornire argomenti non vere. E quando questo è stato spiegato ai corridori, l’hanno capito».

Zeeman, diesse Jumbo-Visma
Zeeman, a sinistra, il tecnico della Jumbo-Visma espulso dal Tour, qui con Frans Maasen
Zeeman, diesse Jumbo-Visma
Zeeman, a sinistra, il tecnico della Jumbo-Visma espulso dal Tour, qui con Frans Maasen
Sulle cattive abitudini

Alcune immagini del Tour de France hanno messo in cattiva luce il comportamento dei corridori, immortalati mentre gettavano rifiuti al di fuori delle aree previste. Al riguardo, esistono già delle multe, ma forse non basta. L’Uci ha messo l’ambiente al centro della sua mission, al punto che anche le maglie iridate e il merchandising ufficiale by Santini Cycling Group saranno realizzati con materiale riciclato.

«I tre rischi che minacciano il nostro sport – ha detto Lappartient – sono il doping, l’insicurezza, il cattivo comportamento ambientale. Al comitato direttivo del gennaio 2021 proporrò punizioni in tempo reale per i trasgressori. Un corridore che per questo si ritrovasse di colpo a due ore di distacco nella classifica generale potrebbe tenerne conto… Dovremo trovare misure coercitive e applicarle a partire dal primo febbraio».

L’incidente di Bardet

La necessità di scrivere un protocollo per il pronto intervento nei casi di commozione cerebrale, come già nel rugby, è stata già ampiamente citata in seguito all’incidente di Romain Bardet durante la 13ª tappa del Tour de France, tra Chatel-Guyon e il Puy Maria.

Romain Bardet_Tour2020
Romain Bardet, ritirato dal Tour dopo una brutta caduta
Romain Bardet_Tour2020
Romain Bardet, ritirato dal Tour dopo una brutta caduta

«Il professor Bigard (direttore medico dell’UCI) ha fatto grandi progressi», ha detto Lappartient. L’Uci lavora su questo argomento da oltre un anno. Il protocollo sarà attuato abbastanza rapidamente».

Su Zeeman espulso

Merijn Zeeman, direttore sportivo della Jumbo-Visma, è stato espulso dal Tour de France dalla Giuria Uci. Durante l’esame della bicicletta di Primoz Roglic al Col de la Loze (17ª tappa), è stato accusato di “intimidazioni, insulti e comportamenti scorretti nei confronti di un membro dell’Uci”. Il tecnico ha affermato che la sua reazione sia stata provocata da un danno alla bicicletta durante l’operazione.

«L’Uci – ha replicato seccamente Lappartient – non ha causato alcun danno alla bicicletta di Roglic. Abbiamo in nostro possesso il video dello smontaggio della bici da parte di un meccanico del World Cycling Center, lui stesso insegnante di meccanica. Lo smontaggio è andato bene. Non era accettabile che quel tecnico imprecasse contro il meccanico e il membro della Giuria. La sanzione è stata giusta».

Thomas Bach

Bach loda l’Italia, poi la polemica

29.09.2020
3 min
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Thomas Bach è piombato sul mondiale di Imola 2020 come una rockstar, circondato da una folta schiera di accompagnatori fra cui il presidente della federazione italiana Di Rocco e del Coni.

Giovanni Malagò ha sfruttato l’occasione per illustrargli (dal suo punto di vista) la volontà di riforma del Comitato Olimpico da parte del Governo. Questo ha scatenato una polemica a mezzo stampa di cui forse Bach avrebbe fatto a meno e che sarebbe meglio appianare alla svelta. Con la sensazione che lo stesso capo dello sport mondiale si sia trovato in mezzo al braccio di ferro tra il Coni e chi governa il Paese.

Il Cio contro il Governo

«Siamo molto preoccupati – ha detto con pacatezza – per la situazione del Coni e il suo funzionamento secondo la nuova Riforma chiesta dalla politica. Un Comitato olimpico che non sia indipendente e sia piuttosto sottoposto a ordini da enti esterni, non rispetta la Carta Olimpica. Avevo un meeting in programma il 15 ottobre con il ministro dello Sport, Spadafora, ma francamente in questo momento non vedo le condizioni per fare questo incontro. A inizio mese avevamo scritto una lettera al Ministero dello Sport esprimendo la nostra preoccupazione ma non abbiamo avuto risposte».

Longo Borghini_Thomas Bach
A Imola, Bach si congratula con Longo Borghini, bronzo su strada
Longo Borghini_Thomas Bach
Scortato da David Lappartient, Bach si congratula con Longo Borghini, bronzo su strada

Il Governo contro il Cio

La risposta del Ministro è arrivata in tempi insolitamente rapidi. 

«Bach – ha detto – sta in modo inusuale e poco istituzionale parlando di una bozza di legge che francamente stento a credere che abbia personalmente letto. Se invece davvero così fosse, indichi con chiarezza assoluta in quali punti la bozza non rispetta la Carta Olimpica, oppure eviti di trascinare il Cio in un dibattito davvero poco edificante per una istituzione così importante.

«Del resto se per Bach l’autonomia del Comitato Olimpico in Bielorussia non è in discussione, figuriamoci in Italia. Il Testo Unico invece, come puntualmente scritto nella lettera che è stata inviata al Cio nelle scorse settimane, affronta e risolve positivamente proprio alcune delle questioni sollevate da Bach. Gliene chiederò conto in una lettera che gli invierò domani stesso.

«Condivido invece che non ci siano condizioni al momento per alcun incontro, che del resto non era assolutamente previsto né nella data del 15 ottobre né in altra data».

Ci sono in ballo le Olimpiadi invernali di Cortina 2026 per le quali si è messo sul chi va là anche il Presidente del Veneto, Luca Zaia. Ma la polemica ha solo sfiorato il mondiale, nei cui confronti Bach ha avuto parole di elogio.

Per fortuna c’è il ciclismo

«Il ciclismo – sottolinea Bach – ha svolto un ruolo molto particolare. C’è stato il Tour de France e poi i mondiali, i due eventi finora più complessi a livello internazionale. Il loro successo ci dà molta fiducia. Vorrei ringraziare l’Uci per essersi assunto questa responsabilità e aver organizzato in modo molto responsabile. E anche i nostri amici italiani per aver stabilito un altro record olimpico, organizzando un evento ben riuscito come questo in appena due settimane. Questo è un miracolo che hanno fatto e dimostra l’efficienza del sistema sportivo in Italia».

Thoma Back, Renato Di rocco, Imola2020

Di Rocco: Imola un successo italiano

29.09.2020
2 min
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Che sia stato merito di Cassani per aver tirato dentro la Regione Emilia Romagna oppure di Selleri e Pavarini per aver saputo mettere in piedi il mondiale in meno di un mese, la storia racconterà che il successo di Imola 2020 si può ascrivere anche alla gestione del presidente federale Di Rocco. Aver appoggiato l’Autodromo di Imola per la ripresa di fine luglio e aver creduto alla fattibilità di un campionato del mondo ha reso più semplice la parte burocratico/sportiva dell’organizzazione. Tanto più che a Martigny, il 27 settembre la temperatura era di cinque gradi sotto zero e la salita era bloccata dalla neve.

«Prima di fare i complimenti ad Imola – ha detto Di Rocco – voglio ringraziare le località italiane che si erano candidate. Ognuna aveva presentato un progetto valido, per raccontare i propri territori. E’ la conferma che gli eventi di ciclismo hanno una grande capacità di valorizzare e promuovere le eccellenze locali».

Filippo Pozzato, Renato Di Rocco, tricolori2020
A Bassano per i campionati italiani, con Pozzato che li ha organizzati
Filippo Pozzato, Renato Di Rocco, tricolori2020
A Bassano del Grappa per i campionati italiani, con Filippo Pozzato che li ha organizzati
Ma alla fine ha prevalso Imola.

Come in ogni gara esiste un solo vincitore. L’Uci ha voluto premiare una proposta concreta e credibile. Mi piace credere che sia stata, prima di tutto, un riconoscimento per tutto il nostro Paese. In questi mesi abbiamo affrontato momenti di grande difficoltà, ma siamo stati in grado di uscirne. e siamo diventati un riferimento per il resto del mondo.

Lo sente anche come un suo successo?

Di sicuro è un riconoscimento anche del lavoro della Federazione ciclistica italiana e di tutto il nostro movimento ciclistico. Abbiamo allestito e applicato un protocollo per la ripresa in sicurezza dell’attività sportiva che è diventato modello anche per altri sport e altri Paesi.

Ha funzionato tutto benissimo?

Credo che il termine usato dal presidente del Cio, Thomas Bach, sia il più appropriato: «Un miracolo olimpico».

Il suo bilancio?

Sono stati dei Mondiali straordinari. Prima di tutto per l’organizzazione, direi perfetta, in grado di assicurare sicurezza, rispetto dei protocolli e delle disposizioni sanitarie. Al contempo si è trattato di un’autentica festa di sport.

E poi?

E poi sono stati straordinari perché hanno offerto un’immagine pulita e vincente del nostro Paese. Le immagini ci hanno permesso di conoscere meglio un territorio ricco di eccellenze e bellezze storico artistiche. La determinazione del presidente Bonaccini nell’investire in grandi eventi di ciclismo è una risorsa e uno stimolo.

Credeva che sarebbe finita così?

Sapevo che non si poteva sbagliare. Per questo abbiamo garantito al comitato organizzatore di Imola il massimo sostegno. Hanno avuto poco tempo a disposizione, la sfida è stata esaltante. E attraverso il ciclismo l’Italia l’ha vinta.