Named, banco

NamedSport, un Giro per amore

08.10.2020
4 min
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Alessandra Fedrigo è Marketing & Innovation Director presso NamedSport. Gli inconfondibili gonfiabili arancioni sono ancora una volta al seguito del Giro d’Italia, ma questa volta la scelta di farne parte non è stata assolutamente banale.

Abbiamo incontrato Alessandra alla partenza da Castrovillari, nel baccano tutto sommato composto della gente di Calabria.

Named, barrette
Barrette e gel sono quotidianamente a disposizione degli atleti al via delle tappe
Named, barrette
Barrette e gel sono quotidianamente a disposizione degli atleti al via delle tappe
Che cosa è cambiato con il Covid per Named al Giro?

E’ cambiato innanzitutto l’approccio. Non ce la siamo sentita di fare tutte le attivazioni degli altri anni, perché il nostro scopo è garantire alle persone che lavorano con noi e ai nostri ospiti una sicurezza pressoché totale, che in questa situazione non ci siamo sentiti di dare. Quindi abbiamo accettato di essere presenti, sia pure in una maniera diversa rispetto al passato.

Credevate che il Giro si sarebbe fatto?

Già dall’inizio della stagione abbiamo temuto il peggio per tutta la nostra attività. Chiaro che poi siamo stati molto contenti che il Giro si sia potuto tenere, anche se si svolge alla fine di quella che per noi è la stagione commerciale. Per cui è un evento completamente diverso, una struttura diversa. Ma abbiamo voluto essere presenti, per supportare il mondo del ciclismo e degli eventi. Però chiaramente è una situazione molto diversa.

Cosa ha significato il Covid sul piano commerciale?

Il Covid si è presentato nel clou della stagione. Quindi per i canali classici è stato tutto molto più complicato, mentre negli altri abbiamo avuto i nostri riscontri. Chiaro che non è stato un anno come gli altri, ma le cose vanno così per tutti.

Essere al Giro è un valore aggiunto?

Normalmente sì. Questa volta è strano, perché la stagione per noi è terminata e riprenderà nella primavera del 2021. Per cui tutte le attività che facciamo a inizio anno in questo caso non abbiamo potuto farle. Siamo sponsor di Giro, Tour e Vuelta. Seguiamo le nostre attività, ma lo stravolgimento ci ha impedito di gestire le cose come siamo abituati. E’ un anno speciale per tutti, speriamo che sia anche l’ultimo.

Named, banco
Il feedback degli atleti è alla base dello sviluppo del prodotto
Named, banco
Il feedback degli atleti è alla base dello sviluppo del prodotto
I riscontri degli atleti sono importanti per NamedSport?

Sono fondamentali. Noi siamo sponsor di diverse squadre e proprio ogni anno partecipiamo ai loro ritiri e lavoriamo insieme ai medici, che raccolgono i feedback degli atleti. E’ anche abbastanza divertente, durante i vari Giri, dove noi abbiamo il nostro nutrition-desk. I corridori degli altri team assaggiano il prodotto e poi ci danno loro stessi un riscontro, che può essere sul gusto o sulla digeribilità. Sono loro che ci danno le istruzioni per lo sviluppo di prodotti nuovi, quello che a loro servirebbe e cosa vorrebbero. Tante volte abbiamo delle idee studiate a tavolino, ma è importante anche sentire quelli che sono i loro desideri.

E’ cambiato il modo di mangiare in corsa?

Sono cambiate le composizioni dei prodotti. E’ cambiato anche il tipo di utilizzo. Ad esempio quando ho iniziato a lavorare in questo settore, una quindicina di anni fa, durante una gara nessun atleta prendeva una barretta proteica. Adesso invece quelle che vanno per la maggiore, soprattutto nelle fasi di partenza, sono quelle con una certa percentuale di proteine. Questo è un esempio banale, per dire che prima cercavano soltanto i carboidrati, adesso la nutrizione è cambiata. E’ cambiato il modo in cui loro si preparano, sono cambiati i piani alimentari.

Vuol dire che le barrette proteiche di Named soppianteranno i panini?

Chiaramente un atleta, soprattutto quando parliamo dei professionisti, in una gara tipo il Giro, che dura tre settimane, corre ogni giorno per 5-6 ore. Per questo ha più alimenti che mette insieme. I supplementi, le barrette, gli integratori, il cibo tradizionale. Le barrette non soppiantano i panini, ma ci si avvicinano molto. Gli atleti usano molto le torte di riso oppure qualche panino, però vedo che la situazione cambia molto in fretta.

Con quanto personale NamedSport ha seguito il Giro?

Quest’anno siamo una decina di persone, gli anni scorsi eravamo di più. Abbiamo deciso di non fare le attivazioni nei villaggi commerciali perché non ce la siamo sentita nei confronti dei nostri ospiti e del nostro personale. Molti erano spaventatissimi. Fra i dipendenti, ci sono persone che ci hanno detto di non voler venire e chiaramente, se succede qualcosa, la società è responsabile. Ma soprattutto eticamente per noi è importante tutelare le persone che lavorano per noi. Facciamo molta attenzione all’utilizzo dei vari dispositivi, abbiamo cercato al massimo di ridurre quello che è il contatto. Anche perché il pubblico non sempre è molto diligente, abbiamo visto scene che ci hanno messo in difficoltà.

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Fantin, come nasce un occhiale cool?

08.10.2020
4 min
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Claudio Fantin è quel tipo con i capelli bianchi sparati in testa che viaggiava assieme a Rudy Barbazza. Rudy Project era un marchio in rampa di lancio e lui ne era il Worldwide Export Manager. Assieme a suo zio, nel 1985 aveva già fondato SciCon, produttore di borse per il ciclismo

Da allora sono passati parecchi anni. Fantin nel frattempo si è trasferito a Monaco. Ha intrapreso svariate attività. Nel 2010 è diventato socio di T&F Sport di Montecarlo, specializzata in management di squadre di ciclismo e atleti.

Poi si è riavvicinato al Veneto. E’ Group Marketing Strategist del gruppo Asg, è tornato in SciCon e rilanciato forte il marchio delle borse, è tornato al vecchio amore. E’ così nato il mondo SciCon Eyewear, gli occhiali con cui Tadej Pogacar ha conquistato il Tour de France.

Fantin nel frattempo ha tagliato i capelli, ma non ha smesso di essere il vulcano di allora. E non è un caso che nel discorso tornino tante frasi del Barbazza pensiero. Se la scuola da cui vieni è valida, te la porti dietro a lungo.

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Gli occhiali della linea SciCon Eyewear, modello Aero Shade
Gli occhiali della linea SciCon Eyewear, modello Aero Shade
Perché un’azienda così nota nel mondo delle borse a un certo punto si dedica agli occhiali?

Per passione. Perché gli occhiali mi piacciono, sono un bel prodotto. Adesso SciCon fa parte del gruppo Asg e uscire dal settore borse, se c’è la possibilità di scalare il business degli occhiali, è stato un bel passo. E poi per certi versi è più facile…

In che senso?

Le scarpe hanno un taglio e non sono uguali per tutti. I caschi hanno una gestazione di mesi. Le borse sono quelle. Le squadre vengono e ne hanno bisogno, non dico che le teniamo in ostaggio, ma in alcuni casi abbiamo dettato le condizioni. Gli occhiali devi azzeccarli, devono essere belli e poi non hai problemi.

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Altro modello della linea SciCon Eyewear: questi sono gli Aero Wing
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Altro modello della linea SciCon Eyewear: questi sono gli Aero Wing
Più forma che sostanza?

Il professionista vuole vedersi bello, dà per scontato che il prodotto sia valido. Ma se anche gli dai il miglior materiale del mondo e lui si vede brutto, non lo usa.

Da mettersi le mani nei capelli?

Gli occhiali sono un device di sicurezza. L’occhio è una delle parti più delicate del nostro corpo ed è totalmente scoperto. Dovresti proteggerlo con un prodotto di altissima qualità. Piuttosto che usare un occhiale scadente, è meglio fare senza, perché dilata la pupilla e danneggia la retina. Ma ormai c’è uno spartiacque. Da una parte quelli di ottima qualità, dall’altra quelli cinesi da 49 euro.

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Sfilata ai Campi Elisi per Pogacar dopo la vittoria del Tour de France a soli 21 anni
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Sfilata ai Campi Elisi per Pogacar dopo la vittoria del Tour de France a soli 21 anni
La gente vuole risparmiare.

E se gli chiedi per un occhiale 150-180 euro ti prende per matto. Ma io penso a una frase di Rudy Barbazza. Fra pensare in grande e pensare in piccolo, sempre devi pensare. Allora tanto vale pensare in grande. Così abbiamo fatto un contratto con Essilor ed è nato SciCon Eyewear. Sapete chi era il primo che volevamo sponsorizzare?

Chi?

Un ragazzino sloveno di cui dicevano un gran bene. Me lo propose Johnny Carera, ci incontrammo in autostrada e gli feci vedere gli occhiali. Il caso vuole che poi abbia sponsorizzato tutta la squadra e quel ragazzino quest’anno abbia vinto il Tour de France. Era Pogacar, roba da matti…

Lui ricorda quel primo incontro?

Ne abbiamo parlato al primo training camp di fine 2019. Gli diedi gli occhiali e gli dissi che ci avrebbe vinto il Tour. L’avevo buttata per ridere, ma hai visto come è andata?

Qual è la ricetta dell’occhiale che sfonda?

Un mix fra bellezza, tecnicità e fortuna. Ci sono stati casi eclatanti di grandi case che hanno investito fiumi di denaro e non hanno sfondato. Devi essere sul pezzo, aspettare i corridori e sperare che ti apprezzino. Se riesci a farti apprezzare dai corridori, allora riesci ad anticipare le grandi aziende.

Fantin contro Oakley, come Davide contro Golia?

Uno come Oakley, che è un mostro e che io ringrazio per aver fatto degli occhiali un oggetto di culto, se decide di distruggerti, lo fa senza problemi. Hanno perso Sagan, ma credo sia stato il loro unico passo falso. Per competere con loro, si deve avere duttilità e sfruttare le conoscenze.

Quanto rende commercialmente aver vinto il Tour?

Rende in termini di onore e rispetto. Prima quando arrivavamo dalle squadre o dalle altre aziende, ridevano. Adesso ci ascoltano. La gente infatti pensa che se Pogacar ci ha vinto il Tour, allora quegli occhiali vanno bene per tutti. Vincere il Tour dà una visibilità mostruosa e se sei giovane, da lì parti per costruire qualcosa.

Se invece sei un marchio già affermato?

Non ti cambia niente. Cosa vuoi che faccia a Oakley vincere un Tour in più? Loro sono come la Coca Cola, sono grandi a prescindere…

Letizia Paternoster

Letizia come stai? «Non ho più paura…»

30.09.2020
3 min
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E se tutti i sorrisi, i social e le sfilate fossero lo schermo dietro cui Letizia Paternoster si nasconde quando è giù dalla bici? Parliamo con la ragazza della Trek-Segafredo mentre sta camminando nei dintorni di casa, a Riva del Garda. Non ha obiettivi puntati addosso, attraverso il telefono si percepiscono forte il rumore dei passi e l’abbaiare di un cane.

«Adesso va tutto bene – dice – sto recuperando bene. Non mi sbilancio, ho paura di farlo. L’idea di tornare a correre al Lotto Belgium Tour è diventato un’ottima motivazione, ma arrivarci non è stato per niente facile…».

Letizia_Paternoster_Dino_Salvoldi
Ad Apeldoorn nel 2019, Letizia Paternoster si confronta con il cittì azzurro Dino Salvoldi
Letizia_Paternoster_Dino_Salvoldi
Ad Apeldoorn nel 2019, Letizia Paternoster si confronta con il cittì azzurro Dino Salvoldi

Il ginocchio fa male

Era la fine di maggio quando la trentina è stata costretta a fermarsi per un problema di cartilagine al ginocchio sinistro. Uno di quei malanni da curare con il tempo e il riposo, mentre il mondo del ciclismo intorno usciva dal lockdown e si cominciava a ragionare sulle prime corse.

«Tutti ripartivano – ammette – io ero ferma. Capirai, sono iperattiva, cerco sempre cose da fare e invece ho dovuto stare ferma. E’ stato uno dei periodi più brutti della mia carriera, con mille paranoie. Tornerò più come prima? E c’è poco da fare. Devi guardarti dentro, farti aiutare, ma alla fine devi cavartela da sola».

In quello stesso periodo, il suo profilo Instagram mostrava foto d’autore, sorrisi da perdere la testa e soltanto da qualche fugace commento sulla voglia di tornare in bici si intuiva l’incertezza del momento. Lo schermo le permetteva di non mostrare la paura.

Verso Tokyo a testa bassa

«Adesso si ricomincia – spiega – con la testa sull’obiettivo di Tokyo. Avendo saltato tutte le corse di quest’anno, ho perso una bella occasione di fare esperienza e crescere, anche fisicamente. Perciò si torna su strada a macinare chilometri e solo più avanti salirò in pista per la preparazione specifica».

Le Olimpiadi sono un sogno, gli atleti usano sempre le stesse parole e non si può certo dargli torto. Da più parti, nelle parole di Marina Romoli e di Giorgia Bronzini, la consapevolezza che Letizia Paternoster sia una garanzia per la pista sono foriere di fiducia.

«Esatto – sorride – ogni tanto provo a immaginare l’emozione di quando sarò lì e trovo la forza per lavorare sodo e stringere i denti. Non mi è ancora capitato di parlarne con chi le ha già fatte. Ho erò conosciuto Michela Mojoli, che le ha vinte nello snowboard. Si è creato un bel rapporto e mi ritrovo tanto in quello che mi dice».

Limiti tutti da scoprire

Dice che le fa piacere sentire le parole di stima, perché le danno morale.

«Accetterò ogni lezione di Giorgia – dice – e cercherò di starci. Non so dove potrò arrivare, non mi pongo dei limiti perché non mi conosco al 100 per cento. Ma adesso non vedo l’ora di ricominciare. Andare a vedere i mondiali di Imola è stato un’esperienza bellissima, che mi ha aiutato a superare il momentaccio. Devo ammettere che anche per la miglior Letizia sarebbe stato un percorso troppo duro».

Franco Vita, Giorgia Bronzini, Vittorio Adorni

Bronzini, la gavetta e la ripresa

25.09.2020
5 min
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Giorgia Bronzini è uscita dal Giro Rosa Iccrea provata come se l’avesse corso da atleta. Il Covid ha messo a dura prova gli organizzatori e questo ha avuto riflessi sulle squadre, costrette a gestire la quotidianità giorno per giorno. Esserci e correre, è stato risposto più volte, è stato già un lusso.

«E’ stato un Giro impegnativo – conferma Bronzini, diesse della Trek-Segafredo – in cui venivamo a conoscenza delle variazioni, fossero di percorso o altro, solo all’ultimo momento. Per fortuna si è creato un bel clima fra le squadre e ci siamo dati tutti una mano».

Un Giro impegnativo al termine di una stagione faticosa per la lunga pausa e la rapida riorganizzazione.

Tutto da buttare?

Diciamo che dal peggio abbiamo cercato di ricavare qualcosa. E di sicuro la lunga sosta ci ha permesso di allacciare e stringere i rapporti. Da atleta avrei vissuto il lockdown malissimo. Io odiavo i rulli, ho la massima ammirazione per quei ragazzi che ci hanno passato sopra delle giornate intere.

Elisa Longo Borghini, Strade Bianche
Longo Borghini è uscita dal lockdown con grande freschezza atletica
Elisa Longo Borghini, Strade Bianche
Elisa Longo Borghini è uscita dal lockdown con una grande freschezza atletica
E da tecnico come va l’esperienza di Bronzini?

Ero quasi sempre al telefono, a volte in modo serio, a volte per ridere. Quando poi è arrivato il calendario, ci siamo rimboccate le maniche.

Come si è organizzata la ripresa?

Sembra brutto dirlo, ma abbiamo messo prima le priorità delle atlete di fascia A, con un sacrificio per le atlete B, che sono entrate in scena in un secondo momento. Non è stato bellissimo, anche perché di solito i due gruppi si fondono, ma quest’anno è stato molto più difficile.

Come hanno reagito le ragazze?

Un po’ sono rimaste male, ma non hanno detto niente. Hanno capito la situazione e soprattutto il nostro sponsor non ci ha fatto mancare nulla, non c’è stato molto di cui lamentarsi.

Si dice nell’ambiente che il lockdown abbia giovato a Longo Borghini…

Forse è vero. Non è mai stata così bene, soprattutto a livello fisico. La chiusura le ha impedito di esagerare in allenamento, che per lei è sempre stato un grosso problema. E’ la sua attitudine e si sfinisce. Ma non solo lei è uscita bene dal periodo…

Lizzie Deignan, Liegi 2020
“Lizzie” Deignan festeggia con Elisa Longo Borghini dopo la vittoria di Plouay
Lizzie Deignan, Liegi 2020
“Lizzie” Deignan festeggia con Elisa Longo Borghini dopo la vittoria di Plouay
Chi altro?

Deignan, ad esempio. Al Giro ha fatto vedere il suo livello e in lei un po’ mi rispecchio. Ha quello spunto che può fare la differenza.

Che effetto ti ha fatto trovarti davanti la Voss ancora così vincente?

Tanto di cappello e tanta stima per come è tornata. Dopo tanti problemi, c’è riuscita solo lei a riemergere. Poi magari ti sembra che vinca meno di prima, ma la verità è che durante la sua assenza il livello medio del gruppo si è alzato e le differenze sono meno marcate.

E’ sempre forte?

Fisicamente Marianne Voss è un toro, se le permetti di arrivare a vedere il traguardo e la punti sullo scontro fisico, vince lei. Allora devi usare la testa, costringerla a spendere energie lontano dalla’arrivo, come a volte è riuscito alla… Bronzini.

Avresti corso volentieri il mondiale in Italia?

Di mondiali in Italia ne ho fatti ed è stato bellissimo, ma parlando con le ragazze non so quanto si siano rese conto che stavano correndo in casa. Nessuno ha potuto andare a trovarle in hotel e anche la gente sul percorso è stata meno di come sarebbe stato a cose normali. Correre in casa ti dà una carica in più, che alcune soffrono. Io mi sarei caricata a manetta.

Davvero uno strano anno.

Particolare. Ti guardi negli occhi, negli spostamenti sei costretto a usare la mascherina. E’ diverso e purtroppo ogni cosa ha avuto un altro sapore. Detto questo, un applauso agli organizzatori italiani per aver salvato il mondiale.

Elisa Longo Borghini, Assisi, Giro Rosa Iccrea 2020
Longo Borghini in cima all’arrivo di Assisi al Giro Rosa Iccrea, su un muro asfissiante
Longo Borghini in cima all’arrivo di Assisi al Giro Rosa Iccrea
Parliamo di te, sei soddisfatta del tuo ruolo?

C’è ancora tanto da fare, ma sono contenta. Sono arrivata alla Trek-Segafredo da una squadra in cui quasi non avevo direttore sportivo e all’inizio ho fatto fatica a gestire tutte le cose. Piano piano ho scoperto cose nuove e aver fatto tante corse con gli uomini mi ha permesse di confrontarmi con Baffi e Popovych. Però di fatto non c’è stata una scuola. Sono andata a sensazioni e piano piano arrivo…

Le ragazze cosa dicono?

Di sicuro hanno visto che a Bronzini direttore manca la gavetta e che sto ancora imparando, però mi hanno anche dato dei feedback positivi. Ogni volta che organizzo qualcosa e magari aggiungo un tocco di esperienza, mi guardano quasi stupite. Diciamo che mi perdonano le piccole mancanze, perché sono una che impara.

Ultima cosa, come va con Paternoster?

E’ stato a lungo tutto fermo, finché non si è ripresa dall’infiammazione al ginocchio. E’ stata una cosa lunga non per negligenza sua, ma perché quando c’è di mezzo la cartilagine serve tempo. La sfortuna è che si è bloccata alla fine del lockdown e mentre le altre correvano, lei era ferma. E’ rientrata al Lotto Belgium Tour, dopo che abbiamo parlato molto bene con i dottori, per farla sentire parte del gruppo.

Di certo non è sparita…

Ma un giorno mi ha chiamato e mi ha detto di aver staccato da tutto e tutti per potersi allenare bene. Le ho fatto i complimenti, poi ho aperto i suoi social ed era presente da tutte le parti. Ma lei è così, le piace e magari questa leggerezza è ciò che le permette di vivere il ciclismo senza troppe tensioni.